George Mosse

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George L. Mosse

George L. Mosse (1918 – 1999), storico tedesco.

Citazioni di George Mosse[modifica]

Dall'intervista di Sandro Penna, Sodoma, 1984, n. 1; ripresa in Il secolo gay, Diario del mese, gennaio 2006, p. 68
  • La coesione, i rapporto di interdipendenza esistenti nella società si basano, fra le altre cose, sulla divisione sessuale del lavoro. La questione sta quindi nel capire fino a che punto la società è disposta a tollerare la confusione fra i sessi. [...]
  • Se si ha l'intenzione di avere più dignità, più sicurezza, e vorrei dire più maturità, è importante collocarsi all'interno di una tradizione, e non vivere antistoricamente per il presente.
  • Gli omosessuali non trovano un posto nell'intera società, che possa dar loro una struttura nella quale collocarsi. Non hanno la struttura del matrimonio, o quella della famiglia, sono senza alcuna struttura, e questo determina la promiscuità e tutte le altre componenti della subcultura gay.
  • La storia può servire per offrire agli omosessuali quelle strutture che non hanno.

Il razzismo in Europa[modifica]

Incipit[modifica]

Qualunque libro che si occupi dell'esperienza razzista vissuta dall'Europa deve cominciare dalla fine e non dal principio: sei milioni di ebrei uccisi dagli eredi della civiltà europea, da una burocrazia che finì col passare da un'efficiente gestione dello stato a un altrettanto efficiente e impersonale sterminio degli ebrei. Come è potuto succedere ciò? La storia del razzismo è essenziale per rispondere a questa domanda, che sembra porsi al centro più che ai margini della storia europea del XX secolo.

Citazioni[modifica]

  • Culla del razzismo moderno è stata l'Europa del XVIII secolo, le cui principali correnti culturali hanno avuto un'enorme influenza sulle fondamenta stesse del pensiero razzista. (cap. 1, p. 5)
  • Nel 1857 Benedict Augustin Morel diede al termine «degenerazione» la sua definizione classica: «degenerazioni sono deviazioni dal normale tipo umano, che si trasmettono attraverso l'ereditarietà e portano progressivamente alla distruzione»[1]. È vero, sì, che la degenerazione può essere prodotta anche da fattori ambientali (quali la progressiva intossicazione per malattia o alcool) ma l'infezione più gravida di conseguenze sarebbe, secondo Morel, quella causata dalla somma di fattori fisici e morali. Col progredire di tale infezione, la prima generazione di una famiglia degenerata sarebbe solo nervosa, la seconda nevrotica, la terza psicotica e la quarta, affetta da cretinismo, scomparirebbe[2]. Ai cambiamenti verificabili negli atteggiamenti e nei sentimenti si accompagnerebbero anche mutamenti fisici. (cap. 6, p. 92)
  • Come più volte abbaiamo visto il razzismo si appropriò della moralità delle classi medie che era riuscita a imporsi in Europa nel secolo XIX, allo stesso modo con cui si appropriò del nazionalismo e in fondo di tutte quelle idee che sembravano avere un futuro. E fu questa la sua forza: né Morel, né Lombroso, né Nordau furono razzisti, ma le loro idee divennero il nucleo centrale del pensiero razzista. (cap. 6, p. 95)
  • Tutti i razzisti preferirono ignorare per quanto possibile il cristianesimo.
    A questo proposito un giornalista come Wilhelm Marr in Germania rappresenta un caso tipico: nel suo La vittoria dell'ebraismo sul germanesimo (Der Sieg des Judentums über das Germanentum, 1879) egli rifiutava le accuse cristiane contro gli ebrei come indegne di persone illuminate, ma poi ripeteva tutti i miti sulla mancanza di radici e sulle attività cospiratorie degli ebrei, i quali a suo parere erano più forti dei tedeschi, perché stavano vincendo la battaglia razziale per la sopravvivenza. Marr suggeriva una controffensiva capeggiata dall'antisemita Russia. (cap. 8, p. 131)
  • Ed è abbastanza singolare [...] che un agitatore come Wilhelm Marr, che era un democratico sostenitore del suffragio universale e della libertà di pensiero, accusasse gli ebrei di essere dei liberali, un popolo senza radici che cercava di sostituire la schiavitù delle risorse finanziarie alla oppressione da parte dei re. (cap. 8, p. 132)

La nazionalizzazione delle masse[modifica]

Incipit[modifica]

Seduto nel suo imponente ufficio a Palazzo Venezia a Roma, Benito Mussolini, ormai da otto anni al potere, meditava sul carattere della sua rivoluzione: ogni rivoluzione crea nuove forme politiche, nuovi miti e nuovi riti ed ora era necessario utilizzare le vecchie tradizioni adattandole ai nuovi scopi. Si dovevano inventare nuove feste, nuovi gesti e forme che a loro volta sarebbero dovuti diventare nuovamente tradizione.

