Ennio Flaiano

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Ennio Flaiano negli anni sessanta

Ennio Flaiano (1910 – 1972), scrittore, sceneggiatore, giornalista, critico cinematografico e teatrale italiano.

Citazioni di Ennio Flaiano[modifica]

  • Adesso che mi ci fai pensare, mi domando anch'io che cosa ho conservato di abruzzese e debbo dire, ahimè, tutto; cioè l'orgoglio di esserlo che mi riviene in gola quando meno me l'aspetto, per esempio quest'estate in Canada, parlando con alcuni abruzzesi della comunità di Montreal, gente straordinaria e fedele al ricordo della loro terra. Un orgoglio che ha le sue relative lacerazioni e ambivalenze di sentimenti verso tutto ciò che è Abruzzo. Questo dovrebbe spiegarti il mio ritardo nel risponderti; e questo ti dice che sono nato a Pescara per caso: c'era nato anche mio padre e mia madre veniva da Cappelle sul Tavo. I nonni paterni e materni anche essi del Teramano, mia madre era fiera del paese di sua madre, Montepagano, che io ho visto una sola volta di sfuggita, in automobile, come facciamo noi, poveri viaggiatori d'oggi... Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora nu cristiane), la benevolenza dell'umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie; e cioè quel sempre fermarmi alla prima impressione e non cambiare poi il giudizio sulle persone, accettandole come sono, riconoscendo i loro difetti come miei, anzi nei loro difetti i miei. Quel senso ospitale che è in noi, un po' dovuto alla conformazione di una terra isolata, diciamo addirittura un'isola (nel Decamerone, Boccaccio cita una sola volta l'Abruzzo, come regione remota: «Gli è più lontano che Abruzzi»); un'isola schiacciata tra un mare esemplare e due montagne che non è possibile ignorare, monumentali e libere: se ci pensi bene, il Gran Sasso e la Majella son le nostre basiliche, che si fronteggiano in un dialogo molto riuscito e complementare... Bisogna prenderci come siamo, gente rimasta di confine (a quale stato o nazione? O, forse, a quale tempo?), con una sola morale: il lavoro. E con le nostre Madonne vestite a lutto e le sette spade dei sette dolori ben confitte nel seno. Amico, dell'Abruzzo conosco poco, quel poco che ho nel sangue.[1]
  • È probabile che un giorno il successo convincerà Carmelo Bene di aver sbagliato tutto. Il successo può arrivare fatalmente, in una "civiltà di consumi" che adotta e riconosce con furia come proprie, le novità che appena ieri riteneva aliene e sovvertitrici. (6 aprile 1967)[2]
  • [Sui filosofi marxisti] Il Platone d'esecuzione.[3]
  • Io credo nella necessità di una certa follia [...] Carmelo Bene mette nel suo amore per il teatro una notevole mancanza di raziocinio, ed è per questo che i suoi spettacoli, persino al limite dell'indignazione, hanno qualcosa di impensabile e di affascinante. [...] C'è insomma in Carmelo Bene, una volta avviato il giuoco, quasi il proposito di soffocare le sue felici intuizioni nella routine del bizzarro [...] Detesto chi fa i baffi alla Gioconda, ma non ho niente da dire a chi la prende a pugnalate. (15 marzo 1964)[4]
  • Io, quando leggo Brera, non lo capisco.[5]
  • L'Italia è un paese dove sono accampati gli italiani.[6]
  • L'uomo è un animale pensante, e quando pensa non può essere che in alto. È questa la mia fede. Forse l'unica. Ma mi basta per seguire ancora con curiosità lo spettacolo del mondo.[7]
  • La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia.[8]
  • La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé.[9]
  • Nel film Egli camminava nella notte, diretto da Alfred Werker e interpretato dall'attore Basehart, il «nuovo» delinquente senza passioni ha toccato il suo culmine, indicandoci un lato nuovo della sua personalità, anzi la chiave. Il protagonista risulta difatti «inafferrabile» so! perché ha fatto parte della polizia, ne conosce i sistemi e li attua a suo vantaggio. Si può andare oltre, su questa strada? All'assassino romantico e casuale, si sostituisce l'assassino che ha fatto i suoi studi e lavora con serietà professionale, e con una punta di spirito polemico; al poliziotto dilettante subentra la squadra mobile, col suo apparato scientifico, i suoi schedari, la sua rete di informatori.[10]
  • Nel film I migliori anni della nostra vita rivediamo al lavoro Wyler, il regista di Calunnia e di Cime tempestose. Lo rivediamo al lavoro con gran piacere perché Wyler è uno dei pochi direttori intelligenti che non hanno lasciato trascorrere invano gli anni dal '40 ad oggi. Voglio dire, che ne hanno afferrato perlomeno il senso, se hanno un senso, se significano qualcosa questi anni trascorsi a rivedere le definizioni. Cos'è rimasto in piedi di ciò che pensavamo, che credevamo definito allora per sempre? Molte idee sono scomparse, altre sono in riparazione, e altre il tarlo del dubbio le sta riducendo come colabrodi.[11]
  • Oggi il cretino è pieno di idee.[12]
  • Ogni tanto, in quei melanconici tornei per letterati si ripete la domanda: Quali autori salvereste? oppure: in quale epoca vorreste vivere? Le opinioni dei letterati sono varie, oscillano da Dante a Panzini, dal Settecento al 1910, ma il pubblico del cinema ha già scelto: salverebbe i «romantici», vorrebbe vivere in quell'epoca felice che è il «sogno». Così si spiega l'insuccesso che ottengono da noi i nostri migliori film realistici («... viviamo già fra tante brutture che...») e il successo di libri e di film come Ritratto di Jennie, dove la Delicatezza vince la logica e dove i Diritti dell'Anima, sostenuti con scarso pudore, s'impongono persino su una platea romana in piena digestione.[13]
  • Non mi interesso di moda se non per capire il nostro immediato futuro, per me la moda è l'autoritratto di una società e l'oroscopo che essa stessa fa del suo destino.[14]
  • Per lui sono come una Coca-cola, Fellini mi infila una cannuccia dentro e aspira tutto.[15]
  • Prendete una tela, laceratela, lavatela, mettetela ad asciugare in una galleria assieme a un cane. Un critico vi spiegherà perché l'avete fatto, e che cosa avete fatto. Legate vostra madre a una catena, denudatela, aspettate i fotografi. Se vostra madre piange o protesta, chiamate il critico di turno. Le spiegherà che sta lavorando per la liberazione della donna. Se qualcuno lega voi a una catena e vi denuda, non allarmatevi. State lavorando per la libertà del terzo mondo o per la vostra stessa dignità.[16]
  • Questi Centomila dollari vengono a darci un altro colpo nel mazzetto di illusioni che conserviamo per le sorti del nostro cinematografo. Camerini è un regista che si è sempre salvato dal mare delle tentazioni e dei lenocini e ora invece ci casca anche lui a piedi uniti. Nel suo film si parla di pengos, di dollari, di amore ungherese, ma si capisce che l'Ungheria c'entra per ragioni che col film hanno poco da fare. Vi si vedono attori e paesaggi chiaramente italiani dati per stranieri con un'impudenza che consola [...]. Di Camerini ci sono piaciuti quei suoi film "fatti in casa", buoni, con personaggi umili e discreti, vaganti in appartamenti di tre camere e cucina, presi in lacci amorosi scioglibili presto e con poca spesa.[17]
  • Se i popoli si conoscessero meglio, si odierebbe­ro di più.[18]
  • [... Giuseppe Patroni Griffi] se la prende col pubblico di "malpensanti" che va a vedere gli spettacoli di Carmelo Bene nella speranza di assistere ad uno scandalo, come se per assistere ad uno scandalo, in questo paese, sia indispensabile andare a teatro. (19 aprile 1964)[19]
  • Si sono visti registi e autori dedicarsi a colpi di mano e azioni da commandos per trafugare e trasportare un film, mettendo a repentaglio anche i loro yachts personali [...]. Affinché la protesta fosse totale, costoro hanno chiesto e ottenuto l'adesione dei metalmeccanici. [...] Rileggevo giorni fa Machiavelli e di colpo ho avuto questa modesta illuminazione: non sono gli italiani che vanno verso "la sinistra", è la sinistra che va verso gli italiani, i quali sono inamovibili come la montagna di Maometto. Essi faranno la sinistra a loro immagine e somiglianza. Cioè, molto elegante.[20]
  • Tuttavia Roma è la mia città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l'enorme garage del ceto medio d'Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un'estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi.[21]
  • Voglio aggiungere che bisogna essergli [a Federico Fellini] grati di averci dato, con La dolce vita, una lezione di fede e di coerenza artistica. La morale del film è in fondo questa. E potrebbe essere riassunta con due versi di Cardarelli: «La speranza è nell'opera | Io sono un cinico che ha fede in quel che fa».[22]
  • Vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri.[12]

