Enzo Biagi

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Enzo Biagi nel 2006

Enzo Biagi (1920 – 2007), giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano.

Citazioni di Enzo Biagi[modifica]

  • Avrei fatto il giornalista anche gratis: meno male che i miei editori non se ne sono mai accorti.[1]
  • Buonasera, scusate se sono un po' commosso, e magari si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni. C'eravamo persi di vista, c'era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro. Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall'ultima volta che ci siamo visti sono accadute molte cose e per fortuna qualcuna è anche finita. Ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere a qualcuno, e noi non siamo piaciuti. (dal programma RT – Rotocalco Televisivo, 22 aprile 2007) [Aprendo la prima puntata della trasmissione, dopo 5 anni di assenza dalla televisione]
  • Complimenti, cavalier Berlusconi; c'è poco da dire, è il più svelto della compagnia. Se i padri dell'Europa, dicevano, sono De Gasperi, Schuman e Adenauer, il dottor Silvio è lo zio. È lui che ci unirà con l'etere: Italia, Francia, Spagna, che ormai ci sta arrivando, perché la vera Internazionale socialista la fa lui. Dove comanda un autorevole compagno di Craxi, arriva un'antenna di Berlusconi. (citato in L'Italia vista da Central Park, la Repubblica, 28 novembre 1985)
  • Considero Berlusconi un politico, come dire, un po' di accatto, un signore che ha fatto la politica perché questo gli ha permesso di attraversare un momento di crisi personale. Lo dico perché me l'ha detto lui: mi ha detto che doveva entrare in politica perché lo facevano saltare per aria, e aveva avuto anche delle noie di tipo giudiziario. (dal documentario Citizen Berlusconi)
  • Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l'acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata. (dall'editoriale del primo giorno di direzione, Resto del Carlino, 1971)
  • [Su Vittorio Gassman] Di lui hanno detto tutto. Gigione, antipatico, incostante, infantile, ingombrante, matto e mattatore. L'elenco delle sue donne sembra quello della Stipel. Impianta un teatrino da principi e un tendone da proletari. Cinico, egoista. Ha tre figli da tre mogli. Passa da Canzonissima a Dostoevskij. Gli piace bere, gli piacciono le belle brigate. Non ha il senso del denaro. Fa sempre notizia. Suppongo che la cosa non gli dispiaccia. È ironico, anche con sè stesso. Impossibile imbarazzarlo: i suoi sbagli sono, in fondo, le sue decorazioni.[2]
  • È bello e giusto che Roberto Benigni racconti sullo schermo Pinocchio, perché anche lui sembra inventato da Collodi: certamente è stato compagno di Lucignolo.[3]
  • [Su Michelangelo Antonioni] È considerato con Fellini e Visconti uno dei tre "grandi".[4]
  • E quando le mie figlie all'università mi parlavano di Che Guevara, io rispondevo: «A me bastano i fratelli Rosselli». Nello e Carlo erano ricchi, ebrei, sono morti ammazzati da parte di sicari fascisti per le loro idee di libertà. (da Consigli per un paese normale)
  • [Su Enrico Berlinguer] È uno dei pochi politici che mantiene la parola data.[5]
  • [...] Eduardo, che odia il Vesuvio, le canzonette, le cartoline, e che ha distrutto con le sue parole spesso acri, con le sue immagini appannate dallo sconforto, la retorica della felice città del sole. (da Italia, p. 177)
  • Fra poco sarà il 25 aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita.[6]
  • [...] Gandhi, questo asceta fragile, dal sorriso gentile, che va in giro drappeggiato in un lenzuolo, e camminando da villaggio a villaggio, ha conquistato, con la parola e con la suggestione di una limpida vita, milioni di cuori. (da Testimone del tempo, p. 136)
  • Hanno voluto dedicare un libro ai cento uomini più importanti del mondo. C'è anche lui. Negli Stati Uniti lo chiamano "Michelangelo". Basta così.[4]
  • Ho fatto la mia parte. Direi che è l'anagrafe che mi condanna, prima di tutto. Ho netta la sensazione di essere un superstite di tanti diluvi. Per il resto, ho fatto il mio mestiere, a cui debbo tutto. Sono figlio di un operaio morto giovane, con la grande tristezza di essere vice-magazziere. Non è mai diventato magazziniere. Pensa i tipi di ambizioni e che frustrazioni ci sono in noi, e di che cosa si può soffrire: anche di questo.[7]
  • I nonni sono questa specie di tollerante rifugio dal quale si può sempre andare.[7]
  • [Commentando le dichiarazioni di Berlusconi del 18 aprile 2002 a Sofia, note anche come "editto bulgaro"] Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto – dia un'occhiata – nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità che restare al prezzo di certi patteggiamenti. (dalla trasmissione televisiva Il Fatto, 18 aprile 2002)
  • [Sul "decreto-Berlusconi", inerente le televisioni private, promulgato dal governo di Bettino Craxi nel 1984] In tutta la faccenda, il solo che ha esercitato il suo mestiere legittimamente, e che non può essere accusato che di eccesso di efficienza, è il dottor Silvio Berlusconi, che ha creduto nelle possibilità dei "networks", e si è buttato con una dedizione al limite del fanatismo. È un tipo tanto bravo che è capace di giocare una partita a tennis da solo, e anche di vincerla. Berlusconi ha scelto bene sia i programmi come i protettori: ha comperato quando gli altri vendevano, facendo anche la parte del salvatore. Proprio così. Ha visto davanti a sé la terra di nessuno, e forse c'era chi provvedeva a mantenerla sgombera, e l'ha occupata: dove sta la colpa? Se esistono, e ci sono, responsabilità, sono tutte della classe politica: che per furbizia, per lassismo, per incapacità (o per interesse) ha lasciato fare. Cinque ministri delle Poste non sono stati capaci di un gesto risolutivo o di dimettersi. In ogni parte del mondo, è il codice che disciplina le attività: in questa Repubblica accade il contrario. Prima si agisce, poi si stabilisce la norma. (da Viva Dinasty e viva la libertà, la Repubblica, 25 ottobre 1984, p. 8)
  • La democrazia è fragile, e a piantarci sopra troppe bandierine si sgretola.[8]
  • Modugno è famoso a Tokyo come a New York; nel Pakistan una nostra delegazione fu accolta da un orchestrina che con Volare intendeva richiamare ai graditi ospiti la cara patria lontana. Egli ha fatto, per la diffusione della nostra lingua, un'opera degna della Dante Alighieri: Ciao, ciao bambina è un'espressione largamente usata ovunque: e potete immaginare come, questo efficace esperanto, possa facilitare i rapporti tra i popoli. [...] Signori, dobbiamo non poco a Modugno. Tutto ciò che egli fa è poi tanto italiano: italiano è il suo aspetto, italiana la sua ispirazione. Chioma e sospiri sono italiani, gesti e sgomenti sono italiani: esasperati, scatenati, eccessivi, dilaganti. Modugno non appare sul teleschermo, lo occupa; non canta i suoi motivi, li impone; non vi invita ad ascoltarlo, ve lo ordina. Ve lo ordina con i capelli, gli occhi, i baffi, le mani: è fortissimo e prepotente. (da Epoca, 25 ottobre 1959)
  • [Su Mariano Rumor] Montanelli lo ha definito "un trapezista". Gigi Ghirotti, suo biografo, informa che "i giornali lo descrivono morbido, affettuoso, sfumato, guardingo, tergiversante, duttile, colorito, garbato". C'è da scegliere.[9]
  • [Negli Stati Uniti] non si conosce la storia di un negro ricco. Forse Sammy Davis Jr., ecco, il cantante ballerino, è il solo, a quanto ne so, che ce l'ha fatta, e ha vinto tutti gli ostacoli possibili: negro, ebreo, senza un occhio, brutto, ha fatto una montagna di dollari. (da Testimone del tempo, pp. 112-113)
  • [Su Roberto Benigni] Per me, lo scrivo senza imbarazzo, è un genio. Dopo Federico Fellini un altro personaggio da esportazione.[3]
  • [Rivolgendosi ai nuovi assunti del Resto del Carlino, di cui fu direttore] Ragazzi, siete liberi di scrivere quello che volete. Ma sappiate che l'editore di questo giornale si occupa di petrolio e di zucchero. Perciò, se vi capitasse di scrivere di questi due argomenti, vi prego di informarmi. (citato in Marco Guidi, Lavorare con Biagi? Un'esperienza unica, Giornalisti Emilia-Romagna, n.° 70, dicembre 2007)
  • Se Berlusconi avesse le tette farebbe anche l'annunciatrice. (citato in Carlo Macchitella, Il gigante nano: il sistema radiotelevisivo in Italia: dal monopolio al satellite, RAI-ERI, 1985)
  • Sono un giornalista che ricorre, con una certa frequenza, alle citazioni: perché ho memoria e perché ho bisogno di appoggi: c'è qualcuno al mondo che la pensava, o la pensa, come me. (dalla presentazione a Enciclopedia delle citazioni)
  • Sto dall'altra parte, quella che simpaticamente il premier [Silvio Berlusconi] ha definito «coglioni». Credo che tutti i giovani, figli di ricchi o di poveri, debbano avere gli stessi diritti allo studio e uguali possibilità nell'affrontare la vita; credo nella magistratura, nella sua indipendenza, e che tutti possano difendersi qualunque sia il conto in banca, quindi non credo alle trame; credo nella libertà di espressione, cioè giornali e televisioni liberi di criticare il potere; credo che non debbano esserci prevaricazioni né leggi ad personam, per sé, familiari o amici; credo che la pace debba sempre vincere sulla guerra; infine credo che non si debbano imbarcare fascisti e neonazisti per un pugno di voti. Non mi fido di chi ha avuto cinque anni e li ha spesi male. E non ho mai sopportato quelli che fanno promesse e non le mantengono. (da Riflessioni su un dovere, Corriere della sera, 9 aprile 2006, p. 1)
  • [Tommaso Buscetta] Sembra strano, ma ho perso un amico. Probabilmente non mi ha detto tutto, ma sono anche sicuro che non mi ha mai mentito. Adesso gli sia concessa la pace. (citato in È morto Tommaso Buscetta, la Repubblica.it, 4 aprile 2000)
  • [Su Calciopoli] Una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome. Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perché tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l'ex Re d'Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino? (da Il Tirreno, 16 agosto 2006)
  • [Su Emilio Colombo] Una volta andava d'accordo con l'amico Mariano; adesso fa gruppo con l'amico Giulio. Ma invece di stare a Palazzo Chigi, dove avrebbe gli uffici, ha chiesto ospitalità al Viminale.[10]

Da Mikojan dal tempo di Lenin a oggi

La Stampa, 14 ottobre 1965.

  • «Che cos'è il culto della personalità domanda il solito Ivan. Risposta del solito Boris: «Uno che sputa in faccia a tutti». «E la direzione collettiva?». «Ciascuno che sputa in faccia all'altro.»
  • [Su Anastas Ivanovič Mikojan] È stato il miglior uomo d'affari che l'Urss abbia avuto, il più abile imprenditore socialista. Se fosse emigrato in America, dicono, sarebbe diventato miliardario.
  • [Su Aleksej Nikolaevič Kosygin] Kossighin ha maniere cordiali, e una conversazione ironica, un vestire controllato, pesa le parole, ed è preso da un solo interesse: il lavoro, mangia e beve con sobrietà, e, a differenza di altri gerarchi, gode di eccellente salute.
  • Dicono che Kossighin conosca il valore del rublo, certamente sa l'importanza della tecnica. Si adegua alle necessità, senza timore di scandalo.

Da Enzo Biagi

Intervista di Claudio Sabelli Fioretti, Interviste.sabellifioretti.it, 1992.

