Italo Svevo

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Italo Svevo

Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (1861 – 1928), scrittore e drammaturgo italiano.

Citazioni di Italo Svevo[modifica]

  • Ad una data età nessuno di noi è quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come la pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso pietre che le chiudevano il passaggio.[1]
  • In fondo il rimorso non è altro che il risultato di un dato modo di guardarsi in uno specchio.[2]
  • Io quando guardo una montagna aspetto sempre che si converta in vulcano.[3]
  • La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai, il futuro, rende la vita più semplice, ma anche tanto priva di senso.[4]
  • Le cose che si muovono potrebbero muoversi eternamente. Perché no? Non è questa la legge in cielo dove è certo vige la stessa legge che in terra? Ma io so che dalla nascita in poi anche la malattia è prevista e preparata. Da bel principio qualche organo è più debole e lavora con qualche sforzo e costringe a qualche sforzo qualche organo fraterno e dove c'è lo sforzo s'ingenera la fatica e perciò, infine, viene la morte.[5]
  • Le donne sono sempre povere di parole precise.[6]
  • [...] tutti i socialisti finiscono in pratica col ricorrere al mestiere del carnefice.[7]

Argo e il suo padrone[modifica]

Incipit[modifica]

Il dottore m'aveva esiliato lassù: Dovevo restare per un anno intero nell'alta montagna muovendomi quando il tempo lo concedeva e riposare quando lo imponeva. Idea geniale che però non mi fu utile. Il movimento che l'estate aveva concesso abbondantemente non m'aveva fatto bene ed il riposo impostomi dalle prime bufere e che prima mi parve gradevole, fu subito eccessivo, noioso, snervante. Poi la noia mi spinse ad un'avventura con una donna del rude paese. Finì – come si vedrà – male, e alla noia s'associò un rancore per tutto il paese che doveva servirmi di medicina.

Citazioni[modifica]

  • La catena e la museruola sono solo per Argo. La museruola è un pezzo di preda che non è né coperta né sincera. Io non so che cosa sia. Certo è una muraglia posta fra me e il creato, una nebbia che copre e rende meno distinta la vita.
    È ben vero che vicino alla nostra abitazione c'è un cane ch'è legato alla catena il giorno intero. Ma non ne soffre! Bestia curiosa, quella! Non so il nome e credo non ne abbia alcuno. A che cosa gli servirebbe un nome quand'è certo che a nessuno salterebbe in testa di chiamarlo visto ch'egli non potrebbe accorrere?
  • Fra il cane e l'uomo c'è un'altra grande differenza. L'uomo cambia d'umore ad ogni istante come una lepre furba di direzione. Invece ce ne vuol altro per far cambiare d'umore al cane. Talvolta Argo è lieto e vuol bene a tutti. Taglia l'aria con la coda perché in lui manca ogni sospetto e sa che non c'è nessuno che voglia pigliarlo per quella parte inerme. Poi è assalito da un dubbio: Forse qualcuno non gli vuol bene. Ma il dubbio è domato dalla sua coda che grida al vento: Tutto va bene e sono tutti amici. È difficile frenarla se non si presenta l'evidente necessità di celarla fra le gambe. Ma l'uomo è un animale disgraziato perché non ha la coda.
  • Quando lo spinsi a filosofare (certo è Argo il primo filosofo di sua gente) ebbi da lui questa frase futurista: Odori tre uguale vita. Per giorni interi insistetti per averne il commento e non ebbi mai la ripetizione. La bestia è perfetta e non perfettibile. Chi la studia deve saper progredire. Notai la frase come stava e procedetti oltre. Avute poscia altre sue comunicazioni me ne derivò qualche luce e pensai di aver capito. Divide la natura in tre classi solo perché lui il massimo matematico è di tre; poi ne cita cinque e dalle sue esemplificazioni risulterebbe che ve ne sono molte di più. Io credo che questa è la vera, la grande sincerità filosofica.
  • La grande differenza che c'è fra l'uomo e il cane è che il primo non sa il piacere delle busse che cessano.
  • Le cose hanno talvolta l'odore delle bestie che vi passarono su, specialmente se qualche cosa vi lasciarono, ma altrimenti le cose sono mute.
  • Le donne son fatte così. Ogni giorno che sorge porta loro una nuova interpretazione del passato. Dev'essere una vita poco monotona la loro.
  • L'uomo è un animale molto più semplice del cane perché sente di più e più facilmente. Quando incontra un altro uomo gli tocca la mano e sembrerebbe quasi di non curarsi di quanto sta dietro di questa mano.

Corto viaggio sentimentale[modifica]

Incipit[modifica]

Con dolce violenza il signor Aghios si staccò dalla moglie e a passo celere tentò di perdersi nella folla che s'addensava all'ingresso della stazione.
Bisognava abbreviare quegli addii ridicoli se prolungati fra due vecchi coniugi. Ci si trovava bensì in uno di quei posti ove tutti hanno fretta e non hanno il tempo di guardare il vicino neppure per riderne, ma il signor Aghios sentiva costituirsi nell'animo proprio il vicino che ride. Anzi lui stesso intero diveniva quel vicino. Che strano! Doveva fingere una tristezza che non sentiva, quando era pieno di gioia e di speranza e non vedeva l'ora di essere lasciato tranquillo a goderne. Perciò correva, per sottrarsi più presto alle simulazioni.

Citazioni[modifica]

  • Oggidì era acquisito dalla scienza che le giovani e belle donne erano più necessarie ai vecchi che ai giovani. Naturalmente, oltre che la sorpassata legge morale, perché a questa necessità sia corrisposto, c'era l'ostacolo che anche alle giovani e belle donne era concessa la libertà di disporre di sé. Forse contro ogni giustizia, perché per la loro giovinezza e per la loro bellezza esse alla libertà non sono preparate. Oggetti troppo preziosi, venivano distribuiti anche più ingiustamente dell'oro stesso. Si conquistavano anche con un paio di mustacchi bene impomatati. Ai vecchi non si concedevano che in casi rarissimi: Gerontomania.
  • Aveva osservato che quando due italiani si trovano allo stesso tavolo, avevano la gran voglia di lasciarlo per non sentire più l'altro.
  • In sogno una parola e il suo suono dipinge intera la persona che la emette.

