Emilio Salgari

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Emilio Salgari

Emilio Salgàri (1862 – 1911), scrittore italiano.

Citazioni di Emilio Salgari[modifica]

  • Yanez fumava flemmaticamente la sua eterna sigaretta. (da I pirati della Malesia)
  • In quell'istante, ad una grande distanza, verso le immense paludi del sud, echeggiarono alcune note acutissime. Il maharatto si alzò di scatto e divenne cinereo. Il ramsinga! esclamò egli, con terrore. Cos'hai che ti sgomenti? chiese Tremal-Naik. Non odi il ramsinga? Ebbene, cosa vuol dir ciò? Segnala una disgrazia, padrone. Follie, Kammamuri. (da I misteri della jungla nera)
  • Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.[1]

Le tigri di Mompracem[modifica]

Incipit[modifica]

La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.
Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell'isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s'urtavano disordinatamente e s'infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi ed ora interminabili delle folgori.

Citazioni[modifica]

  • Milady [...] Ma non sapete che il mio cuore scoppia, quando io penso che verrà il giorno in cui io dovrò lasciarvi per sempre e non rivedervi mai più? Se la tigre mi dilaniasse, almeno rimarrei ancora sotto il vostro tetto, godrei un'altra volta quelle dolci emozioni provate, quando vinto e ferito giacevo sul letto di dolore. Sarei felice, assai felice, se altre crudeli ferite mi costringessero a rimanere ancora presso di voi, a respirare la vostra medesima aria, a riudire ancora la vostra deliziosa voce, a inebriarmi ancora dei vostri sguardi, dei vostri sorrisi!
    Milady, voi mi avete stregato, io sento che lontano da voi non saprei vivere, non avrei più pace, sarei un infelice. Ma cosa avete fatto di me? Cosa avete fatto del mio cuore che un tempo era inaccessibile ad ogni passione? Guardate; al solo vedervi io fremo tutto e sento il sangue bruciarmi le vene. [...]
    Non irritatevi, milady [...] Non irritatevi se io vi confesso il mio amore, se vi dico che io, quantunque figlio d'una razza di colore, vi adoro come un dio, e che un giorno anche voi mi amerete. Non so, dal primo momento in cui mi appariste, io non ebbi più bene su questa terra, la mia testa si è smarrita, vi ho sempre qui, fissa nel mio pensiero giorno e notte. Ascoltatemi, milady, tanto è potente l'amore che mi arde in petto, che per voi lotterei contro gli uomini tutti, contro il destino, contro Dio! Volete essere mia? Io farò di voi la regina di questi mari, la regina della Malesia! Ad una vostra parola, trecento uomini più feroci delle tigri, che non temono né piombo, né acciaio, sorgeranno e invaderanno gli stati del Borneo per darvi un trono. Dite tutto ciò che l'ambizione vi può suggerire e l'avrete. Ho tanto oro da comperare dieci città, ho navi, ho soldati, ho cannoni e sono potente, più potente di quello che possiate supporre. (Sandokan, cap. VIII)
  • Mi si venga a cercare qui, in mezzo alla natura selvaggia [...] Incontreranno la Tigre libera, pronta a tutto, risoluta a tutto.
    Solchino pure, i loro furfanti incrociatori, le acque dell'isola; lancino pure i loro soldati attraverso le boscaglie; chiamino pure in loro aiuto tutti gli abitanti di Vittoria, io passerò egualmente fra le loro baionette ed i loro cannoni. Ma ritornerò in breve, o fanciulla celeste, te lo giuro, ritornerò qui, alla testa dei miei valorosi, non da vinto, ma come vincitore e ti strapperò per sempre da questi luoghi esecrati! (Sandokan, cap. X)
  • Il blaciang è avidamente ricercato dai malesi i quali, in fatto di alimenti, possono dare dei punti ai cinesi, i meno schizzinosi di tutti i popoli. Non sdegnano i serpenti, non le bestie già in putrefazione, i vermi in salsa e nemmeno le larve delle termiti, per le quali anzi fanno delle vere pazzie.
    Il blaciang passa però ogni immaginazione. È un miscuglio di gamberetti e di piccoli pesci tritati insieme, lasciati marcire al sole e poi salati. L'odore che esala da quell'impasto è tale da non poter reggere, anzi fa venir male. (cap. XII)

Incipit di alcune opere[modifica]

Alla conquista della luna[modifica]

Alcuni anni or sono, i pochi abitanti di Allegranza, un piccolo isolotto del gruppo delle Canarie, venivano bruscamente svegliati da un colpo di cannone il cui rimbombo s'era ripercosso lungamente fra quelle aride rocce, bruciate dall'ardente sole africano.
Un colpo di cannone per quegl'isolani, che vivevano così lontani da qualsiasi terra considerevole, e che solo a lunghi intervalli vedevano qualche piccolo veliero entrare nella baia dell'isolotto per provvedersi d'acqua ed imbarcare qualche partita di pesce secco, era un tale avvenimento da metterli nella più viva curiosità.