  • Non comincia finché hai qualche interesse, qualche curiosità. La pietà di Dio ci comunica che inizia la vecchiaia quando ci dà il distacco dalle cose terrene.
  • Questa è una società epicurea. Ci sono aziende che considerano vecchi quelli di quaranta anni. La saggezza e l'esperienza delle persone anziane oggi non hanno più valore.
  • Conosco solo qualche sistema per invecchiare peggio. Come quelli che si tingono i capelli, che rifiutano il passare degli anni, che fanno tutte quelle cose che secondo loro servono per farli restare giovani. E che invece li rendono solo ridicoli.
  • Io non faccio più fatica di quella che facevo una volta. Anche perché lavoro su un materiale enorme. Prima oltre che scrivere, dovevo anche vivere. Adesso scrivo.
  • [Sul pensiero della morte] Mi accompagna da sempre e mi fa compagnia anche adesso. So che la vita non durerà all'infinito. Come ai tropici, verrà buio tutto di un colpo. Morire è una cosa che ha fatto Leonardo. Quindi nessun problema per Biagi.
  • La famiglia patriarcale è solo nel rimpianto dei vescovi e del papa che la vedono distratta dalla televisione. Certamente chi è cresciuto in provincia si ricorda del rosario che veniva recitato nelle case delle famiglie contadine, dei racconti che i vecchi facevano ai giovani che stavano ad ascoltarli attenti. Oggi non è così. Guarda le famiglie di oggi al parco. Lui con la radiolina attaccata all'orecchio, lei che sfoglia una rivista, il bambino che gioca per conto suo. Tre solitudini. Le nonne facevano il sugo per la pasta, accorciavano il grembiulino dei bambini. Erano una sicurezza.

Da Biagi racconta Ferrari in tv: "Un eroe del West"

Intervista di Nestore Morosini, , Corriere della Sera, 12 marzo 1998.

  • Un giovane che aveva sognato di diventare Ferrari e lo è diventato.
  • Non ho mai avuto una particolare predisposizione per i motori, però Ferrari mi ha costantemente affascinato. L'ho sempre visto come un eroe del West: solitario, scontroso, difficile, ma ricco di umanità.
  • Per lui esistevano solo il rumore delle sue macchine e il silenzio delle sue riflessioni. Non era un emiliano buontempone, era un uomo che viveva con se stesso e che si faceva ragionevole compagnia.
  • Non gli andava bene che, in caso di vittoria, la maggior parte del merito andasse al pilota. Ciò che contava, prima di tutto, erano i suoi motori. Villoresi un giorno disse: Ferrari non conosce la parola gratitudine. E ogni incontro con Lauda era uno scontro fra due uomini che curavano ciascuno il proprio interesse.

Dall'intervista delle Iene (2002)[modifica]

  • Non si può raccontare nessuna storia senza un punto di vista.
  • Il giornalista è un signore che racconta le storie degli altri.
  • Un giornalista disonesto è un uomo che non ha rispetto né per se stesso né per il lettore.
  • Si pensa che la sinistra debba portare avanti quelli che la vita ha fatto nascere indietro.
  • L'Italia di oggi è un Paese sazio, che non ha né grandi spinte né grandi speranze.
  • Che cos'è la felicità? Io sono una persona serena.
  • Un uomo senza lavoro è un uomo umiliato.
  • I telegiornali dipendono molto dalla situazione politica e da chi comanda in quel momento dentro la Rai.
  • Dopo la morte c'è solo la speranza di ritrovare delle persone care che adesso non ci sono più.

Articoli e servizi di Enzo Biagi[modifica]

Il Resto del Carlino[modifica]

Dal Polesine inondato (novembre 1951)[modifica]

  • Sette chilometri di acqua limacciosa ci dividono da Adria. Non si sa nulla degli abitanti che non hanno potuto abbandonare le abitazioni raggiunte dalla piena. A mezzogiorno sono cessate le comunicazioni telefoniche, ma si è saputo che un altro ponte, quello sul canale Bonsega ha ceduto. Una colonna di cucina da campo sosta inutilizzata.
  • Ho percorso la sponda ferrarese. Ovunque desolazione e sgomento. La spenta cimineria di uno zuccherificio accresceva malinconia al lugubre paesaggio. [...] È difficile convincere i padroni delle casette ad allontanarsi dalla riva; il loro cuore è laggiù. Non sanno togliere gli occhi da quell'acqua immobile che ha sconvolto la loro esistenza.

Alla direzione del Carlino[modifica]

  • Non ho nulla da cambiare a ciò che scrissi nel mio primo articolo: credo ancora che la democrazia è il migliore dei sistemi, che alla libertà politica si deve accompagnare la giustizia sociale, che i poveri non li hanno inventati i comunisti, che di quello che non si è fatto in un quarto di secolo non possiamo continuare a dare la colpa al duce. (30 giugno 1971)

Il ministro Preti e il Grand Hotel[modifica]

  • Il ministro delle Finanze, Luigi Preti, smentisce la notizia apparsa sul Carlino di un suo soggiorno presso il Grand Hotel di Rimini. Nella lettera inviata, ci informa che la sua famiglia trascorre da sempre le vacanze alla Pensione Tagliavini, di terza categoria [...] Ci scusiamo dell'inesatezza, tuttavia siamo dell'idea che i ministri, anche se socialisti, non abbiano il dovere di vivere sotto i ponti. Ci auguriamo che il prossimo anno, il ministro possa passare da un pensione di terza categoria a una di seconda. (1971)

Epoca[modifica]

  • Questo è un mestiere difficile, e ogni giorno impone una scelta: credo di aver fatto un giornale pulito, un giornale onesto e qualche volta, forse, sono riuscito a realizzare un buon giornale. In fondo, era la mia più viva aspirazione. [L'ultimo editoriale/ luglio 1960]

Gli scontri contro il governo Tambroni[modifica]

  • Dieci morti. Dieci poveri, inutili morti. [...] Li hanno uccisi quei democratici che respingono le nostalgie dei missini ma ne sopportano i voti; li ha uccisi la cattiva politica, l'ipocrisia, il compromesso, l'interesse meschino che cancella i principi e fa tacere la coscienza [...] Li hanno uccisi coloro che hanno trasformato il Parlamento in un'osteria, coloro che fanno attribuire le miserie dei politici a presunti vizi della democrazia... li hanno uccisi coloro che insabbiano gli scandali sperando che il tempo faccia dimenticare. [...] Siamo tornati nell'immediato dopoguerra. Urli di sirene, gas lacrimogeni, spari, tumulti, la violenza scatenata, il solco dell'odio che torna a riaprirsi. (17 luglio 1960)

La Stampa[modifica]

"Hanno sparato a Kennedy"[modifica]

  • A La Crosse, Wisconsin sono le tredici. Dalle cucine una cameriera dai capelli rossi torna correndo: "Hanno sparato a Kennedy, hanno colpito il presidente". [...] Il televisore è acceso, parla Walter Cronkite, cronista della Cbs: "The President is dead". Nella sala c'è chi piange, chi resta allibito. Entrano dei viaggiatori con l'impermeabile lucido; sulle prime non capiscono. "Cosa succederà adesso?" si chiede qualcuno. Sul Mississipi piove forte, l'America si prepara ad un triste Ringraziamento. (23 novembre 1962)

Corriere della Sera[modifica]

  • Chi sono i siciliani? C'è un ritrattino tracciato dal messinese Scipio di Castro, negli Avvertimenti (seconda metà del secolo XVI), un bel volume pubblicato dalla benemerita Elvira Sellerio: "La loro natura è composta da due estremi, perché sono sommamente timidi mentre trattano gli affari propri e di una incredibile temerarietà dove si tratta del maneggio pubblico". Ma per tratteggiare un attendibile profilo è opportuno aggiornare i giudizi. Pirandello: "Una istintiva paura della vita", ovvero la propensione al dubbio; Brancati, ovvero l'ossessione del sesso: "I sogni e la mente e i discorsi e il sangue stesso perpetuamente abitato dalla donna"; Sciascia, ovvero l'individualismo: "Ognuno è e si fa isola a sé".[11]
  • [...] Credo che i siciliani siano tra i più gentili tra gli italiani. Penso che non baratterei il maestro Sciascia col maestro di Vigevano, e hanno dato tanta intelligenza all'Italia.[11]
  • Difficile capire l'Italia, quasi impossibile la Sicilia, un'isola abitata da italiani esagerati. Ci sono sempre due facce da decifrare, due possibilità.[11]
  • [Riferito alla Sicilia] E il solito Goethe aggrava ancora la situazione: "Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?". Già: chi sa qualcosa di preciso? Comincia il paesaggio a confondere le idee: i sicomori, come nel Sudan, e il papiro, come in Egitto, e poi le palme e i cactus che evocano il deserto, e il poeta russo Andrej Belyj resta sconvolto dallo stridore delle cicale e dal tripudio dei colori: il giallo dello sparto, il rosa del rododendro e dei grappoli di tamerici e il verde dei carrubi. Più tardi arriva Tomasi di Lampedusa, e complica ancora il discorso dal punto di vista psicologico: "Cambiare tutto per non cambiare niente".[11]
  • Ha scritto Leonardo Sciascia: "Forse tutta l'Italia sta diventando la Sicilia". Penso a Tangentopoli, e al capitano Bellodi, il protagonista di Il giorno della civetta che ragiona su quello che si dovrebbe fare per battere la mafia: "Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche: mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende, revisionare i catasti". Come era intelligente Leonardo Sciascia, e come sapeva leggere la cronaca e anche prevederla.[11]
  • Ho conosciuto Falcone e Borsellino: Falcone aveva una figura tonda e un volto sorridente, due occhi ironici; uno come Borsellino lo potevi incontrare con l'ombrello al braccio e il Times che spunta da una tasca, anche nei dintorni della City: un distinto gentleman.[11]
  • Il successo è arrivato anche per Andrea Camilleri, è in testa alla lista dei "best seller" con quattro o cinque titoli di romanzi. Mai visto. Dopo vent'anni il suo commissario Montalbano è diventato popolare. Mi fa piacere per lui e per Elvira Sellerio che ha creduto in quel riservato e composto sceneggiatore e regista televisivo che, a 75 anni, vede riconosciuto il suo talento. Da mezzo secolo vive e lavora a Roma, ma gli è rimasto l'accento degli agrigentini. È un'altra scoperta di Sciascia. Dice infatti: "Siciliano è Sciascia. E un siciliano è anche Vittorini. Parlo dei due esempi: dei siciliani di scoglio, quelli che rimangono attaccati, anche se per un po' si allontanano, e quelli di mare aperto, come era Vittorini.[11]
  • Mi dispiace lasciare questa redazione, ma non posso stare in un giornale che chiede al suo direttore la tessera della massoneria. *[Dopo lo scandalo P2; 1981]
  • Sulla mia tomba, che sogno, ovviamente, più lontano possibile vorrei quest'epitaffio: "Scrisse sempre quello che poteva, mai quello che non voleva" [1981]
  • Craxi ci tiene a far sapere che l'amicizia con Silvio [Berlusconi] è così stretta che festeggeranno insieme la vigilia di Natale. La cena che consumeranno è un po' come un Consiglio di Amministrazione.
  • Tutti conoscono la Sicilia degli itinerari turistici o quella un po' ironica e misteriosa dei film e dei racconti: le pianure calcinate e le montagne aspre dove si va a cacciare il coniglio selvatico, e i palazzi dei baroni coi quadri, le porcellane e i mobili preziosi arrivati anche dalla Cina, e alle pareti i ritratti degli antenati, duri funzionari borbonici o sorridenti e bionde fanciulle britanniche, che seguendo i marinai di Nelson erano venute ad accasarsi nell'isola. Ci sono due mondi e due, o forse più, realtà che non si incontrano mai.[11]
  • Innegabilmente Craxi piace. Claudio Baglioni ha avvertito che "la sua presenza porterà una nuova ventata di entusiasmo" e Lucio Dalla lo trova "una persona davvero amabile che conosce a memoria un sacco di canzoni". Credevo che Bettino fosse cresciuto alla scuola di Nenni, mi sbagliavo si è fatto invece a quella di Rabagliati [idolo canoro degli anni Quaranta]. [...] Il leader socialista dà la sensazione di essere inseguito dal tempo e deve prendere il primo treno per arrivare: è augurabile che al momento di salire, conosca la destinazione. (1984)

Rai[modifica]

Intervista a Pier Paolo Pasolini[modifica]