La coscienza di Zeno[modifica]

Incipit[modifica]

Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s'intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica.
Di psico-analisi non parlerò perché qui dentro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l'autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie.
Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch'io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione, a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch'egli ha qui accumulate!...

Dottor S.

Citazioni[modifica]

Preambolo[modifica]

  • Vedere la mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora.
    Il dottore mi raccomandò di non ostinarmi a guardar tanto lontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tutto le immaginazioni e i sogni della notte prima. Ma un po' d'ordine pur dovrebb'esserci e per poter cominciare ab ovo, appena abbandonato il dottore che di questi giorni e per lungo tempo lascia Trieste, solo per facilitargli il compito, comperai e lessi un trattato di psico-analisi. Non è difficile d'intenderlo, ma molto noioso. (p. 6)

Il fumo[modifica]

  • Ero prossimo al sonno, ma avevo gli occhi tuttavia pieni di sole e tardavo a perdere i sensi. La dolcezza che in quell'età s'accompagna al riposo dopo una grande stanchezza, m'è evidente come un'immagine a sé, tanto evidente come se fossi adesso là accanto a quel caro corpo che più non esiste. (p. 10)
  • Le mie giornate finirono coll'essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette, formatasi a vent'anni, si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette.... che non sono le ultime. (pp. 13-14)
  • Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. (p. 14)
  • Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po' più lontano. (p. 15)
  • Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s'arresta mai. Da me, solo da me, ritorna. (p. 16)
  • La malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. (p. 16)
  • L'amore sano è quello che abbraccia una donna sola e intera, compreso il suo carattere e la sua intelligenza. (Zeno; p. 20)
  • Ma fumai subito l'ultima sigaretta; e non era la mezzanotte, ma le ventitré, un'ora impossibile per un'ultima sigaretta. (p. 28)

La morte di mio padre[modifica]

  • Adesso che invecchio e m'avvicino al tipo del patriarca, anch'io sento che un'immoralità predicata è più punibile di un'azione immorale. Si arriva all'assassinio per amore o per odio; alla propaganda dell'assassinio solo per malvagità. (p. 41)
  • Insomma io, accanto a lui, rappresentavo la forza e talvolta penso che la scomparsa di quella debolezza, che mi elevava, fu sentita da me come una diminuzione. (p. 42)
  • Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senz'obbiezioni, il destino. Piangevo perché perdevo il padre per cui ero sempre vissuto. Non importava che gli avessi tenuto poca compagnia. I miei sforzi per diventare migliore non erano stati fatti per dare una soddisfazione a lui? (p. 56)
  • Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte. (p. 67)
  • È proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta — raramente — non si può fare a meno. (p. 74)

La storia del mio matrimonio[modifica]

  • Non v'è niente di più difficile a questo mondo che di fare un matrimonio come si vuole. (p. 96)
  • È libertà completa quella di poter fare ciò che si vuole a patto di fare anche qualche cosa che piaccia meno. La vera schiavitù è la condanna all'astensione: Tantalo e non Ercole. (p. 126)
  • — Chissà se l'amo?
    È un dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore. (p. 172)
  • Ma uccidere e sia pure a tradimento, è cosa più virile che danneggiare un amico riferendo una sua confidenza. (p. 185)

La moglie e l'amante[modifica]

  • Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. Cercai di esservi ammesso, e tentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e lei, perché questo conato non poteva essere altro che la mia malattia ed io dovevo almeno guardarmi dall'infettare chi a me s'era confidato. Anche perciò, nello sforzo di proteggere lei, seppi per qualche tempo movermi come un uomo sano. (p. 191)
  • La salute non analizza se stessa e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi. (p. 198)
  • La religione di cui Augusta abbisognava non esigeva del tempo per acquisirsi o per praticarsi. Un inchino e l'immediato ritorno alla vita! Nulla di più. Da me la religione acquistava tutt'altro aspetto. Se avessi avuto la fede vera, io a questo mondo non avrei avuto che quella. (p. 206)
  • Il Copler, però, non faceva bene ad analizzarmi. Spiegare a qualcuno come è fatto, è un modo per autorizzarlo ad agire come desidera. (p. 211)
  • Io credo che l'accordo in un giudizio critico unisca intimamente. (p. 230)
  • Le lacrime non sono espresse dal dolore, ma dalla sua storia. (p. 245)
  • Ma del senno di poi si può sempre ridere e anche di quello di prima, perché non serve. (p. 252)
  • Perciò io penso che il rimorso non nasca dal rimpianto di una mala azione già commessa, ma dalla visione della propria colpevole disposizione. La parte superiore del corpo si china a guardare e giudicare l'altra parte e la trova deforme. Ne sente ribrezzo e questo si chiama rimorso. Anche nella tragedia antica la vittima non ritornava in vita e tuttavia il rimorso passava. Ciò significava che la deformità era guarita e che oramai il pianto altrui non aveva alcuna importanza. Dove poteva esserci posto per il rimorso in me che con tanta gioia e tanto affetto correvo dalla mia legittima moglie? Da molto tempo non m'ero sentito tanto puro. (pp. 262-263)
  • È perciò che solo allora cessò quel mio stato ch'io m'ostino a qualificare d'innocenza. Non era più possibile adorare Carla per un breve periodo della giornata eppoi odiarla per ventiquattr'ore continue, e levarsi ogni mattina ignorante come un neonato e rivivere la giornata, tanta simile alle precedenti, per sorprendersi delle avventure ch'essa apportava e che avrei dovuto sapere a mente. Ciò non era più possibile. Mi si prospettava l'eventualità di perdere per sempre la mia amante se non avessi saputo domare il mio desiderio di liberarmene. Io subito lo domai! (p. 304)
  • Il mentitore dovrebbe tener presente che per essere creduto non bisogna dire che le menzogne necessarie. (p. 307)

