Alphonse de Lamartine

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Alphonse de Lamartine

Alphonse Marie Louise Prat de Lamartine (1790 – 1869), scrittore, poeta e politico francese.

Citazioni di Alphonse de Lamartine[modifica]

  • Amai e fui amato; mi basta per la tomba.[1]
  • Dante sembra il poeta della nostra epoca.[2]
Horace était le poëte de l'époque, comme le Dante semble le poëte de la nôtre [...].[3]
  • Dio non è che una parola inventata per spiegare il mondo.[4]
  • [Maria Luisa d'Asburgo-Lorena, descritta raccogliendo i ricordi di una sua gita diplomatica a Parma nel 1827] Era una bella figlia del Tirolo, dagli occhi cilestri, dai capelli biondi, dal volto riflettente la bianchezza delle sue nevi e le rose delle sue vallate, dall'atteggiamento languido e stanco di quelle tedesche, che sembrano aver bisogno di appoggiarsi sul cuore d'un uomo, con l'occhio pieno di sogni e d'interne visioni, velate da una lieve ombra dello sguardo. Avea le labbra un po' grosse, il petto colmo di sospiri e di fecondità, le braccia lunghe, bianche, modellate a perfezione e cascanti in atto di molle abbandono, quasi affaticate di troppo dal peso del suo destino. Il collo era abitualmente inclinato sulla spalla. Nell'insieme l'immagine della Malinconia Nordica smarrita nella gazzarra d'un accampamento francese.[5]
  • Il sole dei vivi non scalda più i morti.[6][7]
  • L'esperienza è l'unica profezia dei saggi.[8][7]
  • La cenere dei morti fu quella che creò la patria.[9][7]
  • La Francia è una nazione che si annoia.[10]

Confidenze[modifica]

  • Il silenzio è il drappo funebre del passato, ed è talvolta empio, spesso pericoloso, sollevarlo: anche quando la mano è pietosa e amorosa, il primo momento è crudele. (I, I, p. 14)
  • Dio mio! Ho rimpianto spesso di esser nato! Ho desiderato spesso di indietreggiare sino al nulla, invece di procedere a traverso tante menzogne, tante sofferenze e tante perdite successive, fino a quella perdita di noi stessi che chiamiamo la morte. Tuttavia, anche in quei momenti nei quali la disperazione supera il ragionamento e nei quali si dimentica che la vita deve essere opera di perfezionamento di noi stessi, mi son sempre detto: — Vi è qualche cosa che rimpiangerei di non aver conosciuto, ed è il latte di una madre, l'affetto di un padre e la comunanza di animo e di cuore con i fratelli.
    Sono le gioie ed anche le tristezze della famiglia! La famiglia, evidentemente, è un secondo noi stessi, esistente prima di noi e sopraviventeci con quello che vi è di migliore in noi: è l'immagine della santa e amorosa unità degli esseri, rivelata dal piccolo gruppo di esseri collegati fra loro, e resa visibile dal sentimento! (I, II, p. 18)
  • L'acqua è l'elemento triste: super flumina Babylonis sedimus et flevimus. Perché? Perché l'acqua piange con tutto il mondo; e, per quanto bambini, non possiamo fare a meno di sentircene commossi. (IV, II, pp. 110-111)
  • La stessa aquila, destinata a salire così in alto e a vedere tanto da lontano, comincia la vita nei crepacci della sua roccia e non vede in gioventù che gli orli aridi, spesso fetidi, del suo nido. (IV, III, p. 115)
  • Mia madre era convinta, ed io ho la stessa convinzione, che uccidere gli animali per nutrirsi della loro carne e del loro sangue, sia una delle infermità della razza umana, una delle maledizioni scagliate sull'uomo, sia per il suo fallo, sia per l'ostinazione della sua perversità. Ella credeva, ed io lo credo come lei, che quelle abitudini di durezza di cuore verso i più mansueti animali, compagni nostri, aiuti e fratelli di lavoro, e persino di affezioni quaggiù; quelle immolazioni, quegli appetiti di sangue, quella vista di carni palpitanti siano fatti per abbrutire e indurire gli istinti del cuore.
    Credeva pure, e lo credo anch'io, che quel nutrimento, assai più succulento e sostanzioso in apparenza, contenga in sé principî irritanti e putridi, che inacidiscono il sangue e abbreviano la vita dell'uomo.
    Citava, come esempio di astinenza, le popolazioni innumerevoli, dolci e pie, delle Indie, che rispettano tutto ciò che ha avuto una vita; e le forti razze dei popoli pastori, ed anche i laboriosi agricoltori [...]. (IV, VIII, pp. 144-146)
  • Qualche giorno dopo, mia madre, che andava in città, mi condusse con sé e mi fece passare, come per caso, dal cortile di una macelleria. Vidi degli uomini con le braccia nude, insanguinate, che atterravano un bove; altri che sgozzavano dei vitelli e dei montoni, e ne squartavano le membra ancora palpitanti: rivoli di sangue fumavano qua e là per terra. Preso da una profonda pietà, mista ad orrore, chiesi di passare oltre al più presto, e l'idea di quelle scene orribili e disgustose, necessari preliminari di uno di quei piatti di carne che vedevo serviti a tavola, mi fece prendere in disgusto la nutrizione animale, e i macellai in orrore. (IV, VIII, pp. 147-148)
  • Dio ha collocato il genio della donna nel cuore, perché le opere di questo genio sono tutte opere d'amore. (IV, IX, p. 152)
  • Il cinismo è l'ideale abbattuto, la parodia della bellezza fisica e morale, il delitto dello spirito, l'abbrutimento dell'immaginazione, ed io non potevo compiacermene. Vi era in me troppo entusiasmo per sguazzare in quelle lordure dell'intelligenza. La mia natura aveva le ali e i miei pericoli erano in alto, non in basso. (VI, V, p. 227)