  • D: Che mondo sogna?
  • R: Da ragazzo, ho creduto nella rivoluzione come fanno i ragazzi di adesso. [...] Ora non ho speranze, quindi non mi disegno nemmeno un mondo futuro.
  • D: Lei sostiene che la borghesia sta trionfando? Perché?
  • R: La borghesia sta trionfando in quanto la società neocapitalistica è la vera rivoluzione della borghesia. La civiltà dei consumi è la vera rivoluzione della borghesia. E non vedo alternative. [...]
  • D: Perché cosa ci trova di così anormale *[nella televisione]?
  • R: È un medium di massa; non può che mercificarsi e alienarci.
  • D: Ma questo mezzo ora sta portando le sue parole nelle case. Stiamo discutendo con molta libertà...
  • R: No, non è vero.
  • D: Sì, lei può dire tutto quello che vuole?
  • R: No, non posso; sarei accusato di vilipendio del codice fascista italiano. Io non posso dire tutto, perché io stesso non vorrei dire certe cose. Quindi mi auto-censuro. Dal momento in cui qualcuno ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore.
  • D: Io penso che in certi casi sia un rapporto alla pari. Comunque ognuno rimane della sua idea. (da Terza B, facciamo l'appello 1971 mai trasmessa perché censurata dalla Rai)

Con Alì Agca (l'attentatore a Giovanni Paolo II)[modifica]

  • D: Come ricorda il giorno in cui ha sparato al pontefice?
  • R: Con perfetta lucidità
  • D: Come ha fatto, un tiratore scelto come lei, a sbagliare la mira da cinque metri?
  • R: C'è stata confusione.
  • D: Per lei il papa chi era?
  • R: L'incarnazione del capitalismo.
  • D: Quando lo ha incontrato qui in carcere, cosa ha provato?
  • R: È stato il più bel ricordo della mia vita. Io sono molto riconoscente al papa e lo vedo come il simbolo dell'umanità, anche se non condivido la sua mentalità cristiana. ()

Con la segretaria di Craxi, Vincenza Tomaselli[modifica]

  • D: Si è detto che c'è un Craxi buono e uno cattivo. Lei cosa ne pensa?
  • R: Io lo stimavo e lo ritenevo un personaggio costruttivo.
  • D: Quando depositavano, come si è detto, pacchetti di soldi sulla sua scrivania, si sentiva imbarazzata?
  • R: Io non mi sentivo imbarazzata. Prima di tutto non ero tenuta a sapere cosa ci fosse in quei pacchetti e poi credevo di partecipare alla costruzione di un grande partito socialista e i partiti costano. Lo ritenevo un giusto finanziamento.
  • D: Lei è stata condannata per favoreggiamento. Si sente innocente?
  • R: Io facevo il mio lavoro di segretaria. Non mi sento particolarmente colpevole perché c'era un andazzo generale. (Il Fatto; 5 novembre 1996)

Con il giudice Ilda Boccassini[modifica]

  • D: Lei è stata in Sicilia. Come ricorda quell'esperienza?
  • R: Devastante ed esaltante allo stesso tempo. Devastante perché era morto Giovanni Falcone, uno dei miei migliori amici, una delle persone che avevo più care al mondo. Ho dovuto lasciare la mia famiglia, ma allo stesso tempo è stata esaltante perché ho scoperto persone meravigliose.
  • D: Falcone cosa rappresenta nella magistratura italiana?
  • R: Il presente, il passato e il futuro [...] Giovanni dovrebbe essere il punto di riferimento per la mia categoria. Non si è mai fatto condizionare dai media. Tutti noi dovremmo avere il suo rigore, la sua autorevolezza, il suo senso dello Stato, la sua umanità. (Il Fatto; 20 febbraio 1998)

Con Antonio Di Pietro[modifica]

  • D: Si sono concluse tutte le vicende giudiziarie a suo carico. Come si sente?
  • R: Quando ho iniziato Mani Pulite, avevo messo nel conto di poter perdere la vita e l'onore. Ho portato a casa tutte e due.
  • D: Lei ha detto che non sarebbe mai entrato in politica. Cosa le ha fatto cambiare idea?
  • R: La mia coscienza. Bisogna cambiare le teste per cambiare la politica. Cambiare solo le regole senza cambiare le teste non serve. [...]
  • D: Tangentopoli è conclusa o si è già rialzata?
  • R: Dopo Adamo ed Eva, ci sono stati Caino e Abele. Il buono e il cattivo ci saranno sempre. L'importante è che siano nella fisiologia e non nella patologia di uno Stato democratico. [...]
  • D: Perché ha lasciato la toga?
  • R: L'ho scritto nelle pagine che ho consegnato alla magistratura. Ad un certo punto invece che Di Pietro magistrato stavo per diventare Di Pietro imputato. Ho preferito fare l'imputato da persona semplice e affrontare la giustizia senza coperture alle spalle. In questi quattro anni ho subito 27 capi d'imputazione ma ho dimostrato la mia innocenza. La prima cosa che ho sentito il dovere di fare è stata quella di ritornare al quarto piano della Procura di Milano per salutare i miei vecchi colleghi da uomo libero, innocente, che poteva andare a testa alta.
  • D: Lo sa cosa penso? Penso che la magistratura ha ancora bisogno di lei mentre la politica poteva farne a meno. (Il Fatto; 18 febbraio 1999)

La guerra del Kosovo[modifica]

  • Cronaca da Belgrado sotto i bombardamenti. Nei rifugi i bambini disegnano per distrarsi, i serbi sono stanchi di essere eroi. [...] Clinton non è visto benevolmente, nei muri della città è rappresentato con un lunghissimo membro, mentre si intrattiene con la signorina Lewinsky e una battuta invoca: "Anche tu, come noi, stringi i denti" [...] Ce l'hanno anche con noi italiani, durante le riprese ci urlano "Aviano" ricordandoci la base, vicino Verona, dove decollano gli aerei della Nato e qualcuno si rifaceva alla storia maledicendo Cristoforo Colombo. [...] I ponti vengono abbattuti verso l'alba, quando c'è poca gente in giro. Era una guerra, ma sembrava che il nemico usasse certi riguardi. [...] In uno scantinato, hanno organizzato delle recite per i bambini. Una madre trascinava il ragazzino via dalla strada. [...] Ancora una volta l'innocenza era offesa dai grandi.
    [Speciale Il Fatto "Cronaca di una città" (aprile 1999)]

Silvio Berlusconi[modifica]

L'uomo della tv[modifica]
  • Silvio Berlusconi è il classico uomo che si è fatto da sé [...] Dice di dormire non più di quattro ore per notte. Qualche volta parla di sé anche in terza persona. Ha detto, per esempio: "Il 92 per cento degli italiani adora Berlusconi". È inutile accusarlo di aver creato un monopolio [...] Alcuni esperti guardano con diffidenza ai molti percorsi delle sue iniziative ma lui annuncia nuovi progetti [...] Qualcuno solleva obiezioni sulla consistenza dei suoi programmi televisivi ma lui risponde, convinto, che sta facendo cultura e che la esporterà per fare felici anche i francesi, gli spagnoli e possibilmente anche i tedeschi. Berlusconi pensa ad un'Europa di Berlusconi. E stiano attenti gli americani. La sola condizione [per intervistarlo] è stata andare a riprenderlo nei suoi studi. Perché no? Qualcuno ha scritto che siamo andati a Canossa. Va rettificato, credo: siamo stati a Milano 2.
  • D: Sbaglio o è un momentino un po' difficile: il Milan in situazione incerta, non c'è un decreto che stabilisca quali sono i diritti delle tv private, in Francia questo suo "Maccaroni" non è proprio gradito da tutti.
  • R: C'è un poco di vero. Ma la situazione non è così preoccupante come sembra che lei voglia di...
  • D: Non voglio dipingerla. Ho solo l'impressione che sia così
  • R: Non stavo dicendo come la dipinge, ma come la pensa. Bisogna distinguere per il Milan che è un affare di cuore e quindi va nella sfera dei sentimenti.
  • D: A me sembra più un affare di qualche miliardo...
  • R: Molto costoso, ma anche le donne, le belle donne costano molto. [...]
  • D: Lei crede che senza il Governo Craxi ci sarebbero stati tanti decreti pro Berlusconi?
  • R: Io credo che assolutamente ci sarebbero stati decreti per rimediare ad una situazione che non era condivisa dalla gente. Il fatto che Craxi sia presidente del Consiglio è solo una remora. Invece con un atto che ritengo coraggioso, Craxi e tutto il suo governo, ha firmato un decreto, giudicato positivamente dal 92 per cento degli italiani.
  • D: Come fa ad avere tante attività che vanno tutte bene?
  • R: Cosa vuole che le risponda, che siamo bravi? Direi che ho la fortuna di lavorare in un gruppo particolarissimo, con dei collaboratori eccezionali, legati insieme non solo dai traguardi raggiunti ma anche da una grande amicizia [...]
  • D: Se lei avesse avuto un puntino di tette farebbe anche l'annunciatrice. Ma non lei viene mai il mal di testa dato che fa, praticamente, un po' di tutto.
  • R: Se uno fa, tutte le cose che faccio io, non ha neanche il tempo per considerarsi malato. (Spot; 4 febbraio 1986)
Dopo la vittoria alle regionali del 2000[modifica]
  • D: Dicono che presto tornerà a Roma. Sta già pensando al trasloco?
  • R: È probabile, o dicono che sia probabile. Per me però sarà una cosa semplice, facile, perché io andrò a Palazzo Chigi, caso mai da solo, con una segretaria non come i presidenti della sinistra che si portano sempre amici e consulenti che poi rimangono regolarmente a spese dei contribuenti. [...]
  • D: Bossi è ritornato amico. Sia sincero, lei si fida?
  • R: Sì, io mi fido perché Bossi ha capito che se vuole realizzare le riforme e in particolare il suo obiettivo che è il federalismo, lo può fare solamente con noi. E solo se realizzerà questo obiettivo, avrà dato un senso alla sua avventura politica e anche all'esistenza stessa della Lega.
  • D: Se lei non fosse ricco, potrebbe fare politica?
  • R: Certo che si e avrei anche il vantaggio che nessuno potrebbe accusarmi di conflitto d'interessi.
  • D: Il conflitto d'interessi, come l'ha sistemato?
  • R: È la sinistra che non lo ha sistemato perché io, quando ero presidente del Consiglio, presentai un disegno di legge uguale alla legge americana. La sinistra, poi lo ha tenuto nel cassetto per poterlo usare contro di me. (Il Fatto; 13 dicembre 2000)

Con Oscar Luigi Scalfaro[modifica]

  • D: Perché ha votato contro la fiducia a Berlusconi.
  • R: Sono molto preoccupato dalla indispensabilità del senso dello Stato [...] Basti pensare alle minacce in campagna elettorale di cambiare la Costituzione anche nella prima parte, gli attacchi alla Corte Costituzionale, le incompatibilità non rispettate. [...]
  • D: Alcuni momenti della sua presidenza: Tangentopoli, il mancato incarico a Craxi, il primo governo affidato ad un ex comunista, D'Alema. C'è qualcosa che non rifarebbe?
  • R: Ho ritenuto che il giuramento sulla Carta Costituzionale fosse una cosa seria e ogni passo è stato compiuto nel rispetto assoluto della Costituzione, quindi rifarei tutto quello che ho fatto. (Il Fatto; 25 settembre 2001)

Con Roberto Benigni[modifica]

