Goffredo Fofi

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Goffredo Fofi (1937 – vivente), saggista, attivista, giornalista e critico cinematografico, letterario e teatrale italiano.

Citazioni di Goffredo Fofi[modifica]

  • [Parlando di Stig Dagerman] Alla sua rivolta, incompiuta perché tradita, molti giovani di oggi, almeno in Italia, amano richiamarsi – da lui diversi come la torbida acqua della realtà lo è, in Ho remato per un lord, dalla verde acqua dell'utopia. È bene non ascoltarli, e dire a chi si fa bello gridando in giro “sono un anarchico” quel che Berardinelli suggeriva di rispondere a chi un tempo diceva “sono un comunista”: “me lo dimostri!”. Una moda come tante, ma più ipocrita di tante.[1]
  • [Su Uccidere un bambino di Stig Dagerman] Era più che un racconto e più che un saggio, e mi fece pensare a una preghiera o a una bestemmia (che sono spesso la stessa cosa).[1]
  • La grandezza e la miseria di Chaplin sta nella sua capacità di adattamento e seduzione, nel suo dialogo con la storia. Quella di Keaton nella sua inadattabilità, nella sua fedeltà, nella sua irriducibilità alla storia. Chaplin è sociale, Keaton è metafisico.[2]
  • [Su Scoprendo Forrester] Non è facile raccontare un vero scrittore, è più facile inventarsene uno alla Sean Connery, un colto James Bond elegantemente e nevroticamente invecchiato. Ci sarà certo qualche spettatore che crede a queste storie, ma i più sbadigliano. E quanto chiacchierano i vecchi scrittori dei film, e quanto chiacchierano i giovani sceneggiatori da corso di scrittura![3]
  • [Su Carmelo Bene] Più sociale nonostante tutto il teatro, più asociale il cinema e con una straordinaria e singolarissima autonomia di linguaggio la televisione. Riconquista della parola e del volto nell'era della più degradata spettacolarità, che ha strappato alla parola il suo potere abusandone e ridicolizzandola, e al volto la sua anima omologando le facce nella faccia unica d'una massa che crede di essere in quanto grida.[4]
  • Prima che sulla coppia, Eyes wide shut è né più né meno che un film sulla borghesia – ieri e oggi, dopo Barry Lyndon e l'89 di duecento e passa anni fa – e dunque, visto che il potere è sempre saldo nelle mani di questa classe, assistita o appena contrastata, oggi come oggi, solo da poteri più esoticamente criminali di essa, è un film sul potere, [...] il Potere Borghese e Maschile sul corpo della donna e del ricco sul corpo del povero. [...] Che cos'è questo film, in definitiva, se non una classica storia di "presa di coscienza", che a metà pone il protagonista di fronte a una crisi e lo costringe a cominciare a vedere? Con procedimenti non immemori di Hitchcock e di Lang, Bill è ora mosso nelle sue azioni dal senso di colpa, che però non è "cattolico" come nei due maestri, o metafisico alla Kafka, o psicoanalitico-edipico-freudiano, bensì precisamente e chiaramente sociale. E il clou ne sarà la conversazione con Ziegler (Pollack), il borghese cinico che sa e che ha scelto e che è "dentro" la grande rete nascosta del potere. Quello che prima era tutto freddezza di professionista acciuffadenari che esorcizza la morte e il male con il censo e il sesso, cambierà, sarà un'altra persona e un altro medico. [...] È poco? È tantissimo almeno da dentro il mondo borghese di cui Kubrick parla e da cui proviene e in cui si era nevroticamente installato. Se i Bill e Alice del mondo lo capissero tutti, il mondo sarebbe diverso. [...] A fine secolo, Kubrick non rinuncia quindi a "farci la morale" e noi gliene siamo grati, anche perché ci lascia qualcosa in cui credere. Di fronte a questo, che la prima lettura del film sia per i Bill e Alice del mondo meno godibile... affari loro. Chi ha occhi per vedere veda, sia pure tra sonno e veglia, e gli altri dormano pure l'immenso meschino complice doppio sogno del consumo e del consenso.[5]
  • [Su Carmelo Bene] Questa impossibilità di essere eroi è anche una delle basi del suo teatro, le basi della sua nostalgia di Verdi del "bel canto", della sua impossibilità a sapere che tutto questo, comunque, oggi non ha più senso.[6]
  • [Su Una nuova amica] Qui la levigatezza della confezione, da rivista di moda o di arredamento, la prevedibilità della costruzione, dominano sulla trama e ne tolgono perfino la morbosità, rendendo patinata anche quella.[7]
  • [Su Alberto Anile] Si ammirò [...] il grande lavoro di ricerca, certamente da storico più che da critico cinematografico (ed è un elogio, anche se Anile non aveva niente da invidiare ai critici del mestiere), e una maestria che sapeva coniugare il rigore del saggio con la scioltezza della narrazione [...].[8]
  • Sotto molti aspetti Fellini e Bene portano avanti discorsi assai prossimi, e un raffronto tra le loro opere sarebbe istruttivo: stessa tradizione cattolica, stessa angoscia di fronte alla vita e alla donna, stesso gusto del tutto pieno, del decadente, del soggettivo, dell'esibizionistico, del ripetitivo. Ma le differenze sono altrettanto grandi: soprattutto, Fellini si difende più di quanto non riesca a fare Bene; Fellini cerca di conservare e conservarsi e si difende col gioco, Bene distrugge e autodistrugge; Fellini è assente alla contemporaneità, fermo al passato e al mito dell'infanzia, Bene non ha miti che lo sostengano.[9]
  • Sulla figura e l'opera di Luca Rastello si dovrà tornare spesso, nei prossimi tempi, perché sono tra le più belle e più esemplari tra quelle che hanno agito in questi anni e hanno cercato di investigarne le tensioni, gli interessi, le brutture e disgrazie e le pochissime grazie [...].[10]
  • Tutto di testa, mai libero e mai autentico, mai leggero e mai profondo, a Youth manca semplicemente, fellinianamente, un'anima. Neanche l'ombra di un'asa nisi masa.[11]