Alla conquista di un impero[modifica]

La cerimonia religiosa, che aveva fatto accorrere a Gauhati, una delle più importanti città dell'Assam indiano, migliaia e migliaia di devoti seguaci di Visnù, giunti da tutti i villaggi bagnati dalle sacre acque del Brahmaputra, era finita.
La preziosa pietra di Salagraman, che altro non era che una conchiglia pietrificata, del genere dei corni d'Ammone, di color nero, ma che nel suo interno celava un capello di Visnù, il dio conservatore dell'India, era stata ricondotta nella grande pagoda di Karia, e probabilmente già nascosta in un ripostiglio noto solo al rajah, ai suoi ministri ed al grande sacerdote.

Attraverso l'Atlantico in pallone[modifica]

"Hurrah!" urlano diecimila voci.
"Evviva il Washington!"
"Hurrah per Mister Kelly!"
"Mille dollari a chi ci tiene!" grida una voce.
"Siete pazzo Paddy?... Li perderete: ve lo assicuro io."
"Duecento sterline!..." grida un'altra voce.
"Chi ci tiene?"
"Su chi scommettete?"
"Sulla riuscita della traversata!"

Capitan Tempesta[modifica]

— Sette!...
— Cinque!
— Undici!
— Quattro!
— Zara!...
— Corpo di trentamila scimitarre turche! Che fortuna avete voi, signor Perpignano! Sono ottanta zecchini che mi guadagnate in due sere. Ciò non può durare! Preferisco una palla di colubrina in corpo e per di più una palla di quei cani di miscredenti. Almeno non mi scorticherebbero dopo presa Famagosta.
— Se la prenderanno, capitano Laczinki.

Gli ultimi filibustieri[modifica]

Co... co... co... Che cosa vuol dire, per tutti i tuoni e le tempeste del mare di Biscaglia? Co... co... So che dei pappagalli si chiamano Cocò, ma io credo che chi mi ha scritto questa lettera non sia uno di quei volatili variopinti!...
"Sarà meglio che chiami mia moglie. Chissà che non riesca a decifrare questi scarabocchi." "Panchita!..."
Una robusta donna sui trentaquattro trentacinque anni, bruna, cogli occhi tagliati a mandorla come le andaluse, vestita leggiadramente, ma colle maniche rimboccate che mostravano delle ben tornite e vigorose braccia, uscí dal lunghissimo banco d'acagiú, dietro a cui stava risciacquando dei bicchieri.
– Che cosa vuoi, Pepito? – chiese.

I Corsari delle Bermude[modifica]

Il sole tramontava fra una nuvolaglia grigiastra che si era distesa, a poco a poco, gonfiata dal vento di ponente, sopra l'Atlantico.
Le onde, che riflettevano la luce, rumoreggiavano, correndo velocemente sull'immensa distesa fra le coste americane e le quattrocento Bermude poste, come tanti ridotti, intorno alla grande Bermuda, la unica isola abitata di quel vasto arcipelago sperduto in mezzo al grande Oceano orientale. Due navi avanzavano, coperte di vele fino al pomo degli alberetti, rollando dolcemente sotto i colpi delle onde che le investivano sulla dritta, sollevandole con fragore.

I figli dell'aria[modifica]

Pechino, l'immensa capitale del più popoloso impero del mondo, che da migliaia d'anni si erge, al par di Roma, come sfida al tempo, a poco a poco s'immergeva fra le tenebre.
Le immense cupole a scaglie azzurre dai riflessi dorati dei giganteschi templi buddisti; i tetti gialli dal lampo accecante degli sterminati palazzi della corte imperiale; i mille ghirigori di porcellana del tempio dello spirito marino che racchiude le tre incarnazioni del filosofo Laotsz; i candidi marmi del tempio del cielo; le tegole verdi del tempio della filosofia; la foresta immensa di guglie e d'antenne sostenenti mostruosi draghi dorati cigolanti alla brezza; le punte arcuate di metallo dorato delle torri, dei bastioni, delle muraglie enormi della città interdetta, scomparivano fra le brume della sera.

