Igiaba Scego

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Igiaba Scego

Igiaba Scego (1974 – vivente), scrittrice italiana di origine somala.

Citazioni[modifica]

  • A Roma la gente corre sempre, a Mogadiscio la gente non corre mai. Io sono una via di mezzo tra Roma e Mogadiscio: cammino a passo sostenuto. (dal racconto "Salsicce" in Pecore Nere)
  • Continuano a definirci immigrati di seconda generazione [...] Immigrati da dove? Dal ventre di nostra madre?[1]
  • Credo di essere una donna senza identità. O meglio con più identità. Chissà comme saranno belle le mie impronte digitali! Impronte anonime, senza identità, neutre come la plastica. (dal racconto "Salsicce" in Pecore Nere)
  • [...] per chi viene dal sud del mondo il viaggio è una linea retta. Una linea che ti costringe ad andare avanti e mai indietro.[2]
  • Afroeuropei, che parola strana, non so bene come collocarla. Non so bene nemmeno cosa significhi. Mi sembra un ossimoro, mettere insieme Europa e Africa nella stessa parola. Mettere insieme la loro relazione tormentata e caotica. Ma in fondo Europa e Africa convivono in noi, nel nostro corpo e nella nostra psiche. Forse noi afroeuropei non abbiamo tante cose in comune tra noi. [...] Noi afroeuropei ci portiamo addosso, non solo la nostra pelle nera, ma i viaggi dei nostri padri, dei nostri nonni, dei nostri antenati. Parliamo due o tre lingue, sogniamo una savana e delle zebre che forse non abbiamo mai visto [...] Siamo diversi, diversissimi tra noi. Galassie lontane. Siamo afroitaliani, afrosvedesi, afrorussi, afrotedeschi, afroportoghesi più che afroeuropei.[3]
  • [Su I Am Not Your Negro] Peck è un regista che non dà tregua. Ogni fotogramma è un invito a non abbassare la guardia, a non nascondersi dietro il velo del conformismo. Sa come ferirci con immagini di linciaggi reali o ricostruiti per lo schermo. Sa come scuotere le coscienze assopite o troppo impaurite per agire. E vediamo in ogni inquadratura quel corpo nero, quel popolo nero, maltrattato, umiliato, annientato, polverizzato. Un corpo che a seconda delle esigenze del potere diventa portatore delle ansie e della cattiva coscienza di un'intera nazione.[4]
  • Ricordare, per non ripetere. Affinché non succeda più. Basta con i morti, i trucidati, gli assassinati.
    Basta con le torture, le violenze, gli stupri.
    Basta sottomettere i popoli, basta ricattarli.
    Tutto questo era memoria.
    Ma non tutte le memorie, lo stavo scoprendo con il tempo, avevano lo stesso trattamento.
    C'erano memorie di serie B e serie C. Memorie che nessuno voleva ricordare, perché troppo scomode, troppo vere. [5]
  • Mi piace Roma d'estate, soprattutto la sua luce di sera, sul far del tramonto, è calda, e anche i gabbiani diventano più buoni e viene voglia di abbracciarli. Sono i padroni delle piazze, ma qui ci sei tu, elefantino mio, e loro non si azzardano. Via, state lontano da piazza Santa Maria sopra Minerva! Mi sento protetta vicino a te. Qui sono a Magalo, a casa. Anche mio padre aveva le orecchie grandi, ma lui non mi ha mai saputo ascoltare, né io sono mai riuscita a parlarci. Con te è diverso. Per questo ringrazio Bernini di averti creato. Un piccolo elefante di marmo che sostiene l'obelisco più piccolo del mondo. Uno stuzzicadenti.[6]
  • Quando Maria Uva spuntò dalla scogliera le urla in calore degli uomini sovrastarono le onde del mare. Un'ondata di virilità inespressa si impossessò delle paratie e ogni superficie si bagnò di desiderio. La voce di Maria Uva era stridula, acuta, quasi fastidiosa. Ma a quei soldatini lo spettacolo sembrò paradisiaco". [7]

La linea del colore[modifica]

  • Non era questione di Europa, accidenti, ma questione di diritto dei corpi al movimento. (p. 141)
  • Era vero. Il diritto al viaggio e alla mobilità era solo per gente che aveva un passaporto forte e poteva oltrepassare la frontiera. Per gli altri il viaggio era solo morte, sciagura, frontiere che diventavano muri.
    Viviamo in apartheid, questo è apartheid. (p. 192)
  • Se una qualsiasi Charlotte di Düsseldorf o Pierre di Bordeaux poteva saltare a piacimento – com'era giusto – da una frontiera all'altra, perché Binti e Omar che avevano la stessa età e le stesse aspirazioni avevano la strada blocata? (p. 324)

Note[modifica]

  1. Da Siamo ancora pecore nere, Internazionale.it, 21 gennaio 2015.
  2. Da Quei ragazzi divorati in mezzo al mare dalla nostra indifferenza , Internazionale.it, 19 aprile 2015.
  3. Da Gli afroeuropei e l'invenzione del colore della pelle, Internazionale.it, 26 febbraio 2017.
  4. Da I libri che smontano il mito del colonialismo buono degli italiani, Internazionale.it, 1° aprile 2017.
  5. Da Igiaba Scego e Rino Bianchi, Roma negata: percorsi postcoloniali nella città, presentazione di Nadia Terranova, postfazione di Andrea Branchi, Ediesse, Roma, 2014, pp. 6-17. ISBN 978-88-230-1842-6. Citato in Steve Degrendel, Il colonialismo italiano: tra memoria e oblio: un'analisi di critica letteraria postcoloniale a scopo di decostruire i miti e gli stereotipi coloniali, p. 20, ugent.be.
  6. Da Adua, Giunti, Firenze-Milano, 2015, p. 9. ISBN 9788809811980
  7. Adua, Giunti, 2015, p.84.

Bibliografia[modifica]

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