Agnolo Poliziano

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Angelo Poliziano

Angelo Ambrogini, detto Poliziano (1454 – 1494), poeta, drammaturgo e umanista italiano.

Citazioni di Angelo Poliziano[modifica]

  • Ben venga Maggio e il gonfalon selvaggio! | Ben venga primavera Che vuol ch'uom s'inamori. | E voi, donzelle, a schiera, con li vostri amadori, | Che di rose e fiori Vi fate belle il maggio, | Venite alla frescura Delli verdi arbuscelli.[1]
  • La notte è lunga a chi non può dormire, | ma ancora è breve a chi contento giace [...].[2]
  • [...] le opere dei poeti sono piene delle dottrine dei filosofi e delle scoperte dei filologi.[3]
  • Venite al ballo, giovinetti e donne, | entrate in questa stanza | ove balla Speranza, | la cara iddia degl'infelici amanti; | e balleran cantando tutti quanti, | [...].[4]

Detti piacevoli[modifica]

  • Diceva un nuovo pesce: – La roba a' compagni, l'anima al diavolo, la carne a' coltelli. –
  • Diceva uno, parlando di non so chi, che egli aveva più passione che un venerdì santo.
  • Giostrandosi a questi dì et essendo caduto un giostrante, fu uno nella piazza che disse: – Un bel cader tutta la vita onora! –
  • «Tu fai come il can di Buttigrone». Questo cane dicono che andava sempre drieto a chi meglio era vestito.
  • Uno disse a un altro: – Tu hai tanta superbia perché 'l grano val poco! –

Fabula di Orfeo[modifica]

Incipit[modifica]

MERCURIO: annunziatore della festa
Silenzio. Udite. È fu già un pastore
Figluol d'Apollo, chiamato Aristeo.
Costui amò con sì sfrenato ardore
Euridice, che moglie fu di Orfeo,
che sequendola un giorno per amore
fu cagion del suo caso acerbo e reo:
perché, fuggendo lei vicina all'acque,
una biscia la punse; e morta giacque.
Orfeo cantando all'Inferno la tolse,
ma non poté servar la legge data,
ché 'l poverel tra via drieto si volse
sì che di nuovo ella gli fu rubata:
però ma' più amar donna non volse,
e dalle donne gli fu morte data.
Seguita un pastore schiavone
State tenta, bragata! Bono argurio,
ché di cievol in terra vien Marcurio.

Citazioni[modifica]

  • Udite, selve, mie dolce parole, | poi che la ninfa mia udir non vuole. | Ben si cura l'armento del pastore: | la ninfa non si cura dell'amante, | la bella ninfa che di sasso ha 'l core, | anzi di ferro, anzi l'ha di diamante. | Ella fugge da me sempre davante | com'agnella dal lupo fuggir suole. (p. 144)

Explicit[modifica]

Torna la BACCANTE con la testa di Orfeo e dice:

O, o! O, o! mort'è lo scelerato!
Euoè! Bacco, Bacco, i' ti ringrazio!
Per tutto 'l bosco l'abbiamo stracciato,
tal ch'ogni sterpo è del suo sangue sazio.
L'abbiamo a membro a membro lacerato
in molti pezzi con crudele strazio.
Or vadi e biasimi la teda legittima!
Euoè Bacco! accepta questa vittima!

EL CORO DELLE BACCANTE:

Ognun segua, Bacco, te!
Bacco, Bacco, euoè!

Chi vuol bevere, chi vuol bevere,
venga a bevere, venga qui.
Voi 'mbottate come pevere:
i' vo' bevere ancor mi!
Gli è del vino ancor per ti,
lascia bevere inprima a me.

Ognun segua, Bacco, te!
Bacco, Bacco, euoè!

Io ho vòto già il mio corno:
damm'un po' 'l bottazzo qua!
Questo monte gira intorno,
e 'l cervello a spasso va.
Ognun corra 'n za e in là
come vede fare a me.

Ognun segua, Bacco, te!
Bacco, Bacco, euoè!

I' mi moro già di sonno:
son io ebria, o sì o no?
Star più ritte in piè non ponno:
voi siate ebrie, ch'io lo so!
Ognun facci come io fo:
ognun succi come me!

Ognun segua, Bacco, te!
Bacco, Bacco, euoè!

Ognun cridi: Bacco, Bacco!
e pur cacci del vin giù.
Po' co' suoni faren fiacco:
bevi tu, e tu, e tu!
I' non posso ballar più.
Ognun cridi: euoè!

Ognun segua, Bacco, te!
Bacco, Bacco, euoè!

Citazioni sulla Fabula di Orfeo[modifica]

  • In virtù di questo spazio creativo, appunto, nello spazio di soli «dua giorni», era nato uno dei prototipi del melodramma: il cui prestigio avrebbe contribuito nei secoli successivi – mutati gli esiti della trama in un più compiacente lieto fine – al favore goduto dal soggetto di Orfeo ed Euridice nel teatro musicale italiano, fino ai fasti europei del libretto di Calzabigi per l'azione teatrale musicata da Gluck. (Stefano Carrai)

Stanze[modifica]

Incipit[modifica]

Le gloriose pompe e' fieri ludi
della città che 'l freno allenta e stringe
a' magnanimi Toschi, e i regni crudi
di quella dea che 'l terzo ciel dipinge,
e i premi degni alli onorati studi,
la mente audace a celebrar mi spinge,
sì che i gran nomi e i fatti egregi e soli
fortuna o morte o tempo non involi.