  • D: Allora, parliamo della situazione italiana. Le elezioni sono imminenti, il conflitto d'interessi è ancora irrisolto...
  • R: Ma io dico, 'sto conflitto d'interessi, Gesù ce lo insegna nel Vangelo! Quando ha chiamato i suoi Apostoli, cosa gli diceva? Spogliatevi di tutte le vostre proprietà... era la prima cosa, ma dico: siamo un Paese cristiano, c'è il papa, ma qui c'è bisogno di spiegare il conflitto d'interessi? Se io, lei e un altro abbiamo tre aziende: una di pasta, una di ciliegie e una di caffè. Io sono il proprietario di quella di ciliegie e a chi levo le tasse? All'azienda di ciliegie. [...] Invece no, si pensa al conflitto d'interessi come qualcosa che non riguarda i problemi della gente. Non è vero, perché il conflitto d'interessi è una della basi della democrazia. Se viene a mancare una regola così alta, così potente è la fine. Dopo non c'è più neanche il lavoro, l'occupazione, le tasse, le pensioni, la sanità perché è dall'alto che vengono le cose, se ne crolla una, crollano tutte.
  • D: Hai visto Berlusconi che ha firmato un contratto anche con te?
  • R: Ma quello ormai è un cult! L'ho registrato poi ho messo la cassetta fra Totò e Peppino, Totò e il wagon lit, Walter Chiari e il Sarchiappone. In mezzo ci sono Berlusconi e Vespa che firmano, è uno sketch di una grandezza spettacolare! È straordinario che Berlusconi dice: "Firmo il contratto con gli italiani". Ma non lo sa che c'è un luogo dove si firma, ben più profondo che è la coscienza. Quando si diventa presidente del Consiglio, si va dal presidente della Repubblica e si firma e dietro c'è l'anima, l'uomo, la firma è stampata a fuoco. E lui m'ha dato un contratto con Bruno Vespa [...]
  • D: Se non fa quattro delle cinque cose che ha promesso, secondo te, va via o ci riprova?
  • R: Quattro delle cinque cose, allora ne poteva dire solo quattro! È come se arriva Mosè con la Tavola dei Dieci Comandamenti e dice: "Ahò, m'ha detto Dio che su sti dieci, se si può sei o sette..." (Il Fatto; "Serata d'onore con Roberto Benigni" 10 maggio 2001)

Con Indro Montanelli[modifica]

  • D: L'avresti mai immaginato che ti avrebbero accusato di essere di sinistra?
  • R: Questo è veramente il coronamento della mia vita e quindi lo accetto con una certa allegria. Mi doveva succedere anche questo e mi è successo.
  • D: Ti accusano di una certa doppiezza nei confronti di Berlusconi, c'è un prima e un dopo.
  • R: Nei confronti miei e del Giornale fu un editore eccellente, che non mise mai becco nella conduzione, che rimase fedele alla formula che io avevo escogitato: tu sei il proprietario, io sono il padrone, almeno finché resto il direttore. Poi quando entra in politica, va nella redazione a mia insaputa e dice: qui bisogna cambiare tutto, adesso il giornale deve essere al suo servizio. Non dica di no perché ho le testimonianze di tutti i redattori. Quindi diventa un uomo diverso, vuole fare lui il padrone ma io la vocazione del servitore non ce l'ho proprio. [...]
  • D: Chi è Berlusconi?
  • R: È il più grande piazzista che ci sia non in Italia, ma nel mondo. È un uomo che ha risorse inimmaginabili, che ha della verità un concetto molto personale, per cui la verità è quello che dice lui. [...]
  • D: Dunque, voterai Rutelli e il centrosinistra?
  • R: Rutelli mi sembra che dice delle cose sensate, è giovane, ha fatto politica solo come sindaco di Roma e lo ha fatto bene ma so che essere capo del governo è un'altra cosa però mi da una certa garanzia di equilibrio. Voterò centrosinistra perché anche se è pieno di difetti, non è pericoloso e non mi fa paura, mentre Berlusconi sì e questo mi inquieta un po'.
  • D: Cosa auguri al nostro Paese?
  • R: Auguro e adesso scandalizzerò tutti, la vittoria di Berlusconi, perché Berlusconi è una di quella malattie che si curano con il vaccino. Ecco, l'Italia per guarire da Berlusconi, ha bisogno di una bella iniezione del vaccino di Berlusconi. (Il Fatto; 29 marzo 2001)

La Bibbia del Cavaliere[modifica]

  • Il fatto editoriale del secolo. Già Dio ha qualche problema con la Bibbia, che nel nostro Paese, ogni anno, raggiunge quattro milioni di lettori. Il volume autobiografico "Una storia italiana" che racconta vita e anche miracoli di Silvio Berlusconi entrerà in dodici milioni di famiglie. Forse andrebbe rivisto il titolo: "Una storia mondiale" perché non si conosce una vicenda che sta alla pari con questa. Comincia cantando a bordo di una nave e poi ha un repertorio che conquista milioni di elettori. È una trama affascinante come "Via col vento". [...] Al di là delle parole, nel libro ci sono alcune lacune: non si parla della prima consorte del leader, del divorzio e non risulta che Silvio avesse un fratello di nome Paolo. (Il Fatto "La Bibbia del Cavaliere" 17 aprile 2001)

Con Antonio Di Pietro, l'"eroe" di Mani Pulite[modifica]

D: Se l'aspettava tutta questa notorietà? R: No. Non vedo l'ora di ritornare normale [...] D: Tra lei e gli arrestati cosa avverte? Una specie di sfida? R: Alla fine c'è sempre stato un rapporto leale e corretto. Non credo che qualcuno possa dire di essere stato menomato dei suoi diritti fondamentali. [...] D: Come conduce i suoi interrogatori? R: Mi limito a fare presente agli imputati quali sono gli indizi a loro carico e non è vero che uso contro di loro prevaricazioni. [...] D: Fra chi paga e chi riceve, che differenza fa? R: A volte c'è anche chi dispone. (da Un anno, una vita)

Con Michail Gorbacev; un bilancio della perestroika[modifica]

  • D: Che cosa ha voluto dire la caduta del Muro di Berlino per il mondo?
  • R: L'esistenza del Muro significava la spaccatura non solo dell'Europa e della Germania, ma del mondo. E comunque, allora, la situazione era molto cambiata: era arrivata la libertà. Nell'Urss si erano tenute elezioni libere, era terminata la guerra fredda. Il Muro doveva cadere perché rappresentava un simbolo ormai finito e in Germania era già in atto un processo di unificazione. Io penso che il merito di noi politici di allora è stato aiutare quello che i tedeschi avevano già deciso: unificare il Paese. Per me questo rappresenterà per sempre un grande orgoglio.
  • D: Cosa ha voluto dire la perestrojka per il suo popolo?
  • R: La perestrojka ha indicato il passaggio alla democrazia, ha portato a libere elezioni e alla realizzazione delle riforme politiche. Senza di essa nel mio Paese non si sarebbe potuto cambiare niente. Rappresenta il passaggio dalla prigionia alla libertà.
  • D: Che cosa ha significato per lei quanto è successo nel dicembre del 1991?
  • R: È stato il momento più difficile della mia vita. Il Paese si è disgregato [...] C'era la necessità di una riforma che decentralizzasse il potere; la disgregazione ha portato con sé il dissesto del Paese. Eltsin e il suo gruppo hanno speculato sulla crisi, hanno fatto in modo che che la voglia di una élite fosse recepita come la volontà del popolo e questo ha portato al referendum dove sono state decise le sorti dell'Unione. Questo ha distrutto l'economia, perché i singoli Paesi non sono autonomi: se l'Ucraina deve produrre una cosa ha bisogno della Russia e viceversa. È stato un duro colpo alla scienza, ai collegamenti a tutto. Ma l'Occidente può stare tranquillo: l'Unione Sovietica non tornerà più. (estate 2002; intervista mai trasmessa per la chiusura del Fatto)

L'11 settembre: nella New York ferita[modifica]

  • Qui l'11 settembre c'erano due torri: un simbolo dell'America. Adesso è solo un cantiere e un cimitero. [...] Si sono concluse qui le storie umane di 3000 persone. Nelle loro tasche i passaporti di sessanta nazioni. Tra i morti anche 479 vigili del fuoco, poliziotti, soccorritori.
  • New York è stupefatta, sconvolta nelle antiche regole e nelle convinzioni. Le luminarie natalizie sono meno festose, in giro non si vedono i soliti disoccupati vestiti da Babbo Natale. [...] Le bancarelle con i poster conciliano dolore e commercio, c'è la memoria della paura. [Speciale Il Fatto "New York senza stelle" (24 dicembre 2001)]

Con il ministro leghista Castelli[modifica]

  • D: A chi l'accusa di essere al servizio di Berlusconi in materia giudiziaria, che cosa risponde?
  • R: Rispondo di essere il ministro della Giustizia del governo Berlusconi. Porta avanti lealmente quello che è il programma del Governo Berlusconi e della Casa delle Libertà. [...]
  • D: Alcuni provvedimenti che voi avete preso, hanno dato l'impressione di sistemare qualche problemino giudiziario del presidente del Consiglio. Cito, ad esempio, rogatorie e falso in bilancio.
  • R: Non si possono vedere sempre le cose con questa malizia. Sul falso in bilancio ci siamo allineati alle più moderne normative dell'Occidente. La legge sulle rogatorie è stata proposta dal Parlamento, non dal governo. Tra l'altro l'Ulivo aveva dichiarato che ci sarebbero state scarcerazioni di assassini, ladri, furfanti, pedofili e quant'altro. Non è successo niente. Capisce quanta propaganda è stata costruita sopra. (Il Fatto; 14 gennaio 2002)

Altri giornali[modifica]

L'Europeo[modifica]

Al Festival di Cannes[modifica]

  • Eccomi qui alla Croisette. La mia natura provinciale è messa alla prova. Non ho dimestichezza con le starlettes, non sono mai salito su uno yacht; allevato a lambrusco, un drink potrebbe riuscirmi fatale. Inciampo, con facilità, nelle gaffe. [...] Ascoltavo dei signori che dividevano il cinema in due periodi, prima e dopo Godard. Un Messia. Mi vennero in mente i libri di scuola (77 avanti Cristo; 10 dopo Cristo). Osservavo Martine Carol: ha la mia età, cerca di difendersi, madame l'autunno incombe. Purtroppo siamo nati avanti Cristo. (1966)

Cina[modifica]

Incipit[modifica]

Lo ha detto Confucio che se ne intendeva: ci vorrebbero cento vite per conoscere la Cina. Io dispongo di una sola, e in buona parte consumata; poi non ho capito ancora bene come è fatta l'Italia.

Citazioni[modifica]

  • La signorina Ciang Guizhi era afflitta da una paralisi generale. La guarirono con questa insolita terapia: i medici recitavano i detti di Mao, le infermiere ne cantavano la gloria, un vibro-massaggiatore eccitava i muscoli dell'inferma, la quale, a un tratto, aprì gli occhi, posandoli sul busto di gesso del Taumaturgo. Allora i dottori le misero il volumetto che raccoglie gli insegnamenti del Presidente sotto il guanciale, e i nervi ripresero le loro funzioni. (I due compagni, p. 22)
  • Quando [Jiang Qing] cade, la coprono di insulti: malvagia come il diavolo, infida come un serpente, selvaggia come un cane rabbioso, scoprono che la sua vita privata assomiglia a quella dell'imperatrice Wu, vissuta nel VII secolo, e nota per le stravaganze e la sfrenata libidine. (I due compagni, pp. 32-33)
  • È dunque a Chiang Ching che vengono in gran parte addebitati tutti i guai provocati dagli scatenati giovanotti e dalle loro compagne[12] che, per una decina di anni, con bracciale infilato in una manica, e agitando il Libretto delle Citazioni compilato da Lin Piao, il numero 2 del regime, a uso dei soldati, hanno invaso le piazze, bloccato lo sviluppo della Cina, devastata l'esistenza di milioni di individui. (I due compagni, pp. 33-34)
  • La Cina è un paese dove i punti esclamativi abbondano. Gli slogan, gli ideogrammi bianchi su fondo rosso, attraversano le strade, pendono dagli edifici. La politica ti insegue ovunque. Titolo di due canzoni (sembrano inventati da Lina Wertmüller): "Le donne della milizia nella prateria portano del carbone all'Armata popolare di liberazione assediata dalla neve", "Il Timoniere pilota la nave sui flutti tempestosi". (I buoni e i cattivi, p. 67)
  • [Deng Xiaoping] Piccolo, piuttosto grasso, vestito di grigio, con ai piedi calzini bianchi, un po' debole d'udito, ama mangiare bene ed è un buon cuoco: quando lo mandarono a rieducarsi, in un villaggio della Mongolia inferiore, finì infatti in cucina. (I buoni e i cattivi, p. 81)

Dizionario del Novecento[modifica]

Incipit[modifica]

La massima è di uno che aveva guardato bene dentro se stesso; dice: «Se la nostra vita è vagabonda la memoria è sedentaria». Per tanto tempo sono andato in giro per il mondo a raccontare quelli che pomposamente si chiamano «eventi», ed essendo uno specialista in niente, ho sempre cercato di incontrare persone e di narrare vicende. Quasi sempre drammatiche, perché è vero che «nel bene non c'è romanzo».

