Carlo Gesualdo

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Carlo Gesualdo

Carlo Gesualdo, noto come Gesualdo da Venosa (1566 – 1613) compositore italiano.

Citazioni su Carlo Gesualdo[modifica]

  • Ammiro Gesualdo fin dai tempi della scuola. Trovo intrigante nella sua vicenda la sovrapposizione di un passaggio storico (dal rinascimento al barocco), di uno musicale (dopo l'astrattezza sublimata della polifonia del madrigale la musica diventa monodia accompagnata, più adatta a vestire sentimenti "reali") e di uno personale (l'uomo Gesualdo era prigioniero di convenzioni sociali come il delitto d'onore e il musicista era cristallizzato in un linguaggio vecchio: non aveva il "corpo", la forza né di fare l'assassino né di fare l'operista). (Luca Francesconi)
  • È ormai pacifico essere Carlo Gesualdo, il principe di Venosa, uno dei più grandi polifonisti di tutti i tempi; e contendere a Monteverdi (Marenzio, morto a soli quarantasei anni, mancò per pochi mesi l'ingresso nel nuovo secolo) la palma di più importante musicista a cavallo fra Cinque e Seicento, di massimo esponente dell'aurorale Barocco le radici del quale si sprofondano nel linguaggio, nello stile, nella stessa concezione del suono, del pieno Rinascimento. (Paolo Isotta)
  • I madrigali di Gesualdo, principe di Venosa, | musicista assassino della sposa – | cosa importa? | Scocca la sua nota, | dolce come rosa. (Franco Battiato)
  • La modernità di Gesualdo risiede nel suo scollamento dalle regole portanti della società. Un disagio esistenziale di cui nel '500 soffrivano solo i nobili, ma che ai giorni nostri è fenomeno di massa. (Luca Francesconi)
  • Torbido, saturnino e fantastico doveva essere l'autore di questa musica; che lo fosse desumiamo da accenni delle fonti che lo riguardano: poche e insufficienti, al nostro gusto. Gesualdo non era, infatti, musico di professione, benché nella musica avesse conseguito una dottrina da porsi al vertice dell'arte: era bensì un personaggio d'alto affare. Era l'erede, l'unico erede, di una casata principesca fra le più cospicue del Regno di Napoli: nipote di san Carlo e del decano del Sacro Collegio, era imparentato con la più gran nobiltà napoletana; gli avi avevano ricavato solo onori e ricchezze dai re Aragonesi invece di quel capestro che assai più al loro costante tradimento sarebbe spettato; il padre era grande di Spagna. (Paolo Isotta)

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