Storia di un'associazione commerciale[modifica]

  • Uno dei primi effetti della bellezza femminile su di un uomo è quello di levargli l'avarizia. (p. 348)
  • Quaggiù quando non ci vogliamo male ci amiamo tutti, ma però i nostri vivi desideri accompagnano solo gli affari cui partecipiamo. (p. 354)
  • Curioso come a questo mondo vi sia poca gente che si rassegni a perdite piccole; sono le grandi che inducono immediatamente alla grande rassegnazione. (l'agente; p. 357)
  • Le avventure più gradevoli possono capitare quando meno ci si pensa [...]. (p. 367)
  • Aveva l'occhio ingrandito; aveva la faccina magra; la sua voce s'era trasformata ed anche il carattere in quell'affettuosità che non era sua, ma io attribuivo tutto ciò alla doppia maternità e alla debolezza. Insomma io mi dimostrai un magnifico osservatore perché vidi tutto, ma un grande ignorante perché non dissi la vera parola: Malattia!
    Il giorno appresso l'ostetrico, che curava Ada, domandò l'assistenza del dottor Paoli il quale subito pronunziò la parola ch'io non avevo saputo dire: Morbus Basedowii. (p. 387)
  • Grande, importante malattia quella di Basedow! Per me fu importantissimo di averla conosciuta. La studiai in varie monografie e credetti di scoprire appena allora il segreto essenziale del nostro organismo. Io credo che da molti come da me vi sieno dei periodi di tempo in cui certe idee occupino e ingombrino tutto il cervello chiudendolo a tutte le altre. Ma se anche alla collettività succede la stessa cosa! Vive di Darwin dopo di essere vissuta di Robespierre e di Napoleone eppoi di Liebig o magari di Leopardi quando su tutto il cosmo non troneggi Bismark.
    Ma di Basedow vissi sol io! Mi parve ch'egli avesse portate alla luce le radici della vita la quale è fatta così: tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale ad un ritmo precipitoso, il battito di un cuore sfrenato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica, destinati a perire di una malattia che sembrerebbe di esaurimento ed è invece di poltronaggine. Il giusto medio fra le due malattie si trova al centro e viene designato impropriamente come la salute che non è che una sosta. E fra il centro ed un'estremità — quella di Basedow — stanno tutti coloro ch'esasperano e consumano la vita in grandi desiderii, ambizioni, godimenti e anche lavoro, dall'altra quelli che non gettano sul piatto della vita che delle briciole e risparmiano preparando quegli abietti longevi che appariscono quale un peso per la società. Pare che questo peso sia anch'esso necessario. La società procede perché i Basedowiani la sospingono, e non precipita perché gli altri la trattengono. Io sono convinto che volendo costituire una società, si poteva farlo più semplicemente, ma è fatta così, col gozzo ad uno dei suoi capi e l'edema all'altro, e non c'è rimedio. In mezzo stanno coloro che hanno incipiente o gozzo o edema e su tutta la linea, in tutta l'umanità, la salute assoluta manca. (pp. 387-389)
  • Già credo che in qualunque punto dell'universo ci si stabilisca si finisce coll'inquinarsi. Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma poi anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri. (p. 389)
  • Ricordai allora che una volta in Inghilterra la condanna ai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato al disopra di una ruota azionata a forza d'acqua, obbligando così la vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti gli sarebbero state sfracellate. Quando si lavora si ha sempre il senso di una costrizione di quel genere. (p. 399)
  • La vita non è né brutta né bella, ma è originale! (Zeno; p. 405)
  • Mi pareva di aver sciolto il problema angoscioso. Non si era né buoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. La bontà era la luce che a sprazzi e ad istanti illuminava l'oscuro animo umano. Occorreva la fiaccola bruciante per dare la luce (nell'animo mio c'era stata e prima o poi sarebbe sicuramente anche ritornata) e l'essere pensante a quella luce poteva scegliere la direzione per moversi poi nell'oscurità. Si poteva perciò manifestarsi buoni, tanto buoni, sempre buoni, e questo era l'importante. Quando la luce sarebbe ritornata non avrebbe sorpreso e non avrebbe abbacinato. Ci avrei soffiato su per spegnerla prima, visto ch'io non ne avevo bisogno. Perché io avrei saputo conservare il proposito, cioè la direzione. (p. 410)
  • È una delle grandi difficoltà della vita d'indovinare ciò che una donna vuole. (p. 420)
  • Nella sua grande emozione ella quasi s'appoggiava a me, come nel sogno. Ma io m'attenni alla sue parole. Mi domandava un affetto fraterno; l'impegno di amore che pensavo mi legasse a lei si trasformava così in un altro suo diritto, epperò le promisi subito di aiutare Guido, di aiutare lei, di fare quello che avrebbe voluto. Se fossi stato più sereno avrei dovuto parlare della mia insufficienza al compito ch'essa m'assegnava, ma avrei distrutta tutta l'indimenticabile emozione di quel momento. Del resto era tanto commosso che non potevo sentire la mia insufficienza. In quel momento pensavo che non esistessero affatto per nessuno delle insufficienze. Anche quella di Guido poteva essere soffiata via con alcune parole che gli dessero il necessario entusiasmo.
    Ada m'accompagnò sul pianerottolo e restò li, appoggiata alla ringhiera, a vedermi scendere. Così aveva fatto sempre Carla, ma era strano lo facesse Ada che amava Guido, ed io gliene fui tanto grato che, prima di passare alla seconda branca della scala, alzai anche una volta il capo per vederla e salutarla. Così si faceva in amore ma, si vedeva, anche quando si trattava di amore fraterno. (p. 424)
  • Sapeva abbastanza di contabilità per intendermi e invece non ci arrivava perché il desiderio gl'impediva di adattarsi all'evidenza. (p. 426)
  • La legge naturale non dà il diritto alla felicità, ma anzi prescrive la miseria e il dolore. Quando viene esposto il commestibile, vi accorrono da tutte le parti i parassiti e, se mancano, s'affrettano di nascere. Presto la preda basta appena, e subito dopo non basta più perché la natura non fa calcoli, ma esperienze. Quando non basta più, ecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte preceduta dal dolore e così l'equilibrio, per un istante, viene ristabilito. Perché lagnarsi? Eppure tutti si lagnano. Quelli che non hanno avuto niente della preda muoiono gridando all'ingiustizia e quelli che ne hanno avuto parte trovano che avrebbe avuto diritto ad una parte maggiore. Perché non muoiono e non vivono tacendo? È invece simpatica la gioia di chi ha saputo conquistarsi una parte esuberante del commestibile e si manifesti pure al sole in mezzo agli applausi. L'unico grido ammissibile è quello del trionfatore. (p. 451)
  • La verità la ebbi dal dottor Paoli in cui m'imbattei sulle scale. Ne ebbi uno sconvolgimento che quasi mi fece precipitare. Guido, dacché vivevo con lui, era divenuto per me un personaggio di grande importanza. Finché era vivo lo vedevo in una data luce ch'era la luce di parte delle mie giornale. Morendo, quella luce si modificava in modo come se improvvisamente fosse passata traverso un prisma. Era proprio questo che m'abbacinava. Egli aveva sbagliato, ma io subito vidi ch'essendo morto, dei suoi errori non restava niente.
    Secondo me era un imbecille quel buffone che in un cimitero coperto di epigrafi laudatorie domandò dove si seppellissero in quel paese i peccatori. I morti non sono mai stati peccatori. Guido era ormai un puro! La morte l'aveva purificato. (pp. 473-474)
  • Quando però i miei occhi si chiusero, nell'oscurità vidi che le sue parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere. (p. 488)