Citazioni[modifica]

  • Hanno cercato di spiegare la sua crudeltà con la psicoanalisi: infanzia povera, orfano di padre, madre cuoca, complesso di essere brutto. Per rifarsi, [Lavrentij Pavlovič Berija] voleva soprattutto comandare. Era un sadico, con una predilezione feticistica per le scolarette, che si divertiva, secondo un minuzioso biografo, a frustare sul sedere. (Berija, Lavrentij P. (1889-1953), p. 43)
  • Nell'aula [del processo del 1938], presenti anche gli inviati stranieri, Bucharin si riconobbe colpevole: disse che aspirava alla restaurazione del capitalismo, ma respinse ogni responsabilità negli attentati. Non si sa se è stato torturato: forse no; invece minacciarono di uccidere sua moglie Anna e il loro bambino. La rivista Oktjabr' nei resoconti lo presentò come «un maledetto incrocio tra un maiale e una volpe. Uno scassinatore sotto le spoglie di un dirigente politico». (Bucharin, Nikolaj I. (1888-1938), pp. 54-55)
  • Una volta in Argentina, per salvare la compagnia, naufragata nell'insuccesso, [Paola Borboni] sacrificò un po' della sua virtù al presidente di quella tumultuosa Repubblica. (Borboni, Paola (1900-1995), p. 48)
  • [Michael E. DeBakey] È un solitario che ignora le relazioni sociali, non fuma, non beve, non dà la caccia al denaro: gli bastava lo stipendio della Baylor University e regalava i suoi emolumenti alla facoltà. (De Bakey, Michael (1908), p. 85)
  • Nel 1936 al posto di Jagoda come primo capo dell'NKVD[13], c'era Ežov, il «nano sanguinario». Era alto poco più di un metro e mezzo, stava nel Partito dal 1917. Aveva denunciato il suo predecessore come ex spia della polizia zarista, ladro e malversatore. [...] Quando arrivò a Kiev, nel 1938, fece fucilare secondo le ultime rivelazioni 30.000 persone. Un bel numero. E quando venne arrestato, nel tentativo di difendersi, denunciò tutti.
    Ma nessun boia, nella storia russa, si salva dal destino delle sue vittime; Ežov venne ucciso, nel manicomio criminale dove lo avevano relegato per il suo squilibrio mentale, con un colpo di pistola e lo trovarono impiccato a un albero con un cartello scritto da diverse mani: «Io sono una merda». (Ežov, Nikolaj I. (1895-1940), p. 111)
  • Non mi risulta che Mario Melloni, in arte Fortebraccio, abbia mai scritto una critica acre o volgare. Per lui il comunismo era un modo per realizzare il cristianesimo. Da una parte i ricchi che lui chiamava «Lor signori», dall'altra parte i poveri, con una particolare predilezione per i metalmeccanici. (Fortebraccio (Mario Melloni) (1902-1989), p. 123)
  • Era un astuto negoziatore e sapeva destreggiarsi tra i sospetti, le congiure e le denunce che comportava il «culto della personalità». Qualcuno lo considerava un liberale, ma non capeggiò mai gruppi, non volle primeggiare. [...]
    Anastas Ivanovič Mikojan è il solo compagno del tempo di Lenin, tra 26 commissari del popolo, che se ne è andato con cerimonie, medaglie e una adeguata pensione. «Il grande sopravvissuto» come lo chiamavano, il figlio del falegname di Sanain ha saputo sempre misurare la forza dell'onda; era intelligente, equilibrato, furbo. (Mikojan, Anastas I. (1895-1978), p. 219)
  • Qualche mattina sui marciapiedi dell'Arbat[14], nelle buone giornate, era possibile incontrare il vecchio pensionato Vjačeslav Molotov. Abitava in via Gronovskij e andava alla Biblioteca Lenin a consultare l'archivio. Lo vidi: era un piccolo signore riservato che portava a spasso il cane o leggeva su una panchina le notizie della Pravda o gli editoriali del Kommunist. Il suo nome di battaglia (quello vero era Skrjabin) significa «uomo martello»; Churchill lo giudicava «un perfetto robot», il compagno Vorošilov lo chiamava «culo di sasso».
    Non batté ciglio neppure quando arrestarono sua moglie Polina perché era ebrea: al momento di votare si astenne. (Molotov, Vjačeslav S. (1890-1986), p. 225)
  • Quando [Ettore Muti] comandava la milizia portuaria a Trieste, dovette andare a ricevere un principe africano arrivato con uno yacht.
    Il personaggio invitò Muti a bordo, gli fece grandi feste e, manifestando deplorevoli tendenze, si lasciò andare a confidenziali abbandoni ai quali Muti rispose con alcuni cazzotti. Ne nacquero complicazioni diplomatiche e Mussolini lo chiamò a rapporto. A conclusione di un severo «cicchetto» il Duce gli rivolse un ammonimento: «Adoperate giudizio. Come mai a me queste cose non accadono?».
    E Muti senza scomporsi: «Me vo an si miga un bell'oman come me»[15]. (Muti, Ettore (1902-1943), p. 236)
  • [Ettore Muti] Non meritava di morire con un colpo alla nuca, in un boschetto. Era decorato di una medaglia d'oro, due d'argento e aveva avuto tre promozioni per meriti speciali. (Muti, Ettore (1902-1943), p. 236)
  • Michail Nikolaevič Tuchačevskij era soprannominato il Napoleone rosso. A quarant'anni era maresciallo dell'Unione Sovietica ed era considerato il massimo teorico militare. Quando chiese con insistenza che venisse aumentato il numero di aerei e carri armati, Stalin lo accusò di insensatezza. (Tuchačevskij, Michail N. (1893-1937, p. 350)
  • Gli piaceva far gite in macchina, andare in campagna e non trascurava le avventure amorose. Oltretutto, [Tuchačevskij] godeva di una invidiabile salute: riusciva a sollevare con un braccio una persona seduta su una seggiola. Nel suo ufficio c'era una palestra con tutti gli attrezzi per la ginnastica. (Tuchačevskij, Michail N. (1893-1937, p. 350)

Era ieri[modifica]

Incipit[modifica]

Sono nato a Pianaccio tanto tempo fa, il 9 agosto 1920. Per la cronaca a mezzogiorno, almeno così ha sempre raccontato mia madre, e mio padre, in un eccesso di orgoglio per aver avuto il primogenito maschio, si affacciò alla finestra che dava sulla strada per mostrare il neonato. La mia famiglia era stata benestante, ma quando io nacqui delle fortune di una volta non era rimasto niente: il babbo faceva l'operaio a Bologna, vicecapomagazziniere allo zuccherificio, tornava ogni tanto e io stavo a Ca' d' Babon con la mamma e il nonno Marco.
Sono stati, quelli dell'infanzia, anni felici. Il nonno Marco mi raccontava le storie di quando andava a fare il carbone in Sardegna e mi parlava dei tempi in cui a Pianaccio capitavano i briganti, scappavano dallo Stato Pontificio per andare a cercare rifugio verso Modena o verso Pistoia. Alloggiavano alla locanda dell'Olimpia, avevano barbe nere e lo sguardo di chi ha la febbre, mangiavano senza alzare gli occhi dal piatto.

Citazioni[modifica]

  • A Milano tutto era regolato sul denaro. Nei bar dicevano "cappuccio", per cappuccino, si risparmiava qualche sillaba. Mi colpì un manifesto sulla chiesa di San Calimero: "Date e vi sarà reso al cento per cento".
  • Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un "vendicatore" capace di riparare torti e ingiustizie [...] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo.
  • Il 23 marzo 2005 è una data tremenda per la Costituzione e la democrazia italiana. Nello stesso giorno, molti anni prima, nel 1919, gli Arditi decisero di costituirsi in "Fasci italiani di combattimento" e in seguito quella data sarà celebrata come l'inizio del fascismo. Oggi dopo ottantasei anni, il Senato approva la riforma costituzione voluta da Berlusconi, Bossi, Fini e dalla loro maggioranza. Che combinazione!
  • [Giovanni Paolo II] Quell'uomo sembrava immortale e che aveva superato tutto, ha dovuto arrendersi, come ognuno di noi, alla sofferenza e al destino. È morto come un uomo, mostrando tutto il suo dolore e la sua solitudine. [...] Mi riconoscevo in quell'uomo dai capelli bianchi e nella sua ricerca di meditazione.
  • Può un Paese sopravvivere a dei governanti inquisiti?
  • Tutto era cominciato [si parla di Mani pulite] un mattino d'inverno, il 17 febbraio 1992, quando con un mandato d'arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l'ingegner Mario Chiesa, esponente del PSI, con l'ambizione di diventare sindaco di Milano. Lo pescano mentre ha appena intascato una bustarella di sette milioni. [...] Craxi se la prese con la Procura di Milano ma sui muri comparvero delle scritte come "W Di Pietro", "Di Pietro tieni duro" e "Milano ladrona, Di Pietro non perdona".
  • L'accusa verso di me è sempre stata la stessa: Biagi è un comunista. Forse deluderò qualcuno e qualcuno, invece, sarà felice: non sono mai stato comunista, sono solo un vecchio socialista [...] In fin dei conti questa accusa cosa voleva dire? Che mangiavo i bambini? [...] Ed è incredibile che quell'accusa mi abbia accompagnato fino a ottantadue anni, quando ancora una volta, ho pagato per le mie idee. [si riferisce all'editto bulgaro di Berlusconi]
  • Quando penso a Hitler, non posso non pensare alla mia nipotina Rachele e a quei sei milioni di ebrei. Lo hanno accusato di "cretinismo morale e ideologico". Sono d'accordo.
  • Mentre Benigni mi raccontava a che punto era con Pinocchio, io lo guardavo negli occhi e pensavo che quell'uomo dall'accento toscano tanto simile alla gente delle mie parti, con un po' di capelli in meno dall'ultima volta che ci eravamo visti, i soliti pantaloni senza piega, la camicia troppo larga e fuori dalle brache era il genio che il mondo ci invidiava.
  • Il Cavaliere [...] è partito da niente e, guarda un po', si è fatto da solo. C'è una squadra che studia il suo look, ha un portavoce che qualche volta gli mette una mano sulla spalla per fargli capire che qualche parola in meno aiuta. Lo spettacolo ce l'ha nel sangue e, purtroppo ha trasformato Palazzo Chigi in un grande varietà; d'altra parte già a quattordici anni organizzava recite di burattini con ingresso a pagamento [...] L'aria che lo accompagna è quella inconfondibile del piccolo venditore di edizioni straordinarie, che urla sul marciapiede lucido di pioggia ma è destinato a percorrere una lunga strada. [...] Ha una compagnia molto colorita e che suscita tante perplessità.
  • Berlusconi non ha fatto un colpo di Stato, è stato eletto democraticamente con il voto degli italiani ma certamente lo ha aiutato l'essere proprietario di tre reti televisive e della casa editrice più importante del nostro Paese. È entrato in politica soprattutto per risolvere alcune questioni personali che lo angosciavano.
  • Berlusconi governa il Paese dalle sue centoquarantasette stanze di Arcore e parla al popolo come l'erede dei Borboni.
  • Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano.
  • Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere.
  • Noi italiani abbiamo un po' la tendenza ad essere tutti allenatori della Nazionale: conosciamo sempre la formazione ideale e il risultato anche prima della partita"
  • A Parri è sempre bastato avere la coscienza tranquilla. Per questo non volle mai rinunciare alle sue idee.

L'albero dai fiori bianchi[modifica]

Incipit[modifica]

  • Era un piccolo albergo dal nome fiabesco: "La casa azzurra". Il colonnello vi alloggiava dalla fine della guerra. Suppongo, anche per i modi confidenziali della cameriera e, considerando le sue rendite di pensionato, che godesse di un trattamento amichevole. Ma dava in qualche modo decoro al locale.

