Hans Fallada

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Hans Fallada

Hans Fallada, pseudonimo di Rudolf Ditzen (1893 – 1947), scrittore tedesco.

Senza amore[modifica]

Incipit[modifica]

Tre giovani ragazze

La casa dorme, passa un uomo

L'ardore del sole estivo pareva tramutare l'azzurro cupo del cielo in un barbaglio quasi bianco. Il paesaggio si distendeva immoto, respirava appena. Nella pineta che chiudeva l'orizzonte l'aria era gonfia dell'odore delle foglie morte, dagli antri muschiosi saliva un alito putrido. Sulle rocce piatte giacevano al sole i piccoli scoiattoli, immobili come l'ora stessa del giorno.
Nei campi non si vedeva alcuno, nessun soffio di vento moveva il grano maturo. Nella polvere della strada che attraversava il villaggio si poteva notare ancora la traccia della carretta del fornaio, che era passato alle dodici; da quel momento più nulla s'era mosso. Sul pascolo dietro alle case il bestiame stava a capo chino, in silenzio. Solo le code a tratti battevano pigramente le grosse pance, a cacciarne lo sciame delle mosche, il cui ronzio bellicoso pareva il linguaggio stesso della canicola.

Citazioni[modifica]

  • Mondo bello, mondo colorato | Io vivo in te come in uno scrigno nero. | Mondo bello, mondo colorato, | Io giaccio morto in te... così solo! (p. 28)
  • Quando si fa il proprio dovere, non c'è più vuoto al cuore. (p. 104)

Ognuno muore solo[modifica]

Incipit[modifica]

La postina Eva Kluge sale lentamente le scale del numero 55 della Jablonskistrasse. Sale lentamente non soltanto perché il suo giro quotidiano l'ha stancata, ma perché ha nella sua borsa una di quelle lettere che detesta recapitare e adesso, subito, due piani più in su, la deve consegnare da Quangel.

Citazioni[modifica]