I minatori dell'Alaska[modifica]

- All'erta!...
- Corna di bisonte!...
- In piedi, Bennie!...
- Brucia la prateria?
- No!...
- Fugge il bestiame?...
Un clamore assordante, un misto di urla acute, latrati e muggiti echeggia improvvisamente in lontananza, rompendo di colpo il profondo silenzio dell'immensa prateria che, dalle rive del Piccolo lago degli Schiavi, si estende, quasi senza interruzione, fino a quelle del fiume Athabasca e ai piedi della gigantesca catena delle Montagne Rocciose. Sono urla confuse d'uomini, abbaiamenti di cani, muggiti di buoi spaventati.

I misteri della jungla nera[modifica]

Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli indiani antichi e moderni, le cui acque son reputate sacre da quei popoli, dopo d'aver solcato le nevose montagne dell'Himalaya e le ricche provincie del Sirinagar, di Delhi, di Odhe, di Bahare, di Bengala, a duecentoventi miglia dal mare dividesi in due bracci, formando un delta gigantesco, intricato, meraviglioso e forse unico.
La imponente massa delle acque si divide e suddivide in una moltitudine di fiumicelli, di canali e di canaletti che frastagliano in tutte le guise possibili l'immensa estensione di terre strette fra l'Hugly, il vero Gange, ed il golfo del Bengala. Di qui una infinità d'isole, d'isolotti, di banchi, i quali, verso il mare, ricevono il nome di Sunderbunds.

I pescatori di balene[modifica]

La notte del 24 agosto 1864, una nave correva bordate, a tutte vele sciolte, a centotrenta miglia a sud delle Aleutine, lunga catena di isole che si estende dinanzi al mare di Behring fra le coste dell'America e dell'Asia.
Era un magnifico veliero di oltre quattrocentoventi tonnellate, attrezzato a "barco", colla prua tagliata quasi ad angolo retto e munita di un solido sperone di acciaio, i fianchi piuttosto larghi e difesi da lamine di rame di notevole spessore. Alta era la sua alberatura, con uno sviluppo grandissimo di vele; libera quasi del tutto la sua coperta, ma untuosa e sdrucciolevole, senza cassero e senza castello. Sulla poppa, in lettere dorate, spiccavano questi due nomi: "Danebrog Aalborg".

I pirati della Malesia[modifica]

– Mastro Bill, dove siamo?
– In piena Malesia, mio caro Kammamuri.
– Ci vorrà molto tempo prima di arrivare a destinazione?
– Birbone, ti annoi forse?
– Annoiarmi no, ma ho molta fretta e mi pare che la Young-India cammini adagio.
Mastro Bill, un marinaio sui quarant'anni, alto più di cinque piedi, americano puro sangue, sbirciò con occhio torvo il suo compagno. Questi era un bell'indiano di ventiquattro o venticinque anni, di alta statura, d'una tinta molto abbronzata, di lineamenti belli, nobili, fini, cogli orecchi adorni di pendenti e il collo di monili d'oro che gli ricadevano graziosamente sul nudo e robusto petto.

I predoni del Sahara[modifica]

Il Ramadan, la quaresima dei mussulmani, che dura solamente trenta giorni invece di quaranta, stava per finire anche a Tafilelt, città perduta ai confini meridionali dell'impero marocchino, dinanzi all'immenso mare di sabbia, al Sahara.
In attesa del colpo di cannone che segnalava la fine del digiuno, dopo di che cominciava l'orgia notturna, la popolazione si era riversata nelle vie e nelle piazze per ammirare i santoni e i fanatici.
Si sono modificate ed un po' ingentilite la Turchia e l'Egitto; la Tripolitania e l'Algeria hanno molto perduto del loro selvaggio zelo religioso, ma il Marocco, al pari dell'Arabia, la culla dell'Islam, si è mantenuto tal quale era cinquecento o mille anni fa.