Citazioni[modifica]

  • Quando finisce la stagione delle speranze si apre lo spazio per le memorie. (p. 13)
  • Hanno appena proclamato i Diritti dell'Uomo, che subito se li mangiano. Di regola così succede con gli apostoli della felicità per tutti. Cambiano costumi e calendari e lanciano la parola "rivoluzione". Il giorno di santa Cecilia diventa giorno della rapa, quello dedicato a santa Caterina viene destinato al maiale. L'ape regina si adegua: ape ovaiola. Non c'era forse la festa della madre e del fanciullo? Gennaio diventa nevoso; e quando cade la nebbia siamo in brumaio. (p. 42)
  • Di solito gli scrittori da noi muoiono due volte: per l'anagrafe e per i lettori. (p. 69)
  • Ognuno di noi, credo, deve qualcosa del suo gusto, e anche del suo carattere, e della sua morale, alle letture dell'adolescenza. Dobbiamo a certi libri e a certi film se noi, che apparteniamo a una generazione in via d'estinzione, non siamo cresciuti del tutto stupidi, diceva Federico Fellini. Per me, contano i russi, poi Jack London, qualche americano e il Joyce di Gente di Dublino. (p. 70)
  • È il culto del potere, che in Italia è un sentimento estremamente diffuso. In nessuna parte del mondo esistono, come da noi, cartelli che avvertono, negli stadi, o nei parcheggi, o nei teatri: "Riservato alle Autorità". (p. 72)
  • Si può essere dei creatori, possedere un ingegno eccelso, vincere il Nobel, ma non capire nulla di politica. Diceva Flaiano che anche da noi abbondano i cretini di talento. (p. 82)
  • Ho conosciuto personaggi inquietanti e sono stato testimone di mutamenti del costume sorprendenti. Basterebbe sfogliare le collezioni dei quotidiani degli ultimi cinquant'anni, pagina degli annunci economici: si passa dalle illibate che cercano marito alle massaggiatrici che offrono assistenza e compagnia. (p. 155)

L'Italia dei peccatori[modifica]

  • È stata pubblicata una nuova versione dei Promessi sposi secondo i princìpi delle leghe: i «lumbard» Renzo e Lucia e fra Cristoforo sono bravi e buoni, don Rodrigo è mafioso e «terun». Alla fine della storia, un invito che è la conclusione morale: «Foeura di ball!». (p. 29)
  • Su cento cittadini orobici, con scarse propensioni al romanzo e alle parodie, ma con ferme riserve sulla realtà, più della metà non si farebbe curare da un medico nato in fondo allo Stivale e 67 non vogliono per i loro figli un insegnante delle «terre ballerine»: rifiuterebbero, nel caso, a Tommaso d'Aquino, a Benedetto Croce o Giovanni Gentile la cattedra di filosofia, e guai se il maestro Leonardo Sciascia si presentasse in una scuola elementare. (p. 29)
  • Raccontano che Ettore Muti si fermò una volta a Ostia per fare un bagno. Non era la stagione più indicata, e la spiaggia era deserta. Lo accompagnava l'autista.
    «Vieni anche tu» disse Muti al devoto dipendente.
    «Ma non ho il costume» si difese, per nulla entusiasta, il brav'uomo.
    «Cosa vuoi che importi? Non vedi che non c'è nessuno?» insisté il principale.
    Quando l'autista fu spogliato e nell'acqua, Muti corse alla macchina e scappò via con gli abiti del povero bagnante, ma perfezionò lo scherzo: avvertì i carabinieri che c'era un pazzo a passeggio sulla riva completamente nudo e tremante, e che diceva di essere al suo servizio, ma lui non lo conosceva affatto. Il «demente» rimase così in guardina un paio di giorni. (p. 48)
  • [Vittorio Gassman] Padre tedesco, ma vizi italiani; marito, quando è il tempo del giovanotto; padre, quando è il momento di diventare nonno; abbondante in tutto – statura: 1,91 – e sregolatezza, genialità e cinismo: serate memorabili sul palcoscenico e filmacci di terza categoria giustificati solo da ragioni alimentari. (p. 128)

Lettera d'amore a una ragazza di una volta[modifica]

  • Quando le mie figlie erano piccole, ho letto loro dei versi di Trilussa: "C'è un'ape che si posa/ su un bocciolo di rosa/ lo succhia e se ne va.../ Tutto sommato, la felicità/ è una piccola cosa". Bisogna apprezzare quello che ti danno i piccoli piaceri. Il resto ci può stare, ma è un di più.
  • Per quanto mi riguarda, arrivato quasi al traguardo, rifarei tutto quello che ho fatto.
  • Spesso ho avuto i politici schierati contro (da Silvio Berlusconi a Bettino Craxi, troppo onore!); sono sempre stato dalla parte di quelli che non vincono, di quelli che difendono certi principi e certi valori di uguaglianza, onestà, decenza. Mi hanno definito un "moralista un tanto al chilo".
  • Per me il mestiere che ho scelto, quello di giornalista, ha sempre significato raccontare la storia giusta al momento giusto.
  • Tutti noi valutiamo le cose secondo un certo punto di vista e tutti dobbiamo fare i conti con la nostra biografia: conta non solo quello che siamo, ma anche quello che siamo stati, le famose fedeltà generazionali di cui mi parlava l'avvocato Agnelli. Io nel 1944, ho scoperto il Partito d'Azione, ai cui ideali –coniugare la giustizia con la libertà– ancora oggi mi ostino a rimanere fedele.

Mille camere[modifica]

  • Ho scoperto che molte vie non conducono in alcun luogo, e che tutti i percorsi si assomigliano. La tua esperienza non serve agli altri: è una moneta che uno solo può spendere. Gli altri, la gente, è come me: bagnata dalla pioggia o sferzata dal vento, sconvolta dalla gioia o affogata dalla malinconia. (p. 15)
  • A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama Joyce può essere difficile. (p. 27)
  • Quando penso alla Russia penso al dolore: non solo ai drammi, ma anche alle miserie di ogni giorno. (p. 169)
  • Wiechert è forse lo scrittore tedesco che ho amato di più, perché è un incontro della giovinezza. Ormai è quasi dimenticato, e anche i suoi compatrioti lo han messo da parte. Il suo mondo, le sue storie, i suoi personaggi – contadini, servi, pastori d'anime – i suoi cieli prussiani e le foreste, le pianure sterminate, le paludi, le nevi, le torbiere, gli stormi migranti, sono lontani, cancellati da nuove trame, e anche la sua voce rassegnata si perde nel frastuono che ci circonda. (pp. 267-268)
  • Qui riposa la grande Maria Teresa, un bell'esempio per le femministe: fece sedici figli, dimostrando che non disprezzava il maschio, ma si impose col cervello: amministratrice straordinaria e politica raffinata, inventa scuole popolari e l'esercito permanente. Questa corona di alloro le compete. (p. 277)

Quante storie[modifica]

  • Si è capito che gli animali vengono al mondo dotati di specifiche risorse, di certe doti [...], ma altre cose le imparano per l'influsso dell'ambiente; sono, dice Lorenz, una alternanza tra istinto ed esperienza. (p. 15)
  • Irene d'Olanda era una insignificante persona: le hanno insegnato a mangiare, a vestirsi e a pettinarsi, ed eccola graziosa e irriconoscibile. (p. 21)
  • Resta in ogni caso il pericolo costituito da chi vuole imporre, a ogni costo, il proprio modello di felicità agli altri. Di solito le conseguenze per chi vorrebbe essere felice a modo suo sono i roghi o i campi di concentramento. (p. 107)
  • [Che Guevara] Uno che lo ha conosciuto dice: «Ricordo uno sguardo limpido come l'alba». È stato un simbolo; in un certo momento, non vi era camera di studente dove non fosse appeso il suo ritratto: un volto bello, incorniciato dalla barba, i capelli folti e ricciuti, gli occhi vividi e ironici.
    [...] nato in una «buona» famiglia argentina è caduto su una montagna boliviana, combattendo. Medico, è andato fra i lebbrosi, ha fatto lo scaricatore di banane, il fotografo ambulante, lo sguattero, l'infermiere.
    Di educazione borghese — la madre gli aveva insegnato le lingue e l'amore per la poesia, il padre, ingegnere, il senso della giustizia sociale — era diventato un rivoluzionario.
    Da ragazzo, i suoi compagni di gioco erano i figli dei diseredati delle bidonvilles di Cordoba, l'esempio che lo suggestionava di più era quello di Gandhi: ma non credeva che si potesse distruggere il privilegio senza ricorrere alla violenza. (p. 194)
  • La storia non è soltanto difficile capirla, ma anche viverla [...]. (p. 230)
  • La storia è una guida alla ricerca dell'uomo. (p. 231)

Quello che non si doveva dire[modifica]

Incipit[modifica]

Ho sempre detto di non aver mai mentito ai miei lettori, ma non è vero. Una bugia mi è scappata quando Loris [Mazzetti, coautore del libro], durante un'intervista, mi chiese che cosa avevo provato dopo il mio allontanamento dalla Rai. "Guarda", risposi, "lo dico anche con un po' di vergogna: niente. Ne abbiamo parlato tante volte, ci siamo arrabbiati, l'abbiamo considerata una grande violenza, ma dentro non ho provato niente, perché alla mia età sono altre le cose che segnano."
Questo concetto l'ho ripetuto parecchie volte, anche a me stesso, però devo confessare che non sono riuscito, come fanno spesso alcuni, a convincermi. Insomma, la televisione mi è mancata e mi manca tuttora.

Citazioni[modifica]

  • Nei cinque anni di governo del centrodestra, mai una volta Silvio Berlusconi si è fatto vedere in piazza il 25 aprile, mai una parola dedicata agli antifascisti, d'altra parte governare con gli eredi di Mussolini ha un prezzo che si deve pagare. Comunque, il Cavaliere, in piedi a Milano in piazza del Duomo, al fianco di partigiani come Ciampi, Boldrini e poi Tina Anselmi, Oscar Luigi Scalfaro, Massimo Rendina, Checco Berti Arnoaldi, Giovanni Pesce, Bruno Trentin, Giorgio Bocca, Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Giuliano Vassalli, e i compianti Luigi Pintor e Aldo Aniasi, sarebbe stato ridicolo nonostante il ruolo istituzionale. (p. 52)
  • Fuori ci sono le categorie a rischio: nel reparto [per malati di AIDS del Policlinico San Matteo di Pavia] ce n'è una sola. Non c'è in gioco più nulla. I malati sanno tutto, conoscono le cause dell'infezione. Gli effetti li vedono anche su se stessi. E di fronte alla sorte che li attende, appaiono spogliati di tutto, e nella loro verità: deboli o sprezzanti, volubili o vendicativi, quasi attratti dal virus che li fa anche più indifesi, o testardamente aggrappati all'ultima zattera. C'è dell'estremismo, o un senso della fatalità, anche nelle scelte, o nelle decisioni: donne che hanno usato la siringa fino al giorno prima del parto, coppie che, sapendo, hanno desiderato mettere al mondo un figlio. Accada quel che deve accadere.
    Negli ospiti non c'è almeno nell'apparenza, il senso del terrore: piuttosto della rassegnazione. Anche nei casi più avvilenti, si scarta la previsione tragica: in qualunque momento potrebbe arrivare il vaccino. Non è stato così per la tubercolosi o per la polio? Anche la morte è un avvenimento nascosto: chi va a casa si sa, non è mai guarito. La via del ritorno è quasi sempre segnata. Ma nessuno, né medici né ricoverati, si arrende. (p. 147)
  • C'è un magistrato, un'affascinante donna dai capelli rossi, che fu amica di Giovanni Falcone, la quale dopo gli attentati di Capaci e via D'Amelio andò in Sicilia e fece arrestare gli esecutori materiali delle due stragi: Ilda Boccassini. Una donna tenace, che non si ferma di fronte a nulla, che ha un unico obiettivo, quello di far trionfare la giustizia, come aveva fatto a Palermo il giudice Falcone nel maxi processo contro la mafia. La pm milanese è diventata ormai l'incubo nelle notti del Cavaliere, fa parte dei suoi sogni. E il risveglio è sempre molto agitato. (p. 201)
  • La mancanza di valori, l'individualità sempre protagonista rispetto al comune agire, l'egoismo sfrenato e, soprattutto, l'assenza di speranza, possono essere alcune delle ragioni che hanno portato la corruzione e il degrado nella nostra società. (p. 209)

Explicit[modifica]

C'è qualcuno che ha detto che questa generazione, la mia, non ha avuto altro che il tempo di morire. Ma c'è una cosa che è ancora più triste, perché è vero che ci sono molti morti nella nostra vita, ma come ha detto Bernanos, «più morto di tutti è il ragazzo che io fui». Voglio dire che quello che la guerra ha portato via e che nessuno ci potrà mai più rendere sono le illusioni, i sogni e gli errori dei vent'anni.
Forse è qui la nostra grande attenuante, quella di una generazione che non ha mai avuto la giovinezza.