Graziella[modifica]

Incipit[modifica]

Alda La Rosa[modifica]

A diciott'anni la mia famiglia mi affidò alle cure di una delle mie parenti trasferitasi assieme al marito, in Toscana per affari.
Era un'occasione per farmi viaggiare e per sradicarmi da quell'oziosità pericolosa della casa paterna e delle città di provincia, dove i primi moti dell'animo vengono guastati dalla mancanza di attività. Partii con l'entusiasmo di un bambino che va a vedere l'alzarsi del sipario delle più splendide scene della natura e della vita.

Giovanna Santagostino[modifica]

A diciotto anni la mia famiglia mi affidò alle cure di una parente che andava in Toscana, dove affari la chiamavano.
Era questa un'occasione per farmi viaggiare e distogliermi da quell'ozio dannoso della casa paterna e delle città di provincia, dove le prime aspirazioni dell'anima si corrompono per mancanza d'attività.
Partii con l'entusiasmo d'un fanciullo che vede sollevarsi la tela delle più splendide scene della natura e della vita.

Citazioni[modifica]

  • L'uguaglianza degli istinti è una parentela tra gli uomini. (p. 28)
  • Un giorno di pianto consuma più forze che un anno di lavoro. (p. 50)
  • Non avevamo salvato dai flutti che tre volumi spaiati, semplicemente perché non li avevamo con noi quando gettammo in mare il nostro bagaglio; un volumetto italiano di Ugo Foscolo, intitolato: Le ultime lettere di Jacopo Ortis, specie di Werter, mezzo politico e mezzo romanzesco, in cui l'amore per la libertà del proprio paese si fonde nel cuore di un giovane Italiano alla passione personale per una bella Veneziana. L'entusiasmo, alimentato da questo duplice ardore di amante e di cittadino, accende nell'animo di Ortis una febbre che, essendo troppo forte per un uomo sensibile e malaticcio, lo conduce infine al suicidio. Quest'opera, copia letterale, ma più viva e colorita del Werter di Goethe, andava allora tra le mani di tutti i giovani che nutrivano come noi, nella loro anima, il doppio sogno di quanti sono degni di sognare qualche cosa di grande: l'amore e la libertà. (p. 58)
  • I poeti cercano l'ispirazione lontano, mentre essa è nel cuore [...]. (p. 73)
  • Il sublime affatica, il bello inganna, il patetico solo è infallibile nell'arte. (p. 73)
  • Colui che sa intenerire sa tutto. (p. 73)
  • V'è più genio in una lacrima che in tutti i musei e in tutte le biblioteche dell'universo. (p. 73)
  • L'uomo è come l'albero che si scrolla per farne cadere i frutti; non si scuote mai l'uomo senza che ne cada del pianto. (p. 73)
  • Il tempo, che nelle alte classi sociali è elemento indispensabile al formarsi delle amicizie intime, lo è meno nelle classi inferiori. (p. 85)
  • I cuori degli umili s'aprono subito senza diffidenza, e aderiscono, perché sotto i sentimenti non si sospettano interessi. (p. 85)
  • Si formano più legami e parentele d'anima in otto giorni tra gli uomini più vicini alla natura che in dieci anni tra le persone della così detta buona società. (p. 85)
