Felix Hartlaub

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Felix Hartlaub (1913 – 1945), scrittore tedesco.

Partenope o L'avventura a Napoli[modifica]

  • La sera stessa del suo arrivo a Napoli il tenente d'artiglieria francese François Renaudet andò alla capitaneria di porto per presentarsi e prendere istruzioni sulle fortificazioni portuali che avrebbe dovuto dirigere, come aveva fatto fino ad allora a Gaeta. Non trovò più nessuno che fosse in servizio, solo una compagnia di ufficiali, tutti francesi, che oziavano fumando e chiacchierando nella stanza dei tracciatori. Chiese innanzitutto quali fossero le prospettive della nuova Repubblica Napoletana e se la campagna militare si potesse considerare conclusa. Apprese che al momento la situazione poteva dirsi tranquilla. (da Partenope o L'avventura a Napoli, p. 3)
  • [...] François l'aveva infatti già notato, che qui in questo paese quel che contava era la costanza e il fiato lungo. Solo a chi non si faceva affascinare o terrorizzare del tutto da nessuna delle figure proteiformi, solo a chi diffidava di ogni grido di giubilo, non prendeva sul serio nessun tumulto, solo a lui venivano alla fine consegnate senza condizioni le chiavi. Così i despoti stranieri avevano dominato e goduto Napoli. (da Partenope o L'avventura a Napoli, p. 31)
  • [...] a volte trovo tutto inverosimilmente grandioso, un'altra volta confuso e perturbante, in ogni caso è sempre molto interessante e prende tutta la persona come un sortilegio. Non esiste un'altra città che così, ad ogni passo, trasmette a chi cammina il suo respiro, con cui bisogna entrare in rapporto interiore. Qui non si possono cogliere, con tranquillo stato d'animo epicureo, i tesori d'arte, perfezionare la propria cultura, no, ogni giorno bisogna ricominciare di nuovo in qualche modo da capo, cercare sempre di nuovo il proprio cammino spirituale attraverso le pesanti grossolane realtà che oppone, ad ogni passo, la vita della strada. (da Lettera da Napoli del 14 marzo 1933, p. 90)
  • [...] sono stato dalla prima mattina fino a tardi agli Scavi di Pompei e ne ho riportato l'impressione più intensa che si possa avere: la Villa dei Misteri. [...] ci si ritrova davvero, per attimi, assai vicini alla perduta pittura greca su tavola. Molto, senza dubbio, è invece autentica invenzione romana ed è una testimonianza dell'idea romano-italica della donna, tanto più bella di quella greca. Un Mistero femminile, in realtà gli uomini non dovrebbero proprio guardarlo. Cose legate alla religione dei misteri si ritrovano dipinte sulle pareti di una casa sì e due no, ma che differenza dalla Villa dei Misteri! Una impressione – una volta tanto – davvero molto seria e severa, eppure queste pareti emanano una così tenera umanità che deriva dalla rappresentazione così sottile e finemente psicologica delle singole figure femminili.
    Il momento in cui è stato creato l'originale greco deve essere stato davvero straordinario singolare e nel momento della ri-creazione romana doveva dominare una costellazione felice alla stessa maniera. Da un lato ancora il dominio dell'antica immaginazione religiosa, dall'altro già il moderno dramma dell'anima, un momento tra Sofocle e Euripide. (da Lettera a Eri[1]da Napoli del 14 marzo 1933, pp. 102-103)
  • A nemmeno cento metri di distanza dal mio attuale domicilio ha insegnato Tommaso d'Aquino, è cresciuto Giordano Bruno, sono sepolti il Pescara e Vittoria Colonna
    Dall'altra parte della strada ha passeggiato Francesco Petrarca, e Federico II di Hohenstaufen ha amministrato la giustizia − incredibile, incommensurabile. Ma la vita del presente in questa città si muove e gira così rumorosa e disinvolta intorno a questi monumenti che non si ha nemmeno il tempo di rendersi ragione del loro significato. Per tanta ricchezza di tempo – assenza di tempo – Napoli eterna è semplicemente uno degli ingredienti eterni del tempo. Dio creò il cielo, l'acqua e la terra e creò anche l'elemento "napoletano", una piccola nuvola di olio grasso e odore di putrido, con alcune melodie e frammenti di chiasso, un Tutto e un Nulla, un elemento di tutto il mondo e insieme anche qualcosa semplicemente di inferiore. Ci saranno ancora molti bravi napoletani e gente che a Napoli imparerà e farà qualcosa di buono, si pensa, e si compra una pizza in una strada su cui, forse, ha camminato verso Roma l'apostolo Paolo. (da Lettera da Napoli del 6 maggio 1933 alla nonna paterna, pp. 134-135)
