Edward Lear

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Edward Lear, ritratto di Wilhelm Marstrand, 1840

Edward Lear (1812 – 1888), scrittore nonsense e pittore inglese. Spesso illustrava le sue stesse opere.

Citazioni di Edward Lear[modifica]

  • I sanremesi sono lodevoli ed ammirevoli, nel senso che ti lasciano in pace finché non hanno bisogno di qualcosa; siccome a me non hanno nulla da chiedere, mi lasciano in pace e per questo io li ammiro. Il posto è diviso in due gruppi distinti: i conservatori ed i progressisti. Quest'ultimi si prodigano per venderti terreni, case, latte, legna – che so io – e farebbero qualsiasi cosa per i forestieri e sono cortesi e civili, ma non esiste un segno o vaga ombra di qualcuno che si interessi realmente a noi. E non parlo da inglese: ho avuto modo di ascoltare le impressioni di alcuni ufficiali, provenienti da diverse parti d'Italia e in altrettante parti stanziati, nelle quali mi confermavano la mia impressione su questo aspetto dei sanremesi, aggiungendo che è una caratteristica di tutta la Riviera genovese. «Aprono le loro mani solo per prendere soldi e mai per spenderne»; oppure: «Due parole mancano al loro vocabolario: generosità e ospitalità». Tutti gli ufficiali descrivono le altre parti d'Italia, come le province, ecc., con toni completamente differenti e le mie stesse esperienze scritte sulla Calabria e gli Abruzzi me lo hanno comprovato. Qui è noto che nonostante ci siano molti ricchi, vivono in ristrettezza e spilorceria: quello che noi (come le maggior parte degli italiani) riteniamo una forma comune di cortesia (rinfreschi, cene, o quel che ti viene in mente) in loro suscita disprezzo e disgusto. «Nella Riviera, economia vuol dire avarizia», ho sentito dire spesso. Capirai dunque che qui non c'è molta vita sociale.[1]
  • Mio buon Giuseppe mi sento che muojo. Mi renderete un sacro servigio presso i miei amici e parenti, dicendo loro che il mio ultimo pensiero fu per loro, specialmente il giudice, Lord Northbrook e Lord Carlingford. Non trovo parole abbastanze per ringraziare i miei buoni amici per tutto il bene che mi hanno sempre fatto. Non ho risposto alle loro lettere perché non potevo scrivere, perché appena prendevo la penna in mano che mi sentivo morire. [Ultime parole riferite al domestico Giuseppe Orsini][2]
  • [Su Melfi] Un'escursione mattutina mi ha fatto conoscere le bellezze del luogo che è una perfetta oasi di pace, tra tanti scialbi paesaggi. I pittoreschi edifici della città (che sembra occupare la sezione di una più antica area); la valle sottostante, con il il limpido ruscello ed i maestosi castagni; le numerose sorgenti; le innumerevoli cave nelle rocce circostanti. ora adibite a stalle per le capre che si raggruppano in masse scure su rupi sovrapposte; i conventi e le chiese disseminate qui e là nei sobborghi: le case affollate e le solenni guglie del centro abitato; il castello degno dei migliori quadri di Poussin, con la bella torre laterale che domina l'intera scena: non è facile trovare tanti elementi suggestivi in uno spazio così limitato, nemmeno in Italia.[3]

Diario di un viaggio a piedi[modifica]

  • Mi spostavo velocemente attraverso viottoli interminabili delimitati da fichi d'India e aloe, inoltrandomi in profumati aranceti, incontrando via via, tanti alberi di dolcissimi fichi. Reggio è davvero un immenso giardino e, senza dubbio, un luogo di tali delizie, come credo ne esistano pochi altri sulla terra. (Editori Riuniti, 1992, pp. 13-14, [1])
  • Reggio Calabria è un grande giardino, uno dei luoghi più belli che si possano trovare sulla terra.
  • [A Palmi] Da questo posto c'è uno dei panorami per cui i pochi viaggiatori che passano da Reggio a Napoli per terra sono abituati a dare entusiasmatiche lodi; una piatta passeggiata o piattaforma, semi circondata da sedili e da una balaustrata, il ritrovo serale dove si ozia a Palmi, finisce da una parte con un gruppo di chiese e altre costruzioni della città, e dall'altra parte cala a picco nel mare blu, un perpendicolare precipizio coperto di cactus
  • Eravamo quindi diretti a Canolo, che ci era stato descritto dai nostri amici di Gerace come un "luogo tutto orrido, ed al modo vostro pittoresco".
  • A Canolo eravamo obbligati a recarci perché ci era stata descritta dai nostri amici di Gerace come «un luogo tutto orrido, ed al modo vostro pittoresco». (2002, pag. 112)
  • [A Canolo] Il villaggio per se stesso è schiacciato e spinto in un nido di rocce appuntite subito dopo il vasto precipizio che si chiude attorno al Passo del Mercante, e quando da una parte si guarda a questa barriera di pietre, e poi, girando attorno si guarda il mare distante e le colline ondulate, nessun contrasto può essere più rimarchevole. (2002, pag. 113)
  • [A Canolo] All'ora del pranzo, il bravo vecchio Don Giovanni Rosa ci ha divertiti e intrattenuti con la sua amabile semplicità e buona educazione. Lui è stato solo una volta in vita sua (ed ha 82 anni) a Gerace, e mai più in là. «Perché dovrei andare?» ha detto, «Se, quando morirò, come dovrò ben presto, troverò il Paradiso come Canolo, sarò molto felice. Per me «Canolo mio» è sempre stato come un Paradiso — sempre mi sembra Paradiso, niente mi manca». (2002, pag. 114)
  • Lontano, sotto di noi, c'era Casalnuovo, una delle città che sono state ricostruite dai frammenti del fatale periodo di devastazione [...]. Situata sopra la piana, questo moderno e poco pittoresco successore della prima città presenta strade lunghe, affiancate da case basse a un piano, con chiare tegole rosse e nessun lato della sua composizione offre qualcosa da ammirare o caratteristiche pittoresche. (2002, pag. 123)
  • [...] il pomeriggio è passato girando attorno a Casalnuovo per ottenere delle vedute caratteristiche della sua posizione e della grande pianura dove è situato. Questo non è facile; studi di alti ed eleganti oliveti, e ricchi sfondi alla maniera di Claude, sono innumerevoli, ma la scelta fra queste scene è difficile. (2002, pag. 124)
  • [..] siamo saliti a Terranova, una volta la più grande città del distretto, ma completamente distrutta dal terribile disastro del 1783. La vecchia città e completamente distrutta è seppellita negli abissi e sotto spaccature e vallate, e la sua erede è formata da una singola sbandata strada con umili case di apparenza malinconica. Tutta la superficie circostante sembra stravolta e distrutta. (2002, pag. 127)