Attribuite[modifica]

  • Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore.[23]
[Citazione erroneamente attribuita] Riportando le parole dello stesso Flaiano: "Bruno Barilli scrisse: «L'italiano vola in soccorso del vincitore»"[24]. Si veda anche l'articolo Cagliostro apparso su Il Mondo il 4 giugno 1949: "La verità è che molti italiani sono soltanto degli ottimi e incondizionati ammiratori: e questa loro tendenza è aggravata da quell'altra tendenza mirabilmente intuita da Bruno Barilli con queste parole che ricaviamo da un Suo vecchio scritto: «Gli italiani volano in soccorso del vincitore»." Una frase simile è presente ne Il paese del melodramma di Barilli: "Voi volate sempre in soccorso del vincitore".
  • Ho poche idee, ma confuse.[25]
[Citazione erroneamente attribuita] La frase in realtà è di Mino Maccari. La citazione completa infatti riporta: «Poco dopo incontro Mino Maccari, cupo, che mi confida: "Ho poche idee, ma confuse"».[26]
  • I fascisti (in Italia) si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti.[27]
[Citazione erroneamente attribuita] Nei suoi scritti Flaiano attribuisce apertamente la citazione a Mino Maccari.
[Citazione erroneamente attribuita] In verità Flaiano cita André Malraux.
[Citazione erraneamente attribuita] Come specificato da Flaiano stesso, si tratta in realtà del titolo di un articolo pubblicato anni prima da un giornale romano.

Autobiografia del Blu di Prussia[modifica]

  • Da quando l'uomo non crede più all'inferno, ha trasformato la sua vita in qualcosa che somiglia all'inferno. Non può farne a meno.[30]
  • I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
  • Il pensare ai buoni momenti del passato non ci conforta perché siamo convinti che oggi li sapremmo affrontare con maggiore intelligenza e trarne migliore profitto.
  • In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All'occorrenza essere capaci di andare a letto con la propria moglie.
  • L'unico modo di trattare una donna alla pari è desiderarla come uomo.[31]
  • L'uomo molto ricco deve parlare sempre di poesia[31] o di musica ed esprimere pensieri elevati, cercando di mettere a disagio le persone che vorrebbero ammirarlo per la sua ricchezza soltanto.
  • La castità è il miraggio degli osceni.
  • La pornografia è noiosa perché fa del pettegolezzo su un mistero.
  • La serietà è apprezzabile soltanto nei fanciulli. Negli uomini saggi è il riflesso della rinuncia.
  • Sei stato condannato alla pena di vivere. La domanda di grazia, respinta.
  • In questa casa signorile con doppi servizi | visse e operò tenacemente | Alberto Moravia | che a supremo fastigio dell'arte sua | la Noia ponendo | in novelle innumerevoli la profuse. (Rizzoli, 1974, p. 120)

Taccuino del Marziano[modifica]

  • Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà.
  • Il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura.[32]
  • Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso.[33]
  • L'arte è un investimento di capitali, la cultura un alibi.[34]
  • L'avarizia è la forma più sensuale di castità.[31]
  • L'evo moderno è finito. Comincia il medio-evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato.[34]
  • Quando la vanità si placa l'uomo è pronto a morire e comincia a pensarci.[34]
  • Una volta il rimorso veniva dopo, adesso mi precede.[31]

Diario degli errori[modifica]

  • Afflitto da un complesso di parità. Non si sente inferiore a nessuno. (in treno verso Firenze, settembre 1965)
  • Aspettando tempi migliori, che non vengono mai. (Bologna, aprile 1956)
  • Cercava la verità nella fica: e tutto quello che otteneva, era di addormentarcisi sopra – dopo. (1965)
  • Chi mi ama mi preceda. (23 aprile 1965)[35]
  • I capolavori oggi hanno i minuti contati.[36]
  • I versi del poeta innamorato non contano.
  • In amore gli scritti volano e le parole restano. (23 aprile 1965)
  • L'amore è una cosa troppo importante per lasciarla fare agli amanti[37]
  • L'italiano è una lingua parlata dai doppiatori.
  • La civiltà del benessere porta con sé proprio l'infelicità.
  • La Natura è un catalogo di mostruosità che tendono a conservarsi e a riprodursi. L'Uomo può essere spiegato come un errore della Natura perché riuscirà a distruggerla, insieme a se stesso.
  • Le razze esistono in quanto esseri umani nascono con attitudini ereditarie diverse e trasmettono ai loro eredi queste attitudini; che diventano filosofia, comportamento, modo di intendere la vita, la passione e il prossimo; e che di fronte a ogni situazione reagisce secondo la memoria ereditaria inconscia.
  • Mondrian, pittore realista. L'Olanda è come Mondrian la dipinge. L'equivoco è nel credere che Mondrian sia un pittore astratto. Case bianche o nere, con strisce bianche o nere e finestre rosse e blu. Linee orizzontali del paesaggio. Canali, strade, dighe.
  • Noi viviamo – grazie a Dio – in un'epoca senza fede.
  • Non c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla.
  • Ormai non desidero che ciò che mi offrono ripetutamente.
  • Si può chiedere tutto e l'avrai, poco e non l'avrai.
  • Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole.
  • Un giovane va incontro alla vita: cioè, è la vita che da dietro lo spinge.
  • Un libro sogna. Il libro è l'unico oggetto inanimato che possa avere sogni. (1965)
  • Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l'errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un'altra verità altrettanto valida, e l'errore un altro errore.

