Ferdinando Galiani

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da Abate Galiani)
Ferdinando Galiani

Ferdinando Galiani detto l'abate Galiani (1728 – 1787), economista e filosofo italiano.

Citazioni di Ferdinando Galiani[modifica]

  • La buona filosofia comincia col dubitare e non finisce mai con l'ostinarsi. (da Dialoghi sul commercio dei grani)
  • La donna è un animale debole e malato per natura. (da Dialogo sulle donne)
  • Le disgrazie sono la salsa di questa pessima pietanza che è la vita: ne siamo circondati attorno attorno. (dalle Lettere Inedite)
  • Le donne imparano con avidità e dimenticano con facilità. (da Dialogo sulle donne)
  • Le teorie generali e il nulla sono, presso a poco, la stessa cosa. (da Sentenze e motti di spirito, a cura di Marco Catucci, Salerno, 1991)
  • Molte volte le calamità distruggono le nazioni senza risorgimento, ma talvol­ta sono principio di risorgimento e di riordinamento di esse. Tutto dipende da come si ristorano. (citato da Gian Antonio Stella sul Corriere della sera, 8 aprile 2009)
  • Nel fare una profonda riverenza a qualcuno, si volta sempre le spalle a qualche altro. (dalle Lettere Inedite)
  • Per distrarmi, allevo due gatti, e studio i loro costumi: sappiate che è una scienza e uno studio del tutto nuovo. Sono secoli che si allevano gatti, e tuttavia non trovo nessuno che li abbia ben studiati. Ho il maschio e la femmina; ho loro impedito ogni comunicazione con i gatti di fuori e ho voluto seguire il loro comportamento con attenzione; credereste una cosa? Nei mesi dei loro amori, non hanno mai miagolato; il miagolio non è dunque il linguaggio d'amore dei gatti, non è che il richiamo degli assenti. Altra scoperta sicura: il linguaggio del maschio è completamente differente da quello della femmina, come doveva essere. Negli uccelli, questa differenza è più marcata; il canto del maschio è completamente differente da quello della femmina; ma nei quadrupedi, non so di nessuno che si sia accorto di questa differenza: inoltre sono sicuro che ci sono più di venti inflessioni differenti nel linguaggio dei gatti, e il loro linguaggio è veramente una lingua; perché impiegano sempre lo stesso suono per esprimere la stessa cosa. (da Sentenze e motti di spirito, pp. 75-76)
  • Sapete che cos'è il coraggio? [...] È l'effetto di una grandissima paura. [...] Paradosso finché vi piacerà, ma non perciò meno vero. È perché si ha una grandissima paura di morire che ci si lascia tagliare coraggiosamente una gamba. (da Dialogo sulle donne e altri scritti)
  • [...] sotto il regno di Teodorico [il Vesuvio] avendo di nuova fatta piangere, e lamentare la vicina Campania tornò ad esser soggetto di esecrazione, e di orrore, e nella barbarie de' seguenti secoli crebbe l'odio contro di lui tanto, che fu chiamato bocca infernale, d'onde non mancarono romiti che vedessero uscire ed entrare frequentemente anime di dannati: né morì principe cattivo, ed odioso al suo popolo che non si trovane chi sulla sua fede attestasse aver vedute molte nere ombre di satelliti destinati a condurlo nell'eterna pena.[1]
  • Tutta l'educazione si riduce a questi due insegnamenti: imparare a sopportare l'ingiustizia e imparare a soffrir la noia. (dalle Lettere Inedite)

Del dialetto napoletano[modifica]