Psico-analisi[modifica]

  • Egli non studiò che la medicina e perciò ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto è sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario! È proprio così che scegliamo dalla nostra vita gli episodi da notarsi. Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt'altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto. (p. 495)
  • Credo però ch'egli sia il solo a questo mondo il quale sentendo che volevo andare, a letto con due bellissime donne si domanda: Vediamo perché costui vuole andare a letto con esse. (p. 507)
  • Nella psico-analisi non si ripetono mai né le stesse immagini né le stesse parole. Bisognerebbe chiamarla altrimenti. Chiamiamola l'avventura psichica. Proprio così: quando s'inizia una simili analisi è come se ci si recasse in un bosco non sapendo se c'imbatteremo in un brigante o in un amico. E non lo si sa neppure quando l'avventura è passata. In questo la psico-analisi ricorda lo spiritismo. (p. 510)
  • Fu un vero raccoglimento il mio, uno di quegl'istanti rari che l'avara vita concede, di vera grande oggettività in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non quella dei cosidetti sani, coloro che picchiavano o avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti. (p. 514)
  • Il sole non illuminò me! Quando si è vecchi si resta all'ombra anche avendo dello spirito. (p. 518)
  • Non è per il confronto ch'io mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch'era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere. Io soffro bensì di certi dolori, ma mancano d'importanza nella mia grande salute. Posso mettere un impiastro qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell'immobilità come gl'incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole.
    Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia. (p. 533)

Explicit[modifica]

Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.
La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà della mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!
Ma non è questo, non è questo soltanto.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: Sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattia e ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

Citazioni sull'opera[modifica]

  • «Questa Coscienza di Zeno è un prodotto certo notevole e, crediamo, spontaneo dall’analismo illimitato». «La fortuna che capita oggi, compenso non ingiusto, a questo disconosciuto romanziere triestino, si spiega come la reazione del gusto al troppo di eloquenza e di decorazione che c’è stato in molti romanzi italiani di questo venticinquennio». (Giulio Caprin)
  • Con Svevo il romanzo si sposta dalla rappresentazione all'inchiesta sul terreno della complessa e contraddittoria dinamica della coscienza, delle sue razionalizzazioni e lacune, del suo connaturale disconoscimento, fino a stravolgere le forme narrative. Così La coscienza di Zeno esordisce con l'invito rivolto al lettore di non aderire alla finzione del narratore nella ricerca della verità. (Giuditta Isotti Rosowsky)

Racconti, saggi e pagine sparse[modifica]

  • Fuori della penna non c'è salvezza.
  • L'immaginazione è una vera avventura. Guàrdati dall'annotarla troppo presto perché la rendi quadrata e poco adattabile al tuo quadro. Deve restare fluida come la vita stessa che è e diviene.[8]
  • La descrizione della vita, una grande parte della quale, quella di cui tutti sanno e non parlano, è eliminata, si fa tanto più intensa della vita stessa.
  • La morte è l'ammirevole liquidazione della vita. Quando il filosofo amaro ghigna che il suicidio non è altro che un palliativo, come tutti coloro che per vedere meglio s'innalzarono di troppo. Vedono il paese, non l'albero, non la casetta. Il destino del singolo è piccolo anche dinanzi alla morte. Per la morte il piccolo singolo rientra privo di ogni responsabilità nella vita generale e vi si annulla. Come non riconoscere che la morte cancella ogni dolore per le nostre sventure, per le nostre debolezze e per i nostri errori? La debolezza è memoria.