[Enzo Biagi, Quello che non si doveva dire, a cura di Loris Mazzetti, Rizzoli]

Russia[modifica]

  • Tolstoj non ha espresso soltanto il desiderio di fratellanza, così profondo nel popolo russo, ma il bisogno di pace di tutti noi. E ha cercato, anche per noi, una fede. (p. 50)
  • È d'obbligo ricordare Alessandra Kollontaj, i suoi ardori di agitatrice, la sua filosofia sconvolgente, i suoi incontri sbagliati, il suo malinconico declino. (p. 114)
  • [Su Chruščёv] Disorganizzazione, fallimento dei piani agricoli, scacchi diplomatici, ed in più una profonda impreparazione accompagnata da una grande stima di sé: si sentiva che aveva imparato a leggere solo a vent'anni. (p. 152)

Senza dire arrivederci[modifica]

  • La Narriman che ho conosciuto io era una signora dall'aria distesa e compita: vista da vicino, perdeva quell'aria da bambolotta che le fotografie sottolineavano. (p. 29)
  • I mariti [di Liz Renay] (sei mi pare) e gli amanti (é un conto che il discreto cronista non tenta neppure) s'inseguono. La signora, che se ne intende, aveva fatto anche una classifica valutando le risorse espansive dei personaggi che hanno usufruito della sua ospitalità. Numero uno Burt Lancaster, ultimo (e sono dieci i campioni presi in esame) Jerry Lewis. Il grande comico fa sempre ridere. (p. 30)
  • [Liz Renay] Due righe per descriverla: bella, immensa, bionda, faceva venire in mente Marylin e Jean Harlow. Come curve, poteva essere paragonata soltanto alla costiera amalfitana. Non era più tenerissima: aveva una figlia, sposata, con la quale doveva posare, senza impacci, per i cultori di «Playboy». (p. 30)
  • Sono andato a trovare, in un villaggio del Connecticut, che si chiama Roxbury, Sylvia Sidney. [...]. Alla Paramaount era considerata quanto Marlene Dietrich.
    Vive da sola, in una casetta all'inizio del paese, alleva cagnetti di una razza speciale, i pugs, e mi disse che che ne possiede uno il sarto Valentino; ha pubblicato due libri di ricamo, hanno in copertina una rana trapunta col filo, e le stanze sono invase di raganelle di plastica, di porcellana, di metallo, di ranocchi di ogni colore, omaggio di estimatori. (pp. 35-36)
  • La faccia dagli occhi orientali [di Sylvia Sidney] è segnata e sconvolta da intrecci di rughe, la ragazza che simboleggiò l'America della depressione ha passato i settanta e ancora sale sul palcoscenico, o si mostra in TV per sopravvivere. È sempre bravissima e Paddy Chayefsky, quello di Marty, scrive copioni per lei, ma è lontano il tempo della diva che fu diretta da King Vidor e da von Sternberg, da Hitchcock e da Milestone. Non nuota di sicuro nella ricchezza, una cameriera negra viene ogni tanto a fare le pulizie. (p. 36)
  • Micheline Presle, il volto percorso da grinze sottili, lo sguardo freddo, i modi sbrigativi e un po' alteri di chi si sente un po' fuori dal tempo, e non vuole commemorarsi: non trovavo nessuna traccia dell'interprete di vicende che avevano in qualche modo pesato sui nostri vent'anni: non era Marthe indifesa e generosa, non la trepida Janine, la bella indossatrice diventata operaia, che manda al marito in trincea il disco sul quale è incisa la canzone del loro idillio. (pp. 37-38)
  • Si può essere protagoniste di una straordinaria vicenda senza capirci nulla: senza compromettersi col dolore degli altri. Stare vicino a uno scrittore geniale, che soffre, e guardare oltre: con gli occhi storditi dalla giovinezza. Parlo di Adriana Ivancich; la conoscevano come «la ragazza di Hemingway». (p. 38)
  • L'ho incontrata l'ultima volta in Galleria a Milano; [Adriana Ivancich] era contenta perché aveva consegnato il manoscritto dei suoi ricordi all'editore.
    Non credo che il libro abbia avuto fortuna.
    Una volta parlammo della sua storia e c'era il marito che se ne stava in un angolo, ad ascoltare. Una presenza fastidiosa, ma Adriana raccontava di «Papa, Mister Papa» senza imbarazzo, come fosse un'occasione per confessarsi, per ritrovare qualcosa. Non mi sembrava contenta.
    L'ho saputo scorrendo un giornale: si è uccisa. (p. 38)
  • «Signora o signorina?» chiesi.
    «Prete», mi rispose. [...].
    Io passeggiavo col reverendo Elisabeth Djurle nei tranquilli viali che circondano la «Nacka Kyrka», la chiesa di Nacka; il reverendo Djurle aveva i capelli biondo cenere, gli occhi molto chiari, un velo di cipria sul volto pallido, e un mite sorriso autunnale. (p. 49)
  • La signora Adelina Magnetti fu la prima interprete di Assunta Spina. Una grandissima attrice, la chiamavano «la Duse napoletana». Sparì, a un tratto, dal palcoscenico, nel momento più felice della sua carriera. «Una passione», raccontava con un sospiro «una grande passione.» Non diceva altro. (p. 60)
  • Una piccola, fragile donna di ferro: Camilla Ravera. Più di novant'anni vissuti con totale coerenza. Prigione, confino, lotte tra compagni, profonde solitudini: ma nessun patteggiamento. Se Stalin si allea con Hitler, lei dice di no. Se, dopo tanto tempo, si convince che Turati[16] aveva visto più lontano, lo ammette. (p. 76)
  • [Camilla Ravera] Parla con dolcezza, e con uno straordinario ordine mentale: mai una ripetizione. I grandi personaggi, nel suo pacato racconto, escono dalla cornice e assumono un aspetto più umano, poco ufficiale. (p. 76)
  • Qualcuno l'aveva chiamata la «Venere nera». Bella: la figura alta, che la camicetta e i pantaloni chiari sottolineano, i capelli gonfi, i lucidi occhi.
    Giornali e TV si occupano ormai raramente di lei: la fase emotiva e drammatica è passata, ma Angela Davis è ancora sulla piazza. Guida la «New Leftist Alliance»: ci sono dentro anche gli indiani, i portoricani, i chicanos. (p. 80)
  • [...] Patricia [Hearst], sequestrata dai guerriglieri, diventa una di loro, e vive tutte le esperienze dei fuorilegge: le fughe, le rapine nelle banche, i proclami, sempre nel nome dei diritti del popolo.
    Vogliono cambiare l'America, eliminando tutti quelli che occupano posti di responsabilità; per poi imporre la dittatura del Terzo Mondo. (p. 86)
  • Ho incontrato Adriana Faranda proprio nel giorno in cui la condanna all'ergastolo veniva tramutata in trent'anni. Uno spiraglio sul futuro.
    Lunghi capelli sottili, faccia serena senza trucco, ancora più minuta di come appare nelle fotografie, esile; la conversazione, nella stanzetta disadorna di Rebibbia, era sommessa: come se si confessasse.
    E mi accorgevo che anch'io abbassavo il tono della voce: perché uno che si abbandona alla confidenza, sui suoi sbagli, sulle sue sconfitte, in me incute rispetto. Fa dono di qualcosa di sé, e di una parte segreta. (pp. 93-94)
  • Forse nessuno lo è, neanche Himmler o Hitler, neanche Stalin; ma Francesca Mambro, volto quadrato, senza un segno di cosmetici, sguardo freddo e sorriso ironico, jeans, scarpe Clarks, ha qualcosa in sé di incomprensibile, di inafferrabile.
    L'aspetto e i modi spigolosi, il lucido disprezzo: è forse il personaggio più sconvolgente che ho incontrato in quarant'anni e passa di mestiere [...]. (p. 98)
  • Conobbi, molti anni fa, a New York, Lynn Caine, la chiamavano «la vedova d'America». Aveva scritto un libro per raccontare la sua avventura, e per dare qualche consiglio, a quei milioni di «colleghe» che, magari in tarda età, vanno ancora in giro per il mondo, con ridicoli impermeabili di cellophan e buffi cappucci sui riccioletti ossigenati, perché hanno voglia di vivere, di superare la crisi. La sua confessione era diventata un best-seller. (pp. 106-107)
  • [Isa Miranda] Una grande interprete, alla quale mancarono le occasioni fortunate. Più importante, certo, di molte delle «dive» attuali, che non recitano con la faccia. (p. 209)
  • Negli occhi dell'Isa Miranda [...] c'era la malinconia di un mondo in crisi, la grigia esistenza di un proletariato di periferia, la miseria che ha carattere per lottare e, anche nella sconfitta, non perde la speranza. (p. 209)
  • Incontro spesso, in un piccolo bar del centro, la nostra «stella» del varietà: la signora Osiris. Porta a passeggio un cagnetto, e compare di solito all'ora del tè. Si è fatta più minuta, un po' curva; e io la ricordo sul palcoscenico, sfolgorante di luci, le gambe lunghissime, immensa. La testa è sempre nascosta dal turbante.
    Dopo tanti anni di lavoro (più di trenta, affermano i crudeli biografi) gli uscieri del tribunale l'avevano costretta a lasciare il palcoscenico. (p. 223)
  • Potrei mai dimenticare gli occhi rossi di pianto e di vodka di Olga Bergol'c, mentre declamava i suoi versi, nell'infinito cimitero di Leningrado, accompagnata dalle note di un pianoforte che esegue musiche di Šostakovič?
    Aveva perduto tutto: i figli uccisi dalla guerra, il marito da Stalin, ma durante l'assedio parlava alla radio per rincuorare la gente e i soldati. Si reggeva in piedi con una fetta di pane e un bicchiere d'acqua calda. (p. 252)
  • [...] c'è chi il nome se lo è fatto da solo come Madame Grès, che da più di mezzo secolo è regina dell'alta moda. Credo che nessuno abbia mai visto i suoi capelli, sempre nascosti da un turbante. Piccola, una faccia minuta, senza un segno di trucco, con un abito color grigio nube, gentile e distante, come chi ha il senso della sua importanza. (p. 266)
  • La storia del suo successo era fondata sul suo cattivo carattere. Helena Rubinstein ha sempre fatto, con tenacia, il contrario di ciò che gli altri le consigliavano. (p. 268)

Strettamente personale[modifica]

  • Conosco tipi che sarebbero brutti anche in Corea.
  • Di Fanfani si è detto tutto, alcuni sostengono abbia fluidi particolari ma per quanto ne so il signore concesse solo a Colleoni tre di quelle cose che come le suore e i carabinieri sono distribuiti a coppie.
  • La società è permissiva nelle cose che non costano nulla.
  • Le verità che contano, i grandi principi, alla fine, restano due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino.
  • Si può essere a sinistra di tutto, ma non del buon senso.

Incipit di alcune opere[modifica]

I quattordici mesi[modifica]

Era l'inizio del 1944. Presi una decisione, fondamentale, poi, per tutta la mia vita: andare coi partigiani. Partii la mattina in bicicletta. La primavera chiazzava di bianco i prati, c'erano poche nuvole gonfie, un giorno da gita scolastica. Pedalavo e cercavo di ripetere le nozioni di geografia: cirro, cumulo, nembo...

Racconto di un secolo[modifica]

Essendo uno specialista in niente, sento il dovere di informare che questo libro non è un saggio, ma una specie di diario di incontri, in qualche senso: appunti per le memorie di un cronista che, non disponendo delle risorse dello storico, del politologo o del romanziere, è sempre andato alla ricerca di fatti e quindi di personaggi.
Ovviamente di ogni tipo: grandi uomini e farabutti, grandi donne e fastose puttane (ce ne sono anche tra i maschietti).
Con la verità che si ritrova anche nelle carte dei cioccolatini, potrei dire: «C'est la vie» (in francese sembra meno ovvio). Sono nato alla fine della prima guerra mondiale e sono stato testimone, e qualche volta anche piccolo e involontario protagonista, dei drammi che hanno segnato questo secolo.