Diario notturno[modifica]

Taccuino 1946[modifica]

  • Le difficoltà di un'arte appaiono negli esemplari meno riusciti o addirittura cattivi di essa, i buoni danno invece la certezza di una facile riuscita, proprio perché tutto vi è risolto e la fatica non appare. (1994, p. 11)
  • Vista dall'alto, la battaglia sembrava una scampagnata. Le tragedie, come i quadri, vogliono la giusta distanza. (1994, p. 12)
  • Se Madame Bovary avesse letto Madame Bovary non avrebbe frenato le sue fantasticherie? I veri libri immorali sono dunque quelli che trattano la vita in rosa e non quelli che ne dipingono gli errori e gli eccessi. Ovvero, non c'è peggior pornografia di quella sentimentale. (1994, p. 12)
  • Niente di più triste di un artista che dice: «Noi pittori», oppure: «Noi scrittori»; e sente la sua mediocrità protetta e confortata da tutte le altre mediocrità, che fanno numero, società, sindacato. (1994, pp. 12-13)
  • [...] sono più pronto a legarmi ad un amico per solidarietà coi suoi difetti, tra i quali l'intelligenza. (2002, p. 113)
  • Certi vizi sono più noiosi della virtù. Soltanto per questo la virtù spesso trionfa. (2002, p. 114)
  • Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà. (2002, p. 114)
  • Un tale che si apparta e che si difende a priori, quando cioè nessuno pensa di offenderlo, suggerisce ai suoi nemici l'offesa, l'attentato, perché ammette di temerli. Anche in questo caso è la richiesta che provoca l'offerta. (I tiranni; 1994, p. 24)

Taccuino 1951[modifica]

  • Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del modulo "H". Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all'ufficio competente, che sta creando. (2002, pp. 142-143)
  • [Gli italiani] Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati...[38] (1994, p. 43; 2002, p. 143)
  • Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che «vuole» piena soltanto di volontà (non la «buona volontà» kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz'altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell'arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell'ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell'adulazione, impassibili davanti ad ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi. (1994, pp. 48-49)
  • In realtà, l'uxoricida è quasi sempre un matricida ritardatario. (1994, p. 56)

Taccuino 1954[modifica]

  • «A causa del cattivo tempo, la Rivoluzione è stata rinviata a data da destinarsi». (2002, p. 163)
  • Furono insomma quei sorrisi a convincermi che Orwell ha sbagliato il suo 1984, mostrandoci, sotto la dittatura, un'umanità tetra e spaurita. Non è così: nelle dittature popolari tutti sorridono, sempre. Si può obiettare: Meglio! – Nient'affatto. La condanna a sorridere è più feroce, insopportabile, agghiacciante di quella ideata dallo scrittore inglese, che ci permetterebbe almeno di restare seri. Se ne può dedurre che Orwell non aveva grande immaginazione, tale da superare la realtà di una dittatura. Non ha saputo vedere quel che un semplice funzionario della Propaganda sovietica ha realizzato: i «suoi» personaggi costretti a dormire con la paura che il loro sorriso possa spegnersi nel sonno. (1994, pp. 64-65)
  • La situazione politica in Italia è grave ma non è seria. (2002, p. 165)
  • [...] gli italiani sono irrimediabilmente fatti per la dittatura. (2002, p. 165)

Taccuino 1955[modifica]

  • Rapida visita alla Quadriennale. La buona volontà sostituisce spesso l'ingegno. I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui. Nella maggior parte, non hanno niente da dire ma lo dicono lo stesso e corrono avanti per non restare indietro, fastidiosamente, come i cani nelle passeggiate, spaventando i gatti e abbaiando alle automobili. (1994, p. 72)
  • Era addetto a leggere articoli e racconti in un giornale letterario. Ricevette una lettera d'amore: non gli piacque ma, con qualche taglio e rifacendo la fine, poteva andare. (2002, p. 177)
  • Certo, certissimo, anzi probabile. (2002, p. 186)
  • Solo la verità contiene abbastanza fantasia. (1994, p. 93; 2002, p. 193)

Taccuino 1956[modifica]

  • Decise di cambiar vita, di approfittare delle ore del mattino. Si levò alle sei, fece la doccia, si rase, si vestì, gustò la colazione, fumò un paio di sigarette, si mise al tavolo di lavoro e si svegliò a mezzogiorno. (1994, p. 121)
  • I fascisti sono una trascurabile maggioranza. [...] Un giorno il fascismo sarà curato con la psicoanalisi. (1994, p. 125)
  • "E vissero sempre infelici e scontenti." Così, per non ingannare il suo bambino termina le favole. (2002, p. 225)
  • Quando un tale mi dice: «Ho un'idea» e insiste per esporla, so di che si tratta: di un'idea che resterà nel suo bozzolo. Tutti hanno idee, ma il difficile sta proprio nel domarle, nel mettersi a tavolino e vincere lo sgomento della carta bianca, l'indifferenza delle parole che non vogliono collaborare, la piattezza delle frasi che escono bell'e fatte, l'ipocrisia delle buone soluzioni. Oh, il difficile non sta nel drizzare l'uovo di Colombo, ma nel covarlo. (1994, p. 135)
  • L'artista oggi rifiuta ogni paternità. Ogni tanto per qualcuno si mormora un nome, come per quei trovatelli di paese che, sulla scorta di una lusinghiera rassomiglianza, vengono attribuiti al ricco nobiluomo locale, che non ne sa niente e vive la maggior parte dell'anno in città. (2002, p. 236)
  • Ha una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi progetti per il passato. (1994, p. 138; 2002, p. 238)
  • Perché il teatro non è molto popolare in Italia? Forse perché gli italiani sono tutti ottimi commediografi. (Teatro in casa; 1994, p. 144)
  • La sera prima della battaglia, il colonnello chiamò i suoi ufficiali e disse loro: «Signori, "militare" è un aggettivo che seguendo il sostantivo ne peggiora il significato. Noi rispettiamo lo Stato, ma temiamo lo Stato militare; amiamo la Vita, sopportiamo la vita militare; ammiriamo il Genio, ma il genio militare non ha fatto i ponti. Stanotte alle tre avremo una sveglia militare, un caffè militare e una marcia verso il fiume. Poi: per alcuni l'ospedale militare, per altri un cimitero militare e per altri ancora una medaglia al valor militare. Conto sul vostro umorismo. Signori, siete in libertà». (Don Giovanni e altri; 1994, p. 159)
  • Il personaggio prudente muore a tempo, ci coglie di sorpresa e ci lascia a rimpiangerlo. La morte lo fissa nel momento migliore, trascorso il quale c'è la mediocrità della sopravvivenza. (Don Giovanni e altri; 1994, p. 160)
  • Si levò dal letto: era bruttissima. Passò un'ora davanti allo specchio a farsi brutta. (2002, p. 260)
  • [In una tragedia] L'essere in tanti, dispensa ognuno dall'ipocrisia di una partecipazione troppo personale; la lunga scena fa il resto. (1994, p. 163)