Senilità[modifica]

Incipit[modifica]

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: — T'amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d'accordo di andare molto cauti. — La parola era tanto prudente ch'era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po' più franca avrebbe dovuto suonare così: — Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

Citazioni[modifica]

  • Il Brentani parlava spesso della sua esperienza. Ciò ch'egli credeva di poter chiamare così era qualche cosa ch'egli aveva succhiato dai libri, una grande diffidenza e un grande disprezzo dei propri simili. (cap. I, p. 18)
  • Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l'acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all'amore che quando ci trovavano il loro tornaconto. Dicendo queste parole egli si sentì l'uomo immorale superiore che vede e vuole le cose come sono. (cap. II, p. 28)
  • Ci eravamo trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta, perché dopo di me vi sono quattro [recte: tre] posti vuoti e subito al prossimo c'è lui. (Angiolina: cap. IV, pp. 71-72)
  • Quando una ragazza permette ad un giovine di dirle d'amarla, ella è già sua e non più libera. (Emilio Brentani: cap. VII, p. 117)
  • Il possesso [di Angiolina da parte di Emilio] non dava la verità, ma esso stesso, non abbellito da sogni e neppure da parole, era la verità propria e pura e bestiale. (cap. X, pp. 181-182)
  • L'immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un intelletto. Gli sforzi per trattenerla o per respingerla sono titanici, perché ogni nostra fibra terrorizzata la ricorda dopo averla sentita vicina, ogni nostra molecola la respinge nell'atto stesso di conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità, una malattia dell'organismo. La volontà non lo chiama né lo respinge. (cap. XIV, p. 280)
  • È strano di trovare ai nostri tempi una persona ingenua. Viene voglia di guarirla da una malattia tanto adorabile. (Elena Chierici: cap. XIV, p. 283)
  • — Strano — pensò, — sembrerebbe che metà dell'umanità esista per vivere e l'altra per essere vissuta. (Emilio Brentani: cap. XIV, pp. 284-285)

Explicit[modifica]

Quel simbolo alto, magnifico, si rianimava talvolta per ridivenire donna amante, sempre però donna triste e pensierosa. Sì! Angiolina pensa e piange! Pensa come se le fosse stato spiegato il segreto dell'universo e della propria esistenza; piange come se nel vasto mondo non avesse più trovato neppure un Deo gratias qualunque.

Citazioni su Senilità[modifica]

  • Non a caso la critica ha lodato l'armoniosa architettura di Senilità, preferendolo spesso agli altri romanzi: il sistema dei personaggi a coppie incrociate, il gioco di attrazione e separazione che li coinvolge richiamano fortemente il principio strutturale del romanzo Le affinità elettive. (Giuditta Isotti Rosowsky)

Una vita[modifica]

Incipit[modifica]

"Mamma mia,
"Iersera, appena, ricevetti la tua buona e bella lettera.
"Non dubitarne, per me il tuo grande carattere non ha segreti; anche quando non so decifrare una parola, comprendo o mi pare di comprendere ciò che tu volesti facendo camminare a quel modo la penna. Rileggo molte volte le tue lettere; tanto semplici, tanto buone, somigliano a te; sono tue fotografie.
"Amo la carta persino sulla quale tu scrivi! La riconosco, è quella che spaccia il vecchio Creglingi, e, vedendola, ricordo la strada principale del nostro paesello, tortuosa ma linda. Mi ritrovo là ove s'allarga in una piazza nel cui mezzo sta la casa del Creglingi, bassa e piccola, col tetto in forma di cappello calabrese, tutta un solo buco, la bottega!

Citazioni[modifica]

  • Gli uomini, specialmente coloro i quali hanno il vero entusiasmo per lo studio, sono più idonei ad insegnare che non le donne le quali amano le cose piccole e si perdono in particolari inutili e perciò dannosi alla comprensione del tutto. (p. 85)
  • Macario cadeva spesso in contraddizioni, ma mai nel medesimo giorno. (p. 89)
  • Quanto poco cervello occorre per pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Che cosa sarà la testa e che cosa sarà poi il cervello? Quantità da negligersi! Quello ch'è la sventura del pesce che finisce in bocca del gabbiano sono quelle ali, quegli occhi, e lo stomaco, l'appetito formidabile per soddisfare il quale non è nulla quella caduta così dall'alto. Ma il cervello! Che cosa ci ha da fare il cervello col pigliar pesci? E lei che studia, che passa ore intere a tavolino a nutrire un essere inutile! Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi per afferrare o anche inabili a tenere.
    Alfonso fu impressionato da questo discorso. Si sentiva molto misero nell'agitazione che lo aveva colto per cosa di sì piccola importanza.
    – Ed io ho le ali? – chiese abbozzando un sorriso.
    – Per fare dei voli poetici sì! – rispose Macario, e arrotondò la mano quantunque nella sua frase non ci fosse alcun sottinteso che abbisognasse di quel cenno per venir compreso. (p. 101)
  • Gesù non si deride, i suoi vicari sì. (p. 102)
  • Certi giovani per amore all'accuratezza diventano pedanti prima del tempo, preferiscono la lima alla penna e finiscono col non far niente. [...] Per adoperare la lima occorre, oltre che molto ingegno, molto senno critico. Quando si fa si è artisti, ma quando si lima bisogna essere artisti e scienziati.

Incipit di alcune opere[modifica]

Commedie[modifica]

Le ire di Giuliano[modifica]

Lucia (preceduta da Maria). Mamma è ancora a letto?
Maria Si sta vestendo! Sono appena le sette! E lei signora che raccontava sempre che prima delle dieci non si alzava?
Lucia Non ero nemmeno a letto!
Maria Ah! Hanno passato la notte fuori di casa?
Lucia (con impazienza). Sí! Sí! va a vedere se mamma è alzata.

Le teorie del conte Alberto[modifica]

Lorenzo E come sta la mamma?
Anna È di là con la sarta. Mamma! mamma! è giunto Lorenzo.

Il ladro in casa[modifica]

Carla (che sta abbigliando Ottavio). Cosí oggi farai delle conquiste...
Ottavio (durante una lunga pausa si guarda i pantaloni). Delle conquiste... giusto... giusto... non me ne importa...
Elena La risposta si è fatta attendere...
Ottavio (a Carla). Guarda, se ho fuori la camicia di dietro...

Una commedia inedita[modifica]

Elena (sorte dalla porta a destra, è agitatissima). No! No! No! (Siede.)
Penini (che le viene dietro col sigaro in mano e calmo). Ma perché?
Elena Oh! perché Venezia non mi piace!