  • Tra tutti gli amori terreni niuno certamente è più lodevole, più onesto, quanto quel della Patria. E quantunque a ciascuno sembri la propria esserne la più degna, e sola senza divisione d'affetti, senza comparazioni, senza rivalità l'onori, e l'abbia in pregio e l'ami; pure se fosse permesso tra questi doverosi amori far parallelo, niuna Patria a noi ne pare tanto meritevole quanto Napoli per chiunque ebbe in sorte il nascervi cittadino. (prefazione, p. 3)
  • [Il popolo napoletano] [...] il più gajo, il più placido, il più sofferente di tutti i popoli [...] il popolo più buono, ed il più innocente [...]. (p. 6)
  • Solo pare che, in tanto progresso, resti indietro e resti irreparabilmente negletto ed incapace più di ristoro e di fortuna il nostro volgar dialetto napoletano: quello stesso dialetto pugliese che, primogenito tra gl'italiani, nato ad esser quello della maggior corte d'Italia, destinato ad esser l'organo de' pensieri de' più vivaci ingegni, sarebbe certamente ora la lingua generale d'Italia se quella felice Campania e quell'Apulia che lo produssero e l'allevarono si fossero sostenute quali prime, e non qual infime e le più derelitte delle provincie italiane. (pp. 7-8)
  • Tanto si sono incarnate le idee colle voci, che pare ormai, che parlar Napoletano, e buffoneggiare sia una stessa cosa. Alle menti filosofiche è manifesto, che sì fatta connessione d'idee non è figlia della natura, ma della sola abitudine; e quando anche non fosse così, e fossevi nel suono del dialetto Napoletano qualche occulto difetto, che ne togliesse la dignità e la gravità, quell'aureo detto di Orazio ridentem dicere verum quid vetat basterebbe a convincere, che anche in un dialetto scherzoso si possan pronunziare le più serie, e le più importanti verità. (p. 8-9)
  • Della passione generale de' nostri e della disposizione alla musica che giova ragionare? Ne abbiamo il primato; lo abbiamo da più secoli; lo abbiamo non contrastato, nè lo perderemo, se non se qualche tetro soffio di oltramontana calcolatrice filosofia, e la smania di migliorarci mutandoci, non verrà a turbare la nostra ingenita ilarità, l'espansione libera de' nostri polmoni, il nostro neghittoso scialare. Siane lontano l'augurio. (p. 25)
  • Merita anche rifessione, che non fono certamente i Napoletani nè i più loquaci , nè i più facondi tra le nazioni. Quel rapido culto cicaleccio de' Toscani, quel jolì cacquet de' Francesi è ignoto ai nostri. Il parlar con felicità, e con copiosa vena di parole è sempre un indizio di molta dose di delicatezza di spirito, e di scarsa sensibilità nel cuore. Le passioni non tormentando la mente resta questa chiara, serena, tranquilla, e trova felicemente, e tramanda agli organi le parole, e le frasi. Ma il Napoletano, l'ente della natura, che forse ha i nervi più delicati, e la più pronta irritabilità nelle fibre, se non è tocco da sensazioni tace: se lo è, e sian queste o di sdegno, o di tenerezza, o di giubilo, o di mestizia, di gusto, o di rammarico (che ciò non fa gran differenza) subito s'infiamma, si commuove e quasi si convelle. Allora entra in subitaneo desio di manifestar le sue idee. Le parole se gli affollano, e fanno groppo sulla lingua. S'ajuta co' gesti, co' cenni, co' moti. Ogni membro, ogni parte è in commozione, e vorrebbe esprimere. Così senza esser facondo è eloquentissimo. Senza ben esprimersi si fa comprender appieno, e sovente intenerisce, compunge, persuade. In quello stato d'accensione, e di convulsione, in cui allora è il Napoletano, le più impensate metafore, i più arditi traslati se gli paran davanti, e ne fa suo profitto. Forma quindi un discorso, e una sintassi, che sembra quello de' sacri Profeti, e degli orientali Poeti. [...] Le energiche imprecazioni , talvolta le abominevoli esecrazioni accompagnano, e figurano in questo tumulto di pensieri, e di subitanee espressioni. Qual sintassi vuol aspettarsi allora? Furor verba ministrat. Ma se l'animo acceso da violente passioni del Napoletano, che prorompe in gesti, in parole, in imagini, non osserva rettoriche regole, non sintassi, non grammatica, non vocabolario talvolta, è tale l'effetto di scuotimento che fa negli astanti che gli elettrizza tutti a segno, che facondia Toscana non v'è, che a tanto arrivi. (pp. 34-35)
  • [Sul valore poetico del poema L'Agnano zeffonato di Andrea Perrucci] Molto diversamente dobbiam parlare del poemetto L'Agnano Zeffonnato, del quale Andrea Perruccio, e Fardella Siciliano vivente tra noi ci arricchì, e che quantunque non sia un perfetto lavoro, è però pieno di molti pregi, e di non volgari poetiche bellezze. (p. 137)
  • [Sul valore poetico del poema L'Agnano zeffonato] L'edizione è tanto scorretta quanto brutta. È verisimile, che la povertà, in cui visse l'autore non gli permise pubblicare il suo poema in miglior forma. [...] Certamente non merita questo grazioso poema di cader nell'oblio; anzi è da annoverarsi tra i più distinti, e preggevoli del nostro dialetto o si riguardi la ricchezza della fantasia, o la felice imitazione dell'Ariosto, del Tasso, e soprattutto della Secchia Rapita del Tassone, che sembra esser quello, che più d'ogn'altro ha preso ad imitare. (p. 161)
  • [Sulla leggenda popolare da cui trae spunto il soggetto del poema L'Agnano zeffonato] Il soggetto è fondato sopra una antichissima tradizione del nostro volgo, il quale è persuaso, che nel luogo ove oggi è il suddetto Lago d'Agnano vi fosse stata una città ingojata poi da una subitanea eruzione: tradizione, che quantunque non appoggiata sopra verun sicuro monumento storico, non merita assoluto disprezzo. [...] (p. 161)
  • [Sul poema La Malattia d'Apollo, pubblicato in coda all'Agnano zeffonato] La Malattia d'Apollo Idillio dello stesso. Va impresso dietro al poema dell'Agnano Zeffonnato. È un ingegnoso Idillio, in cui si finge Apollo divenuto ernioso per effetto de' rancori, che gli cagionano non meno i cattivi poeti, che la cattiva sorte loro. (p. 163-164)