Escursioni illustrate negli Abruzzi[modifica]

  • [Trasacco, 28 luglio 1843] La pianura di Avezzano, l'azzurro chiaro del lago, Alba e il Velino con le sue belle cime, o sotto il sole oppure adombrati da nuvole passeggere; le montagne lontane oltre Sulmona coperte di neve, il passo brullo di Forca Carusa, la rupe scoscesa di Celano: tutte queste cose assieme, in una splendida mattina italiana, erano uno spettacolo da non potersi guardare senza esserne conquistati. (p. 23)
  • [Trasacco, 28 luglio 1843] Quello che a Trasacco mi è piaciuto di più è stata una vecchia torre, dalla strana forma, quadrata alla base, rotonda nella parte superiore, che dominava in lungo e in largo sul lago, con il Velino dietro di sé in lontananza. (p. 26)
  • Rieti, l'antica Reate (Cramer, Anc. It., I, 314), una città sabina di grande antichità e ora sede del governo di una delle Delegazioni in cui si dividono gli Stati Pontifici, si trova sul Velino, all'estremità di una vasta e fertile pianura , la cui bellezza può essere poco apprezzata solo da un visitatore frettoloso. Dalle varie ville o dai vigneti situati sui fianchi delle colline boscose che circondano da ogni lato la pianura, si possono avere magnifiche vedute della città [...] Credo che ben rare volte ho osservato un panorama più bello di quello che offrono le torri di Rieti e il suo tranquillo contorno di vigneti, come nella mia ultima sera di permanenza. (p. 52)
  • [Celano, 30 agosto 1843] Ricorderò sempre le ventiquattro ore trascorse a Celano con grande piacere; ricorderò la mattina nei freschi prati ai piedi della città, girando tra gli alti pioppi avvolti dalle viti, fino a quando il sole andava a battere sulle immense rocce e costringeva ognuno a ritirarsi sotto i ripari per il fresco; i meriggi senza nuvole quando tutto era tranquillo; le calme sere, così piene di piacevoli avvenimenti; il ritorno al tramonto nella città insieme a gruppi di contadini che trasportavano il loro grano, o insieme a schiere di ragazze, ciascuna delle quali portava sulla testa la conca piena d'acqua, attinta alla pura sorgente ai piedi della roccia.
    Durante la notte, la distesa del lago era calma e lucente, che sembrava d'argento, sotto la finestra del palazzo al chiarore della luna piena; l'antico castello proiettava le sue lunghe ombre sulla città addormentata. (p. 81)

Note[modifica]

  1. Da una lettera a Fortescue del 12 settembre 1873, in Lettere dall'Italia 1837-1887, pp. 147-148
  2. Riportate da Franklin Lushington in una lettera a Lord Carlingford del 6 febbraio 1888; da Lettere dall'Italia 1837-1887, p. 273
  3. Da Viaggio in Basilicata (1847); citato in Ina Macaione, Architetture ecologiche nel turismo, nel recupero, nelle città-natura della Basilicata, Franco Angeli, 1999, p. 24

Bibliografia[modifica]

  • Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi – Reggio Calabria e la sua provincia (25 luglio – 5 settembre 1847), traduzione di Ernesta De Lieto Vollaro e Albert Spencer Mills, Franco Pancallo Editore, Locri (RC), 2002
  • Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi – Reggio Calabria e la sua provincia (25 luglio – 5 settembre 1847), Laruffa editore, Reggio Calabria, 2003. ISBN 88-7221-202-2
  • Edward Lear, Diari di viaggio in Calabria e nel Regno di Napoli, a cura di Graziella Cappello, Editori Riuniti, 1992. ISBN 8835936578
  • Edward Lear, Escursioni illustrate negli Abruzzi, traduzione di Chiara Magni, Edizioni digitali del CISVA, 2007. ISBN 9788866220428
  • Edward Lear, Lettere dall'Italia 1837-1887, traduzione di Sara De Laura e Nicole Portieri, Abramo Editore, Catanzaro, 1991

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