Prima del ballo[modifica]

Clara (verso l'ingresso). Sí, cara mamma, sarò modesta, non farò chiasso, dirò che tutto e tutti mi piacciono, e non ballerò molto. (Verso il pubblico.) Già in collegio mi dicevano ch'era una buona figliuola e come tale quando mammà consiglia è mio dovere di stare a udire e promettere obbedienza. Cosí ella dorme quieta qui ed io ballo con la coscienza tranquilla là. È il mio secondo ballo appena, ma siamo già tanto lontane per esperienza una dall'altra che non è piú possibile d'intenderci. Povera mamma! Ha frequentati tanti balli e... non ne ha mai capito niente. A meno che i balli ed i cavalieri del tempo di mamma non fossero stati differenti!

La verità[modifica]

Silvio (seduto al tavolo pensieroso, la testa poggiata su una mano). Mi disturbi, te ne avverto.
Luigi (che si dà da fare nella stanza). Oggi dovrei spazzolare bene questi mobili.
Silvio Lascia stare te ne prego finché sono qui. È stato nessuno a domandare di me?
Luigi Sí, signore. Una persona della quale però il signor padrone m'ha proibito di parlare.
Silvio La piccola Elena? Nessun altro?
Luigi Come nessun altro? La piccola Elena!

Terzetto spezzato[modifica]

Il marito La cena non era male.
L'amante (poco d'accordo). Si mangia tuttavia.
Il marito Anche le ore passate saranno per me indimenticabili. Ella non era con noi, ma la speranza di rivederla bastava a dar luce a quella solitudine. (Guarda l'orologio.) Ho mangiato un po' troppo presto e me ne risento. Mi pareva che mangiando presto facevo camminare piú celermente il tempo.

Atto unico[modifica]

Il signor Clemente e la signora Amelia prendono il caffè.

Amelia No posso darme pati della fortuna che go 'vuda. In un sol giorno go trovà coga, camerier, cameriera e serva de cusina. No gaverò piú da maneggiar quell'ordigno là (additando la scopa). Una fortuna simile non me ga tocà dopo che son nata.
Clemente E se no sbaglio me par che ti me gabia sposà dopo che ti xe nata.
Amelia Dai! No arabiarte! No ti vorà meterte a confronto con quatro de loro: Coga, camerier, cameriera e serva de cusina.
Clemente Ti gà bon tempo, ti!
Amelia Eh! zà! scherzo! (Molto seria.)

Un marito[modifica]

AUGUSTO occupato a metter ordine sul tavolo dell'avvocato, poi ARIANNA

Arianna (una vecchia dama sofferente vestita in lutto profondo). C'è il signor avvocato Arcetri?
Augusto (aspetto di vecchio impiegato; giubba d'ufficio consunta ma pulita. Guarda Arianna lungamente prima di riconoscerla). Lei qui, signora Arianna? (Sorpreso e non piacevolmente.)
Arianna (spazientita). C'è il signor avvocato?
Augusto (umile). No, signora! Non c'è; mi dispiace. Se vuole accomodarsi intanto. È uscito poco fa con suo cognato. Credo sieno insieme con la signora Bice. (Poi aggiunge.) Ritorneranno insieme... credo.

L'avventura di Maria[modifica]

ALBERTO che dorme su di una ottomana, GIULIA e GIORGIO

Giulia (a Giorgio che entra). Pst! Piano, che dorme!
Giorgio Te l'avevo detto io che non c'era da impensierirsi! Eccolo là che dorme e il rimorso di aver tolto a te il sonno di una notte intera non lo inquieta punto.
Giulia Non ne ha colpa. Per distrazione ha perduto due treni. Telegrafò subito, ma per un caso malaugurato il dispaccio mi venne consegnato soltanto pochi minuti fa.

Inferiorità[modifica]

GIOVANNI, uomo robusto di circa 30 anni, sdraiato su di un'ottomana, dorme. Suono di campanello. Giovanni, destato, si leva di malumore.

Giovanni Diamine! Le ventiquattro suonate. (Va ad aprire.)

Con la penna d'oro[modifica]

Alberta Bezzi e Clelia Gostini. Sera. In una stanza contigua alla camera da pranzo che si vede in fondo e nella quale è occupata una cameriera.

Alberta Certamente è utile che abbiate fatto un corso di infermiera, ma non era necessario. Mia zia è una malata cronica a quest'ora. Anzi tutto il suo organismo è sano fuori che alle gambe. Passa la giornata nella sua sediola ma dorme e mangia perfettamente. Perciò il vostro ufficio non sarà difficile.
Clelia Lo so. Però il mio salario dovrebb'essere un po' conforme alla mia condizione.

La rigenerazione[modifica]

EMMA, vestita tutta di nero, lavora al tavolino su un panno anch'esso nero.
ANNA pur essa vestita di nero guarda dalla finestra. Poi RITA
.

Anna (urla) Rita! Rita! Ma vieni dunque. (Si sporge per veder meglio.) Presto! Presto! Oh, la maledetta bestia! Li ha già tutti in bocca. È finita. (Va velocemente verso la porta di fondo, ma prima di arrivarci s'arresta.) Già non arrivo in tempo. (Ritorna alla finestra.) Povere bestiole! La colpa è mia, tutta mia.
Rita Lei mi chiamava?
Anna È da un'ora che grido e ti chiamo e tu arrivi qui con quell'aria melensa. In giardino a quest'ora c'è la pace. Sono stati divorati tutti.
Rita Divorati? Chi?

I racconti[modifica]

La tribù[modifica]

La tribù s'era fermata. Aveva trovato in mezzo al deserto un vasto paese ricco d'acqua, di prati e d'alberi, e, involontariamente, senza che nessuno lo proponesse, invece di farvi una delle solite soste fugaci, aveva messo radice in quel paradiso, era stata avvinghiata dalla terra e non aveva più saputo staccarsene.

Il malocchio[modifica]

Molti quando si trovano fra' dieci e i quindici anni sognano una carriera grande, persino quella di Napoleone. Non era quindi strano che a 12 anni Vincenzo Albagi pensò che se Napoleone a 30 anni era stato proclamato imperatore egli avrebbe potuto esserlo qualche anno prima.

