Ardengo Soffici

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Ardengo Soffici

Ardengo Soffici (1879 – 1964), scrittore, saggista, poeta e pittore italiano.

Citazioni di Ardengo Soffici[modifica]

  • A proposito della questione guerra [...] tu sei stato forse l'unico uomo che mi sia apparso interamente nobile, vero, perché coerente; e il più puro e coraggioso fra tante coscienze ambigue. (dalla lettera ad Aldo Palazzeschi, 1 luglio 1920[1])
  • Io considero Fiume città italiana cioè facente parte dell'ente spirituale che si chiama Italia. Considero però ingiusto chi ci nega quella città e idiota e porco chi la rifiuta o non la reclama a ogni costo, per concludere contratti, prestiti ecc. Stimo perciò d'Annunzio come l'attuatore di una necessità spirituale italiana e Nitti e i nittiani delle canaglie o degli idioti incoscienti. (dalla lettera a Giovanni Papini, Poggio a Caiano, 26 settembre 1919, in Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Carteggio IV. 1919-1956, a cura di Mario Richter, Ed. di Storia e Letteratura, 2002)
  • L'Americanismo è la peste che avanza volgarizzando, rimbecillendo, imbestialendo il mondo, avvilendo e distruggendo alte, luminose, gloriose civiltà millenarie.[2]
  • [...] la pittrice Anna Gonciarova, giovane donna di grande ingegno, non bella, gradevolissima, alta, vestita alla diavola, indolente, silenziosa, misteriosa, russa in toto.[3]
  • [...] la principale caratteristica di tutta l'opera pittorica del Daumier, anche di quella parte di essa che fu prima realizzata fra uno studio umoristico di costumi e una caricatura repubblicana, è: la maturità.
    Maturità d'intenzione e d'attuazione. Difatti non c'è disegno o dipinto tra tutti quelli che il nostro maestro eseguì primi e prima espose davanti al pubblico disattento, nei quali già non si senta come forma e materia siano perfettamente dominate dall'artista, e dove la sua tempra di pittore nato non si affermi di primo acchito e con tutte quante le sue caratteristiche e possibilità, poi ribadite e sviluppate con sempre maggiore imperio e fortuna. (da Daumier pittore, in Dedalo. Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, Casa editrice d'Arte Bestetti e Tumminelli, Anno II, Volume II, Milano-Roma, 1921-1922, pp. 408-410)
  • Liberalismo: lasciare a tutti la libertà di sopprimere la nostra. (da Battaglia fra due vittorie, La Voce, 1923, p. 141)
  • [Commentando le prime opere di pittura del caricaturista Daumier] Ma già, fin d'allora, quale perfetta padronanza del nuovo mestiere! Il segno, il tocco, l'impasto sono quelli di un maestro che agli altri maestri del suo tempo può stare accanto senza timore di sfigurare, se pure non li supera e non insegna loro qualcosa. E poiché questi maestri sono fra i più eminenti della scuola francese contemporanea, come Delacroix, Decamps, Millet, Coubert[4], si potrà facilmente comprendere quale fosse l'importanza di quei primi passi pittorici.
    Più tardi, i migliori artisti di Francia: Manet, Degas, Cézanne, e anche un poco Renoir, appariranno non solo influenzati da lui, ma addirittura suoi discepoli. (da Daumier pittore, ibidem, p. 412)
  • Tutto si paga con 24 ore di giovinezza al giorno. (da Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici, Edizioni della "Voce", Firenze 1915)
  • Volendo assegnare una paternità ideale a Paul Cézanne, le grandi immagini di Michelangelo e di Eschilo apparirebbero fra le prime alla fantasia. Al pari del toscano, egli ha compreso la forza mistica che scoppia dalle cose mute, dai tronchi e dalle rocce; al pari del greco, ha sentito la potenza selvaggia che erompe dal cuore ingenuo del popolo, e queste due energie ha racchiuse nei suoi paesi e nelle sue figure. Così come la loro, la sua opera è un rozzo terreno, spoglio, pietroso, atroce, scorticato, dal quale sbocciano piante, fiori ed erbe, mestamente, castamente, con semplice spontaneità naturale. Per arrivare a suggerire pittoricamente delle immagini tanto solenni, è naturale che Paul Cézanne abbia dovuto sfrondare le sue fantasie e presentarle religiosamente, col solo magistero dello stile. Infatti il suo colore e il suo disegno sono agri, poveri e brutali. Nella sua pittura si riscontrano i conflitti cromatici che, per il primo, Masaccio suscitò realisticamente negli affreschi della cappella Brancacci al Carmine; ed anche le torsioni vigorose del Tintoretto. Senza legge, senza scrupoli, il suo stile accusa le asperità dei contorni degli esseri e di ciò che li circonda. (da Scoperte e massacri, 1929[5])

