Francesco Grasso

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Francesco Grasso (1966 – vivente), scrittore italiano.

Incipit di alcune opere[modifica]

Ai due lati del muro[modifica]

La porta metallica si aprì con un cigolio, quasi un lamento dei pesanti cardini arrugginiti. Gli occupanti della cella si voltarono all'unisono verso la soglia; attraverso la minuscola apertura la luce filtrò da fuori quasi timorosa e illuminò i loro volti.
Gli stivali del guardiano risuonarono pesanti sulla pietra nuda del pavimento. - In pieni, bastardi! - sibilò - Tutti in riga davanti alle brande! Muoversi!
Con un'espressione che tradiva disgusto e impazienza, osservò i detenuti che ubbidivano; intanto, per spronarli, con il lungo bastone metallico percuoteva la lorta a intervalli regolari. Quando i prigionieri furono allineati si fece da parte, e un nuovo detenuto entrò nella cella: era un uomo sui trent'anni, bianco, di statura media e aspetto comune. Aveva i capelli rasati a zero e l'uniforme candida: questo testimoniava un arrivo recente al penitenziario di massima sicurezza. Portava occhiali rotondi dalle lenti spesse, dietro le quali si indovinavano occhi grandi, di un azzurro intenso. Camminava a fatica e aveva le labbra gonfie e un taglio sulla fronte: dimostrava di aver già ricevuto il benvenuto al carcere.

2038: la rivolta[modifica]

La Fiat Punto color poltiglia avanzava stentatamente, quasi che il motore funzionasse ancora soltanto grazie alla miracolosa intercessione del San Gennaro pencolante sul parabrezza. Il clacson asmatico tossì una, due, tre volte, sovrastando con difficoltà i borbottii della marmitta che si intravedeva lesionata oltre l'orlo della carrozzeria. Solo al quarto colpo riuscì a destare l'attenzione degli uomini sonnecchianti all'angolo della strada.

Il re bianco del Madagascar[modifica]

Odio la pioggia.
In questa stagione, il monsone sembra soffiare l'intero oceano sopra la città e lasciarlo cadere giù in una cataratta furiosa che lava via anche i pensieri. E allora i panni ti si attaccano alla pelle, ogni cosa che metti sotto i denti prende sapore di fango, le fogne tracimano, zanzare e sanguisughe spadroneggiano più di tutti i maharaja e i viceré britannici.
E odio scrivere, odio questa penna strappata a qualche cappone finito allo spiedo, e questo calamaio sbrecciato, che gocciola inchiostro nero come lacrime di un appestato. Ho le dita sozze, e lascio su questi fogli più macchie che parole.
Ma devo farlo, non posso più rimandare. L'ho capito stamani, ai moli, quando quell'idiota mi ha puntato la lama alla nuca. Gli ho mostrato come si usa il pugnale, naturalmente. Ma, dopo, ho dovuto sedermi sulla sua faccia, ansimando e tossendo come il vecchio che sono, a chiedermi su quali remote spiagge, su quali tolde di nave, in quali risse da taverna io abbia lasciato le forze di un tempo.

Come un brivido nel mare[modifica]

Rada di Messina, giovedì 31 dicembre 1908

La donna avanzava con cupa compostezza lungo il corridoio gremito di brande militari e cumuli di materiale marchiato con l'emblema della Regia Marina. Alta e robusta, indossava una veste azzurra di taglio discreto e un copricapo dello stesso colore. Procedeva affiancata da un drappello di infermiere dal viso rosso e le bustine macchiate di sudore, mentre alle sue spalle un codazzo di personaggi paludati in abiti inadatti alla circostanza arrancavano con aria impacciata. Due passi più avanti, un ometto in divisa da ufficiale s'affannava a far largo al gruppo attraverso i ponti affollati di quel vascello da guerra adattato in tutta fretta a nave ospedale.
D'un tratto la donna s'accosto a una lettiga. S'informò sulle condizioni di chi vi giaceva, poi fece cenno alle infermiere di provvedere. Quindi, sotto lo sguardo scandalizzato del suo seguito, si chinò a fianco di un anziano che gemeva dal dolore e gli sostenne i polsi mentre il chirurgo apponeva gli ultimi punti di sutura. Schernendosi dai ringraziamenti del medico, passò a consolare una ragazza, coperta solo di stracci e fuliggine, che tremava raggomitolata su se stessa.