La buonissima madre[modifica]

Amelia era un'ottima fanciulla educata ai migliori principî e quando venne il tempo di maritarsi, il padre suo, ch'era un onesto negoziante, le disse un giorno con aria soddisfatta che un milionario del paese aveva domandato la sua mano.

La madre[modifica]

I una valle chiusa da colline boschive, sorridente nei colori della primavera, s'ergevano una accanto all'altra due grandi case disadorne, pietra e calce. Parevano fatte dalla stessa mano, e anche i giardini chiusi da siepi, posti dinanzi a ciascuna di esse, erano della stessa dimensione e forma. Chi vi abitava non aveva però lo stesso destino.

Orazio Cima[modifica]

Avevo circa 25 anni quando nelle riunioni sociali di Trieste fece la sua comparsa un ricco signore abruzzese certo Cima. Io non sapevo perché egli avesse prescelto Trieste a suo soggiorno. Non vi era condotto né da parentela né da affari. Glielo domandai: Trieste era una bellissima città per chi v'era nato ma a questo mondo c'era di meglio avendo la libertà di scelta.

Giacomo[modifica]

Nelle mie lunghe peregrinazioni a piedi traverso le campagne del Friuli io ho l'abitudine d'accompagnarmi a chi incontro e di provocare le confidenze. Io vengo detto chiacchierone ma pur sembra che la mia parola non sia tale da impedire l'altrui perché da ogni mia gita riporto a casa comunicazioni importanti che illuminano di vivida luce il paesaggio per cui passo.

Marianno[modifica]

Quando si domandavano a Marianno particolari della sua gioventù egli ben poco ne sapeva dire. Del suo soggiorno all'Ospizio egli poco ricordava. La mente dovette aprirglisi il giorno in cui lasciò l'Ospizio. Alessandro il suo futuro padrone vestito a festa era venuto a prenderlo ed egli lo ricordava come prometteva di aver cura di lui con quel suo sorriso bonario e affettuoso.

Cimutti[modifica]

Era una calda giornata di Luglio. La mattina tanto di buon'ora era già soffocante. Il signor Perini fece un giro nel deposito prima che alcun operaio vi fosse entrato e quando ne uscì s'imbatté in Giuseppe Cimutti che, primo fra gli operai, vi entrava.

In serenella[modifica]

La luce veniva lenta a destare i colori della palude, del canale, della spiaggia verde dell'isola. L'enorme piano s'era illuminato gradatamente tutto nello stesso tempo. Il sole non si vedeva ancora ma la luce che riverberava dal cielo si diffondeva senz'ostacoli dappertutto nello stesso tempo.

L'avvenire dei ricordi[modifica]

Un paese lontano dall'Italia e da Trieste. Roberto ricordava meglio che il paese stesso, la crisi che ce l'aveva portato. Cioè l'enorme viaggio. Verona! Un omnibus d'albergo dalle grandi finestre e anche due specchi adorni che cantavano come il veicolo sobbalzava sull'acciottolato.

Incontro di vecchi amici[modifica]

Roberto Erlis era nato di buona ma non ricca famiglia. Aveva raggiunto e oltrepassato il trentesimo anno di età in posizione piuttosto umile. Poi – come soleva dire lui – s'era arrabbiato, aveva abbandonato ubbie e sogni e s'era gettato nella vita degli affari con la risolutezza di chi non vuol perdere tempo.

La morte[modifica]

Erano ritornati a casa alle otto di sera dall'aver accompagnato alla stazione i due figliuoli ch'erano partiti per Roma. Il maschio stabilitosi laggiù era venuto a prendere la sorella che la cognata aveva invitata per un lungo soggiorno di tutta la primavera nella capitale. Erano stati dei giorni lieti in compagnia dei due figliuoli in festa per il prossimo viaggio. Ora i due coniugi si trovavano un po' squilibrati, tanto soli senza quei figliuoli che uniscono e dividono i genitori.

Proditoriamente[modifica]

Il signor Maier si recò dal signor Reveni non ben deciso ancora se domandargli conforto o aiuto. Erano stati buoni amici tutta la loro vita. Ambedue dal nulla s'erano fatta un'ingente sostanza lavorando ambedue da mattina a sera, nello stesso periodo di tempo ma in tutt'altri articoli così che fra di loro non c'era stato mai un istante di concorrenza e quantunque non ci fosse stata mai neppure una collaborazione qualsiasi l'amicizia contratta fra di loro nella prima gioventù aveva resistito immutata fino alla loro tarda età.

Un contratto[modifica]

Non ho mai capito bene come io sia arrivato alla mia inerzia attuale, io che durante la guerra ero considerato in città come un uomo molto operoso. C'è mio nipote Carlo che consultai anche su questo punto che pure anch'esso riflette sulla mia salute, e mi disse che facevo bene di stare tranquillo e che avrei ripreso il mio lavoro alla prossima guerra mondiale.

Le confessioni del vegliardo[modifica]

4 aprile 1928

Con questa data comincia per me un'era novella. Di questi giorni scopersi nella mia vita qualche cosa d'importante, anzi la sola cosa importante che mi sia avvenuta: La descrizione da me fatta di una sua parte. Certe descrizioni accatastate messe in disparte per un medico che le prescrisse.

Umbertino[modifica]

Io sono un uomo che nacque proprio a sproposito. Nella mia giovinezza non si onoravano che i vecchi e posso dire che i vecchi di allora addirittura non ammettevano che i giovani parlassero di se stessi. Li facevano tacere persino quando si parlava di cose che pur sarebbero state di loro spettanza, dell'amore per esempio.

Il mio ozio[modifica]

Già il presente non si può andar a cercare né sul calendario né sull'orologio che si guardano solo per stabilire la propria relazione al passato o per avviarci con una parvenza di coscienza al futuro. Io le cose e le persone che mi circondano siamo il vero presente.