Citazioni su Enzo Biagi[modifica]

  • Al di là delle vicende che ci hanno qualche volta diviso rendo omaggio ad uno dei protagonisti del giornalismo italiano cui sono stato per lungo tempo legato da un rapporto di cordialità che nasceva dalla stima. (Silvio Berlusconi)
  • Biagi aveva la qualità di affrontare il frammento del quotidiano. Il problema punto per punto. Senza precipitarsi alla soluzione ma avanzando per ogni passaggio e svolgimento. Quello che le persone volevano ascoltare era ciò di cui lui voleva occuparsi. (Roberto Saviano)
  • Biagi è stato una delle figure di maggior spicco del giornalismo italiano del dopoguerra. Il suo talento per la scrittura si è unito a una grande passione civile, e a una curiosità sempre viva non soltanto per ciò che cambiava nei costumi ma anche negli strumenti e nelle modalità della comunicazione. Da giovane scelse la Resistenza, e questo suo impegno partigiano per la libertà e la democrazia rimase per lui un punto fermo, un tratto indelebile della sua identità di cittadino e di giornalista. La forza delle proprie idee, tuttavia, non fece mai venir meno in Biagi la convinzione di una necessaria autonomia del giornalista, di una irrinunciabile capacità di analisi che doveva esercitarsi su tutti i protagonisti della cronaca proprio per rendere un servizio corretto al pubblico. Biagi ha espresso una grande qualità professionale dando un contributo significativo alla conoscenza e alla libera critica, sale essenziale della vita democratica. (Sergio Mattarella)
  • Caro Biagi, non faccia il martire, ci risparmi la solita sceneggiata [...]. Lei ha fatto campagna elettorale con i quattrini di tutti, anche degli elettori del centrodestra [...]. Quando si sparge l'incenso conformista lei è sempre il primo. Spostare Il Fatto in un altro orario non sarà come violare una vergine o sgozzare un agnello sull'altare dell'informazione. (Giuliano Ferrara)
  • È sempre stato un giornalista che ha fiutato con grande abilità l'animus del momento, dell'opinione pubblica e lo ha cavalcato. (Ugo Intini)
  • Enzo Biagi da Lizzano in Belvedere (Bologna) lavora per la Rai dal 1961. Ma la sua voce, prim'ancora che il suo volto, è nota agli italiani da sessant'anni. Nel 1945 fu Biagi, direttore della radio della Quinta Armata alleata, ad annunciare insieme ad Antonio Ghirelli la liberazione di Bologna. Sedici anni dopo, Ettore Bernabei lo chiamò a dirigere il telegiornale Rai, quando ce n'era uno solo. Se ne andò dopo nemmeno un anno: pretendeva di assumere i giornalisti a prescindere dalla tessera di partito, ma non dal talento. Da allora inventò l'approfondimento televisivo, creando programmi memorabili. L'ultimo, Il fatto, partito il 23 gennaio 1995, fu per centinaia di giorni la trasmissione più vista dell'intera televisione pubblica, con uno share medio su otto anni del 24% (sei milioni di telespettatori, con punte fino a dieci): il più alto di tutti i programmi messi in onda dalla Rai nella fascia oraria 20,30-21. Poi un giorno il presidente del Consiglio Berlusconi parlò dalla Bulgaria: «uso criminoso della televisione pubblica». La sentenza irrevocabile di condanna fu emessa così, su due piedi, senza processo né possibilità di difesa. L'apposito consiglio di amministrazione, da lui stesso nominato tramite i presidenti delle Camere Pera e Casini, e l'apposito direttore generale Agostino Saccà, da lui stesso imposto, s'incaricarono di eseguirla. Per la verità il premier, nella sua magnanimità, aveva lasciato aperto uno spiraglio: «Certo, se cambiano...». Biagi non cambiò, non si pentì, non prestò giuramento di fedeltà al regime. Come pure Santoro e Luttazzi. E il discorso si chiuse lì. (Marco Travaglio)
  • Enzo Biagi ha 84 anni, leggo che il sindaco di Bologna gli ha offerto un incarico. Credo sia benestante, non mi sembra che sia discriminato. Francamente mi preoccuperei di più di quei tanti giornalisti di 20-30 anni che trovano le porte delle redazioni chiuse o non riescono a lavorare. Io credo che ci sia bisogno di professionalità nuove e non mi sembra straordinario che a quell'età siano state interrotte delle forme di collaborazione per far posto a professionalità più giovani. (Carlo Giovanardi)
  • Enzo Biagi, uno che piace solo alle vecchie e ai deficienti. (Filippo Facci)
  • Hanno arrestato Guareschi, non hanno cacciato Enzo Biagi! Hanno arrestato un uomo che diceva la verità! (Vittorio Sgarbi)
  • In fila per salutare il vecchio Biagi, davanti alla camera ardente di via Quadronno, ieri mattina c'era una Milano prevalentemente popolare. Quel genere di popolo decoroso e composto che siamo abituati a definire "antico", ma è perfettamente nostro contemporaneo. Solamente, ci siamo disabituati a vederlo: tanto quanto Biagi, è stato sfrattato dalla televisione per fare posto al neo-popolo adrenalinico, bistrato e burino che staziona giorno e notte nei palinsesti. Con un paio di amici ci siamo trovati a ragionare sulla straordinaria popolarità di Biagi. Per paradosso, ci ha colpito che questa popolarità toccasse proprio a uno "di sinistra". Popolare e di sinistra erano, fino a un paio di decenni fa, quasi sinonimi. Poi qualcosa è cambiato, la sinistra è parsa più in simbiosi con i ceti medi colti, con le élites intellettuali, e se si rivolge al popolo è più per rimproverarlo che per sentirsene parte. Il lascito più prezioso di Biagi, dunque, sta proprio in ciò che a volte gli fu rimproverato: la sua profonda e naturale popolarità, la facilità estrema con la quale sapeva entrare in sintonia con le persone semplici. Per lui essere di sinistra voleva dire essere popolare: pensandoci bene, questo era puro anticonformismo…. (Michele Serra)
  • Ipocrita e arrogante, Enzo Biagi dà di cretino a chi studia il suo posto in palinsesto... Biagi è un mostro sacro degli affari suoi e un ipocrita. (Giuliano Ferrara)
  • L'uso che Biagi – come si chiama quell'altro? –, Santoro – ma l'altro? – Lu... Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga. (Silvio Berlusconi)
  • Non ho la sua statura, anche se lui ha un anno in meno di me. Comunque gli voglio molto bene. Abbiamo iniziato insieme a Bologna, lui era il mio direttore. (Guglielmo Zucconi)
  • Non ho mai visto Biagi come un cane da guardia della democrazia quanto piuttosto come uno che non ha mai abbandonato la sua vocazione di guardiano del faro della democrazia. Un guardiano del faro, come Maqroll il gabbiere descritto da Alvaro Mutis, intento a garantire l'illuminazione affinché si possa entrare serenamente in porto piuttosto che guidare le navi, piuttosto che indicargli le rotte, ne illuminava il punto d'arrivo. Affinché tutti potessero scegliere in libertà. Questo il talento di Biagi, e la sua maggior autorevolezza. (Roberto Saviano)
  • Scrive come parla, e parla come scrive: senza fronzoli, orpelli, pennacchi. Va al sodo, e ci va diritto, infischiandosi di quegl'imbecilli per i quali facilità è sinonimo di superficialità. Riesce a esser sempre nella testa del lettore, senza propiziargli cascaggini e cefalee. La sua prosa, a volte un po' goliardica (il sangue emiliano non è acqua), è come un bicchier di lambrusco, che bevi anche se non hai sete. E, dopo averlo bevuto, fai il bis, fino a vuotar la bottiglia. L'hanno paragonato a De Amicis, e non è un paragone a vanvera. (Roberto Gervaso)
  • Se Montanelli è un artista, Biagi è un buon artigiano che ama le citazioni. Sempre le stesse: Bernanos, De Gaulle, Churchill, Flaiano, Longanesi e Guareschi. (Roberto Gervaso)
  • «Vedrai – mi diceva sicuro il mio compagno Giovanni che di libertà molto aveva studiato e molto sapeva – vedrai che un giorno di Berlusconi rimarrà soprattutto il ricordo dell'uomo che tolse la parola a Enzo Biagi». Aveva capito che fra tutte le ferite che gli anni del cavaliere avevano dato alla cultura e alla politica del nostro paese, quella inferta al pluralismo dell'informazione colpiva non solo l'essenza stessa della nostra delicata democrazia, ma soprattutto i sentimenti della gente, che aveva ormai identificato in Biagi l'uomo, il giornalista libero e scomodo, che criticava sorridendo, che si opponeva con la forza delle idee e non con le grida della superficialità. Che usava parole semplici e antichi detti popolani per fare a pezzi le falsità dei nuovi slogan pubblicitari. (Sandra Bonsanti)

Note[modifica]

  1. Citato in Gian Antonio Stella, L'orgoglio di un cronista, Corriere.it, 7 novembre 2007.
  2. Da Dicono di lei: Gassman, La Stampa, 9 gennaio 1973.
  3. a b Da Indovina chi è Pinocchio, L'Espresso, 17 ottobre 2002.
  4. a b Da Dicono di lei Michelangelo Antonioni, La Stampa, 25 marzo 1973.
  5. Citato da Elio Lannutti nella Seduta n. 437 del 25 maggio 2022 del Senato.
  6. Da La mia Italia che non si arrende, Corriere della.it, 22 aprile 2007.
  7. a b Intervista a Enzo Biagi, in Viva Zapatero!, Sabina Guzzanti e Marco Travaglio, 2005
  8. Da Fatti personali, Mondadori, 1986, p. 103.
  9. Citato in Dicono di lei: L'on. Rumor, La Stampa, 1° febbraio 1973.
  10. Citato in Dicono di lei: Colombo, La Stampa, 11 febbraio 1973.
  11. a b c d e f g h Da Sicilia, l' isola degli italiani esagerati, Corriere della Sera, 15 agosto 1998, p. 17.
  12. Riferimento alle Guardie Rosse della Rivoluzione culturale.
  13. Narodnyj komissariat vnutrennich del, Commissariato del popolo per gli affari interni.
  14. Quartiere centrale di Mosca.
  15. «Ma voi non siete mica un bell'uomo come me». Muti era romagnolo come Mussolini.
  16. Filippo Turati, leader del socialismo riformista.

Bibliografia[modifica]

  • Enzo Biagi, Cina, Rizzoli, Milano, 1979.
  • Enzo Biagi, Consigli per un paese normale, a cura di Salvatore Giannella, Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 978-88-17-04157-7
  • Enzo Biagi, Dizionario del Novecento, Rai Eri - Rizzoli, Roma - Milano, 2001. ISBN 88-17-86780-2
  • Enzo Biagi, Era ieri, a cura di Loris Mazzetti, Rizzoli.
  • Enzo Biagi, I quattordici mesi. La mia Resistenza, a cura di Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2009. ISBN 978-88-17-03545-3
  • Enzo Biagi, Italia, Rizzoli, Milano, 1975.
  • Enzo Biagi, L'albero dai fiori bianchi, ERI Rizzoli, Milano, 1994. ISBN 88-17-84353-9
  • Enzo Biagi, L'Italia dei peccatori, Edizione Club su licenza di RCS Rizzoli Libri, Milano, 1992.
  • Enzo Biagi, Lettera d'amore a una ragazza di una volta, Rizzoli.
  • Enzo Biagi, Mille camere, Mondadori, Milano, 1984.
  • Enzo Biagi, Quante storie (seconda edizione di E tu lo sai?), Rizzoli, Milano, 1989. ISBN 88-17-85322-4
  • Enzo Biagi, Racconto di un secolo, Rai Eri - Rizzoli, Roma - Milano, 1999. ISBN 88-17-86090-5
  • Enzo Biagi, Russia, Rizzoli, Milano, 1977.
  • Enzo Biagi, Senza dire arrivederci, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1985.
  • Enzo Biagi, Strettamente personale, Rizzoli.
  • Enzo Biagi, Testimone del tempo, SEI, Torino, 1971.
  • Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  • Gian Carlo Zuccaro, Lui, Mussolini, edizioni E.R.G.A., 1983.

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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