Arundhati Roy

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Arundhati Roy nel 2013

Arundhati Roy (1961 – vivente), scrittrice indiana.

Citazioni di Arundhati Roy[modifica]

  • Cantare canzoni che chiedono la pace non basta.[1]
  • Il pericolo reale e immediato, la minaccia più grave di tutte è la locomotiva che spinge il motore politico ed economico del governo americano, attualmente pilotato da George W. Bush. È veramente un pilota pericoloso, ma la macchina che manovra è molto più pericolosa di lui.[2]
  • La gente raramente vince le guerre, i governi raramente le perdono.[3]
  • La pietra angolare del Nuovo Imperialismo è il Nuovo Razzismo.[4]
  • La speranza dovrebbe essere fatta di materiale più solido.[5]
  • La storia vi sta offrendo un'occasione. Coglietela.[6]
  • La vita procede normalmente soltanto perché il macabro è diventato normale.[7]
  • Nella situazione attuale, l’unica cosa che vale la pena di globalizzare è il dissenso.[8]
  • Nessuna battaglia è irrilevante. Nessuna vittoria è troppo piccola.[9]
  • Non so come andrà a finire: è per questa suspense che vivo.[10]
  • Sono una cittadina della terra. Non possiedo territori. Non ho bandiera.[11]
  • Un altro mondo non è solo possibile, è in viaggio.[12]

Il Dio delle piccole cose[modifica]

Incipit[modifica]

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole.

Citazioni[modifica]