Citazioni[modifica]

  • Il monumento nazionale come mezzo di autoespressione nazionale servì a radicare i miti e i simboli nazionali nell'autocoscienza del popolo, e alcuni di essi ancora oggi conservano questa loro funzione. (cap. 1, p. 33)
  • Il pensiero politico fascista e nazionalsocialista non può essere giudicato in termini di tradizionale teoria politica; esso ha poco in comune con quei sistemi razionalmente e logicamente costruiti, ipotizzati da Hegel o da Marx. (cap. 1, p. 35)
  • [...] gli stessi fascisti parlarono del loro pensiero politico più come di un «atteggiamento» che come di un sistema, ed esso infatti era una teologia che offriva una cornice al culto nazionale. In quanto tale, i suoi riti e le sue liturgie erano la parte centrale, essenziale, di una dottrina politica, che non si appellava alla forza persuasiva della parola scritta. (cap. 1, p. 35)
  • I nazisti e gli altri capi fascisti puntavano, sì, sulla efficacia della parola, ma perfino in questo caso i loro discorsi adempivano più a una funzione liturgica che a costituire un'esposizione didascalica dell'ideologia. La parola detta si integrava con i riti culturali e, in realtà, quello che veniva detto finiva per diventare meno importante dello scenario e dei riti che facevano da contorno al discorso. (cap. 1, p. 35)
  • Uno scrittore francese contemporaneo ha coniato la frase «le snobisme du absolu»[3] con la quale ha voluto definire uno snobismo letterario e intellettuale alla ricerca di eroi da venerare e dell'eccezionale nella vita quotidiana. Indubbiamente un orientamento come questo era già esistito nel passato, e fu quello che spinse molti intellettuali nelle braccia del fascismo, dove trovarono i loro eroi e una vita diversa dal quotidiano grigiore dell'esistenza borghese. (cap. 2, p. 49)
  • Le repubbliche parlamentari erano naturalmente incapaci di offrire efficaci rappresentazioni di se stesse, proprio come non riuscirono a creare feste nazionali, [...] Il nazionalsocialismo fece ricorso alla precedente tradizione dei monumenti nazionali e dei luoghi sacri come parte integrante del nuovo stile politico. Fu esaltata la partecipazione delle masse ai riti del culto nazionale e il carattere stesso delle feste pubbliche determinò la funzionalità del monumento nazionale. (cap. 3, p. 113)

Explicit[modifica]

La storia passata è sempre storia contemporanea. Il grandioso spettacolo da noi esaminato non è tanto lontano dai nostri problemi. Questo libro si occupa di un passato che per la maggior parte degli uomini sembrò concluso con la seconda guerra mondiale. In realtà è invece ancora storia di oggi.

Le origini culturali del Terzo Reich[modifica]