Don't Forget[modifica]

  • C'è gente che eredita la fede, come eredita i terreni, il casato, i titoli nobiliari, il denaro, una biblioteca e il castello.[31] Fede per censo, ereditaria.[39]
  • Devoto: Fra 30 anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione.[40]
  • In questi tempi l'unico modo di mostrarsi uomo di spirito è di essere seri. La serietà come solo umorismo accettabile.[39]
  • Quando l'uomo non ha più freddo, fame e paura è scontento.
  • Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell'arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d'altronde non rispetta lui. Non ama l'amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l'ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre. Le madri sono generalmente fasciste.[39]

Fine di un caso[modifica]

  • [...] Roma è una citta eterna non per le sue glorie, ma per la capacità di subire le barbarie dei suoi invasori, di cancellarle col tempo, di farne rovine. (p. 188)
  • [...] nel nostro paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno. (p. 201)

Frasario essenziale per passare inosservati in società[modifica]

  • L'avarizia è la forma più sensuale di castità. (1993, p. 7)
  • In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All'occorrenza essere capaci di andare a letto con la propria moglie. (1993, p. 8)
  • Si battono per l'Idea, non avendone. (1993, p. 15)
  • Famiglia romana con padre liberale e figlio mag­giore comunista, minore fascista, zio prete, ma­dre monarchica, figlia mantenuta: si sfidano tut­ti gli eventi. (1993, p. 15)
  • La tromba al finale. La tromba allude sempre all'Apocalisse. (1993, p. 21)
  • Ci deve essere qualcosa di più noioso dei libri che si scrivono sulla Cina: la Cina stessa. (1993, p. 29)
  • Hong Kong, ovvero la Cina vista dal buco della serratura. (1993, p. 31)
  • Capire la Cina non è soltanto impossibile, ma inutile. (1993, p. 33)
  • Bergman: tanto silenzio per nulla. (1993, p. 34)
  • Antonioni: Tempesta in un bicchier d'acqua minerale. (1993, p. 34)
  • A New York attenti al comunista quasi sempre è un intellettuale che ama l'Italia e la France, e pensa che ci sia molto da fare in un paese dove il potere è in mano alla Borsa, ma in realtà ai sindacati. (1993, p. 35)
  • In Italia, diceva un americano ad un altro, i polli girano crudi per istrada. (1993, p. 35)
  • L'omosessualità per la classe povera non è un vizio ma un modo per accedere alle classi superiori. (1993, p. 42)
  • Iscrivetevi al Partito comunista. Vantaggi: sarete temuti e rispettati; libertà privata totale; ampie possibilità per il futuro; viaggi in comitiva; nessuna perdita in caso di persistenza del Sistema; guadagno in caso di rivoluzione (almeno per i primi tempi); colloquio con i giovani; ammirazione del ceto borghese; ampie facilitazioni sessuali; possibilità di protesta; rapida carriera; firme di manifesti vari; impunità per delitti politici e di opinione; in casi disperati, alone di martirio. (1993, p. 51)
  • Lo sceneggiatore è un tale che attacca il padrone dove vuole l'asino. (1993, p. 54)
  • L'inferno, che l'italiano si ostina a immaginare come un luogo dove, bene o male, si sta con le donne nude e dove con i diavoli ci si mette d'accordo.
  • Diavolo, vado bene di qui per l'inferno?
    – Sì, sempre storto. (1993, p. 41)
  • Abbia la compiacenza di parlarmi con dolcezza. (1993, p. 97)
  • La psicanalisi è una pseudo-scienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi come i cattolici. (1993, p. 102)
  • Se lei si spiega con un esempio non capisco più niente. (1993, p. 109)
  • L'oppio è ormai la religione dei popoli.[41] (1993, p. 137)
  • Moravia ha raggiunto il perfetto equilibrio: sua moglie scrive meglio di lui e la sua amante peggio. (1993, p. 139)
  • Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere.
  • La pubblicità unisce sempre l'inutile al dilettevole.
  • La religione è finita. Non c'è più nessuno che si vanti di aver portato a letto una suora.
  • Leggere è niente, il difficile è dimenticare ciò che si è letto.
  • Mi spezzo ma non m'impiego.
  • Pasolini vuol soltanto morire in odore di pubblicità.[42]

Il gioco e il massacro[modifica]

  • Bisogna amare soltanto Iddio e odiare soltanto se stessi.
  • Ci sono molti modi di arrivare, il migliore è di non partire.
  • Il miliardo non è più quello di una volta.
  • Il traffico ha reso impossibile l'adulterio nelle ore di punta.
  • Il vero psicanalista delle donne è il loro parrucchiere.
  • L'Inferno di Dante è pieno di italiani che rompono i coglioni agli altri.
  • La guerra è un happening, e questo spiega il successo che ha sempre avuto.
  • La pubblicità fa più danni della pornografia perché unisce l'inutile al dilettevole.
  • La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia.
  • Le avanguardie si trovano spesso ad essere superate dal grosso dell'esercito.[39]
  • Lei è comunista, io sono aristocratico, dunque tutti e due odiamo il popolo la differenza è che lei riesce a farlo lavorare. (1999, p. 66)
  • Nell'amore di gruppo c'è almeno il vantaggio che uno può dormire.[43]

La saggezza di Pickwick[modifica]

  • Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un'eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un'idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un'idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo. (p. 99)
  • I nomi collettivi servono a far confusione. «Popolo, pubblico...». Un bel giorno ti accorgi che siamo noi. Invece, credevi fossero gli altri. (p. 101)
  • Sapevamo che la sola durevole felicità che ci è concessa è la morte. Ma se ne è fatto un tale parlare, che ora la detestiamo. (p. 106)
  • Anche il progresso, diventato vecchio e saggio, votò contro.[44]

La solitudine del satiro[modifica]

Incipit[modifica]

Queste note, scritte in vari momenti, non sono qui in ordine cronologico. Quello che volevo ricordare è una strada, un film, un vecchio poeta: cose disparate che si mescolano poco chiaramente non solo nella memoria ma anche in un diario. I salti di tempo hanno dunque una loro ragione.