Il boa delle caverne[modifica]

Tutta l'immensa vallata del rio delle Amazzoni, bagnata dal più grande fiume dell'America meridionale, è coperta da foreste d'una bellezza meravigliosa, che non hanno eguale in tutte le altre parti del mondo, ma che godono di una pessima reputazione per l'abbondanza straordinaria di rettili che si celano sotto quelle infinite vôlte di verzura.
I boa più colossali si trovano là sotto o sospesi ai rami degli alberi, dove aspettano il passaggio di un animale o d'un Indiano per lasciarsi cadere e avvolgere fra le loro spire la preda; e vi si trovano anche i più sottili e i più piccoli serpenti lunghi quanto un'asticciuola da scrivere e nondimeno pericolosi e forse più dei grossi, perché velenosissimi.

Il Bramino dell'Assam[modifica]

«Signor Yanez, se non m'inganno, vengono, ed avremo una carica formidabile, spaventosa».
«Ah, briccone!... Quando sarà che ti deciderai a chiamarmi Altezza? Quando ti avrò fatto tagliare la punta della lingua dal carnefice del mio impero?» «Voi non lo farete mai».
«Ne sono più che convinto, mio bravo Kammamuri: per te io sono sempre il signor Yanez o la Tigre Bianca, come Sandokan per te è sempre la Tigre della Malesia». «Due grandi uomini, signore!...»

Il brick maledetto[modifica]

Veramente quel brick si chiamava Estrella, almeno tale era il nome che si scorgeva in lettere dorate sulla sua poppa, e lo si vedeva ripetuto sui suoi salvagente legati alle impagliettature e sulle sue scialuppe, e nondimeno i marinai di tutti i porti del Portogallo lo avevano battezzato invece col nome poco piacevole di Brick del Diavolo.
Esteriormente nulla presentava di strano che legittimasse quel titolo, che pareva trovato appositamente per spaventare i marinai già perfino troppo superstiziosi. Era un bel legno di sette od ottocento tonnellate, con un'alberatura altissima ed un grande sviluppo di vele per raccogliere le più lievi brezze dell'Atlantico equatoriale, con una linea di acqua perfetta e delle forme snelle che facevano ricordare quelle delle velocissime navi negriere. Eppure godeva tristissima fama e, quando qualche marinaio moriva, era ben difficile trovare, nei porti del Portogallo, un altro che lo surrogasse.

Il Corsaro Nero[modifica]

Una voce robusta, che aveva una specie di vibrazione metallica, s'alzò dal mare ed echeggiò fra le tenebre, lanciando queste parole minacciose: "Uomini del canotto! Alt, o vi mando a picco!". La piccola imbarcazione, montata da due soli uomini, che s'avanzava faticosamente sui flutti color dell'inchiostro, fuggendo l'alta sponda che si delineava confusamente sulla linea dell'orizzonte, come se da quella parte temesse un grave pericolo, s'era bruscamente arrestata.

Il figlio del Corsaro Rosso[modifica]

– Il signor conte de Miranda!
Quel nome, gridato forte da un servo gallonato con la pelle nera come il carbone, vestito di seta azzurra a larghi fiori gialli, aveva prodotto una profonda impressione fra i moltissimi invitati che ingombravano le sfarzose sale della marchesa di Montelimar, la bellissima signora, celebrata da tutti gli avventurieri e da tutti gli ufficiali di terra e di mare di San Domingo.
Le danze, animatissime fino a quel momento, erano state subito interrotte, perché cavalieri e dame si erano precipitati verso la porta del grande salone, come attratti da un'irresistibile curiosità di vedere da vicino quel conte che si diceva avesse fatto girare molte teste nelle poche ore che si era mostrato per le vie di San Domingo.

Il Re del Mare[modifica]

– Dunque, si va avanti sì o no? Corpo di Giove! È impossibile che noi siamo caduti come tanti stupidi su un banco.
– È impossibile avanzare, signor Yanez.
– Che cos'è dunque che ci ha fermati?
– Non lo sappiamo ancora.
– Per Giove! Era ubriaco il pilota? Bella fama che si acquistano i malesi! Ed io che li avevo creduti, fino a stamane, i migliori marinai dei due mondi!
– Sambigliong, fa' spiegare dell'altra tela. Il vento è buono e chissà che non riusciamo a passare.
– Non faremo nulla, signor Yanez, perché la marea cala rapidamente.
– Che il diavolo si porti all'inferno quell'imbecille di pilota!

