Jean-Paul Sartre

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Jean-Paul Sartre
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1964) Premio rifiutato

Jean-Paul Sartre (1905 – 1980), scrittore e filosofo francese.

Citazioni di Jean-Paul Sartre[modifica]

  • All'inizio, l'uomo esiste, si alza e compare sulla scena, solo in seguito definisce se stesso.[1]
  • Anche nel democratico più liberale si può nascondere una sfumatura di antisemitismo: egli è ostile all'ebreo nella misura in cui questi osa pensarsi, appunto, ebreo.[2]
  • [L'opera di Albert Camus] Ci offre la promessa di una letteratura classica, senza illusioni, ma piena di fiducia nella grandezza dell'umanità; dura, ma senza inutile violenza appassionata ma riservata... una letteratura che si sforza di descrivere la condizione metafisica dell'uomo pur partecipando pienamente ai movimenti della società.[3]
  • Cristo si è fermato a Eboli, L'Orologio, sono i momenti di un'autobiografia che non può svolgersi altrimenti che ricostruendo la storia della società italiana, dal fascismo ai primi anni del dopoguerra. Carlo Levi — qui è il centro della sua arte — non dipinge un quadro d'insieme di codesta società per poi, subito dopo, inserirvisi; non procede verso l'universale astratto. Nella sua opera il moto di universalizzazione è tutt'uno con l'approfondimento del concreto. Dai suoi inizi ci ha posto, sempre, contemporaneamente su due piani: quello della Storia e quello delle sue storie, specchiantisi l'uno nell'altro. Mi sia consentito affermare, in questa occasione, il mio totale consenso a un'arte dello scrivere cosí concepita. Io credo che, attualmente, non possiamo tentare nient'altro che collocare i nostri lettori in questa doppia prospettiva: di una vita che si singola-rizza, avida di gustare il sapore di tutte le altre vite, e di una universalità strutturata del vissuto che si totalizza soltanto nelle vite particolari. [...] Quella curiosità di cui poco fa ho parlato, e che ha fatto di lui lo scrittore di cui non possiamo mai dimenticarci, è nata dalla passione di vivere, che lo induce a cogliere come un valore, in se stesso e negli altri, ogni esperienza vissuta. In Levi tutto si accorda, tutto si tiene. Medico dapprima, poi scrittore e artista per una sola identica ragione: l'immenso rispetto per la vita. E questo stesso rispetto è all'origine del suo impegno politico, cosí come alla sorgente della sua arte.[4]
  • Il male è la sostituzione sistematica dell'astratto al concreto.[5][6]
  • Il più vile degli assassini è quello che ha dei rimorsi.[7][6]
  • Innanzitutto era insolita l'ora del nostro appuntamento: la mezzanotte [...] Attraversando la sala, benché fosse pienamente illuminata, ebbi la sensazione di esser salito su un treno prima dell'alba e di trovarmi in uno scompartimento di gente addormentata [...] Si aprì una porta. Simone de Beauvoir ed io entrammo e quell'impressione scomparve.
    Un ufficiale dell'esercito ribelle, coperto da un basco, mi aspettava: aveva la barba e i capelli lunghi come i soldati che erano all'ingresso, ma il volto limpido e sereno mi parve mattiniero. Era Guevara. [...] Quei giovani [Guevara e i suoi compagni] tributano un culto discreto all'energia, tanto amata da Stendhal. Non si creda però che ne parlino, che ne ricavino una teoria. Vivono l'energia, la praticano, forse la inventano: si dimostra negli effetti, ma essi non pronunciano una parola al riguardo.
    La loro energia si manifesta. [...] quasi arrivano a ripetere la frase di Pascal: "È necessario non dormire". Si direbbe che il sonno li abbia abbandonati, che anch'esso sia emigrato a Miami.[8]