Cubismo e futurismo[modifica]

  • [...] l'impressionismo fu anzitutto il resultato di una prevalenza presa dalla sensibilità e dallo spirito di analisi sulla immaginativa, la volontà di sintesi e le altre facoltà che nel passato erano ritenute concorrere alla grandezza e allo stile. Se poi ci mettiamo a esaminarne più a fondo la sostanza, vediamo che esso non fu soltanto questo, ma anche, e forse più, il prodotto di una vera e propria rivoluzione spirituale cominciata dalla filosofia e passata contemporaneamente nel campo delle scienze e delle arti. Voglio dire che l'impressionismo corrispose come fenomeno artistico a una messa in atto di quel pensiero, che, rigettando la concezione di una realtà esterna o superiore allo spirito umano, considera l'universo come una creazione dello spirito stesso e pertanto senza categorie estetiche a sé, ma con quelle sole immanenti nelle profondità intuitive dell'individuo – dell' artista, del genio. (pp. 7-8)
  • Pablo Picasso non è stato sempre quell'artista inquietante, confonditor di critici, sconcertator di colleghi e spauracchio di filistei che é da qualche tempo a questa parte. Quando lo conobbi una diecina d'anni fa a Parigi, ventenne, fresco arrivato dall'Andalusia, da Malaga, egli dipingeva paesaggi, ritratti e scene della piccola vita parigina che in nulla differivano dagli esercizi diletti alla buona gioventù indipendente d'allora, se forse non era per una maggiore audacia di disegno e una più grande e quasi selvaggia esaltazion del colore. Vero è che fin da quel tempo, o per lo meno fin dal novecentodue o novecentotre, allorché cioè quei primi tentativi furono seguiti da ricerche più alacri e più virili, già qualche cosa s'intravedeva, nella sua pittura, che era come una preoccupazione d'ordinamento e di stile. (pp. 11-12)
  • Braque portando su queste povere e nude combinazioni di natura e di opere umane il suo occhio nuovo, ne penetra, ne svolge le linee e ne assottiglia le sfumature in modo che la sua opera attinge di colpo a una vastità e arditezza mirabili. Gli archi, le rocce i muri, gli alberi, le case, analizzati e sviscerati nella loro struttura si fissano come in uno stupore di cose imperiture in una omogeneità e unità di concezioni spirituali. Più tardi egli ritrarrà porti solitari appiè di alte scogliere, dove le barche si dondolano ormeggiate alle case miserabili dalle grandi porte nere, sbadiglianti davanti al mare; dipingerà persone e nature morte, e il suo stile si affermerà sempre più rigoroso, più logico, si potrebbe dire, nell' addurre le cose transitorie a una esistenza come estratemporale, assoluta. Certo a lui manca la versatilità che fa di Picasso un prodigioso compendio vivente di dieci anni di ricerche pittoriche; ma in compenso quanto amore, acuità e delicatezza nelle sue opere specie più recenti! (p. 22)
  • Molto è stato trattato di cubismo in questi ultimi due o tre anni ma sempre in maniera assai oscura. È stato attribuito a questa forma d'arte un carattere o troppo scientifico, o troppo intellettualistico, o troppo metafisico. In realtà si tratta di un fenomeno artistico che può essere spiegato con grande semplicità: del naturale resultato di una tendenza pittorica rintracciabile in più opere di artisti sommi antichi, sviluppata con più di coscienza da alcuni grandi moderni – Chiarissimo pertanto.
    Chi desiderasse nomi celebri di precursori del cubismo, anche senza risalire ai nostri primitivi, ai bizantini, agli egiziani, agli affricani, si potrebbero citare quelli di Masaccio, del Greco, di Rembrandt, di Tintoretto... Di tutti quei pittori che nelle loro opere hanno cercato di esprimere – anziché l'incanto della luminosità iridata, delle linee soavi e diligenti, dell'elegante vaporosità – la sobria sodezza dei corpi e degli oggetti, il peso, la gravitazione delle masse, l'equilibrio dei piani e dei volumi. – La forza del chiaroscuro. (pp. 27-28)
  • [...] pittura pura (metto questo innanzi agli altri come fondamentale); il reale percepito nella sua sodezza e gravitazione; figurazione integrale delle cose, sono i tre principii estetici su cui si fonda il cubismo. (p. 29)
  • Arabesco, chiaroscuro. Sono talmente i fattori primi ed essenziali della pittura nella sua purezza, da non sembrare assurdo il dire che un dipinto non può essere stimato perfetto se non è capace di dare una sensazione di bellezza anche capovolto o appeso in qualunque senso. (p. 32)