Il tesoro della montagna azzurra[modifica]

– Ohe, ragazzi! Altro che balene! Sono i ribbon-fish, che vengono a galla. Brutto segno, amici!...
– Voi brontolate sempre, bosmano. – disse la voce quasi infantile di un mozzo.
– Che ne sai tu dell'Oceano Pacifico e delle sue isole, ragazzaccio, che hai finito di poppare appena qualche mese fa.
– No, bosmano, ho sedici anni suonati e sono figlio di un marinaio.
– Sì, d'acqua dolce forse. Scommetterei che non è mai uscito dal porto di Valdivia e che non sapeva guidare nemmeno una balsa, tuo padre.
– Era un cileno come voi, bosmano.
– Ma non un marinaio come me, che ho quarantasette anni di navigazione.

Jolanda, la figlia del Corsaro Nero[modifica]

Quella sera la taverna El Toro, contrariamente al solito, brulicava di persone, come se qualche importante avvenimento fosse avvenuto o stesse per succedere.
Quantunque non fosse una delle migliori di Maracaybo, frammiste a marinai, a facchini del porto, a meticci e ad indiani caraibi, si vedevano – cosa piuttosto insolita – delle persone appartenenti alla migliore società di quella ricca ed importante colonia spagnola: grossi piantatori, proprietari di raffinerie di zuccheri, armatori di navi, ufficiali della guarnigione e perfino qualche membro del governo.
La sala, piuttosto ampia, coi muri affumicati, dall'ampio camino, malamente illuminata da quelle incomode e famose lampade usate sul finire del sedicesimo secolo, ne era piena.

La caduta di un impero[modifica]

Anche l'Assam, come tante altre parti dell'India, è ricchissimo di pagode, abbandonate da secoli e secoli in mezzo alle foreste dai loro sacerdoti, per cause sconosciute.
Ne possiede poi specialmente una, ormai stretta da tutte le parti dagli alberi, che ben poco doveva aver da invidiare alla grande sciultre di Maduré, una delle più magnifiche che si trovino nell'India, e che si dice avesse costato ventidue anni di lavoro.

La città del Re lebbroso[modifica]

Un rombo metallico, che si ripercosse lungamente, con una vibrazione argentina, nell'ampia sala sorretta da venti colonne di legno dipinte a vivaci colori e cogli zoccoli coperti da lamine d'oro, fece bruscamente sussultare Lakon-tay.
L'invidiato ministro, preposto alla sorveglianza dei S'hen-mheng, i sacri elefanti bianchi del re, dinanzi a cui piccoli e grandi s'inchinavano, udendo quel colpo di gong sentì un fremito corrergli per tutto il corpo, mentre la sua fronte leggermente abbronzata si imperlava di grosse stille di sudore.

La crociera della Tuonante[modifica]

Il 17 marzo del 1775, gran parte della flotta inglese stazionante nelle acque di Boston veleggiava verso l'alto mare, portando con sé la guarnigione, composta di più di diecimila uomini, sfiniti dal lunghissimo assedio. La caduta della città capitale della provincia di Massachusetts aveva portato un colpo terribile alla potenza inglese, che fino allora aveva trattato gl'insorti americani come masse trascurabili, chiamandoli sprezzantemente, invece di soldati, provinciali. Prima di andarsene, da veri lanzi tedeschi, poiché più che metà della guarnigione era composta di mercenari assiani e d'uomini del Brunswick, avevano saccheggiati tutti i negozi dei Bostoniani, portando via quanto vi era dentro di meglio; poi avevano guastate tutte le artiglierie, parte inchiodandole e parte gettandole in mare.

La favorita del Mahdi[modifica]

Era la sera del 4 Settembre 1883. Il sole equatoriale, rosso rosso, scendeva rapidamente verso le aride e dirupate montagne di Mantara, illuminando vagamente le grandi foreste di palme e di tamarindi e le coniche capanne di Machmudiech, povero villaggio sudanese, situato sulla riva destra del maestoso Bahr-el-Abiad o Nilo Bianco, a meno di quaranta miglia a sud di Chartum.
Da ogni parte dell'orizzonte accorrevano bande di superbe antilopi e di sciacalli che venivano a dissetarsi sulle poetiche sponde del fiume, e nell'aria svolazzavano arditamente schiere di fenicotteri dalle penne rosee e le estremità delle ali fiammeggianti, schiere di ibis sacre che calavan sulle foglie arrotondate e galleggianti del loto, e file di grossi pellicani che s'appiattavano fra i canneti, cacciando i pesci.

