André Padoux

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André Padoux (1920 – 2017), indologo francese.

Incipit di Mantra tantrici[modifica]

Ci si potrebbe chiedere: perché studiare i mantra del tantrismo? Perché il Tantra? Perché i mantra? La risposta è che il Tantra, il fenomeno tantrico, non è, come si credeva in un primo momento, una strana e circoscritta forma di induismo (o di buddhismo), bensì un aspetto fondamentale del mondo religioso indiano. Il tantrismo ha influenzato la quasi totalià dell'induismo (e parte del buddhismo mahāyāna) forse dal V o VI secolo: la religione, il rituale, la teologia e la metafisica, l'iconografia e la costruzione dei templi, persino la struttura dello stato, in India e in altre parti dell'Asia, non sarebbero stati gli stessi senza il Tantra.

Tantra[modifica]

  • Il termine «tantra», come abbiamo visto, è estraneo all'India tradizionale, di lingua sanscrita. Si hanno solo il sostantivo tantra e l'aggettivo tāntrika, tantrico, e qualche composto. (pp. 16-17)
  • Sarei tentato di affermare che qui abbiamo a che fare con due manifestazioni differenti del medesimo sostrato indiano, una popolare, comune (più legata alla terra), l'altra colta, elitaria (che reca tracce indoeuropee), il contatto e le interferenze tra le quali avrebbero fatto sì che apparisse ai margini dell'ortodossia vedico-brahmanica quell'insieme di speculazioni e pratiche che avrebbe costituito il tantrismo. (p. 31)
  • Ma bisogna citare al disopra di tutti il grandissimo Abhinavagupta, filosofo e yogin, studioso di estetica e mistico, il cui Tantrāloka, vasto trattato spirituale e di ritualistica, è, insieme con il commentario di Jayaratha, un'opera fondamentale per la conoscenza dell'universo tantrico. (p. 52)
  • Questa è una, onnipresente, sovrana; le diverse dee adorate nei culti privati o pubblici, pur con le loro differenze a volte molto marcate, non sono altro che sue forme particolari. (pp. 80-81)
  • Vivere, esistere consapevolmente come tāntrika, è vivere in un universo che si avverte penetrato dall'energia divina, un complesso energetico nel quale il corpo è immerso, facendone parte e offrendone un riflesso nella propria struttura: un corpo in cui sono presenti le forze sovrannaturali, le divinità, che lo animano e lo legano al cosmo, un corpo che ha una struttura e una vita divino-umane, e che è, inoltre, un corpo yogico. (p. 95)
  • Il dhyāna, che in contesto tantrico indica innanzitutto la rappresentazione mentale di una divinità, nella pratica presenta spesso una dimensione corporea: è attraverso la meditazione che lo yogin si raffigura il proprio corpo immaginale e vive la presenza di questo dentro di sé. (p. 109)
  • Il sesso in India non è un peccato: in genere è considerato come un'attività ordinaria la cui pratica, tuttavia, lega l'essere umano al mondo, ai suoi piaceri come ai suoi dolori, disperdendo una forza che dovrebbe essere conservata per mantenere o accrescere la propria potenza, una forza che dovrebbe essere utilizzata, mutata o trascesa per affrancarsi dai limiti della vita sulla terra. (p. 115)
  • Per concludere, va forse sottolineato il fatto che il sesso, in tutti i casi osservati, sia utilizzato come un mezzo verso la trascendenza (o almeno verso «stati di coscienza alterati»), o verso poteri sovrannaturali. Non si tratta di una pulsione alla quale si cede, ma di una forza che si domina. È una padronanza tecnica, non ha a che fare con l'edonismo: la vita tantrica non è ricerca del piacere. (p. 127)
  • In tal modo, il Tantrāloka (che dobbiamo nuovamente proporre) presenta le vie (upāya, «mezzo») della liberazione, le quali conducono tutte all'esperienza mistica della divinità, secondo la crescente intensità della grazia divina profusa sull'adepto. (pp. 172-173)
  • I mezzi per giungere a un'esperienza mistica che il Vijñānabhairava descrive rientrano nel sistema di pensiero, nella visione metafisica del non-dualismo dello Spanda o del Trika, che considerano l'universo null'altro che l'apparire della divinità, la quale è, dunque, onnipresente. (p. 176)
  • Questi sono solo alcuni dei centododici[1] casi citati nel Vijñānabhairava, un testo per molti aspetti eccezionale, la cui lettura non si raccomanderà mai abbastanza. (p. 178)
  • Śiva, quando è adorato da brahmani smārta come una delle cinque forme divine del pañcāyatana, non è tantrico. Sicuramente non è tantrico per Śaṇkara. Questo non ci impedisce di affermare che Śiva, da vedico (Rudra), sia divenuto essenzialmente tantrico nella maggior parte delle sue tante forme. (p. 203)
  • Nel corso dei secoli l'induismo è stato fortemente tantricizzato, sicché al giorno d'oggi esso si presenta carico di quelle nozioni e pratiche che sono state analizzate nei capitoli precedenti.[…]
    È in particolar modo nei riti, nelle tecniche religiose e nell'iconografia che sopravvive lo sfondo tantrico, presente un po' ovunque, senza essere sempre percepito come tale. (pp. 207-208)
  • Come si è osservato nel quinto capitolo, l'haṭhayoga (o kuṇḍalinīyoga) è di natura tantrica, ma quanti oggi lo praticano, in India e nel resto del mondo, non sono necessariamente tāntrika. Esistono, tuttavia, yogin tāntrika, sui quali ci soffermeremo in seguito. (p. 211)
  • Il tantrismo, in quanto complesso più o meno definibile, è soprattutto una costruzione di chi lo osserva da fuori (come del resto continua ad accadere, in certa misura, nel caso della visione che abbiamo dall'esterno dell'India stessa, anche – o soprattutto – quando pensiamo di vivere interiormente il suo «messaggio»).
    Tuttavia, la realtà del fenomeno tantrico hindu non risiede fuori dall'India: è indiana ed è di un'enorme ricchezza. (p. 238)

Note[modifica]

  1. Centodue, nel testo, sic.

Bibliografia[modifica]

  • André Padoux, Mantra tantrici. Studi sul Mantraśāstra, prefazione di Gavin Flood, traduzione di Gianluca Pistilli, Ubaldini editore, 2012.
  • André Padoux, Tantra, a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.

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