Giornale di bordo[modifica]

  • Se dovessi un giorno o l'altro suicidarmi, mettete sulla mia tomba questo epitaffio:
    MORTO PER DISSESTI FILOSOFICI (11 gennaio, p. 13)
  • — Ama il prossimo tuo come te stesso.[6]
    — Il primo prossimo è sé medesimo.
    Benissimo. Cominciamo dunque con l'amar noi stessi. (13 gennaio, p. 13)
  • Il solo uomo veramente degno di questo bel nome è l'artista. Meglio dello scienziato e del filosofo, egli conosce il mondo nella sua pienezza e bellezza, e meglio di loro sa goderne. — La felicità è una forma dell'arte. (19 gennaio, p. 20)
  • Molta irritazione muscolare, una pallida amicizia e un po' di letteratura. — Ecco l'ordinaria ricetta dell'amore. Variate la dosatura ed avrete i differenti amori. (10 aprile, p. 71)
  • È mia, o l'ho letta in qualche posto, questa verità?:
    Il più bel miracolo che abbia operato Iddio, è di aver fatto parlar di sé senza esistere. (13 aprile, p. 72)
  • L'amico Tavolato mi assicura che per i bordelli della città si leggon questi nostri fogli con simpatia. Madame Sapho è tra i nostri abbonati, e Alfonso e Nando ci fan vigorosamente della réclame.
    Questa notizia mi fa tanto piacere quanto mi avrebbe afflitto scoprirmi un pubblico di virtuosi filistei. È più profittevole e divertente seminar nel loto che non sulle dodici tavole. Amo, avere una clientela nei luoghi bassi, nei postriboli, nelle case infami, dove si ride della saggezza e ci si siede sulla morale.
    È il mio punto di contatto con Cristo. (20 aprile, pp. 79-80)
  • È forse meno difficile essere un genio che trovare chi sia capace di accorgersene. (19 maggio, p. 98)
  • — Væ soli?[7] — Gloria, ai soli: sono i più forti! (24 maggio, p. 105)
  • Non mi piace che la polizia s'immischi in cose amorose; ma semmai, nel caso di una donna còlta in flagrante adulterio, si cominci coll'arrestare il marito. Nove volte su dieci la colpa è sua. (10 giugno, p. 119)
  • In filosofia la cosa più difficile non è il trovare la verità ma che la verità trovata significhi qualche cosa. (4 luglio, p. 138)
  • La moglie e le scarpe se non si adoprano si guastano. (9 luglio, p. 146)
  • Proverbio affricano. — Dal momento che lo stesso universo è un miracolo, perché non si dovrebbe poter trovar una donna fedele? (10 luglio, p. 146)
  • La più bella prova di fiducia che un marito possa dare alla moglie è di regalar del becco a destra e a sinistra senza timore di fare un po' ridere. (19 luglio, p. 151)
  • C'è della gente così ricca di realtà che nega tutto, sicura di non restar mai vuota. Poiché essa stessa è una vivente affermazione. (10 agosto, p. 169)
  • L'eroe antico era quello che affrontava la morte: l'eroe moderno è colui che accetta la vita. (4 ottobre, p. 213)
  • Letteratura.
    Come fanno i cani nelle notti di luna piena che ognuno resta seduto sulla sua aia abbaiando contro a tutti gli altri. (9 ottobre, p. 218)
  • Il pubblico è una bestia che il genio mette in furore e che i critici ed altra gente mediocre pensano poi ad ammansare a poco a poco. (10 ottobre, p. 218)
  • L'universo è una sfera il cui raggio è uguale alla portata della mia immaginazione. (28 ottobre, p. 228)
  • Il Corriere è quella cosa | Che ci scrive alfin Borgese; | Tu lo mandi a quel paese | Ma risorte l'indoman. (10 novembre, p. 236)
  • IL MAIALE. — Sempre a succhiar quegli stupidi fiori! Vieni a tuffarti in questo merdaio, vedrai come ci si sta bene.
    LA FARFALLA. — Grazie; non posso; ho le ali. (12 novembre, p. 237)
  • L'amore? La più bella occasione per ripetere con entusiasmo dei luoghi comuni. (25 novembre, p. 249)
  • Val meglio, per lo sviluppo dello spirito umano, propagare e sostenere una menzogna nuova che ripetere una vecchia verità. (1° dicembre, p. 253)
  • La verità è il porto morto dello spirito. (9 dicembre, p. 256)
  • Ciò che è acquisito in arte non si perde. (15 dicembre, p. 260)
  • È seccante che le mogli si accorgano sempre dei difetti dei loro mariti, soltanto quando hanno già un amante. (20 dicembre, p. 263)
  • Definizione.
    Io: Tutti i più bassi istinti, ma buon gusto abbastanza per non metterli in piazza. (23 dicembre, p. 264)
  • Farmi vivere è la sola cosa che domando all'opera d'arte. (24 dicembre, p. 265)
  • La donna? Per certuni un buco, per altri un abisso. (27 dicembre, p. 266)