  • Sembra che la parola sia la sola predestinazione dell'uomo e che egli non sia stato creato che per nutrire dei pensieri, come l'albero i suoi frutti. (p. 96)
  • L'uomo si tormenta fino a che non ha esternato ciò che lo tormenta dentro. (p. 96)
  • Lo spirito ha la sua pubertà come il corpo. (p. 96)
  • Ero in quell'età in cui l'anima ha bisogno di nutrirsi e di moltiplicarsi per mezzo della parola. Ma, come sempre avviene, l'istinto si produsse in me prima della forza. Dopo aver scritto, malcontento della mia opera, la rigettavo con disgusto. Quanti brandelli dei miei sentimenti e dei miei pensieri notturni, dispersi all'apparir del giorno, sono stati portati via dal vento ed inghiottiti dal mare di Napoli, mentre il mio sguardo li segueva senza rimpianto! (p. 96-97)
  • La poesia ha eco profonda ed intensa nel cuore della gioventù, in cui l'amore deve ancora nascere. È allora come il presagio di tutte le passioni, mentre più tardi non ne è più che il ricordo e il rimpianto. Fa piangere così ai due stadi estremi della vita: giovani, di speranza; vecchi, di rimpianto. (p. 103)
  • Amare per essere amato è umano, ma amare per amare è quasi angelico. (p. 105)
  • L'uomo ha un bel guardare ed abbracciare lo spazio; la natura intera non si compone per lui che di due o tre punti sensibili, ai quali tutta la sua anima converge. Togliete dalla vita il cuore che vi ama: che cosa vi resta? Ugualmente avviene della natura. Cancellate il luogo e la casa che i vostri pensieri cercano e che i vostri ricordi popolano, non scorgereste più che un vuoto immenso in cui lo sguardo s'immerge senza trovar né fondo né riposo. Come si può stupire, dopo ciò, che le scene più sublimi della creazione siano contemplate con occhi ben diversi dai viaggiatori? Gli è che ciascuno porta con sé il suo punto di vista. Una nube sull'anima vela e scolora più di una nube sull'orizzonte. Lo spettacolo è nello spettatore. Io lo provai. (p. 111-112)
  • Un giorno dell'anno 1830, entrando di sera in una chiesa di Parigi, vidi la bara d'una giovinetta, coperta da una coltre bianca. Questa bara mi ricordò Graziella. Mi nascosi all'ombra di un pilastro e pensai a Procida, piangendo a lungo.
    Le mie lagrime si asciugarono, ma le nubi che avevano attraversato il mio pensiero durante la tristezza del funerale non dileguarono.
    Rientrai silenzioso nella mia camera, svolsi i ricordi che sono tracciati in questo libro e scrissi tutto d'un fiato, piangendo, i versi intitolati: Primo rimpianto. È la nota, resa fievole da vent'anni di distanza, d'un sentimento che fece zampillare la prima sorgente del mio cuore. Ma vi si sente ancora la lacerazione d'una fibra intima che non guarirà mai.
    Ecco queste strofe, balsamo d'una ferita, sboccio di un cuore, profumo di un fiore sepolcrale: Non vi manca che il nome di Graziella. Ve lo incastonerei in una strofa, se vi fosse quaggiù un cristallo abbastanza puro per rinchiudere questa lagrima, questo ricordo, questo nome! (p. 151)