Carla Del Poggio e il cinema fuori dal buonismo

Corriere del Mezzogiorno, edizione Campania, 8 agosto 2021.

  • Carla Del Poggio veniva dal cinema dei «telefoni bianchi», esplose col neorealismo ma rimase poi per qualche anno ai margini (ma fu con la Masina e Peppino De Filippo la formidabile ballerina di avanspettacolo nel film di esordio di Fellini, Luci del varietà, diretto insieme a Lattuada, che lo fece così esordire nella regia).
  • Ho avuto la fortuna di conoscere Lattuada e, quando fu immobilizzato e fuori coscienza per malattia, di aver molto frequentato sua moglie, l'attrice Carla Del Poggio assai bella e assai brava. Era napoletana, mi disse, figlia di un militare di carriera, ed era nata nel palazzo che ospitò poi la Rinascente a via Roma/Toledo, ed era nipote di Vittorio Imbriani, il grande scrittore cresciuto nell'esilio politico e poi garibaldino, autore della geniale satira dell'aristocrazia Dio ne scampi dagli Orsenigo, da cui i letterati napoletani avrebbero ancora da imparare.
  • Di Carla, della sua simpatia e intelligenza, della sua dedizione a un marito privo di coscienza che ha curato per anni in casa, potrei parlare per ore. Molti napoletani ricorderanno il suo come-back negli anni cinquanta con il formidabile sucesso di un super-melodramma, Core 'ngrato. Nel nostro cinema tra il '45 e i Settanta non c'erano solo Zavattini & Co. Con il loro "buonismo", per fortuna!, e non vi si raccontava solo Roma, e non c'erano solo i critici pseudo-lukacsiani e ruffiani; c'era anche tanto eros, e c'erano grandi attrici con grandi personaggi femminili, c'erano grandi registi "borghesi", e c'erano Alberto Lattuada milanese doc, e Carla Del Poggio napoletana doc.