La perla sanguinosa[modifica]

"Spia!"
"A me spia!"
"Bandito!"
"Taci, brutto malabaro!"
"Negalo, se l'osi!"
"Ah! A me della spia!"
"Confidente dei sorveglianti! Assassino che ci fai somministrare il gatto a nove code senza averne colpa."
"La vuoi finire?"
"No, e lo ripeterò finché avrò soffio di vita. Spia! Spia! Spia!"
"Vuoi dunque che ti rompa le ossa?"
"Provati."
"È perché hai l'uomo bianco dalla tua? Vi affronto tutti e due e vi riduco in una poltiglia. Nessuno ha mai tenuto testa al Guercio, il più formidabile lottatore di Ceylon."

La regina dei Caraibi[modifica]

Il Mare dei Caraibi, in piena tempesta, muggiva tremendamente, scagliando delle vere montagne d'acqua contro i moli di Puerto Limon e le spiagge del Nicaragua e di Costarica. Il sole non era per anco tramontato, ma le tenebre cominciavano di già a scendere, come se fossero impazienti di celare la lotta accanita che si combatteva in cielo ed in terra. L'astro diurno, rosso come un disco di rame, non proiettava che radi sprazzi attraverso gli strappi delle nerissime nuvole che volta a volta lo avviluppavano. Ancora non pioveva, però le cateratte del cielo non dovevano tardare ad aprirsi.

La riconquista di Mompracem[modifica]

Quella notte tutto il mare che si stende lungo le coste occidentali del Borneo era d'argento.
La luna che saliva in cielo col suo corteo di stelle, attraverso una purissima atmosfera, versava torrenti di luce azzurrina d'una dolcezza infinita.
I naviganti non potevano sperare una notte migliore, poiché anche il mare era calmissimo e solamente una fresca brezza, impregnata de' mille profumi di quell'isola meravigliosa, lo faceva appena appena increspare.

La rivincita di Yanez[modifica]

– Saccaroa!... Ma dove quel demonio di Sindhia ha raccolto tanti sciacalli? Sono due giorni che sbucano dalle foreste e dalle jungle per arrestarci, eppure ne abbiamo gettati a terra! Cinque elefanti, cinque mitragliatrici e cento carabine, se saranno ancora cento, poiché delle perdite ne abbiamo subite anche noi.
– Vogliono impedirci di giungere a Gauhati, signor Sandokan, per non lasciarci congiungere col signor Yanez, il Maharajah bianco, il vostro fratello d'oltre oceano.

La tigre della Malesia[modifica]

La mezzanotte del 20 aprile 1847, un acquazzone diluviale, accompagnato da scrosci di folgore e da impetuosi soffi di vento subissava la solitaria e selvaggia Mompracem, isola situata sulle coste occidentali di Borneo, e il cui nome bastava in quei tempi a spargere il terrore a cento leghe all'intorno. L'abitazione della Tigre della Malesia, posta come aquila su di una gran rupe tagliata a picco sul mare, a cinquecento passi dalle ultime capanne del villaggio di Gjehawem, quella notte, contro il solito, era illuminata. Dai vetri colorati di una stanza a pianterreno, uscivano getti di luce rossigna, che rischiaravano fantasticamente le asperità delle roccie e le trincee e le gabbionate sparse all'esterno.

Le due tigri[modifica]

La mattina del 20 aprile del 1857, il guardiano del semaforo di Diamond-Harbour, segnalava la presenza d'un piccolo legno che doveva essere entrato nell'Hugly durante la notte, senza aver fatto richiesta di alcun pilota.
Sembrava un veliero malese, dalle dimensioni straordinarie delle sue vele, la cui superficie era immensa, però lo scafo non era precisamente simile a quello dei prahos, non essendo provvisto di bilancieri per appoggiarsi meglio sulle onde quando le raffiche aumentano di violenza, né avendo al centro quella tettoia che chiamasi attap. Anzi era costruito, a quanto pareva, con lamine di ferro anziché di legno, non aveva la poppa bassa, la tolda era sgombra e poi stazzava tre volte di più dei prahos ordinari, i quali di rado hanno una portata di cinquanta tonnellate.

Le figlie dei Faraoni[modifica]

Tutto era calmo sulle rive del maestoso Nilo.
Il sole stava per scomparire dietro le altissime cime delle immense palme piumate, fra un mare di fuoco che arrossava le acque del fiume, facendole sembrare bronzo appena fuso, mentre a levante un vapore violaceo, che diventava di momento in momento più fosco, annunciava le prime tenebre.
Un uomo stava ritto sulla riva, appoggiato al fusto d'una giovane palma, in una specie di molle abbandono e come immerso in profondi pensieri. Il suo sguardo vago errava sulle acque che si frangevano con un dolce gorgoglìo fra le radici dei papiri affondate nella melma.