  • L'Europa che ci presentano i signori Carter, Schmidt, Giscard e Andreotti non ha alcun rapporto con l'internazionalismo proletario, è estranea all'Europa dei lavoratori che per un secolo è stata l'ideale del movimento operaio occidentale. Lo spirito dei suoi promotori, al contrario, la agita all'interno della dinamica attuale delle forze di classe per costruire un'Europa del Capitale, che sarà inevitabilmente dominata dalle multinazionali tedesco-americane.[9]
  • [Sul 1968] L'importante è che l'azione ci sia stata, quando tutti la ritenevano impensabile.[10]
  • L'inferno sono gli altri.[11]
  • L'uomo è da inventare ogni giorno.[12]
  • L'uomo non è la somma di quanto possiede, ma il totale di quanto non ha ancora, e potrebbe avere.[13]
  • [...] la carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare. Carezzando l'altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte dell'insieme di cerimonie che incarnano l'altro. Ma, si può obbiettare, non era forse già incarnato? No. La carne dell'altro non esisteva esplicitamente per me, perché percepivo il corpo dell'altro in situazione; non esisteva per lui perché la trascendeva verso le sue possibilità e verso l'oggetto. La carezza fa nascere l'altro come carne per me e per lui. [...] Così la carezza non si distingue per nulla dal desiderio: carezzare cogli occhi o desiderare è la stessa cosa; il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio. [...] Nel desiderio e nella carezza che l'esprime, mi incarno per realizzare l'incarnazione dell'altro; e la carezza, realizzando l'incarnazione dell'altro, mi manifesta la mia incarnazione; cioè io mi faccio carne per indurre l'altro a realizzare per-sé e per me la sua carne e le mie carezze fanno nascere per me la mia carne [...][14]
  • La separazione della teoria dalla pratica ebbe per risultato di trasformare questa in un empirismo senza principi e quella in un Sapere puro e irrigidito.[15]
  • Lungi dall'essere esaurito, il marxismo è ancora giovanissimo, quasi nell'infanzia: ha appena cominciato a svilupparsi. Esso rimane dunque la filosofia del nostro tempo: è insuperabile perché le circostanze che l'hanno generato non sono ancora superate.[16]
  • Niente ci garantisce che la letteratura sia immortale [...]. Il mondo può benissimo fare a meno della letteratura. Ma ancor meglio può fare a meno dell'uomo.[17][6]
  • [Che Guevara] Non era solo un intellettuale, era l'essere umano più completo del nostro tempo.[18]
  • Non facciamo quello che vogliamo e tuttavia siamo responsabili di quel che siamo.[19]
  • Paul persisteva nel dirsi comunista. E rifletteva, patiemment, come correggere la deviazione senza cadere nell'idealismo.[20]
  • Non voglio essere letto perché Nobel, ma solo se il mio lavoro lo merita.[21]
  • Per quanto riguarda gli uomini, non sono interessato a ciò che essi sono, ma a quel che possono diventare.[22]
  • [Riferendosi alla morte] Qualche ora o qualche anno di attesa è lo stesso, quando si è perduta l'illusione di essere eterno.[23]
  • Siamo importanti solo nelle nostre decisioni.[24]
  • Tu usi la filosofia come alibi per abdicare all'impegno" Mio caro Merleau, [...] Tu hai criticato la mia posizione direttamente e indirettamente, sia conversando con me che pubblicamente. Io, da parte mia, mi sono limitato a difendermi. Come se la tua posizione fosse giusta, ed io invece dovessi giustificarmi di non condividerla. Perché l'ho fatto? Perché sono così: detesto mettere sotto accusa, foss'anche per difendermi, le persone che amo.[25]
  • Un anticomunista è un cane, su questo sono irremovibile e lo sarò sempre.[26]
  • Un Partito Radicale internazionale, che non avesse nulla in comune con i partiti radicali attuali in Francia? E che avesse, ad esempio, una sezione italiana, una sezione francese, ecc.? Conosco Marco Pannella, ho visto i radicali italiani e le loro idee, le loro azioni; mi sono piaciuti. Penso che ancora oggi occorrano dei partiti, solo più tardi la politica sarà senza partiti. Certamente dunque sarei amico di un simile organismo internazionale.[27]