  • Una volta arrivato, il silenzio mise radici in lui [Estha] e cominciò a diffondersi. Gli uscì dalla testa e lo avvolse tra le sue braccia melmose. Lo cullò al ritmo di un battito antico, fetale. Allungò le ventose dei suoi tentacoli furtivi centimetro dopo centimetro dentro il suo cranio, ripulendo come un aspirapolvere le vallette e le colline della memoria, sloggiando vecchie frasi, scuotendole via dalla punta dalla lingua. Spogliò i pensieri delle parole necessarie a descriverli, lasciandoli nudi e spellati. Indicibili. Intorpiditi. (p. 22)
  • La Perdita di Sophie Mol si aggirava con passi felpati attorno alla Casa di Ayemenem, come una quieta cosina in calzettoni. Si nascondeva nei libri e nel mangiare. Nella custodia del violino di Mammachi. [...] È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato. (p. 26)
  • Rahel si lasciò attrarre dal matrimonio come un viaggiatore si lascia attrarre da un sedile libero nella sala d'aspetto di un aeroporto. (p. 29)
  • Da un punto di vista strettamente pratico, si potrebbe forse dire che tutto cominciò con l'arrivo di Sophie Mol ad Ayemenem. Forse è vero che tutto può cambiare in un giorno. Che poche manciate di ore possono condizionare l'esito di vite intere. [...]
    Eppure, dire che tutto cominciò con l'arrivo di Sophie Mol ad Ayemenem è solo uno dei modi di considerare la faccenda.
    Si potrebbe sostenere altrettanto giustamente che in realtà tutto ebbe inizio migliaia di anni prima. Molto prima che arrivassero i marxisti. Prima che gli inglesi conquistassero il Malabar, prima della dominazione portoghese, prima dell'arrivo di Vasco da Gama, prima che lo Zamorin conquistasse Calicut. [...] Si potrebbe sostenere che cominciò prima che il cristianesimo arrivasse dal mare e si diffondesse nel Kerala come il tè da una bustina immersa nell'acqua.
    Che tutto cominciò davvero nei giorni in cui furono fissate le Leggi dell'Amore. Le leggi che stabiliscono chi si deve amare, e come.
    E quanto. (p. 43-44)
  • Ammu stava pensando di riprendere il suo cognome da nubile, anche se diceva che fra il cognome del marito e quello del padre a una donna non restava poi granché da scegliere. (p. 47)
  • Estha aveva sonnacchiosi occhi a mandorla e dei nuovi denti davanti, che ancora non erano lunghi uguali. I denti nuovi di Rahel erano lì che aspettavano dentro le gengive, come parole in una penna. Era una cosa che sconcertava tutti, il fatto che diciotto minuti di differenza comportassero una tale discrepanza nella crescita dei denti. (p. 48)
  • Baby Kochamma ce l'aveva con Ammu perché la vedeva ribellarsi a un destino che lei, Baby Kochamma, sentiva di aver accettato con stile. (p. 56)
  • Rahel sapeva perché era successo: perché lei stava sperando che non succedesse. (p. 69)
  • L'Attesa colmò Rahel finché non fu lì lì per esplodere. (p. 75)
  • [Baby Kochamma] Si trovò davanti Dolore e Disperazione, e in segreto, nel profondo del cuore, esultò. (p. 89)
  • Il silenzio stava sospeso in aria come una segreta perdita. (p. 103)
  • [Baby Kochamma] Nel suo cervello teneva un archivio ordinato e organizzato delle Cose che Faceva Per Gli Altri, e delle Cose che Gli Altri Non Avevano Fatto Per Lei. (p. 100)
  • Nell'atrio, le aranciate aspettavano. Le limonate aspettavano. Le cioccolate squagliate aspettavano. I divanetti da auto blu elettrico, di pelle e gommapiuma, aspettavano. I manifesti Presto su questi schermi! aspettavano. [...] Estha Da Solo con le sue scarpe beige a punta. E il suo ciuffo disfatto. L'Uomo strofinò il bancone di marmo con uno straccio color sporco. E aspettò. E aspettando strofinava. E strofinando aspettava. E guardava Estha che cantava. (p. 113)
  • [Rahel] Non sapeva da dove le fossero venute quelle parole. Non sapeva di averle dentro di sé. Ma erano fuori, adesso, e non sarebbero rientrate. (p. 124)
  • Le braccia del Compagno Pillai erano incrociate sul petto, e le mani stringevano le ascelle con atteggiamento possessivo, come se qualcuno gliele avesse appena chieste in prestito e lui avesse rifiutato di darle via. (p. 140)
  • Sia Rahel che Lenin accusavano lo stesso disturbo: Oggetti Estranei Ospiti dei loro Nasi. [...] Era curioso come la politica si acquattasse anche anche in quello che i bambini decidevano di infilarsi nel naso. Lei, nipote di un Entomologo Imperiale, lui il figlio di un lavoratore rurale iscritto al Partito marxista. Quindi: lei una perlina di vetro, lui un cece verde.
    La sala d'attesa era piena.
    [...] Il lento ventilatore da soffitto sbucciava l'aria spessa e carica di paura in una spirale senza fine che ricadeva lenta sul pavimento come la pelle di un'infinita patata.
    [...] Da sotto la tenda succinta stesa sulla porta che dava direttamente sulla strada veniva l'instancabile slip-slap di piedi senza corpo calzati di pantofole. Il rumoroso, spensierato mondo di Quelli Senza Niente Su Per Il Naso. (p. 144)
  • Ed eccoli lì, i Ritornati dall'Estero, con gli abiti ingualcibili e gli occhiali da sole. Con la fine della stritolante povertà chiusa nelle loro valigie marca Aristocrat. [...] Con il loro amore e un pizzico di vergogna perché le famiglie che erano venute ad accoglierli avevano un'aria così… così… goffa. Guarda come sono vestiti! [...]
    Quando i lunghi viaggi in corriera e le permanenze notturne all'aeroporto si furono incontrate con l'amore e un pizzico di vergogna, comparvero piccole crepe, destinate a crescere sempre di più (p. 153-154)
  • E l'Aria era piena di Pensieri e Cose da Dire. Ma in momenti simili vengono sempre dette solo le Piccole Cose. Le Grandi Cose si acquattano dentro, non dette. (p. 155)
  • Lo sportello d'acciaio dell'inceneritore si sollevò e il borbottio attutito del fuoco eterno diventò un rosso ruggito. Il calore si allungò verso di loro come una bestia tenuta a digiuno. Poi le dettero da mangiare la Ammu di Rahel. I suoi capelli, la sua pelle, il suo sorriso. La sua voce. Il modo in cui usava Kipling per amare i suoi bambini prima di metterli a dormire: Siamo dello stesso sangue, tu e io. Il suo bacio della buonanotte. Il modo in cui afferrava i loro visi con una mano (guance schiacciate, bocca da pesce) mentre con l'altra divideva e pettinava loro i capelli. Il modo in cui teneva i mutandoni di Rahel per farcela arrampicare dentro. Gamba destra, gamba sinistra. Tutto questo diventò cibo per la bestia, e la bestia fu soddisfatta. (p. 176)
  • Dietro gli occhiali allungati, i suoi inutili occhi erano chiusi, ma lei [Mammachi] vedeva la musica staccarsi dal violino e sollevarsi nel pomeriggio come fumo. (p. 180)
  • Due cuori felici si sollevarono come aquiloni colorati in un cielo azzurrocielo. (p. 220)
  • La pazzia volteggiava lì intorno, a portata di mano, come il cameriere premuroso di un ristorante da ricchi (che ti accende la sigaretta e riempie i bicchieri appena sono vuoti). Kuttappen pensava con invidia ai pazzi che erano in grado di camminare. Non aveva dubbi sulla convenienza del baratto: la sua salute mentale in cambio di un paio di gambe. (p. 223)
  • Ammu ebbe un brivido.
    Provava, in quel pomeriggio caldo, la gelida sensazione che la Vita fosse già Vissuta. Che la sua coppa fosse piena di polvere. Che l'aria, il cielo, gli alberi, il sole, la pioggia, la luce e il buio, tutto si stesse pian piano trasformando in sabbia. Che la sabbia le avrebbe riempito le narici, i polmoni, la bocca. Che l'avrebbe sepolta, lasciando in superficie solo un mulinello, come quello che fanno i granchi quando si rintanano sotto, sulla spiaggia. (p. 238)
  • Non aveva importanza che la storia fosse già iniziata, dal momento che il kathakali ha scoperto molto tempo fa che il segreto delle Grandi Storie è che esse non hanno segreti. Le Grandi Storie sono quelle che abbiamo già sentito e che vogliamo sentire di nuovo. Quelle in cui possiamo entrare da una parte qualunque e starci comodi. Non ci ingannano con trasalimenti e finali a sorpresa. Non ci sorprendono con l'imprevisto. Ci sono familiari come le case in cui abitiamo. Come l'odore della pelle del nostro amante. Sappiamo in anticipo come vanno a finire, eppure le seguiamo come se non lo sapessimo. Allo stesso modo in cui sappiamo che un giorno dovremo morire, ma viviamo come se non lo sapessimo. (p. 245)
  • In punta di piedi, l'infanzia se ne andò.
    Il silenzio si chiuse come un chiavistello. (p. 337)