Giugno 1958
Sto lavorando, con Fellini e Tullio Pinelli, a rispolverare una nostra vecchia idea per un film, quella del giovane provinciale che viene a Roma a fare il giornalista. Fellini vuole adeguarla ai tempi che corrono, dare un ritratto di questa "società del caffè" che folleggia tra l'erotismo, l'alienazione, la noia e l'improvviso benessere. È una società che, passato lo spavento della guerra fredda e proprio per reazione, prospera un po' dappertutto. Ma qui a Roma, per una mescolanza di sacro e di profano, di vecchio e di nuovo, per l'arrivo massiccio di stranieri, per il cinema, presenta caratteri più aggressivi, sub-tropicali. Il film avrà per titolo La dolce vita e non ne abbiamo scritto ancora una riga; vagamente prendiamo appunti e andiamo in giro per rinfrescarci i luoghi nella memoria. In questi ultimi tempi Roma si è dilatata, distorta, arricchita. Gli scandali vi scoppiano con la violenza dei temporali d'estate, la gente vive all'aperto, si annusa, si studia, invade le trattorie, i cinema, le strade, lascia le sue automobili in quelle stesse piazze che una volta ci incantavano per il loro nitore architettonico e che adesso sembrano garages.

Citazioni[modifica]

  • Giugno 1958
    Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti [i paparazzi]. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film [La dolce vita] ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ha ben chiaro in testa il personaggio, ne conosce il modello: un reporter d'agenzia. (p. 13)
  • I grandi premi non vengono mai dati allo scrittore, ma ai suoi lettori. Poveracci, se li meritano. (p. 18)
  • Il successo alla moda si ottiene con la pubblicità e si paga con la prostituzione alla folla. Invertendo l'ordine dei fattori il successo non cambia, diventa forse più duraturo, perché "sofferto". Il successo ottenuto col merito e pagato con l'indifferenza annoia il grosso pubblico e, da qualche tempo in qua, anche gli altri. (p. 19)
  • Oh, com'è bello sentirsi profondamente intelligenti, per il Sesso sdilinquersi, per la Donna restare indifferenti... Rispondere a ogni inchiesta, avere sempre un'opinione, sottoscrivere una protesta, spiegare la situazione... Oh, com'è bello orientarsi con la moda che passa, continuamente rifarsi alla cultura di massa... Giurare sull'arte impegnata, ripetere che l'Industria è bella, e chiudere la giornata con un colpo di rivoltella... (p. 21)
  • «E ci dica, signorina, lei è stata sempre così bella, anche da ragazza?»
    «Oh, no, da ragazza ero piuttosto bruttina, tanto che i miei decisero di farmi studiare. Frequentai così tre anni di scuola media, ripetendo per guadagnar tempo, finché a sedici anni migliorai fisicamente.»
    «E questo le permise di abbandonare gli studi e di darsi alla prostituzione.»
    «Sì, infatti.»
    «Dunque possiamo dire che anche lei ha dovuto lottare per affermarsi!» (p. 34)
  • A chi può interessare.
    «Veniamo alla nostra ultima domanda: per trenta denari lei deve dirci dove si trova ora esattamente Gesù il Nazareno.» «Nell'orto dei Getsemani.» «La risposta è esatta!» (Applausi) «Andiamo, guardie!» (Escono). (p. 36)
  • Per i più piccini. Un topo, caduto in una trappola, si dibatteva furiosamente: «Niente equivoci,» disse il topo a quelli che stavano a guardarlo «io non mi batto contro la trappola, che va benissimo, ma per la cattiva qualità del formaggio». Questa la tesi che i comunisti ci hanno offerto per spiegare la rivoluzione ungherese, informandoci che hanno già provveduto a migliorare la qualità del formaggio e a rinforzare la trappola. (pp. 50-51)
  • J. P. Sartre: passa l'esistenza a entrare e a uscire dal partito comunista. (p. 61)
  • Mi telefona un tale per dirmi che sta facendo una piccola inchiesta e vorrebbe che gli rispondessi a questa domanda: di che nazionalità vorrei essere se non fossi italiano.
    [...] La sua domanda è senza risposta. Si consoli pensando che per molti l'italiana non è una nazionalità, ma una professione. (p. 63-64)
  • Roma città corrotta? Non credo: troppi impiegati. Sarebbe una corruzione fondata sull'anticipo degli arretrati, su una ferma richiesta di aumenti e sull'anticipo della liquidazione. Ed è mai possibile? (p. 76)
  • Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità. (p. 77)
  • Pena e sospetto che suscitano le persone normali in un mondo dove interessa soltanto l'Eccezionale, in tutte le sue varietà. Così nell'uomo probo si è portati a vedere la canaglia di domani, o una canaglia che si nasconde, mentre nella canaglia di oggi si scopre un motivo di emozione. Abele viene sottoposto all'autopsia del cervello, Caino è invitato a scrivere le sue memorie. (p. 111)
  • Leggere è niente, il difficile è dimenticare ciò che si è letto.[45] E ormai non sono più gli autori ad allontanarsi dai loro libri, ma i lettori. (p. 133)
  • Fine di intervista. «Lei crede che la televisione abbia abbassato il livello culturale del pubblico?» «No, credo che abbia abbassato il livello culturale degli intellettuali.» «Se dovesse definire in poche parole il dramma della vita moderna? «Il dramma della vita moderna è questo: tutti cercano la pace e la solitudine. E per il fatto stesso di cercarle, le scacciano dai luoghi dove si trovano.» «E adesso una domanda indiscreta: perché scrive così poco?» «Caro signore, io non ho una vocazione narrativa. Scrivo, che è una cosa molto diversa». (p. 143-144)
  • Per l'aumentato benessere medio l'uomo e la donna si vanno orientando verso una morfologia utilitaria. Nelle classi giovani circolano già i modelli che verranno prodotti in larga serie nel futuro; uomini agili, sicuri, di buon affidamento e di basso consumo; donne di media statura, di facile manutenzione e dalle prestazioni standard. Lievi differenze nelle rifiniture. La natura fa ancora pochi esemplari di uomini e donne lusso, destinati allo spettacolo e al consumo collettivo d'informazione, alla pubblicità, ai rotocalchi. (p. 158)