Più stelle che in cielo[modifica]

  • [Marlene Dietrich] Fu spiritosa e «alla mano», dopo essere stata distante e aureolata, ma restò tuttavia «diva», un ideale di donna con una «classe» conquistata con sforzo, partendo da una calorosa volgarità cui aveva rinunciato per Sternberg, ma cui mai aveva rinunciato del tutto. (p. 23)
  • È impossibile che tra il pubblico di oggi e Totò possa ristabilirsi quel tipo di complicità, di immedesimazione vendicativa o anche, a tratti, masochista che con Totò avevano il sottoproletario, il proletario, il piccolissimo borghese degli anni Cinquanta. (p. 74)
  • [Su Marilyn Monroe] Fare la diva super bella e superoca, la bionda scema e desiderabile consolante per ogni cretino di maschio occidentale doveva esserle ben pesante, poverina. (p. 172)
  • [Su Johnny Depp] Per la cronaca, il ruolo di Edward [mani di forbice] era stato offerto dapprima a quel bischero di Tom Cruise, che per nostra grande fortuna di spettatori intelligenti e amorevoli, lo rifiutò. (p. 252)

Strade maestre[modifica]

  • L'importanza della figura di Vittorini nella nostra storia letteraria è ben nota: pochi come lui hanno dato altrettanto e con altrettanta generosità, dal lavoro editoriale alle riviste, dalla promozione di nuovi talenti all'attenzione nei confronti delle trasformazioni del contesto italiano. (p. 14)
  • L'autore del Canzoniere [Umberto Saba], uno dei rari monumenti alla felicità e alla pienezza, nonostante tutto, del vivere lasciatoci dalla letteratura italiana del secolo, ha raggiunto quella purezza, quella libertà e quella grazia che rendono la sua vecchia poetica così «saggia» al contrario delle molte impudiche cui si assiste. (p. 21)
  • [Su Il lanciatore di giavellotto di Paolo Volponi] Certamente il fascismo è una chiave di lettura fondamentale del libro, certamente l'adolescenza ne è l'altra, ma è come se dal connubio di queste due coincidenze "temporali" – l'età del fascismo e l'età dell'adolescenza – scaturisse una terza componente, o che sia la terza a far scattare il cortocircuito tragico delle altre due: una terza non completamente definibile ma la cui aura è infine quella di una nevrosi estrema, che in quanto estrema rende estreme le sue violenze "storiche". Essa ha origine su un terreno più lontano e più antico dell'epoca del romanzo e forse della stessa storia. Su un terreno di tragedia, e di mito, nell'angoscia del nato di donna di fronte alla donna, al sesso, al rapporto con la donna.[12] (pp. 159-160)

Note[modifica]

  1. a b Da Stig Dagerman, Ho remato per un lord , traduzione di Gino Tozzetti, illustrazioni di Davide Reviati, postfazione di Goffredo Fofi, Roma, Coconino Press Fandango, 2021. ISBN 978-88-7618-572-4.
  2. Da La cultura del Novecento, Mondadori 1981. Citato in Alfonso Berardinelli, Ricordando Chaplin e Keaton Il sociale e il metafisico, Avvenire.it, 8 marzo 2024
  3. Da 007 scrive come Salinger, Panorama, 29 marzo 2001.
  4. Citato in Carmelo Bene, Opere con l'autobiografia di un ritratto, p. 1382, Bompiani, Milano, 2002, ISBN 88-452-5166-7.
  5. Da "Eyes wide shut": dialettica della visione, Lo straniero, anno III, n. 9, inverno 1999-2000.
  6. Da La voce che si spense, Questa Italia, programma RAI di Daniela Battaglini, commemorante la scomparsa di Carmelo Bene.
  7. Da François Ozon fallisce anche nel ridicolo, internazionale.it, 25 marzo 2015.
  8. Da Uno scrittore antipatico, un regista arrogante, un grande libro, un film magnifico, prefazione a Maria Gabriella Giannice e Alberto Anile, Operazione Gattopardo. Come Visconti trasformò un romanzo "di destra" in un successo "di sinistra", Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 2-3. ISBN 9788858819890
  9. Da Qualche film, Quaderni piacentini, n. 48-49, gennaio 1973, anno XII, p. 217; poi in Capire con il cinema. 200 film prima e dopo il '68, Feltrinelli, 1977.
  10. Da La voce libera di Luca Rastello, internazionale.it, 7 luglio 2015.
  11. Da La senilità precoce di Youth di Sorrentino, internazionale.it, 27 maggio 2015.
  12. Da Il fascismo segreto del maschio, Il Manifesto, 19 maggio 1981.

Bibliografia[modifica]

Film[modifica]

Altri progetti[modifica]