  • L'anfiteatro dell'antica Capua, una rovina grandiosa e melanconica di marmo e di mattoni, rosso-nera, inondata di pioggia davanti all'azzurro cupo della catena dell'Appennino, su una piazza nuda seminata di pozzanghere, circondata all'esterno da rovine di marmo, capitelli, resti di statue colossali senza espressione. Si attraversano cortili con volte favolose, scale, spiazzi e ingressi, apparati per sollevamenti e strutture di acquedotti per le naumachie. All'interno un prato d'erbe tenaci e senza fiori ha rivestito le gradinate, cancellato i profili, tanto che l'intero luogo sembra una grande conca, uno stagno prosciugato e le aperture delle uscite, rimpicciolite da cespugli di ginestre, delle tane di topi. Grandiose le strutture della parte inferiore della scena, tutta la superficie poggia su cavee di più piani, gabbie per gli animali, sotterranei, guardaroba, ecc. come si vedono anche a Pozzuoli.
    Questi edifici non desiderano forse sparire sotto la terra, questa conca che si spalanca vuota nel tappeto fertile dei campi non vuol essere riempita, divenire piana, tabula rasa? (da Lettera da Napoli del 22 maggio 1933 al padre, pp. 145-146)
  • [Il porto di Torre del Greco] Come amo questi piccoli porti ai piedi del Vesuvio!
    Fra basse rocce di basalto una piccola spiaggia nera e sassosa; si sale su reti ammucchiate, fra tante barche corte dalla robusta costruzione che ficcano curiose la punta sulle soglie oppure, voltate dall'altra parte fra le pietre che limitano la spiaggia. In un angolo, del tutto ricoperto di stoppa, uno snello yacht di lusso, proprietà di una villa vuota da anni, accanto una barca più grande in costruzione: intere stirpi di pescatori dalla figura tozza, muti, l'uno accanto all'altro che lenti camminano lungo le reti, tutti a piedi nudi, con i calzoni rimboccati fino in alto, per lo più vestiti di blu con in testa un azzardoso berretto a visiera. Protette dal molo, sfiorandosi piano, sono ferme alla rada tranquille alcune navi da trasporto che una volta erano variopinte, cariche sino a sprofondare di tufo e di terra pozzolana, su cui la gente di mare con infinita calma si prepara la cena. Il mare chiaro, un po' pigro, un po' minaccioso sale e ridiscende dalle rocce di basalto, lisce e scavate dai piedi nudi dei pescatori che vi sono saliti per millenni. (da Lettera da Napoli del 22 maggio 1933 al padre, p. 148)
  • Il grande sole africano dona al cervello una grandiosa asciuttezza, vengono prosciugate tutte le pozzanghere dell'osservazione che psicologizza e individualizza. L'uomo accetta se stesso come è venuto al mondo e si mette subito in marcia verso un fine che gli è naturale. Il carattere matura presto al grande calore e non richiede tanto spazio per sé come da noi, consiste quasi sempre per metà in gentilezza, premura e disponibilità e tante altre piacevoli virtù con cui gli uomini reciprocamente rendono i loro rapporti più facili.
    E se da un canto con questa mancanza dell'idea dell'Io e della personalità ci si ritrova già quasi in Oriente, d'altro canto l'Occidente, con il mondo antico, il cristianesimo e con la scienza moderna è presente ovunque nella sua forma più evidente.
    Naturalmente bisogna accettare anche altre cose, la mancanza, per esempio, di una qualsiasi generosità eroica. In fondo questa spiritualità del tutto particolare la si può spegare con il fatto che Napoli in realtà è un paese, una nazione a sé, con un passato del tutto diverso da quello del resto dell'Italia. (da Lettera del 3 giugno alla Signora Meyer-Gasters, p. 153)
  • [Salita all'Osservatorio del Vesuvio] Il cuore che batte, il respiro affannato, il tappeto di fiori che si straccia sotto i nostri passi, insetti che ci sfiorano ronzando – creano insieme un ritmo selvaggio, disperato, anapestico. Una forza della natura meridionale appena sopportabile, dolore giubilante del divenire. Tutto profumato e inghirlandato ma anche tutto pericoloso. (da Salita attraverso una gola fino all'Osservatorio del Vesuvio, Frammenti di diario, p. 158)
  • [Il paesaggio vulcanico modellato dal Vesuvio] La pura materia morta come campo da gioco delle energie. La forma è solo il risultato della forza di gravità, da trasportare e dei sussulti dell'eruzione. Ci si sente di fronte alle nude leggi della materia della gravità e della combustione, eliminata ogni forma di vita organica. Questo è stato una volta l'aspetto del mondo dopo il raffreddamento della crosta terrestre; come poi è arrivata la vita? La scissione insuperabile fra il mondo degli atomi e dell'energie e il principio della forma creatrice. Siamo ancora più nel profondo che alle "Madri". (da Salita al cratere del Vesuvio, Frammenti di diario, p. 160)

Note[modifica]

  1. Erica Schellenberg, sposata dal padre di F. Hartlaub dopo la morte della moglie Felicie. Cfr. Partenope o l'avventura a Napoli, nota 1, p. 87.

Bibliografia[modifica]

  • Felix Hartlaub, Partenope o L'avventura a Napoli, a cura di Lea Ritter Santini, traduzione di Giulia Cantarutti, Vivarium, Napoli 2000, ISBN 8885239358

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