  • Da ragazzo ero anarchico, adesso mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello Stato vengano rispettate da chi governa (1996, p. 158)
  • La pederastia ha certo i suoi attivisti simpatizzanti, ma anche un gran numero di mercenari, una specie di manovalanza fornita adesso anche dalle zone rurali. Non suscita grandi turbamenti spirituali, solo pettegolezzi e qualche orribile fatto di cronaca. I pederasti "responsabili" hanno questo difetto: che singolarmente sono quasi tutti simpatici, svegli, intelligenti, attratti dalle arti, studiosi; messi insieme ricordano un po' gli alpini e i gitanti, che fanno subito gruppo, si mettono a cantare in coro o a parlare in dialetto: insopportabili. (1996, p. 267)
  • La crisi della cultura. C'è sempre stata: Shakespeare non sapeva il greco e Omero non sapeva l'inglese.[46]
  • L'immaginazione al potere. Ma quale immaginazione accetterà di restarvi?[46]
  • A proposito di un film di Sordi e Manfredi sull'Africa, che mi è piaciuto per la giustezza di un'osservazione di fondo, questa: l'italiano, nella sua qualità di personaggio comico, è un tentativo della natura di smitizzare se stessa. Prendete il Polo Nord: è abbastanza serio preso in sé. Un italiano al Polo Nord vi aggiunge subito qualcosa di comico, che prima non ci aveva colpito. Il Polo Nord non è più serio. La vastità della superficie ghiacciata è eccessiva. A che serve? Perché? Non si può far niente per rimediare? Pensa il personaggio comico italiano.
    La savana, la giungla, i grandi spazi dell'Africa: due italiani bastano a corromperli. «Dottore!», «Ragioniere!» Non rinunciano ai loro titoli, guardano i grandi spazi, vi si perdono, li percorrono senza convinzione, dubbiosamente, «Con lei in Africa non ci vengo più» eccetera. Quando due italiani si incontrano per caso all'estero, la loro prima reazione è un gran ridere. «Che fai qui?...» «E tu?» Infatti si suppone che se sono fuori casa è per motivi essenzialmente comici: il lavoro, la noia, una curiosità piena di riserve, le donne, i piaceri eccetera. (p. 160)
  • Quando certi uomini di teatro sollecitano la partecipazione viva del pubblico ai loro spettacoli dovrebbero meditare sui pericoli cui vanno incontro. (p. 162)
  • Una volta in un aereo di linea capitai di posto accanto a un giovane prete che volava per la prima volta. Era entusiasta e ciarliero. Mi disse che volando l'uomo realizza inconsciamente la sua più grande aspirazione spirituale, quella di essere assunto in cielo. Gli feci osservare che le assunzioni sono di prima classe o turistica. (p. 164)
  • Un critico d'arte chiese a Giorgio Morandi se era mai stato all'estero. Intendeva controllare le fonti della sua ispirazione. «Sì,» disse Morandi «ma non ci ho mai dormito.»
  • Si chiamava Libertà. Un giorno scese per strada e prese a interrogare la gente che incontrava. Le risposte che ebbe furono di questo genere: «Fatevi i fatti vostri. – Non te ne incaricare. – Impicciati per te. – Lascia perdere. – Chi te lo fa fare? – Te l'ha ordinato il medico? – Ti pagano per questo? – Sei stanca di campare? – Ti puzza di vivere? – Attacca l'asino dove vuole il padrone. – Non fare la stupida. – Non ti mettere nei guai. – Gli stracci vanno per aria. – Passata la festa gabbato il santo. – L'oro non si macchia. – Sta' coi frati e zappa l'orto».
    Libertà disse: «Questa gente è molto saggia, non ha bisogno di me». Infatti cominciò a uscire meno e un giorno annunciò che se ne andava. Ai giornalisti che l'assediavano per conoscere i motivi della sua decisione rispose in modo alquanto enigmatico. Disse sorridendo: «La libertà va tenuta in continua riparazione». (p. 170)
  • Tutto ciò che è fuori della letteratura, all'inverso, è propaganda, od ossequio alla moda. (p. 186)
  • Le dittature hanno questo di buono, che sanno farsi amare. (p. 186)
  • Il tiranno più amato è quello che punisce per una sua esclusiva ragione, la ragione che riguarda la propria esistenza. (p. 187)
  • […] le dittature hanno infine scoperto la magnanimità. Esse condannano a morte i loro nemici (il mondo freme e sussulta), e il giorno dopo li graziano. Così il mondo respira di sollievo, scodinzola di riconoscenza e rovescia altro amore sulle magnanime dittature. (p. 187)
  • Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell'arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia.
    In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete d'arabeschi. (p. 207)
  • Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio "vivrà". Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell'aureo libretto di George Gessing che si intitola "Sulle rive dello Jonio" troviamo un nome prestigioso: "Paparazzo". Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l'onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino. (1996, p. 244)

Tempo di uccidere[modifica]

Incipit[modifica]

Ero meravigliato di esser vivo, ma stanco di aspettare soccorsi. Stanco soprattutto degli alberi che crescevano lungo il burrone, dovunque ci fosse posto per un seme che capitasse a finirvi i suoi giorni. Il caldo, quell'atmosfera morbida, che nemmeno la brezza del mattino riusciva a temperare, dava alle piante l'aspetto di animali impagliati.
Da quando il camion s'era rovesciato, proprio alla curva della prima discesa, il dente aveva ripreso a dolermi, e ora un impulso che sentivo irresistibile (forse l'impazienza della nevralgia) mi spingeva a lasciare quel luogo. «Io me ne vado», dissi alzandomi. Il soldato che fumava soddisfatto, ormai pronto a dividere con me gli imprevisti della nuova avventura, si rabbuiò. «E dove?» chiese.