Citazioni[modifica]

  • Ah quanto è uom meschin, che cangia voglia | per donna, o mai per lei s'allegra o dole, | e qual per lei di libertà si spoglia | o crede a sui sembianti, a sue parole! | Ché sempre è più leggier ch'al vento foglia, | e mille volte el dì vuole o disvuole: | segue chi fugge, a chi la vuol s'asconde, | e vanne e vien, come alla riva l'onde. (p. 44)
  • Dolce Paura e timido Diletto, | dolce Ire e dolce Pace insieme vanno; | le Lacrime si lavon tutto il petto | e 'l fiumicello amaro vrescer fanno; |Pallore smorto e paventoso Affetto | con Magrezza si duole e con Affanno; | vigil Sospetto ogni sentiero spia, | Letizia balla in mezzo della via. (p. 81)

Citazioni sulle Stanze[modifica]

Stefano Carrai[modifica]

  • Se il trionfo di Lorenzo era stato cantato dal poeta più alla moda nella Firenze degli anni Sessanta, vale a dire Luigi Pulci, ad assumersi il compito di celebrare sullo stesso metro dell'ottava rima l'impresa di Giuliano era ora l'astro nascente dell'umanesimo toscano, quell'«homericus adulescens», entrato di recente in casa del Magnifico, che dal borgo natio [Mons Politianus, Montepulciano] avrebbe tratto il nome di Poliziano.
  • Il poemetto ch'egli condusse avanti per centosettantuno stanze però non giunse mai al termine. Già la prematura scomparsa della bella dama, Simonetta Cattaneo Vespucci in nome e ad onore della quale il vincitore aveva combattuto dovette fargli nascere qualche dubbio circa l'opportunità di proseguire nella stesura. La tragica fine di Giuliano stesso, trucidato dai pugnali dei congiurati nell'aprile del '78, lo convinse una volta per tutte a lasciare quell'abbozzo nel cassetto, almeno finché un oscuro ammiratore, Alessandro Sarti, non venne a riscattarlo dall'oblio facendolo stampare a Bologna – insieme con lOrfeo e con due liriche in volgare – appena un mese prima della morte dell'ormai insigne filologo.
  • La corretta interpretazione dell'incipit delle Stanze consente insomma una sorta di recupero del programma del Poliziano, il quale si proponeva evidentemente di non allontanarsi dalla tradizione e di far posto a sua volta, giunto che fosse a parlare della giornata del torneo, alla descrizione del solenne corteo («le gloriose pompe»), cui avrebbe dovuto seguire la narrazione dei «fieri ludi».

Incipit di alcune opere[modifica]

Della congiura de' Pazzi dell'anno 1478[modifica]

Io mi fo a scrivere brevemente la congiura de' Pazzi; perocché questa sopra ogni altro memorando fatto a tempo mio intervenne, e poco stette che non rovinasse al tutto la repubblica fiorentina. Lo stato adunque della città era, che tutti i buoni si tenean per Lerenzo e Giuliano fratelli, e per tutti gli altri di casa Medici; sola la famiglia de' Pazzi, ed alcuni de' Salviati, a contrastare il presente reggimento in prima celatamente, di poi alla scoperta cominciarono. Dappoiché a' Medici portavano invidia, il cui privato decoro e somma autorità nella repubblica, per quanto era lor dato, svilivano.

Praelectio in Priora Aristotelis Analytica, cui titulus Lamia[modifica]

Fabulari paulisper lubet, sed ex re, ut Flaccus ait; nam fabellae etiam quae aniles putantur, non rudimentum modo sed et instrumentum quandoque philosophiae sunt. Audistisne unquam Lamiae nomen? Mihi quidem etiam puerulo avia narrabat, esse aliquas in solitudinibus Lamias, quae plorantes glutirent pueros: maxima tunc mihi formido Lamia erat, maximum terriculum.

Citazioni su Angelo Poliziano[modifica]

  • L'ambiente neoplatonico in cui il poeta visse e si educò seppe dare quel soffio di idealità e di adorazione dell'arte che costituisce, senza alcun dubbio, uno dei miti più vitali della poesia quattrocentesca e rinascimentale. Non a caso vi si ispirerà (Stanze, I, 99 sgg.) Botticelli per quella sua Nascita di Venere che si trova oggi agli Uffizi. (Ugo Dotti)

Note[modifica]

  1. Da Rime.
  2. Da Rispetti spicciolati, LXXII, Aspettar tempo, vv. 1-2, in Le stanze, L'Orfeo e Le rime, a cura di Giosuè Carducci, Barbèra, Firenze, 1863, p. 262.
  3. Citato in Ugo Dotti, La letteratura italiana.
  4. Citato in Francesco Flamini, Versi e Metri italiani, Raffaello Giusti Editore, Livorno 1919.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]