Citazioni su Graziella[modifica]

  • Parliamo un po' di Graziella. È un libro mediocre, sebbene sia il migliore che Lamartine abbia scritto in prosa. Ci sono particolari graziosi [...] ed è tutto o quasi. (Gustave Flaubert)

Meditazioni poetiche[modifica]

  • Bellezza, dono di un giorno che il cielo ci invidia.[11]
  • Che delitto abbiamo commesso per meritare di nascere?
Quel crime avons-nous fait pour mériter de naître?
  • Il mondo è un libro del quale ogni passo ci apre una pagina.
Le monde est un livre dont chaque pas nous ouvre une page.[12]

Storia dei girondini[modifica]

  • Questo giovane [Saint-Just], mutolo come un oracolo e sentenzioso come un assioma, pareva aver dispogliata ogni sensibilità umana per personificare in lui la fredda intelligenza e l'inesorabile impulso della Rivoluzione. (vol. II, libro XXXIII, p. 6)
  • Ei [Saint-Just] non aveva né sguardi, né orecchi, né cuore per tutto quello che gli sembrava fare ostacolo alla fondazione della repubblica universale: re, troni, sangue, donne, fanciulli, popolo, tutto quello che si trovava fra questo scopo e lui, spariva o doveva sparire. La sua passione gli aveva per così dire, pietrificate le viscere; e la sua logica aveva contratta l'impassibilità di una geometria e la brutalità di una forza materiale. (vol. II, libro XXXIII, p. 6)
  • [Charles François Dumouriez] [...] l'elevatezza dei suoi sentimenti non rispondeva alla grandezza del suo coraggio ed alla estensione del suo spirito. Egli non ebbe nell'anima né bastante serietà per capir la repubblica, né bastante longanimità per servirla col rischio della propria testa. Volle rappresentare il grand'uomo, ma nel bel mezzo si arrestò. (vol. II, libro XXXVII, p. 185)
  • [Dumouriez] Il suo sangue sparso per la libertà in un campo di battaglia o versato su d'un patibolo per l'ingratitudine della repubblica gli avrebbe guadagnato un posto nella memorie della Rivoluzione [francese]. Il suo nome non è, per così dire, che una brillante apparizione nella storia ed un bagliore della patria. Testa di politico, braccio di eroe, si è afflitto di non poterlo ammirar tutto intero. Nella impressione che il suo nome, assiem coll'entusiasmo v'entra anche un po' di tristezza e si evita di pronunciarlo fra i nomi de' repubblicani. (vol. II, libro XXXVII, p. 185)
  • [...] Dumouriez maledetto nel suo paese, tollerato dallo straniero, errò di reame in reame, senza trovare una patria. Obbietto di una sprezzante curiosità, quasi indigente, senza compatriotti e senza famiglia, pensionato dall'Inghilterra, faceva pietà a tutti i partiti. Nella lunga vita che visse, conservò tutto il suo genio perché si tormentasse nella inazione. Ei non cessò di scrivere memorie e progetti militari per tutte le guerre che per lo spazio di trent'anni l'Europa fece alla Francia; oltreacciò, offrì la propria spada a tutte le cause, ma tutte lo ricusarono. Seduto vecchio al focolare della Germania e della Inghilterra, non osò rompere il suo esiglio, neppur quando la Francia si riaprì ai proscritti di tutti i partiti. Morì a Londra. La sua patria ne lasciò le ceneri nell'esiglio, e non alzò neppur la vuota sua tomba sul campo di battaglia ove aveva salvato il proprio paese. (vol. II, libro XXXVIII, pp. 185-186)
  • Marat era il rappresentante del proletariato moderno: egli introduceva nella scena politica quella moltitudine fin allora relegata nella propria impotenza, e bruttata dai suoi cenci. Quel che spingeva Marat a questa parte non era soltanto passion di dominazione, ma ancora la passione di riabilitare le classi povere della specie umana. (vol. II, libro XXXVIII, p. 188)