Il matematico che sfidò Roma[modifica]

Siracusa, Porte agrigentina, 679 ab Urbe condita (75 a.C.)

L'uomo brandì il bastone di frassino e si fece largo tra i rovi che, avviluppati in una cortina spinosa, celavano i tumuli. Faceva caldo e il vento soffiava una polvere sottile nei suoi occhi corvini, tanto che spesso doveva nettarsi le ciclia e la fronte spaziosa con una pezzuola di lino candido.
«Cosa stai cercando, Marco?»
L'uomo mosse appena la bocca dalle labbra nervose. «Un sepolcro.»
La donna fissò perplessa il consorte. Fece per raggiungerlo, poi si rese conto che, oltre il riparo d'ombra proiettato dalle mura di Dionisio, il calore mozzava il respiro. Esitò. Fece cenno a un servo. Questi, un giovane di colore, alto e ossuto, accorse con un parasole.
«Marco Tullio!» esclamò risentita. «Stai dicendo che mi hai portata a passeggiare in una necropoli?»

I due leoni[modifica]

Mileto, inverno 1100 A.D.

Il monaco avanzava a passi misurati lungo la navata centrale della chiesa abbaziale. A quell'ora, ben prima del mattutino, solo la fiamma delle candele rischiarava il transetto, proiettando ombre incerte sull'alto soffitto a travature. Il gelo che precedeva l'alba, contro cui poco poteva la stoffa ruvida del saio e lo scapolare nero dell'ordine benedettino, irrigidiva le membra dell'uomo e sembrava morderlo fin nelle ossa. L'aria sapeva d'incenso, di sego animale e di antica devozione.
Il religioso era di bassa statura, magro, la schiena curva e il naso pronunciato, la tonsura monacale a celare l'incipiente calvizie. Biascicava accenni di salmi mentre, secondo il voto d'umiltà della regola, spazzava la pavimentazione in arenaria, serpentino e porfido che, gli avevano confidato, era frutto dello spoglio di un vicino tempio pagano.
Mondati i gradini dell'altare, il monaco si segnò compitamente e si diresse al coro. D'un tratto si fermò, allarmato. Dinanzi alla prima delle tre absidi, il corpo di un uomo era riverso sui lastroni, carponi, le braccia tese e ben separate dal busto, più nella posa d'un Cristo caduto che nell'atto supplice del penitente.
D'istinto il monaco pensò a un questuante rifugiatosi all'interno dell'abbazia per sfuggire agli artigli della notte. Poi però notò le vesti sontuose, il mantello, gli stivali di feltro. Si liberò in fretta della ramazza, s'inginocchiò fianco all'intruso. E trasalì, riconoscendolo.
«Conte Ruggero?» azzardò «mio signore? State bene?»

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Grasso, Ai due lati del muro. Il romanzo di Archimede, Arnoldo Mondadori Editore, 1992.
  • Francesco Grasso, 2038: la rivolta, Mondadori, 2000.
  • Francesco Grasso, Il re bianco del Madagascar, Edizioni Ensemble, 2013.
  • Francesco Grasso, Come un brivido nel mare, Nemo Editrice, 2013.
  • Francesco Grasso, Il matematico che sfidò Roma. Il romanzo di Archimede, 0111 edizioni, 2014.
  • Francesco Grasso, I due leoni. Il romanzo di Roberto e Ruggero d'Altavilla, 0111 edizioni, 2016.

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