  • Non si vuole negare l'ovvia evidenza del fatto che, in Germania, non mancavano gli studenti liberali come Mommsen e Virchow. Ma ciò che conta sottolineare, è che essi erano in netta minoranza, e tanto più lo furono quando, a partire dagli anni ottanta, i corpi accademici non fecero più nulla o quasi per frenare la montante marea di antisemitismo.
    Si tratta di un atteggiamento facilmente spiegabile, nient'affatto misterioso e che, oggi ancora, dovrebbe risultare evidente a prima vista. Ben di rado gli accademici si oppongono al regime, al potere, e in Germania in particolare essi erano direttamente legati al regime, e di conseguenza tendevano a favorire lo status quo. È questo il motivo che più d'ogni altro ne spiega il comportamento: i corpi accademici non desiderano altro che la tranquillità, un'atmosfera in cui condurre in pace le loro ricerche «imparziali»; un modo d'essere in auge già avanti la prima guerra mondiale, e che toccò l'acme sotto il nazismo. (pp. 298, 299)
  • [...] l'idea di una comunità maschile, basata su affinità sessuali e ideologiche, non era esclusiva della Germania: peculiarmente tedesche furono l'applicazione del concetto e la sua strumentalizzazione ai fini di cause politiche e sociali. L'idea dell'Eros e la tendenza all'omosessualità erano infatti moneta corrente non soltanto in Germania, ma anche in Francia e in Inghilterra. In Francia, le concezioni di Blüher erano condivise da André Gide e da Marcel Proust, entrambi irresistibilmente attratti dall'Eros e dall'omosessualità, con la differenza che siffatte inclinazioni erano da essi considerazioni di carattere strettamente personale. Né Gide né Proust né Oscar Wilde pensarono mai di servirsi dell'omosessualità o della sublimazione del sesso per farne il fondamento di una teoria cosmica, da cui dedurre alternative alla presente situazione sociale e politica. In Germania, invece, l'idea di Bund si sviluppò appunto lungo questa direttrice [...]. (p. 314)
  • L'opera dell'ebreo convertito Otto Weininger, Geschlecht und Charakter (Sesso e carattere) che, pubblicata nel 1904, conobbe vasta popolarità, faceva della dicotomia maschio-femmina addirittura un principio cosmico. La teoria dell'Eros, maschiocentrica, destinava la donna a una posizione ancillare rispetto all'uomo. Nelle donne, affermava Weininger, mancava l'Eros proprio degli uomini: gli interessi delle donne erano il matrimonio, la riproduzione, la soddisfazione dei bisogni dei figli, ragion per cui era da escludere che fossero responsabilmente depositarie dell'Eros culturale. Nel tentativo di conferire obbiettività alla propria tesi, Weininger esaltava il «femminino-materno» come una forza fondamentale, facendo però il panegirico del «mascolino-creativo» inteso come la forza superiore racchiudente le qualità spirituali dell'uomo. E, non contento ancora, si spinse più in là, col risultato di sconfinare vieppiù nell'assurdo e nell'irrazionale: non solo attribuì alla donna un ruolo inferiore, ma introdusse una componente razziale. Come la femmina era opposta al maschio, così l'ebreo si contrapponeva all'ariano. Le caratteristiche dell'ebreo erano equiparate a quelle della donna: l'uno e l'altra aspiravano a beni materiali a scapito degli interessi spirituali, l'uno e l'altra trasformavano l'amore in lussuria. Laddove tuttavia la femmina nell'ambito di una razza aveva semplicemente un ruolo secondario rispetto al maschio l'ebreo, di sesso maschile o femminile che fosse, era inferiore all'intera razza ariana. Le donne erano semplicemente suddite; gli ebrei nemici dell'anima e della vita spirituale. (p. 317-318)

Citazioni su George Mosse[modifica]

  • George Lachmann Mosse è una personalità singolare nel mondo della storiografia contemporaneistica, dove si distingue per l'originalità dei problemi proposti dalla sua ricerca e per la novità del metodo di analisi: i suoi saggi fondamentali sul nazismo, sul razzismo, sul nazionalismo e la politica di massa, hanno segnato una svolta e un progresso decisivi nella conoscenza di questi fenomeni, che Mosse ha studiato con l'intelligenza spregiudicata dello storico vero, ma anche con una contenuta preoccupazione per il destino della libertà e della ragione di fronte alle sfide della realtà. Oltre il campo proprio della storiografia, le sue riflessioni sulla «nazionalizzazione delle masse», sul ruolo dei miti e dei riti nei movimenti politici, sugli atteggiamenti dell'uomo e delle masse di fronte ai dilemmi della modernità, sono un contributo culturale di grande valore per comprendere la natura della moderna politica di massa, e per essere consapevoli del ruolo e della potenza dell'irrazionale nella storia della nostra epoca.[fonte 1] (Motivazione per il conferimento del Premio Prezzolini 1985)

Note[modifica]

  1. Cit. in E. H. Ackerknecht, Kurze Geschichte der Psychiatrie, Stuttgart 1957, p. 51. [N.d.A., p. 263]
  2. Ivi, p. 52. [N.d.A., p. 263]
  3. J. Laurent, Les Bétises, Paris, 1971, p. 65. [N.d.A., p. 49]

Fonti[modifica]

  1. Citato in Donatello Aramini, George L. Mosse, L'Italia e gli storici, FrancoAngeli, 2010, p. 116. ISBN 978-8-85-682735-4

Bibliografia[modifica]

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