  • [...] Marat non si limitava più a far uscire la voce dai sotterranei che abitava, come un gemito dal fondo del popolo; ma si mostrava con affettazione alla moltitudine, ai Giacobini, ai Cordiglieri, al palazzo di città, alle sezioni, in tutti i tumulti. Ormai cominciava ad emanciparsi dalla tutela di Danton che aveva lungo tempo brigata e subìta, e cominciava a disputare a Robespierre gli applausi dei Giacobini. Quest'ultimo non prometteva al popolo che il regno delle leggi popolari che ripartirebbero più equamente il benessere sociale fra tutte le classi: Marat prometteva rovesciamenti completi, e prossime spoglie; l'uno conteneva il popolo colla sua ragione, l'altro lo trascinava colla sua follia; il primo doveva essere più rispettato, l'altro più paventato. (vol. II, libro XXXVIII, p. 188)
  • Danton ripugnava ai Girondini per le violenze commesse ed a Robespierre per la immoralità. Il timore che ispirava era la sola cosa che il proteggesse contro del disprezzo: egli affrontava impudentemente la sua cattiva fama, e si dava in balia della licenza sotto lo scudo com'era del patriottismo. (vol. II, libro XXXIX, p. 216)
  • Il già trafitto cuore di Carlotta Corday sentì tutti questi colpi recati alla patria riassumersi in un sol cuore, in dolore, disperazione e coraggio, vide la perdita della Francia, vide le vittime e credé vedere il tiranno. Il perché giurò a se stessa di vendicare le une, punir l'altro e salvare tutto. Per alcuni giorni covò nell'anima la vaga sua risoluzione, senza sapere quale atto chiederebbe da lei la patria, e qual nodo del delitto premesse più il troncare; e studiò le cose, gli uomini, e le circostanze, onde il suo coraggio non fosse ingannato ed il suo sangue non tornasse vano. (vol. II, libro XLIV, p. 333)
  • L'infame curiosità dei marattisti[13] cercò finanche sugli esanimi avanzi della donzella [Corday] le pruove dell'onta di che i suoi calunniatori volevano diffamarla: ma la sua virtù ebbe un trionfo colà ove i nemico cercavano la vergogna. Quella profanazione della beltà e della morte, attestò la verginità del suo corpo. (vol. II, libro XLIV, pp. 363-364)
  • Tutti i delitti della repubblica a Lione sono stati rigettati sopra Couthon perché questi era l'amico ed il confidente di Robespierre nella repressione del federalismo e nella vittoria dei repubblicani unitarii contro l'anarchia civile. I dati, i fatti e le parole imparzialmente sudiate smentiscono questi pregiudizii. Couthon entrò in Lione da pacificatore anziché da carnefice, e vi combatté con tutta l'energia che gli permetteva il suo ufficio, gli eccessi e le vendette dei Giacobini. (vol. II, libro L, p. 514)
  • Un uomo nefasto per la città di Lione, Collot d'Herbois, fulminava al comitato di salute pubblica ed ai Girondini di Parigi contro la mollezza dei rappresentanti del popolo in missione in quella città; come se un odio personale e mortale lo animasse contro Lione. Correva voce che antico comico com'era, avendo la prima volta esordito in quella città, fosse stato fischiato dagli spettatori in segno di disapprovazione; del che serbando sempre acerbo rancore, ora nel vendicar la repubblica vendicava il suo orgoglio offeso. (vol. II, libro L, p. 517)
  • [...] Couthon in una entusiastica allocuzione sfidò i filosofi materialisti a negare il sovrano arbitro dell'universo in faccia alla maestà delle opere sue, e la Provvidenza in faccia alla rigenerazione del popolo avvilito. Lo spettacolo di quell'uomo infermo e morente, sorretto alla tribuna dalle braccia di due suoi colleghi, e confessante, in mezzo al sangue versato, il suo giudice nel cielo e la sua immortalità nell'anima, attestava in Couthon la fede fanatica che nascondeva a lui stesso l'atrocità dei mezzi dinanzi alla santità dello scopo. (vol. II, libro LVII, pp. 717-718)

Incipit di Primo rimpianto[modifica]

Sulla spiaggia sonora ove il mar di Sorrento
spiega le azzurre sue acque ai pie' degli aranceti,
posa, lungo il sentiero, sotto la siepe odorosa,
una piccola pietra, indifferente
ai piedi distratti dello straniero.