Citazioni[modifica]

  • Si può impedire ad un uomo di soddisfare i suoi desideri, quando questi non lasciano traccia, futili come sono? (I, 3; 2000, p. 21)
  • Lei forse conosceva tutti i segreti che io avevo rifiutato senza nemmeno approfondire, come una misera eredità, per accontentarmi di verità noiose e conclamate. Io cercavo la sapienza nei libri e lei la possedeva negli occhi, che mi guardavano da duemila anni, come la luce delle stelle che tanto impiega per essere da noi percepita. (I, 3; 2000, p. 21)
  • Era una piazza informe, la vedevo per la prima volta e ne ebbi la struggente sensazione di un luogo che abbiamo immaginato e visitandolo non ci disillude, perché la realtà vince l'immaginazione e anzi questa si accorge di aver trascurato gli apporti della luce e dei suoni, l'ammorbidirsi dell'aria al crepuscolo, quando gli alberi si chiudono come ombrelli e le case respirano la stessa tristezza che ci fa rallentare il passo. (II, 1; 2000, p. 53)
  • Ma sì, l'Africa è lo sgabuzzino delle porcherie, ci si va a sgranchirsi la coscienza. (II, 3; 2000, p. 71)
  • [Riferendosi al maggiore] Lo detestavo. Anzi: invidiavo la sua felicità, la sicurezza della sua esistenza. (IV, 2; 2000, p. 110)
  • [Al protagonista] Si diventa lebbrosi come si diventa tiranni: ereditarietà o contagio. (Il dottore: IV, 5; 2000, p. 130)
  • Non stavo forse confondendo le carte, non scambiavo la mia volontà di vita col bisogno di rivedere Lei e di starle vicino? Lei non era affatto il traguardo, ma un punto di riferimento, il più familiare e quindi mi veniva spontaneo attribuirle un valore che non aveva. Ora volevo coinvolgerla, in nome di un amore che avrei fatto meglio a vietarmi, anziché alimentarlo con la quotidiana lettura delle sue lettere, o coi ricordi della vita in comune (un anno, e poi la partenza), col ricordo di quell'anno che sembrava colmo di fatti, di parole dette e udite e di gesti. (VI, 4; 2000, p. 196)
  • [Parlando al mulo] Vorrei sapere un'altra cosa: tutto quello che ho fatto è per Lei, o per me, che l'ho fatto? È una domanda imbarazzante. (Il protagonista: VI, 4; 2000, p. 198)
  • I dubbi confortano, meglio tenerseli. (VII, 2; 2000, p. 254)
  • Non c'erano denunce. C'era soltanto una lettera di Lei, ma non l'ho ancora aperta. [...] Dunque, nessuno mi cercava. Né il maggiore di A. né il dottore, meno di tutti. Era arrivato pronto a dire: "Eccomi" e il carabiniere di guardia mi fece il saluto. Nessuno si curò di me, il postino dovette rovistare la tenda, non trovava la lettera e io già sentivo che, la trovasse o no, la cosa non aveva importanza. Non ho ancora aperta. Ero invece stupito del silenzio del sottotenente (1973, pp. 262-263).
  • Affrettai il passo, ma la scia di quel fetore mi precedeva! (1973, p. 273)
  • Il prossimo è troppo occupato coi propri delitti per accorgersi dei nostri.
  • Un buon scrittore non precisa mai.
  • Una donna che fugge attira l'inseguitore, anzi lo crea.

Appendice: Aethiopia. Appunti per una canzonetta[modifica]

  • I soldati vivono tutti per il ritorno. Quel giorno sarà bello – pensano. Invece la realtà è un'altra. Trovare che tutto è cambiato, che il mondo è andato avanti senza di loro, questa sarà la prima delusione. Le altre, diramazioni. (Gennaio; 2000, pp. 266-267)
  • L'abissino considera l'automobile (machina) l'aeroplano (trubunale) come enti soprannaturali che funzionano a benzina ma con l'intervento divino. Quindi se ne stupisce poco. Ciò che lo lascia stupefatto è per esempio la bicicletta, la casa a due piani, la palla di gomma. Queste son cose meravigliose le quali, non potendo spiegarsele come grazia divina, restano tuttavia incomprensibili al suo spirito, come opera umana. (2000, p. 279)
  • La fiducia, il rispetto, l'adorazione che i piccoli indigeni dimostrano per un ufficiale che li tratti gentilmente sono infinite. Suppongo che per loro l'ultimo ritrovato della creazione, sia proprio l'ufficiale bianco, questa specie di essere divino che va in guerra, è obbedito anche da altri bianchi, ha tanti soldini che regala volentieri e sorride ai piccoli che lo salutano. (2000, p. 280)

Citazioni su Ennio Flaiano[modifica]

  • Flaiano è come me. Né io né lui ci rassegneremo mai a scrivere una frase come: "Ella staccò la fronte dal vetro della finestra e venne verso il centro della stanza". Purtroppo un romanzo esige anche passaggi banali: nemmeno Tolstoj può esimersene. Flaiano, come me, preferisce rinunziare al romanzo. (Leo Longanesi)
  • L'uomo più intelligente che abbia mai incontrato. Il più spiritoso. Reagiva alla cupezza del suo carattere con lucidità ironica e cinica. (Enrico Vaime)
  • Lei continua a osservare il mondo con la stessa curiosità del primo giorno, anche se l'esperienza gli ha appreso che non c'è da farsi illusioni. (Giuseppe Prezzolini)

Suso Cecchi D'Amico[modifica]

  • La mia amicizia con Flaiano aveva un che di infantile che coinvolgeva anche i miei figli, felici di stare con lui. Che Flaiano fosse un carattere molto complesso, avrei dovuto capirlo osservandolo bene quando si levava gli occhiali. Cambiava moltissimo, perché non c'era serenità nei suoi occhi.
  • Nelle sedute di sceneggiatura con Flaiano, tra chiacchiere, critiche e divagazioni sul soggetto, c'era da ricavare materia per condire dieci film; e sarebbe andato tutto perduto se fosse toccato a lui di cavarne il succo. Ho fatto centinaia di riunioni di sceneggiatura con Flaiano [...] ma di pagine scritte da lui ne ho viste ben poche. Lo scrittore vero non può compiacersi nel lavoro di sceneggiatura, che deve trovare il modo di tradurre in immagini e battute dei concetti, oltre che dei fatti. [...] Flaiano scrisse parecchi soggettini, ma di sceneggiature sue ne conosco due sole: quella del Melampo di cui voleva fare la regia, e che non è bella, e quella tratta dalla Recherche di Proust per René Clement, un compito del quale era molto scontento.
  • Non dico il pubblico, ma neanche i registi, salvo eccezioni come Mario Monicelli o Blasetti, danno credito al lavoro degli sceneggiatori. Fellini mise a dura prova il fegato di Flaiano, dichiarando sempre a destra e a sinistra di non avere sceneggiatura, e di andare sul set con in tasca un fogliettino grande quanto il biglietto dell'autobus, sul quale nottetempo aveva segnato qualche appunto. Sfacciato. Le sceneggiature le aveva eccome, almeno fino agli ultimi tempi.
  • Ti dava l'aria di farti confidenza ed era invece estremamente riservato. Piuttosto piccolo di statura e non bello, conversatore brillante e spiritoso.