La giostra dei sensi[modifica]

Incipit[modifica]

Dal mio Diario napoletano stralcerò tutto quello che non riguarda Lina. Tralascerò le impressioni dell'arrivo notturno, la lunga corsa per il Rettifilo deserto nella vettura dell'Hòtel Patria, traballante per me solo sullo stupefacente selciato di questa città di sorprese; la meraviglia mattutina della Marina, di Basso Porto; i vagabondaggi per le vie gonfie fetidumi e di bellezza, tra lo sfarzo delle luci, tra l'inquietudine dell'ombra mal popolata; estasiato alle corone d'agrumi e di fresche bottiglie multicolori, nella calca viva di guaglione splendenti e scugnizzi, e armenti randagi dietro un suono di piffero.

Citazioni[modifica]

  • Per innaffiare la polvere di una mattinata militare passata fra i vecchi indumenti da versarsi e i pagliericci disfatti, approdo a questo Cambrinus che adocchiai ieri, e la cui pace mi tenta in margine al viavai di una piazza che giudico deliziosa prima di saperla celebre.
  • Una sola figura, or ora, mi ha colpito: una donna bruna, elegante, vestita di seta a righe orizzontali bianche e nere, con un cappello di feltro blu discretamente fiorito nell'ombra della larga tesa. È passata rasentando la ringhiera alla quale mi appoggio ed è sparita dietro l'angolo del caffè, alla mia destra.
  • Oi vita, oi vita mia
    O core'o chisto core.
    Si' stato 'o primm'ammore
    E 'o primmo e l'ultimo sarai pe' me.
    [8]
    Era già più delle due quando siamo andati a letto.
    Cosa malinconica la fusione di due corpi estranei, o quasi. Piacere sommario, misto d'inquietudine e di sospetti. L'antico pudore rinasce e rende incerti e goffi anche i più rotti alle galanterie se la grande ondata dell'amore non arriva a rendere puri e sani tutti gli atti e i più segreti e vivi, della carne infiammata.
  • Passeggiando per santa Lucia, lungo i parapetti del mare di Posillipo, nel tepore profumato dell'aria notturna gonfia di serenate che salgono da oscuri gruppi di mandolinisti alle finestre banali e felici degli Excelsior e dei Bristol, ho voluto simulare ironicamente, a braccetto con Lina, la luna di miele delle basse letterature e delle cartoline illustrate.
    Esageratamente estasiato nella serenità solitaria della riva insigne, ho contraffatto l'amore dei vent'anni, la calda languidezza senza parole e con pochi baci, a contatto di capelli e di fianco, intramezzata dall'allegro motteggio, o con molte parole e baci e frizzi che tornano inavvertitamente a rifinire in sospiri. Anche in questo giuoco, Lina ha saputo mostrare la sua finezza; è stata un'artista perfetta; tanto anzi che mi son domandato più d'una volta se la commedia non fosse ogni poco lì lì per diventare realtà. Gli è che il giuoco è pericoloso in effetto, e adesso non saprei dire con precisione cosa succeda nel mio cuore, pur tanto navigato – né in quello di Lina.
  • Via Toledo, presso al tramonto, è una zona di sogno, un canale di felicità trascinante gli ori del crepuscolo, il carminio del cielo caldamente appoggiato sulle bionde verdure del Vomero. L'eleganze, gli amori passano e s'incrociano fra uno scintillamento infiammato di cristallerie e di sorrisi, lungo i marciapiedi. Correre mollemente assisi in questo gurgito allegro di vita meridionale è una gioia di cui porterò con me l'amoroso ricordo.

Incipit di alcune opere[modifica]

Arlecchino[modifica]

Io, Menalio, il disgraziato dalle tre tragedie – filosofica, sentimentale e finanziaria – ho visto stamani il viso della felicità. Il sole che finalmente ha sbaragliato e respinto di là da' monti la sporca nuvolaglia di l'altro giorno, mi batteva in pieno sugli occhi quando mi son destato, e io sono uscito. Cappello sulle ventitré, sigaro in bocca, e via su per i poggi. Le strade e le viottole sono ancora fangose; l'acqua lustra nelle rotaie: ma di qua e di là, sulle prode de' campi a solatìo ci son già i fiori. Ho visto la margherita bianca sullo stelo tremante, il giallo pisciacane fra il paleo secco, e per tutto, fra le zolle, fra' sassi e fra i pruni, questo odoroso fiore paonazzo dal nome sconosciuto.

Kobilek: giornale di battaglia[modifica]

PLAVA, 10 agosto.
Arrivato il 7 a Cosbana, dove il mio reggimento era in riposo, ne son partito col mio battaglione stamani alle cinque. Ieri sera capitò improvvisamente al nostro accantonamento il generale Capello, comandante della nostra armata, il quale cenò alla nostra mensa.

Citazioni su Ardengo Soffici[modifica]