Intervista di Carlo Bo

da Incontro con Jean Paul Sartre: i poteri dell'intellettuale (1966), Rai Storia, 21 giugno 2011

  • Non credo che la felicità esista; credo che esista soltanto la gioia.
  • La gioia è quando ci si sente nel pieno delle proprie forze, della propria intelligenza, del proprio potere; quando si compie un'azione, un'azione difficile, e si riesce ad ampliare con essa il potere dell'uomo. Non il proprio potere soltanto, ma quello dell'uomo. Penso per esempio che un Gagarin o un Cooper abbiano conosciuto la gioia. [Vale a dire, sarebbe il lavoro soddisfatto?] Sì, il lavoro nel momento in cui si fa. Anche perché è il lavoro che definisce l'uomo.
  • Un uomo è insieme giudice e parte in causa della sua realtà, e si ignora nella misura stessa in cui si conosce. Tutto ciò presuppone un tipo di verità approssimativa, che è la verità propriamente filosofica, e cioè lo sforzo che fa l'uomo per scoprire se stesso e per eliminare quanto c'è di troppo umano in ogni frase che dice sul suo conto.

Attribuite[modifica]

  • In URSS la libertà di critica è totale.[28]
La liberté de critique est totale en URSS.
Titolo dell'intervista di Jean Bedel pubblicata su Libération, 15 luglio 1954.[29] Le parole precise di Sarte furono: «Le citoyen soviétique possède, à mon avis, une entière liberté de critique»[30] («Il cittadino sovietico ha, secondo me, piena libertà di critica»). «A distanza di vent'anni, Sartre smentirà questa affermazione riconoscendo di aver dato un ritratto edulcorato dell'Unione Sovietica».[28] Secondo Simone de Beauvoir, Sartre, durante l'intervista, parlava frettolosamente e quando gli fu proposto di rivedere il testo, si tirò indietro.[31]

Bariona o il figlio del tuono[modifica]

  • Che cosa c'è di più commovente per un cuore d'uomo che l'inizio di un mondo e la giovinezza dai tratti ambigui e l'inizio di un amore, quando tutto è ancora possibile, quando il sole è presente nell'aria e sui visi, come una fine polvere senza essersi ancora mostrato e fa presagire, nell'acre freschezza del mattino, le pesanti promesse del giorno.
  • La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L'ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio!
  • Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
  • Ora l'angelo sta davanti a Maria e Maria è impenetrabile e cupa come una foresta di notte e la buona novella si è perduta in lei come un viaggiatore si perde nei boschi. E Maria è piena di uccelli e del lungo stormire delle fronde. E mille pensieri senza parola si destano in lei, pensieri pesanti di madri che accettano il dolore.
  • Sono cieco, per caso, ma prima di perdere la vista, ho guardato più di mille volte le immagini che contemplerete.

Incipit di Erostrato[modifica]

Gli uomini, bisogna vederli dall'alto.[32]

Il diavolo e il buon Dio[modifica]

  • Dio è il Silenzio, Dio è l'Assenza, Dio è la Solitudine degli uomini.
  • Il mondo è iniquità; se lo accetti sei complice, se lo cambi sei carnefice.
Le monde est iniquité; si tu l'acceptes tu es complice, si tu le changes, tu es bourreau[33].
  • Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire.[6][34]
  • La mia testa è un sabba e tu ne sei tutte le streghe.
  • Quando Dio tace, gli si può far dire quello che si vuole.
  • Quelli che mi vedono, raramente si fidano della mia parola: devo aver l'aria di uno troppo intelligente per mantenerla.[6]

L'esistenzialismo è un umanismo[modifica]

  • Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere.
  • L'esistenza precede l'essenza.[35]
  • L'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire.[36]
  • Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l' altro. L'altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me.
  • Se, d'altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che possano legittimare la nostra condotta. Così non abbiamo né dietro di noi né davanti a noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l'uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa.[37]

L'essere e il nulla[modifica]

  • L'odio mira a trovare una libertà senza limiti di fatto, cioè a sbarazzarsi del proprio impercettibile essere-oggetti-per-l'altro e abolire la propria dimensione di alienazione. Ciò equivale a proporsi di realizzare un mondo in cui l'altro non esiste.
  • L'uomo è una passione inutile. (traduzione di G. Del Bo, Il Saggiatore, 1965², p. 738)
  • L'uomo è condannato ad essere libero.
  • La vertigine è angoscia in quanto temo non di cadere nel precipizio, ma di gettarmici io stesso. (il Saggiatore, p.65)
  • Mediante la rivelazione del mio essere-come-oggetto per l'Altro [...] comprendo il suo essere-come-soggetto.[38]
  • Non ci sono bambini "innocenti".

La morte nell'anima[modifica]

Incipit[modifica]

New York, ore 9 a. m. Sabato 15 giugno 1940
Una piovra? Afferrò il coltello, aperse gli occhi, era un sogno. La piovra era lì, lo succhiava con le sue ventose: il caldo. Sudava. Si era addormentato verso l'una, alle due il caldo l'aveva svegliato, si era tuffato in un bagno freddo, poi ricoricato senza asciugarsi; subito dopo il fuoco s'era rimesso a soffiargli sotto la pelle, aveva ricominciato a sudare. All'alba si era addormentato, aveva sognato un incendio; adesso il sole era certamente già alto, e Gomez sudava sempre: sudava senza requie da quarantotto ore. «Dio buono!» sospirò, passandosi la mano umida sul petto bagnato. Questo non era calore, era una malattia dell'atmosfera: l'aria aveva la febbre, l'aria sudava, si sudava nel sudore.