Le meraviglie del Duemila[modifica]

Il piccolo battello a vapore che fa il servizio postale una volta alla settimana, fra Nuova York, la più popolosa città degli Stati Uniti d'America settentrionale, e la piccola borgata dell'isola Nantucket, quella mattina era entrato nel piccolo porto con un solo passeggero. Accadeva spesso, durante l'autunno, terminata la stagione balneare, che rarissime persone approdassero a quell'isola, abitata solo da qualche migliaio di famiglie di pescatori che non s'occupavano d'altro che d'affondare le loro reti nei flutti dell'Atlantico.
"Signor Brandok", aveva gridato il pilota, quando il battello a vapore s'era ormeggiato al ponte di legno "siamo giunti."
Il passeggero, che durante la traversata era rimasto sempre seduto a prora senza scambiare una parola con nessuno, s'era alzato con una certa aria annoiata, che non era sfuggita né al pilota, né ai quattro marinai.

Le novelle marinaresche di mastro Catrame[modifica]

Un lupo di mare[modifica]

Non avete udito mai parlare di mastro Catrame? No?...
Allora vi dirò quanto so di questo marinaio d'antico stampo, che godette molta popolarità nella nostra marina: ma non troppe cose, poiché, quantunque lo abbia veduto coi miei occhi, abbia navigato molto tempo in sua compagnia e vuotato insieme con lui non poche bottiglie di quel vecchio e autentico Cipro che egli amava tanto, non ho mai saputo il suo vero nome, né in quale città o borgata della nostra penisola o delle nostre isole egli fosse nato.

Il vascello maledetto[modifica]

Ecco papà Catrame seduto sul barilotto, colle gambe incrociate alla maniera dei turchi, e circondato da tutti i marinai i quali sbarrano tanto d'occhi e aguzzano per bene gli orecchi per non perdere una sillaba dl quanto egli sta per narrare.

Il passaggio della linea[modifica]

Per tutto il giorno seguente papà Catrame non comparve sul ponte della nave. Rintanato nella cala, aveva dormito come un ghiro, russando come una trottola d'Allemagna. Svegliatosi, sorseggiò ciò che era rimasto nella bottiglia e divorò con un appetito da pescecane la razione recatagli dai mozzi.

La campana dell'inglese[modifica]

Anche durante la terza giornata papà Catrame non comparve in coperta. Voleva essere solo per frugare nei vecchi ricordi, onde prepararci una delle sue funebri leggende, o l'età gli pesava troppo sul groppone? Chi può dirlo?

La croce di Salomone[modifica]

Alla quarta novella di mastro Catrame, nessun uomo dell'equipaggio si fece vivo. Tutti avevano paura delle funebri leggende di quel vecchio, tremavano ad ogni rumore che si udiva nel fondo della stiva, paventando la comparsa dei fantasmi del Caronte; impallidivano se una nave qualunque passasse all'orizzonte, nel pensiero che fosse quella dell'olandese maledetto, e trasalivano ogni volta che le onde muggivano più forte contro i fianchi del vascello, credendo di udire la campana dell'inglese o di veder comparire il re del mare.

I fantasmi dei mari del Nord[modifica]

La quinta sera l'ex re dei selvaggi non comparve in coperta. Era risalito all'ora del pranzo, aveva divorato la sua razione con un appetito da vecchio pescecane, poi, vedendo che il mare era sempre tranquillo e il vento costante, si era rintanato, portando con sé una grossa provvista di biscotti e gli avanzi del pasto.

I fuochi misteriosi[modifica]

Il giorno seguente l'oceano fu agitatissimo, essendosi levato un vento assai caldo, che veniva dai deserti della costa araba, la quale non distava che poche decine di leghe.

Il vascello dei topi[modifica]

Fosse la paura che a poco a poco aveva invaso il nostro equipaggio, fosse perché navigavamo su quel mare sotto le cui onde riposava il vascello stregato, o il riso schernevole del vecchio mastro che risuonava ancora nei nostri orecchi, o il cambiamento operatosi nel nostro capitano di solito così scettico e che rideva ad ogni chiusa di quelle novelle, o qualche altra cosa, quella notte a bordo del nostro veliero regnò come una specie di terrore.