L'assassinio di Via Belpoggio[modifica]

Dunque uccidere era cosa tanto facile? Si fermò per un solo istante nella sua corsa e guardò dietro a sé: Nella lunga via rischiarata da pochi fanali vide giacere a terra il corpo di quell'Antonio di cui egli neppure conosceva il nome di famiglia e lo vide con un'esattezza di cui subito si meravigliò. Come nel breve istante aveva quasi potuto percepirne la fisionomia, quel volto magro da sofferente e la posizione del corpo, una posizione naturale ma non solita. Lo vedeva in iscorcio, là sull'erta, la testa piegata su una spalla perché aveva battuto malamente il muro; in tutta la figura, solo le punte dei piedi ritte e che si proiettavano lunghe lunghe a terra nella scarsa luce dei lontani fanali, stavano come se il corpo cui appartenevano si fosse adagiato volontario; tutte le altre parti erano veramente di un morto, anzi di un assassinato.

La novella del buon vecchio e della bella fanciulla[modifica]

Ci fu un preludio all'avventura del buon vecchio, ma si svolse senza ch'egli quasi l'avvertisse. In un breve istante di riposo dovette ricevere nel suo ufficio una vecchia donna che gli presentava e raccomandava una fanciulla, la propria figlia. Erano state ammesse alla sua presenza in forza di un biglietto di presentazione di un suo amico. Il vecchio strappato ai suoi affari non arrivava a levarseli del tutto dalla mente e guardava intontito il biglietto sforzandosi d'intenderlo presto e presto liberarsi dalla seccatura.
La vecchia non tacque per un solo istante, ma egli non ritenne o percepì che qualche breve frase: – La giovinetta era forte, intelligente e sapeva leggere e scrivere, ma meglio leggere che scrivere. – Poi una frase che lo colpì perché strana: – Mia figlia accetta qualsiasi impiego per l'intera giornata purché le avanzi il breve tempo di cui ha bisogno per il suo bagno quotidiano. – Infine la vecchia disse la frase che portò la scena ad una rapida conclusione: alla Tramvia prendono ora delle donne al posto di conduttrici e biglietterie.

Una burla riuscita[modifica]

Mario Samigli era un letterato quasi sessantenne. Un romanzo ch'egli aveva pubblicato quarant'anni prima, si sarebbe potuto considerare morto se a questo mondo sapessero morire anche le cose che non furono mai vive. Scolorito e un po' indebolito, Mario, invece, continuò a vivere per tanti anni di certa vita lemme lemme com'era consentita da un impieguccio che gli dava non molti fastidi e un piccolissimo reddito. Una tale vita è igienica e si fa ancora più sana se, come avveniva da Mario, è condita da qualche bel sogno.

Citazioni su Italo Svevo[modifica]

  • [Al circolo "Il Convegno"] Ad un certo punto entrò un giovane scrittore [Giuseppe Prezzolini] tornato allora da Parigi, il quale [...] dopo aver discusso con noi di un pranzo del Pen Club aggiunse che alla fine di esso il celebre romanziere James Joyce, chiaccherando con lui [...] gli aveva detto: "Ma voi altri italiani avete un grande prosatore e forse neanche lo sapete". (Carlo Linati)
  • Amo Trieste per Italo Svevo e il suo romanzo immenso, fatto di esperienze universali, vicine anche alla storia degli studenti di Johannesburg nel 1970. I temi assoluti valgono per anime diverse in ogni epoca e geografia. (William Kentridge)
  • Col "dorato tramonto" compare in molti racconti e abbozzi il tema della vecchiaia segnalato nella sua concretezza fisiologica dai titoli di La novella del buon vecchio e della bella fanciulla e del frammento Il vecchione. Alla senilità metaforica subentra l'incapacità naturale esacerbata dall'anelito alla vita che si estenua, operando un mutamento nel corpo stesso della scrittura. (Giuditta Isotti Rosowsky)
  • Era un caro uomo il vecchio Schmitz! Dopo le lodi ai suoi romanzi, nulla gli piaceva tanto come raccontare agli amici i ricordi della sua lunga vita commerciale. (Umberto Saba)
  • Italo Svevo è l'esempio più alto di falso scrittore di destra. Svevo pensava di essere un conservatore, che adattava tutte le sue conoscenze (psicoanalisi compresa) al proprio io egoistico. La sua intelligenza era però così moderna, così corrosiva che alla fine non si può che catalogarlo di sinistra. (Geno Pampaloni)
  • Né si può tacere, e sia detto a proposito di tutti i libri di Svevo, di quella ch'è anzi una sua caratteristica essenziale del suo ardore di verità umana, del suo desiderio continuo di sondare, ben al di là delle parvenze fenomeniche dell'essere, in quella zona sotterranea e oscura della coscienza dove vacillano e si oscurano le evidenze più accertate. Tale il significato di Svevo, che precorre per ciò – quasi solo da noi – alcune delle tendenze più note dell'arte europea contemporanea; e con qualche vantaggio, dacché in lui non vien meno mai quella diretta osservazione del vero che ci ha fatto poc'anzi ricordare, seppure con discrezione, il nome di Balzac. (Eugenio Montale, Omaggio a Italo Svevo; citato da Giuditta Isotti Rosowsky in prefazione a Una vita)
  • Parecchie lettere qui raccolte [Epstolario], a saperle leggere come furono scritte in inchiostro simpatico, fanno già prevedere, e pregustare, quel salutare rovesciamento di carte che sottrarrebbe per sempre Svevo a ogni tutela postuma. (Giancarlo Vigorelli)
  • Svevo poteva scrivere bene in tedesco; preferì scrivere male in italiano. Fu l'ultimo omaggio al fascino assimilatore della «vecchia» cultura italiana. (Umberto Saba)

Note[modifica]

  1. Da Un individualista.
  2. Da La novella del buon vecchio e della bella fanciulla, p. 34.
  3. Da Il vegliardo.
  4. Da Il vecchione.
  5. Da Il mio ozio.
  6. Da Umbertino.
  7. Da Vino generoso.
  8. 5 giugno 1927.

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]