  • Autodidatta, vagabondo spirituale, gentiluomo in eterna crisi di spirito, col suo taccuino d'impressioni in mano, semplice anche nelle sue complicazioni, si è conciliato la simpatia di tutti, persino di quelli che ha maltrattato. (Giuseppe Prezzolini)
  • Il più comico è che, nella pacifica Italia del tempo, Soffici e i suoi scandalizzavano mezzo mondo, e – come immoralisti – trovavano lettori sino nei bordelli, cosa che del resto li lusingava assai.
    Ma ho in mente che si tratti di un'invenzione, o di una loro vanteria. Le puttane, e le padrone di casino, sono persone serie, business women. (Arrigo Cajumi)
  • In questo libro [Scoperte e massacri][9] i bei messia sono Renoir e Cézanne; e nessuno aveva finora parlato di loro agl'italiani con l'amore e la conoscenza con cui qui ne parla Ardengo Soffici. Egli possiede una qualità che una volta era tipicamente toscana: la qualità didattica. Si sente che, ad esporre con chiarezza le idee più astruse, è felice per sé prima che pel vantaggio dei lettori. Ad esempio la «teoria del movimento nella plastica futurista» è enunciata da lui più limpidamente che dallo stesso Boccioni. (Ugo Ojetti)
  • La sua figura ci è ben nota. Autodidatta, vagabondo spirituale, gentiluomo in eterna crisi di spirito, col suo taccuino d'impressioni in mano, semplice anche nelle sue complicazioni, si è conciliato la simpatia di tutti, persino di quelli che ha maltrattato. Nei suoi trascorsi e nelle sue impudicizie letterarie, è stato sempre d'un equilibrio straordinario e la sua schiettezza toscana, la sua probità d'artista, la sua visione limpidissima gli hanno accaparrato la simpatia anche dei vecchi, restii alla sua smania di innovare ad ogni costo la prosa italiana, contro la quale nessun altro scrittore ha mai dato di piglio con l'ascia rivoluzionaria, addentando fino al midollo il suo tronco secolare, come lui nei suoi illeggibili Chimismi lirici. (Giuseppe Prezzolini)
  • Nemmeno al confino [Soffici] ha patito. È stata una mascalzonata mandarcelo, d'accordo. Ma giacché c'era, si poteva sperare che patisse un po'... Nulla. Quando parla di Padula, 'gli è tutto un elogio: il pane era bianco, i compagni simpatici, l'aria bona, perfino gli inglesi, a sentirlo, erano gentili, perché gli hanno lasciato scrivere e recitare una commedia che li prendeva per il bavero... Con un simile mostro, neanche il Padreterno ce la può, te lo dico io. Se, dopo morto, lo manda all'inferno, lui lo scambia per il paradiso, ci si sdraia e fa il beato... (Ottone Rosai)