Incipit di De' doveri de' principi neutrali verso i principi guerreggianti, e di questi verso i neutrali[modifica]

Senza aspirare con affettazione a voler dare a questa mia opericciuola la religiosamente venerata sembianza della sublime geometria, solo per semplice chiarezza del mio discorso, e per scansare ogni equivoco, avvertirò quasi a forma di definizioni l'uso di alcune parole, ch'io son per fare.
[Definiz. I]
Dico dunque, che indifferentemente userò le parole Principe, Sovrano, Potenza, Signorìa, Sovranità, Nazione per esprimere qualunque Società d'uomini civilizzata, e ridotta sotto qualunque spezie di governo sia monarchico, republicano, o misto, purché abbia o l'assoluta indipendenza da ogni altra, o ne abbia tanta quanta basti ad avere il dritto della guerra, della pace, e di potersi liberamente, e spontaneamente determinare a restar neutrale.

Citazioni su Ferdinando Galiani[modifica]

  • ANNO 1779, 8 AGOSTO
    Il Vesuvio si infuriò come millesettecento anni prima, e molti, a Napoli e in Provincia, ebbero una grande paura. L'abate Galiani, uomo spiritosissimo, prese a burla l'avvenimento, si mise a tavolino e scrisse.
    Il giorno dopo diede alle stampe un opuscoletto intitolato
    Spaventosissima descrizione dello spaventoso
    spavento che ci spaventò tutti con l'eruzione
    del Vesuvio, di don Onofrio Galeota, poeta e
    filosofo all'impronto
    . (Michele D'Avino)
  • L'uno [Ferdinando Galiani] era un piccolo magro, quasi gobbo a prima vista, contraffatto a giudicarlo così ad occhio e croce, più scimmia che uomo in apparenza, gli occhi vivissimi, le mani irrequiete, e saltava più che non camminasse. Vestiva di buon panno, portava parrucca, inforcava l'occhialino e gli stivaloni con la risvolta rossa rivelavano un piede quasi femminile. (Alessandro Varaldo)
  • Lo stile assoluto e sicuro del libro dei Delitti e delle Pene [di Cesare Beccaria] e l'elegante trattato del Galiani sulle Monete vivranno nobile ed eterno retaggio tra noi. (Ugo Foscolo)
  • Mezzo libero pensatore, mezzo pulcinella. (Giuseppe Buttà)
  • Molto il Settembrini della maturità deve all'abate Galiani. Anche per le motivazioni (dimostrative) che lo portarono all'approntamento dell'edizione del Novellino di Masuccio: se dagli scritti burleschi si passa al trattatello galianeo Del dialetto napoletano (1779), attuale all'antiquaria filologica dell'editore del novelliere aragonese. […] Galiani era per la “nazionalizzazione” del dialetto napoletano, che poteva vantare l'ufficialità di un uso illustre nel Quattrocento aragonese: “[...] ben lungi dall'innalzar lo stendardo della ribellione e della discordia tra 'l napoletano e l'italiano, noi crediamo non potersi far meglio quanto il cercare di raddolcire il nostro dialetto, d'italianizzarlo quanto più si può e di renderlo simile a quello che i nostri ultimi re, gli Aragonesi, non sdegnarono usare nelle loro lettere e diplomi e nella legislazione”. (Salvatore Silvano Nigro)
  • Votosi allo studio delle cose naturali, formò una collezione di tutte le pietre e materie vulcaniche del Vesuvio, e nel donarla a Benedetto XIV scrisse sulle casse che la contenevano: Beatissime Pater, fac ut lapides isti panes flant; ed il Papa fece il miracolo dandogli un canonicato che gli rendeva 400 ducati. (Giuseppe Maffei)

Note[modifica]

  1. Da Catalogo delle materie appartenenti al Vesuvio contenute nel Museo. Con alcune brevi osservazioni opera del celebre autore de' Dialoghi sul commercio de' grani, Londra, 1772, p. 5.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]