Emanuele Trevi

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Emanuele Trevi

Emanuele Trevi (1964 – vivente), critico letterario e scrittore italiano.

Citazioni di Emanuele Trevi[modifica]

  • Il particolare genio narrativo di Lansdale sta nell'aver trasferito sulla pagina scritta un'esperienza di vita con un'inconfondibile poetica narrativa. (da Alias – Il manifesto)
  • Il rischio di ogni «artivismo», al netto della sua nobiltà di intenti, mi sembra proprio quello di assegnare alla comprensione del mondo (e in particolare delle sue ingiustizie) un valore che, se appartiene indubbiamente alla coscienza di sé e degli altri, difficilmente potrà garantire all'opera la sua durata nel tempo, che è sempre il frutto di un lavoro sulla forma, di un investimento psicologico libero da qualunque presupposto o convinzione ideologica. A differenza dell'attivista puro, con tutte le sue benemerite battaglie, l'«artivista» prima o poi dovrà affrontare il collo di bottiglia della soggettività, perché è questo, da che mondo è mondo, il suo mestiere. E nel momento in cui dà forma alla propria unica e irripetibile visione della vita, nessuna idea collettiva, nemmeno la più nobile e necessaria, è in grado di soccorrerlo, di garantire per lui. (da La militanza dell'arte: Banksy, Ai Weiwei e gli altri nel saggio di Vincenzo Trione, corriere.it, 22 gennaio 2008)
  • Quella di cui godevo in quei giorni afosi, camminando sui larghi marciapiedi di viale Manzoni e di via Merulana al riparo dal fogliame dei platani, era indubbiamente una felicità partorita da un'illusione: l'illusione di un piccolo numero di strade e incroci capace di suggerirmi la sensazione, razionalmente insana, che esistesse per me, come per chiunque altro, un luogo capace di farmi sentire a casa, qualunque disastro fosse in corso o mi pendesse sulla testa. (da Senza verso. Un'estate a Roma)
  • Roma è stata sempre il posto che mi ha dato un metro, nel senso che io sono un centimetro dentro il metro. Invece le altre due cose, i genitori e i figli, una l'ho persa e una non l'ho fatta. Roma, invece, c'è sempre. Io costantemente ragiono anche su quanto i luoghi di Roma sono cambiati rispetto a me nelle epoche della vita, ed è una cosa inesauribile. Mi piace l'Asia, ho scritto dei libri sull'Asia, però, se devo dire come funziona la mia macchina percettiva, questo è il posto. Perché ci sono anche io. La cosa più bella che ho visto nella mia vita, le rovine di Angkor Wat, è un’emozione simile a Roma, soltanto che manca il centimetro mio. Io sono qui. Quello che mi affascina di Roma è che il mio tempo individuale, personale è come sull'abisso di un tempo pazzesco. Roma mi rende evidente il tempo, mi colloca nel tempo. Io non so cos'è il tempo, so cos'è Roma.[1]
  • Si finisce di leggere La terra inumana, il capolavoro di Józef Czapski pubblicato in Francia nel 1949, e inevitabilmente ci si chiede come sia stato possibile non averne mai sentito parlare. Non mi riferisco, ovviamente, agli specialisti di storia e letteratura polacche. Ma nella coscienza comune (se ancora ha un senso l'espressione) questo libro merita di stare accanto ad altre opere irrinunciabili che provengono direttamente dal cuore di tenebra del Novecento: le memorie di Nadežda Mandel'stam, Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati di Primo Levi, Stalingrado e Vita e destino di Vasilij Grossman, La banalità del male di Hannah Arendt... Quando evochiamo questi titoli, e i grandi spiriti che li hanno prodotti, noi proviamo una specie di imbarazzo morale a definirli "capolavori letterari", quasi fosse, quello della loro bellezza, un argomento frivolo, sovrastato dalla loro natura di testimonianze decisive, esercizi radicali di verità, argini al dilagare del Male. Ma si tratta di un equivoco, e tra i tanti meriti della scrittura di Czapski c'è anche quello di aiutarci a dissiparlo. (da È la letteratura la vera voce dei sommersi, La Lettura, 5 marzo 2023, p. 7).

Due vite[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Era una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre di più con l'andare del tempo, al proprio nome. Fenomeno inspiegabile, ma non così raro. Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti aspetti del suo carattere per niente facile suggerivano un'ostinazione, una rigidità da regno minerale. (p. 9)
  • [Su Rocco Carbone] Forte di braccia, gran camminatore, da ragazzino era stato cintura nera di judo. Amava fare, di questa nobilissima arte, certe estemporanee e pericolose dimostrazioni. Ed era davvero impossibile spostarlo, se piantava i piedi a terra come aveva imparato in quei lontani allenamenti sul tatami. (p. 9)
  • [Su Rocco Carbone] Era nato nel febbraio del 1962, in bilico sulla difficile cuspide astrologica Acquario-Pesci, a Reggio Calabria. Ma una buona parte della sua infanzia l'aveva trascorsa in un paesino dell'Aspromonte, Cosoleto: un posto di gente dura, fiera, taciturna, incline a una rigorosa amarezza di vedute sulla vita e sulla morte. La maestra elementare, lì, era sua madre, che in classe lo trattava rigorosamente come gli altri ragazzini, se non in modo ancora più severo – fatto che gli aveva procurato comprensibili sofferenze. Suo padre era stato per molto tempo il sindaco del piccolo paese all'ombra della montagna, circondato da antichi boschi e ruscelli impetuosi che scavano da millenni le loro voragini tra le rocce. (p. 13)
  • [Su Pia Pera] C'è un tipo di saggezza che consiste nell'aspettare la verità come un eremita nel deserto, murato tra le proprie abitudini, insensibile alla mutevole varietà del mondo. Può essere: ma Pia era di tutt'altra razza: cavalleria leggera. Mentre si leccava una ferita, era già risalita in groppa. (p. 69)
  • [Su Pia Pera] Pia, nonostante tutte le apparenze, non era una «ragazza di città». Era nata per piantare semi, zappare, concimare. E se ne era resa conto in tempo. Quello che consideravo un rischio esistenziale per lei, nell'erronea convinzione che sradicarsi da Milano fosse una frustrante e scomoda chimera, si rivelò nel tempo, dopo un necessario apprendistato pieno di fatiche ed errori, un colpo vincente. (pp. 99-100)
  • [Su Pia Pera] Nel 2003 Pia pubblicò il suo primo «libro naturale» (non sono riuscito a scovare una definizione migliore): L'orto di un perdigiorno. È il diario di un anno, mese per mese, stagione dopo stagione. [...] Come si può capire leggendo, Pia ha già imparato molto e d'altra parte ha ancora molto da imparare. Coltiva barbabietole, pomodori, lattuga, cipolle, rucola, radicchi amari e un'infinità di altra ottima roba che la avvicina ogni giorno di più a una specie di autosufficienza alimentare. (pp. 102-103)

Note[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Emanuele Trevi, Senza verso. Un'estate a Roma, edizioni Laterza, 2005.
  • Emanuele Trevi, Due vite, Neri Pozza, Vicenza, 2021. ISBN 978-88-545-2263-3

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