  • […] la postina è salita al piano di sopra e ha suonato dai Quangel. Tiene già la lettera in mano ed è pronta a correre subito via. Ma ha fortuna, perché le apre la porta non la moglie che scambia sempre qualche parola gentile con lei, ma il marito dal viso tagliente di uccello, con la bocca stretta e gli occhi freddi. Senza una parola prende la lettera e le chiude la porta sul naso, come se fosse una ladra da cui ci si deve guardare.
    Eva Kluge alza le spalle e scende di nuovo le scale. C'è gente fatta così. Da quando porta la posta nella Jablonskistrasse quell'uomo non le ha mai detto una parola. Pazienza, lei non lo può cambiare, non ha potuto cambiare nemmeno suo marito che ha scialacquato il suo denaro all'osteria e alle corse e che si rifà vivo solo quando è proprio al verde. (p. 14)
  • Di sfuggita pensa anche all'uomo dal viso di uccello al quale ha consegnato or ora la lettera della posta militare, e pensa alla vecchia ebrea Rosenthal, lassù al quarto piano; la Gestapo le ha portato via il marito due settimane or sono. Le fa pena, quella donna. I Rosenthal avevano prima un negozio di biancheria nella Prenzlauer Allee. Poi glielo hanno «arianizzato» e adesso hanno portato via il marito, che non deve essere lontano dai settanta. Non hanno certamente mai fatto male a nessuno, quei due vecchi, hanno sempre venduto a credito anche a Eva Kluge, quando non aveva denaro per la biancheria dei bambini, e da Rosenthal la merce non era peggiore o più cara che negli altri negozi. (p. 15)
  • In realtà non era certo l'avarizia che impediva a Otto Quangel di iscriversi al partito. Certo, egli era molto preciso in fatto di denaro ed era capace di rimpiangere per una settimana un centesimo speso con leggerezza. Ma appunto perché era così preciso per sé, lo era che per gli altri e questo partito era tutt'altro che preciso nel tradurre in atto i propri principi. Il modo nel quale suo figlio era stato educato nella scuola e nelle organizzazioni giovanili del partito, ciò che aveva sentito da Anna e ciò che lui stesso avevo visto: tutti i posti ben pagati in fabbrica occupati da iscritti al partito ai quali i migliori, che non fossero iscritti, dovevano continuamente cedere il passo, tutto questo lo aveva confermato nella persuasione che il partito non era preciso, e cioè che non era giusto, e con una faccende del genere lui non voleva aver nulla a che fare. (p. 63)
  • I pochi borghesi si perdevano completamente in quella ressa e riuscivano insignificanti e smorti in mezzo a tante uniformi; così come il popolo, fuori, per le strade e nelle fabbriche non aveva mai avuto significato per il partito. Il partito era tutto e il popolo nulla. (pp. 124-125)
  • – Sei la migliore di noi tutti, – proruppe a un tratto. – Tu sei l'umanità, lui è soltanto il dogma. Devi continuare a vivere, non cedere! (p. 129)
  • E le cose stavano proprio così: la morte nella compagnia di disciplina, la morte in un campo di concentramento, la morte in prigione, ecco le cose che lo minacciavano quotidianamente, che lui doveva allontanare da sé. E aveva così poca forza… (p. 146)
  • Il commissario è un po' nervoso, non certo per quel che Friedrich sta facendo in cucina con la vecchia ebrea, cose del genere e anche peggiori corrispondono alla sua natura. Rusch è un avvocato fallito che ha trovato modo di entrare nella polizia criminale. Più tardi è stato da questa ceduto alla Gestapo. Fa volentieri il suo servizio. Avrebbe volentieri offerto questi suoi servizi a qualsiasi governo, ma i metodi spicci di quello attuale gli piacciono particolarmente. – Niente sentimentalismi, – dice qualche volta a un principiante. – Soltanto quando abbiamo ottenuto quel che volevamo, soltanto allora abbiamo adempito al nostro dovere. Il mezzo è indifferente. (p. 159)
  • – Tutti hanno paura! – affermò la camicia bruna, piena di disprezzo. – Perché poi? Gli abbiamo spianato la strada, basta che facciano quel che diciamo loro di fare.
    – Tutto ciò succede perché la gente non vuol smettere di pensare. Credono che andranno avanti a forza di pensare.
    – Devono soltanto ubbidire. A pensare provvede il Führer. (p. 204)
  • […] Intanto Otto Quangel riponeva penna e calamaio e nascondeva in un libro la cartolina incominciata. Aveva già scritto le prime parole: «Führer ordina, noi ti seguiamo. Sì, noi ti seguiamo, siamo diventati un gregge di pecore che il nostro Führer può spingere su ogni banco di macellaio. Abbiamo rinunziato a pensare…». (p. 211)
  • – Dannazione! – sbuffò l'ufficiale. – Questi individui diventano sempre più boriosi. Sulla forca tutta la Gestapo! Perché sono in grado di mettere dentro ogni tedesco, credono di potersi permettere tutto. Ma io sono un ufficiale, sono persino un ufficiale di carriera…
    […]
    – Che bel tipo! – Disse Escherich al gerarca del partito che ha un tratto s'era messo diligentemente a lavorare alla sua scrivania. – Manda sulla forca la Gestapo. Vorrei proprio sapere fino a quando potreste ancora rimanervene tranquilli se non ci fossimo noi. Parliamoci chiaro, la Gestapo è tutto lo Stato. Senza di noi tutto si sfascerebbe, e voi andreste tutti sulla forca! (p. 270)
  • – Ma che cosa si era messo in mente, Quangel? Lei, un semplice operaio, lottare contro il Führer, che ha dietro di sé il partito, le SS, le SA? Contro il Führer che ha già vinto mezzo mondo e fra uno o due anni avrà sconfitto il nostro ultimo nemico? È ridicolo! Avrebbe dovuto pensarci prima, che la cosa sarebbe finita male! È come se una zanzare volesse combattere contro un elefante. Non la capisco proprio, lei, un uomo ragionevole!
    – No, questo non lo potrebbe capire. Poco importa se uno combatte da solo o se combattono in centomila; se uno s'accorge di dover combattere, combatte, e poco importa che abbia o no compagni di lotta. Io dovevo combattere e tornerei a farlo. Ma in modo diverso, completamente diverso. (pp. 506-507)
  • […] Se mi avesse permesso di suonargliele a dovere, a quella canaglia, questo non sarebbe mai successo.
    Allora il direttore d'orchestra rispose con un sorriso malinconico: – Vogliamo forse diventare come quegli altri, Quangel? Quelli credono di poterci convertire alle loro opinioni a furia di botte! Ma noi non crediamo alla signoria della violenza. Noi crediamo nella bontà, nell'amore, nella giustizia.
    – Bontà e amore per quella scimmia malvagia!
    – Lo sa forse lei, perché è diventato così malvagio? Lo sa forse lei se non si schernisce ora contro la bontà e l'amore, solo per paura di dover vivere altrimenti se non diventasse buono? Se avessimo avuto quel ragazzo con noi nella nostra cella altre quattro settimane, lei avrebbe notato un cambiamento.
    – Bisogna anche saper essere duri, dottore!
    – No, non bisogna. Una frase simile fornisce una scusa per ogni mancanza d'amore, Quangel! (pp. 571-572)
  • […] Perlomeno lei ha resistito al male. Non è diventato malvagio insieme con gli altri. Lei ed io e i molti che sono qui in questa casa e molti, moltissimi in altre case simili e le decine di migliaia nei campi di concentramento continuano a resistere ancora oggi, domani…
    – Sì. e poi ci ammazzeranno, e a cosa sarà servita la nostra resistenza?
    – A noi sarà servita molto perché sentiremo di esserci comportati fino alla fine in modo decente. E più ancora sarà servita al popolo che sarà salvato per amore dei giusti, come sta scritto nella Bibbia. Vede, Quangel, sarebbe stato naturalmente mille volte meglio se avessimo avuto un uomo che ci avesse detto: dovete agire così e così, questo o quello è il nostro piano. Ma se ci fosse stato un uomo simile in Germania, non avremmo mai avuto un 1933. Così abbiamo dovuto agire ognuno per conto suo, e siamo stati presi uno per uno, e ognuno di noi morrà solo. Ma non per questo siamo soli. Quangel, non per questo moriamo inutilmente. A questo mondo nulla accade inutilmente, e poiché combattiamo per la giustizia contro la forza bruta, saremo noi i vincitori alla fine. (p. 577)