Incipit di Il ministero della suprema felicità[modifica]

Nell'ora magica in cui il sole è svanito ma la luce perdura, eserciti di volpi volanti si staccano dal banano del vecchio cimitero e si librano sulla città come fumo.[13]

Note[modifica]

  1. Da La vera guerra contro il terrore, Internazionale, n. 444, 6 luglio 2002, p. 24.
  2. Da Guida all'impero, Internazionale, n. 483, 11 aprile 2003, p. 37.
  3. Da Guerra è pace, Internazionale, n. 410, 2 novembre 2001, p. 17.
  4. Da Il tacchino di George W. Bush, Internazionale, n. 523, 23 gennaio 2004, p. 30.
  5. Da L'India da Oscar è un luogo comune, Internazionale, n. 786, 13 marzo 2009, p. 77.
  6. Da Democrazia imperiale, Internazionale, n. 491, 6 giugno 2003, p. 33.
  7. Da Perché resto in India, Internazionale, n. 440, p. 8 giugno 2002, 11.
  8. Da I nuovi colonizzatori, Internazionale, n. 423, 9 febbraio 2002, p. 23.
  9. Da L'illusione della pace, Internazionale, n. 571, 23 dicembre 2004, p. 35.
  10. Da Alle radici del terrore, Internazionale, n. 658, 8 settembre 2006, p. 33.
  11. Da La fine della libertà, Internazionale, n. 249, 11 settembre 1998, p. 19.
  12. Da Guerra e potere, Internazionale, n. 459, 19 ottobre 2002, p. 37.
  13. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Arundhati Roy, Il Dio delle piccole cose, traduzione di Chiara Gabutti, TEA, 2001. ISBN 9788850222605

Altri progetti[modifica]