  • Nessun altro temperamento di artista si rivela così congeniale come il suo ai movimenti di avanguardia e di riforma che facevano ressa nel primi anni del secolo. Si può dire che la sua giovinezza si sia identificata nell'esperienza estetica tra cubismo e futurismo, e come pittore e come scrittore. (Salvatore Battaglia)
  • Più tardi, ebbi tanta curiosità di conoscere Soffici, Cecchi e qualche altro scrittore d'allora; certe mie gite in bicicletta a Poggio a Caiano, di prima primavera, son tra i miei ricordi più deliziosi; leggevo Rimbaud, e Soffici era per me un luogotenente di Rimbaud, oltre che un ammirevole toscano. (Mario Praz)
  • Quello sì che era molto simpatico. Aveva delle sue diritture che non collimavano con quelle degli altri e bisognava rispettargliele, sennò si litigava. Prendeva una cotta per un pittore, per un poeta, ed era come un amore sfegatato: poi gli passava. (Aldo Palazzeschi)
  • Soffici. Un cafone senza ingenuità e spontaneità. (Antonio Gramsci)

Note[modifica]

  1. Citato in Franco Contorbia, Su Palazzeschi "politico", pp. 178-181; in Gino Tellini (a cura di), L'opera di Aldo Palazzeschi, Atti del convegno internazionale, Olschki, Firenze, 22-24 febbraio 2001, p. 178.
  2. da Il Selvaggio; citato in Luigi Cavallo, Soffici e Malaparte. Vento d'Europa a Strapaese, Prato, Comune di Poggio a Caiano, Assessorato alla Cultura, 1999, p. 73. ISBN 9788886855082
  3. Citato in Natalia Goncharova tra Gaugain, Matisse e Picasso, Cartella stampa mostra, Palazzo Strozzi, Firenze, 28 settembre 2019 – 12 gennaio 2020, palazzostrozzi.org.
  4. errato per Courbet (il pittore francese Gustave Courbet).
  5. Citato in Stefania Lapenta, Cézanne, I Classici dell'arte, Rizzoli – Skira, Milano, 2003, pp. 183-188 e frontespizio. ISBN 88-7624-186-8
  6. Il riferimento è alle parole di Gesù nel Vangelo secondo Matteo, 19, 19: "Ama il prossimo tuo come te stesso".
  7. Væ soli (Ecclesiaste, IV, 10), locuzione latina che significa "guai ai soli".
  8. Si tratta della canzone napoletana 'O surdato 'nnammurato (in italiano Il soldato innamorato), scritta da Aniello Califano e musicata da Enrico Cannio nel 1915.
  9. Ardengo Soffici, Scoperte e massacri. Scritti sull'arte, Vallecchi, Firenze, 1919.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]