Antonio Cesari

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Antonio Cesari

Antonio Cesari (1760 – 1828), linguista, scrittore e letterato italiano.

Dissertazione sopra la lingua italiana[modifica]

  • [di Francesco Petrarca] Nelle tre canzoni sorelle sopra gli occhi di M. Laura, chi può abbastanza ammirare la fecondità di quell'altissimo ingegno, che da tante parti seppe trar cagione di lodare quegli occhi; e le cose, che pareano lontanissime dal suo argomento, far con maraviglioso artifizio servire ad innalzare quella bellezza?
  • [di Francesco Petrarca] Nella canzone Spirito gentil, non abbiamo noi un'orazione in genere deliberativo delle più belle, per confortar quel tribuno a rivendicare la libertà del popol di Roma, cavandone gli argomenti da' luoghi oratorii della onestà e facilità d'impresa, annullando le forze del contrario partito, e dell'utilità grandissima che al popolo, e della gloria che a lui ne sarebbe seguita. Il medesimo si dica dell'altre due Italia mia, ed O aspettando in ciel, con l'arte medesima lavorate.
  • [di Francesco Petrarca] Ma in quella che comincia Quell'antico mio dolce empio signore (che può appartenere al genere giudicale) in cui il poeta introduce una lite fra sé ed amore dinanzi al tribunale della ragione, non tratta egli i più forti argomenti d'aggravar l'avversario suo di crudeltà, frode e ingiustizia, per concitargli contro l'odio del giudice, e la compassione verso di sé? E nella seconda parte, qual difesa non fa amore della sua causa! come abbatte le ragioni dell'emulo suo, e tutte contra gliele rivolge; amplificando i benefizi a lui fatti, e la gloria a cui, sua mercé, egli era salito! Or non è questa eloquenza?

Citazioni su Antonio Cesari[modifica]

  • Il solo nome del Cesari desta in ogni colto italiano una certa quale reverenza, che non venne mai meno anche in mezzo agli scherni, alle derisioni, alle beffe, colle quali ora da meschini ed or da altissimi ingegni si tentò d'invilirlo. Uscito appena dalle scuole egli trovò la patria lingua assai malconcia, e incattivita per modo, che era sul perdere le natie fattezze. Deliberato a consacrarsi tutto alla restaurazione di essa, non conobbe, non istudiò, non iscrisse, non predicò che la lingua del Trecento; e intorno ad essa spese quarant'anni di fatica. Giunto al termine della sua lunga carriera, e quasi presago dell'imminente sua fine[1], volle compiere l'opera della lingua dettando una specie di testamento letterario, in cui ristrinse le dottrine sparse nelle varie sue opere, onde pe' giovani studiosi servissero di antidoto alle dottrine opposte. (Ambrogio Levati)

Note[modifica]

  1. Nel testo "imminente suo fine".

Bibliografia[modifica]

  • Antonio Cesari, Dissertazione sopra la lingua italiana; citato in Guglielmo Audisio, Lezioni di eloquenza sacra, Giacinto Marietti, Torino 1870.

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