I cespi di viola vi nascondono
un nome che nessuna eco ha mai ripetuto!
Eppur talvolta il passante, arrestandosi,
vi legge tra le erbe una data e un'età,
e sentendosi salire una lagrima agli occhi
dice: «Aveva sedici anni! Troppo presto per morire!»

Ma perché lasciarmi sedurre da visioni lontane?
Che il vento gema e mormori il flutto;
indietro, indietro, o miei tristi pensieri!
Io voglio sognare e non piangere!

[Alphonse de Lamartine, Primo rimpianto, in Graziella, traduzione di Giovanna Santagostino, A. Barion - Editore, Milano 1927, p. 152.]

Citazioni su Alphonse de Lamartine[modifica]

  • Il romanticismo [francese] presentava contrasti profondi. Da una parte il Lamartine melanconico, meditativo, credente. Dall'altra il Vigny pessimista, cui la natura pareva insensibile al dolore umano non già con esso simpatizzante come credeva il cantore d'Elvira. (Pietro Toldo)
  • Lamartine sembra aver troppo dimenticato che le parole non sono idee, né l'urto de' suoni armonia, né la confusione scienza, né la fisiologia dolore. Se Lamartine passa alla posterità cogli altri poeti della decadenza, sarà, per la incoerenza de' pensieri e dello stile, uno degli autori più difficili a spiegarsi, e che farà la disperazione degli scolari e de' commentatori. (Louis Marie de Lahaye de Cormenin)
  • La poesia, la vera poesia, non è che la ragione ornata dall'immaginazione e dal ritmo.
    Disgraziatamente non può dirsi altrettanto delle poesie di Lamartine! So bene ch'esse contengono de' pianti sublimi, i pianti dell'anima: che hanno suoni inattesi che rapiscono l'orecchio; ma quale disordine altresì d'immaginazione! quante note false ed urtanti nella sua melodia! quale prodigalità di epiteti ampollosi! quale abuso di descrizioni, di metafore, d'inversioni, di colorito! Non piano, non ordine: veruna progressione drammatica: di logica (giacche di essa è pur d'uopo nella poesia come in tutto) assenza completa. (Louis Marie de Lahaye de Cormenin)

Note[modifica]

  1. Da Le dèrnier chant du pèlerinage d'Harold. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  2. Citato in Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante, Privitera, 1842, p. 2.
  3. Da Discours de réception à l'Académie française, in Oeuvres, Hauman, 1840, p. 759.
  4. Da Armonie Poetiche e Religiose.
  5. Da Storia della restaurazione, citato in Ernesto Masi, Le due mogli di Napoleone I, Nicola Zanichelli, Bologna, 1888, cap. XI, pp. 226-227.
  6. Da L'isolamento, in Meditazioni poetiche.
  7. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  8. Da un discorso a Mâcon.
  9. La caduta d'un angelo, da Armonìe poetiche e religiose.
  10. Da un discorso alla Camera dei Deputati, 10 gennaio, 1839; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013.
  11. Da A Elvira.
  12. Da Premières Méditations poétiques, in Œuvres complètes, Alphonse de Lamartine, éd. Hachette, Pagnerre, Furne, 1856-1857, t. 8, Paysages et pensées en Syrie, les ruines de Balbek, 1 aprile 1833, p. 58.
  13. I sostenitori di Jean-Paul Marat, l'amico del popolo, ucciso da Carlotta Corday.

Bibliografia[modifica]

  • Alphonse de Lamartine, Confidenze, versione italiana di Giuseppe Fanciulli, Raccolta di breviari intellettuali N. 21, Istituto Editoriale Italiano, Milano.
  • Alphonse de Lamartine, Graziella, traduzione di Giovanna Santagostino, A. Barion – Editore, Milano 1927.
  • Alphonse de Lamartine, Graziella, traduzione di Alda La Rosa, Alberto Peruzzo Editore, 1986.
  • Alfonso de Lamartine, Storia dei girondini, versione italiana con note di Raffaele Colucci, vol. II, Stamperia dell'omnibus, 1851.

Voci correlate[modifica]

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