Explicit[modifica]

Nei giorni seguenti mamma Kienschäper si meravigliò qualche volta di vedere che il ragazzo non si allontanava mai dalla cascina. Di solito era sempre il primo ad andare a lavorare nei campi e adesso non voleva nemmeno condurre al pascolo la mucca. Ma non disse nulla, e il ragazzo non disse nulla e quando vennero le giornate di piena estate e incominciò la mietitura dell'avena, il ragazzo se ne andò anche lui per i campi con la sua falce…
Perché bisogna anche raccogliere quel che abbiamo seminato e il ragazzo aveva seminato una buona semente.

Incipit di alcune opere[modifica]

E adesso, pover'uomo?[modifica]

Dove Pinneberg prende una grande decisione.

Sono le quattro e cinque. Pinneberg l'ha riscontrato or ora: Giovanni Pinneberg, un bel ragazzone biondo, dall'aspetto simpatico, che aspetta davanti al numero 24 della Rothenbaumstrasse.
Sono dunque le quattro e cinque; l'appuntamento con Ciuffetto era per le quattro meno un quarto. Pinneberg rimette in tasca l'orologio e si dà seriamente ad osservare l'insegna che sovrasta l'ingresso del numero 24 della Rothenbaumstrasse.

Dr. Sesam
Ginegologo
orario di visita: 9-12; 4-6

«Accidenti! E sono già le quattro e cinque... Se accendo una sigaretta, scommetto che Ciuffetto svolta il cantone ed è qui! Tanto, oggi è la giornata delle spese straordinarie...»
Intanto si è distratto nella contemplazione dell'insegna. La Rothenbaumstrasse allinea una sola fila di case; dall'altra parte, lungo la gettata, scorre lo Strela che è già molto largo, così prossimo a sfociare nel Baltico. Un'aura fresca spira sull'acque, i cespugli piegano i loro rami e gli alberi stormiscono...

Tutto da rifare, pover'uomo...[modifica]

Ricordo ancora assai bene il momento in cui il malanno ci entrò in casa.[1]

Note[modifica]

  1. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Hans Fallada, E adesso, pover'uomo? (Kleiner Mann, Was Nun?), traduzione di Bruno Revel, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, 1956.
  • Hans Fallada, Senza amore (Der Ungeliebte Mann), traduzione di Bruno Revel, Medusa, Arnoldo Mondadori Editore 1942.
  • Hans Fallada, Ognuno muore solo (Jeder stirbt für sich allein), traduzione di Clara Coïsson, Sellerio editore, Palermo, 2010, ISBN 978-88-389-2510-8

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