Giuseppe Moricola

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Giuseppe Moricola (1957 – vivente), accademico e storico italiano.

L'industria della carità[modifica]

Incipit[modifica]

Nei primi decenni del XVIII secolo, la città di Napoli è uno smisurato aggregato di persone, un contenitore umano che fa storia a sé nelle vicende demografiche del resto del Regno.

Citazioni[modifica]

  • Assumendo le indicazioni contenute nella più aggiornata letteratura storiografica sull'argomento, probabilmente, i 60mila "sfaccendati" presenti all'avvento di Giuseppe Bonaparte descrivono meglio dei 15-25 "mendici" riportati da De Renzi o Pietro Colletta i confini della povertà napoletana. I numeri più grandi fanno riferimento ai processi economici che si svolgono su scala locale nella seconda metà del '700 e di questi intendono sottolineare i gravi risvolti sociali in relazione alle dinamiche di schiacciamento verso il basso dei lavoratori più poveri. Questi settori subiscono pesantemente la forbice prezzi-salari, acuitasi nel corso della seconda metà del secolo, con un aumento dei prezzi del 50% ed un andamento pressoché stazionario delle retribuzioni più basse (cap. 1, p. 15).
  • Gli anni che seguono l'epidemia del 1764 costituiscono un momento di svolta nella vita dell'Albergo. La massiccia reclusione dei poveri operata nell'anno della "fame" è soltanto il prologo di una più intensa e continua politica di internamenti di massa, motivata, di volta in volta, da preoccupazioni per l'ordine sociale o sanitario, da interessi della pubblica amministrazione, soprattutto del ramo militare, ma anche da scelte autonome dell'Ospizio che, come nel caso della tentata esperienza della committenza dei vestiti per le truppe da parte dell'Albergo, alla fine del XVIII secolo, ricorre al rastrellamento dei poveri nella città per sostenere le attività del Lanificio. Quali che siano le motivazioni, da quel momento l'Albergo deve fronteggiare periodiche ondate di ammissioni che portano la popolazione dell'istituto a proporzioni intollerabili rispetto alle reali capacità di ricezione (cap. 2, p. 48).
  • Pregiudicati dalla scarsa domanda dell'esterno, i giovani stazionano nel "Reclusorio" grazie anche alla compiacenza degli amministratori, fino al punto di disattivare i criteri per il loro allontanamento. Alla fine del XVIII secolo, questo fenomeno è largamente rinvenibile, tanto da richiamare l'attenzione dei governatori che, nel 1790, dopo aver riscontrato che nei cinque anni precedenti nessun recluso è uscito impiegato, propongono alcune modifiche ai regolamenti vigenti. Considerando che i criteri fino ad allora osservati di licenziarsi dopo i diciotto anni i reclusi maschi, debbano essere rispettati più largamente, la Giunta dell'Albergo introduce alcune restrizioni per quanto riguarda la permanenza nell'Istituto, al fine di incentivare il reinserimento dei giovani nella società. Infatti, mentre si continua a raccomandare di non licenziare il recluso se non è perfettamente "istruito nell'arte", se ne prevede il trasporto nella casa di correzione di San Francesco fuori porta Capuana «se discepolo e resistente all'apprendere l'arte», oppure il passaggio ai vecchi dell'Albergo se "incapace e scimunito". Resta, invece, confermata la norma di dotare il giovane licenziato di un abito intero, ma questo misero incentivo, ben presto, è arricchito dalla dotazione dei basiliari strumenti di lavoro, nella vana speranza di invogliare i vittitanti a lasciare l'ospizio. Si tratta di espedienti poco convincenti che si scontrano, m annullandosi, contro i numeri sempre più grandi di quanti confluiscono nell'istituto (cap. 2, p. 51).
  • Nonostante i vari tentativi, la situazione rimane molto difficile, anche se spesso i governatori delle opere pie gonfiano la cifra delle rendite perdute per sottolineare l'insufficienza degli assegni mensili. Certo è che la fluidità dei finanziamenti sostitutivi dei cespiti soppressi rischia di far crollare l'imponente edificio della beneficenza pubblica napoletana. Si giunge, così, durante il regno di Gioacchino Murat, alla decisione di reperire una fonte di finanziamento più importante: un nuovo dazio sui generi di consumo della città di Napoli (cap. 3, p. 93).
  • L'imposizione di un apposito balzello per la beneficenza, d'altra parte, rispecchia anche una diversa concezione per quanto riguarda l'individuazione dei soggetti destinati a farsi carico dei costi dell'attività assistenziale. Con l'introduzione dell'imposta, gli abitanti di Napoli diventano i primi finanziatori dei maggiori luoghi pii della città, secondo una logica di scambio che fa ricadere sulle stesse popolazioni il peso di un servizio sociale così rilevante (cap. 3, p. 94).
  • Lo schema della "microeconomia di scambio", tra l'Ospizio e il contesto circostante, così, comincia a prospettarsi anche ai contemporanei, che commisurano i costi e i benefici di quel rapporto sulla scala della grande capitale meridionale. Per capire il quadro delle interrelazioni economiche e sociali tra le due realtà, a questo punto, si rende necessario approfondire il discorso sul patrimonio del povero, dal versante del suo uso e delle sue destinazioni. Ciò al fine di individuare tipicità e coincidenze tra la formazione della beneficenza pubblica, di cui qui si sono descritte le tappe fondamentali, e 1'affermazione di sistemi economici e sociali più complessi, nei quali il problema della povertà assume connotazioni non soltanto morali (cap. 3, p. 107).
  • L'addestramento musicale, su cui tanto fida l'amministrazione militare, nella seconda metà dell'800, è appunto un'altra specializzazione curata nell'Albergo. L'utilizzazione della banda, a giudicare in particolare dai contributi versati dal Corpo di Città per regalie agli alunni musicanti per i servizi prestati alla città, è varia, costituendo una presenza costante nelle festività religiose e civili della capitale, ma anche del suo hinterland. Rinchiusi per il resto del tempo nel "Serraglio", circondati dall'ostilità dei cittadini, gli abitanti dell'Albergo vivono, così, un'effimera rivincita come elemento decorativo dei canonici appuntamenti di festa. Nella nuova veste di rappresentanza, nel 1840, alla banda si affianca una scuola di canto; per la quale, dopo il saggio d'esordio da parte di ottanta alunni, il Soprintendente chiede che sia data notizia sul "Giornale Ufficiale", lo ché servirà di incoraggiamento agli alunni del Real Albergo (cap. 4, p. 140)
  • La convivenza con la povertà diffonde anche tra il ceto impiegatizio di stanza nell'Albergo pretese assistenzialistiche che si esprimono in una serie innumerevole di implorazioni, suppliche e petizioni per vitalizi e sussidi straordinari. Ne viene fuori l'immagine di una «famiglia allargata» che, nell'interclassismo che la caratterizza, socializza i moduli paternalistici tipici del rapporto tra poveri e potenti, fino a informarne i percorsi del reclutamento del personale (cap. 4, p. 161).

Explicit[modifica]

Più concretamente l'Albergo dei poveri costituisce uno degli strumenti per ripristinare una coesione sociale minacciata che nella pratica della beneficenza trova un formidabile collante, in grado di tenere insieme il melmoso mondo della Napoli borbonica, secondo intendimenti e azioni che hanno ombre lunghe e vitalità possenti tanto da impregnare anche l'odierna realtà metropolitana e meridionale in genere.

Bibliografia[modifica]

  • Giuseppe Moricola, L'industria della carità, Edizioni Liguori, Napoli, 1994, ISBN 88-207-2361-1.