Le sirene[modifica]

Alle otto precise papà Catrame era al suo posto, pronto a raccontarci l'ottava storia.
Guardammo il suo volto incartapecorito, per indovinare se fosse di buono o cattivo umore, poiché da questo si poteva argomentare se la novella era allegra o triste. Le nostre investigazioni riuscirono però vane, poiché il suo volto nulla diceva. Solo notammo che pareva un po' nervoso: egli non faceva altro che levare di bocca la vecchia pipa e cacciarvi dentro il suo pollice, quantunque essa tirasse meglio del solito.

Il serpente marino[modifica]

Anche la nona sera, mastro Catrame fu puntuale come il cronometro di bordo. Battevano le otto quando si vide il suo berretto, vecchio di almeno mezzo secolo, spuntare dal boccaporto, poi apparire quel lungo corpo magro, ma ancora robusto.

Le murene[modifica]

Anche durante il giorno papà Catrame rimase sempre sul ponte, passeggiando con gravità da prua a poppa, lungo la murata di tribordo, che era il suo riparto favorito, avendo sempre manifestato, non so per quale motivo, una avversione decisa per quella di babordo. Fumò senza interruzione, lasciò andare un paio di sonori scapaccioni ai mozzi, perché si erano permessi di interrogarlo sul titolo della decima novella; ma non scambiò una parola con nessuno. Pareva preoccupatissimo, assorto in profonda meditazione, tanto da non darsi pensiero né della nave, né dell'equipaggio, né della manovra.

La nave-feretro sul mare ardente[modifica]

Le dure smentite del nostro capitano, il quale per altro non mirava che a dissipare la nebbia d'antichi pregiudizi a pro del nostro equipaggio, al pari di tutti gli altri fuor di misura ignorante e credulone, dovevano aver prodotto un profondo effetto sul povero condannato.

L'apparizione del naufrago[modifica]

La condanna di papà Catrame stava per terminare; ancora una novella e poi la sua lingua, dopo tanto lavoro, doveva alfine riposare, e molto probabilmente per un bel pezzo. Era però tempo: poiché la nostra nave stava per avvistare le coste indiane, e se il vento avesse continuato a mantenersi buono, il giorno seguente dovevamo scoprire le vette delle grandi montagne.

Le stragi delle Filippine[modifica]

— I moros!... I moros!...
Questo grido rimbomba per le vie di Manilla, opulenta capitale delle Filippine, come un colpo di tuono.
Una fiumana di gente, pazza di terrore, coi visi pallidi, gli occhi stralunati, si scaglia come un uragano attraverso il magnifico ponte, a dieci grandi arcate, che unisce la Ciudad, ossia la città spagnuola, ai sobborghi popolosi di Binondo e di Santa Cruz, che formano la cosí detta Città Chinese.
Quei fuggiaschi si spingono l'un l'altro, urlando, si rovesciano, si calpestano, ma si rialzano e riprendono la corsa vociando sempre:
— I moros!... I moros!...

Straordinarie avventure di Testa di Pietra[modifica]

Per tutti i campanili della Bretagna!... Giù le armi o vi cacciamo tutti nel lago, miserabili!..."
"No, mastro Testa di Pietra!..."
"Come!... Non obbedite? Siamo in quattro contro quattro ed io solo valgo per due uomini."
"Noi non deporremo le armi. Consegnateci le due lettere che avete ricevuto dal generale Washington e dal baronetto Sir William Mac-Lellan, il comandante della famosa Tuonante."
"Chi ti ha detto questo, mastro Davis?" urlò Testa di Pietra.
"Io l'ho saputo e quelle lettere non devono giungere al forte di Ticonderoga."

Citazioni su Emilio Salgari[modifica]

  • Non ho mai lasciato la Nigeria | con i miei risparmi chiusi dentro il palmo, | non ho mai sfidato la miseria | nei deserti caldi chiuso dentro un camion, | vivo le mie storie, magari | chiuso in casa come Salgari, | chino sui libri e sui manuali. (Caparezza)
  • Questa è vita! Queste sono avventure! E questi sono uomini! Che scrittore, quel Salgari. (Il giornalino di Gian Burrasca)

Bibliografia[modifica]

Note[modifica]

  1. Citato in Gino e Michele, Matteo Molinari, Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano. Opera omnia, Arnoldo Mondadori Editore, 1997, n. 2218. ISBN 88-04-43263-2

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Opere[modifica]