Note[modifica]

  1. Da una lettera citata in Pasquale Scarpitti, Disincanto, Sarus, Teramo, 1972.
  2. Da Lo spettatore addormentato, Adelphi, Milano, 1983; citato in Carmelo Bene, Opere. Con l'Autografia d'un ritratto, p. 1399.
  3. Gioco di parole fra Platone, filosofo greco, e plotone. Da La Satira in Italia: dai latini ai nostri giorni, Ediars, Pescara, 2002, p. 101.
  4. Salomè di Carmelo Bene (da Oscar Wilde); citato in Carmelo Bene, Opere. Con l'Autografia d'un ritratto, pp. 1386-1387.
  5. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, Milano, 1992, p. 42, ISBN 88-8598-826-2
  6. Citato in Corriere della Sera, 26 maggio 2009.
  7. Citato in Italo Alighiero Chiusano, Intervista con Flaiano, in «Il Dramma», n. 7-8, 1972.
  8. Da Un marziano a Roma. Citato in Filippo Grassia, Lippi non ha dubbi: l'Inter chiude col Siena. E poi io vado all'estero, Il Giornale.it, 11 maggio 2008.
  9. Da Ombre grigie, elzeviro sul Corriere della sera, 13 marzo 1969; riportato anche in La solitudine del satiro.
  10. 1º aprile 1950; citato in Egli camminava nella notte - Rassegna stampa, mymovies.it.
  11. 27 aprile 1948; citato in I migliori anni della nostra vita - Rassegna stampa, mymovies.it.
  12. a b Da La Satira in Italia: dai latini ai nostri giorni, Ediars, Pescara, 2002, p. 101.
  13. 11 marzo 1950; citato in Il ritratto di Jennie, mymovies.it.
  14. Da Il «Taccuino Notturno» negli anni 1968-1972, Nuova Antologia, CXXII (1987), n. 2162, p. 437.
  15. Citato in Michele Masneri e Andrea Minuz, Le ombre del 25 aprile, Il marziano che ci manca, 24 aprile 2022. p. I
  16. Da Corriere della Sera, 28 ottobre 1972.
  17. Da Cine Illustrato, n. 15, 17 aprile 1940; citato in Centomila dollari, cinematografo.it.
  18. Da Opere, Bompiani, Milano, 2001, p. 438.
  19. Citato in Carmelo Bene, Opere. Con l'Autografia d'un ritratto, p. 1389.
  20. Da Corriere della Sera, 3 settembre 1972.
  21. Citato in La Fiera Letteraria, n. 5, 14 marzo 1971, p. 21.
  22. Da Flaiano risponde, 28 ottobre 1959; citato in Tullio Kezich, Noi che abbiamo fatto La dolce vita, Sellerio, Palermo, 2009, p. 192. ISBN 88-389-2355-8
  23. Citato in Giuseppe Prezzolini, Italia fragile, Pan, Milano, 1975.
  24. Da La solitudine del satiro, Adelphi, Milano, 1996, p. 154.
  25. Da Diario notturno.
  26. Cfr. Luigi Mascheroni, Il mondo irriverente e anarchico di Mino Maccari, ilGiornale.it, 3 luglio 2009.
  27. Da Corriere della Sera, 3 settembre 1972; riportato anche ne La solitudine del satiro.
  28. Da La solitudine del satiro.
  29. Da Diario notturno e altri scritti, Bompiani, 1956.
  30. Riportato anche in Frasario essenziale per passare inosservati in società.
  31. a b c d e Riportato anche in Il gioco e il massacro.
  32. Riportato anche in Un marziano a Roma e altre farse, nella forma: «Un gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura».
  33. In Un marziano a Roma la frase continua: "il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso prima ancora di dire: «a»".
  34. a b c Riportato anche nella commedia Un marziano a Roma (in Un marziano a Roma e altre farse, Rizzoli); il Taccuino del Marziano è infatti una raccolta di aforismi che deriva da tale opera.
  35. Riportato anche in Il gioco e il massacro e Le ombre bianche; erroneamente attribuito a Marcello Marchesi.
  36. Riportato anche in Don't Forget.
  37. Probabile riferimento alla citazione attribuita a Charles de Gaulle: «La politica è una faccenda troppo seria per essere lasciata ai politici», che a sua volta parafrasava Georges Clemenceau: «La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari.»
  38. Cfr. Benito Mussolini: «Un popolo di santi, di eroi e di navigatori».
  39. a b c d Riportato anche in Diario degli errori.
  40. Spesso attribuita interamente a Flaiano, con la parte iniziale omessa. Come specificato dall'autore stesso nell'articolo Sui colli di Roma pubblicato sull'Espresso del 28 giugno 1970, Flaiano cita a memoria uno scritto di Giacomo Devoto.
  41. Il riferimento è alla celeberrima frase di Karl Marx: «La religione [...] è l'oppio dei popoli».
  42. Da Frasario essenziale per passare inosservati nella società, Bompiani, Milano, 1986, p. 107. ISBN 88-452-2073-7
  43. Riportato anche in Frasario essenziale per passare inosservati in società.
  44. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  45. Riportato anche in Autobiografia del Blu di Prussia.
  46. a b Citazione presente nell'aletta posteriore de La solitudine del satiro, Adelphi, Milano, 1996.

Bibliografia[modifica]

  • Carmelo Bene, Opere. Con l'Autografia d'un ritratto, Bompiani, Milano, 2002. ISBN 88-452-5166-7
  • Ennio Flaiano, Autobiografia del Blu di Prussia, Rizzoli, Milano, 1974.
  • Ennio Flaiano, Diario degli errori, a cura di Emma Giammattei, Rizzoli, Milano, 1976.
  • Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 1994. ISBN 88-459-1043-1
  • Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2002. ISBN 88-459-1196-9
  • Ennio Flaiano, Don't Forget, in Opere. Scritti postumi, a cura di M. Corti e A. Longoni, Bompiani, Milano, 1998.
  • Ennio Flaiano, Fine di un caso, in Diario notturno, Adelphi, Milano, 1994. ISBN 88-459-1043-1
  • Ennio Flaiano, Frasario essenziale per passare inosservati in società, Bompiani, Milano, 1993.
  • Ennio Flaiano, Il gioco e il massacro, Bompiani, Milano, 1999.
  • Ennio Flaiano, La saggezza di Pickwick, in Diario notturno, Adelphi, Milano, 2002. ISBN 88-459-1196-9
  • Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Rizzoli, Milano, 1974.
  • Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Adelphi, Milano, 1996. ISBN 88-459-1221-3
  • Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Longanesi, Milano, 1973.
  • Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, prefazione di Anna Longoni, BUR, Milano, 2000. ISBN 88-172-0275-4

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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Opere[modifica]