Citazioni[modifica]

  • La pace non è né democratica né nazista: è la pace. (p. 30)

La nausea[modifica]

Incipit[modifica]

La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente l'estensione e la natura di questo cambiamento.
Per esempio ecco un astuccio di cartone che contiene la mia bottiglia d'inchiostro. Bisognerebbe provare a dire come la vedevo prima e come adesso la...[39]
Ebbene! È un parallelepipedo rettangolo che si distacca su — è idiota. Non c'è nulla da dirne. Ecco quel che si deve evitare, non bisogna mettere dello strano dove non c'è nulla. Credo sia questo il pericolo, quando si tiene un diario: si esagera tutto, si sta in agguato, si forza continuamente la verità. D'altra parte son certo che da un momento all'altro — sia a proposito di questo astuccio che di qualsiasi altro oggetto — io posso ritrovare l'impressione dell'altro ieri. Devo star sempre all'erta altrimenti essa mi scivolerà ancora di tra le dita. Non bisogna...[40] ma notare accuratamente e con i maggiori particolari tutto ciò che succede.

Citazioni[modifica]

  • «I tuoi indiavolati capelli guastano tutto» diceva. «Che cosa si può farne di un uomo rosso?»
  • Alle tre del pomeriggio è sempre troppo presto o troppo tardi per qualsiasi cosa tu voglia fare.
  • Io non so approfittare dell'occasione: vado a caso, vuoto e calmo, sotto un cielo inutilizzato.
  • Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, poiché non sono vive. Ci se ne serve, li si rimette a posto, si vive in mezzo ad essi: sono utili, niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi proprio come se fossero bestie vive.
    Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato l'altro giorno, quando tenevo quel ciottolo. Era una specie di nausea dolciastra. Com'era spiacevole! E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani. Sì, è così, proprio così, una specie di nausea nelle mie mani. (2003, p. 20)
  • La sua camicia di cotone azzurro spicca allegramente sulla parete color cioccolato. Anche questo dà la Nausea. O piuttosto, è la Nausea. La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa. (2003, p. 31)
  • Altre carte continuano a cadere, le mani vanno e vengono. Che curiosa occupazione, non sembra né un gioco, né un rito, né un'abitudine. Credo ch'essi lo facciano per occupare il tempo, semplicemente. Ma il tempo è troppo vasto, non si lascia riempire. Tutto ciò che uno vi getta s'ammollisce e si stira. Per esempio questo gesto della mano rossa, che raccoglie le carte incespicando, è fiacco. Bisognerebbe scucirlo e tagliarlo dentro. (2003, p. 32)
  • Io vedo l'avvenire. È là, posato sulla strada, appena un po' più pallido del presente. Che bisogno ha di realizzarsi? Che cosa ci guadagna? La vecchia s'allontana zoppicando, si ferma, si tira su una ciocca grigia che le sfugge dal fazzoletto. Cammina, era là, ora è qui... non so più come sia: li vedo, i suoi gesti, o li prevedo? Non distinguo più il presente dal futuro, e tuttavia la cosa continua, si realizza a poco a poco; la vecchia avanza per la via deserta, sposta le sue grosse scarpe da uomo. Questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all'esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo. (2003, p. 44)
  • Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse. [...] Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s'ordinassero come quelli d'una vita che si rievoca. Sarebbe come tentar d'acchiappare il tempo per la coda. (2003, p. 53-55)
  • Niente è cambiato, e tuttavia tutto esiste in un'altra maniera. Non posso descriverlo, è come la Nausea e tuttavia è esattamente l'opposto: finalmente mi capita un'avventura e se m'interrogo vedo che mi capita e che sono io che sono qui; sono io che fendo la notte, sono felice come un eroe di romanzo. (2003, p. 72)
  • Un brivido mi percorre dalla testa ai piedi: è... è lei che m'attendeva. Lei era lì, ergendo il suo busto immobile sopra la cassa, e sorrideva. Dal fondo di questo caffè qualcosa torna indietro sui momenti sparsi di questa domenica e li salda gli uni agli altri, dà loro un senso: ho traversato tutta questa giornata per venire a finir qui, con la fronte contro questo vetro, per contemplare questo volto fine che si schiude su una tenda granata. Tutto s'è fermato; la mia vita s'è arrestata: questo vetro, quest'aria greve, azzurra come l'acqua, ed io stesso formiamo un tutto immobile e compatto: sono felice. (2003, p. 73)
  • Sono invecchiati in un altro modo. Vivono in mezzo alle cose ereditate, ai regali, ed ogni mobile per loro è un ricordo. Pendole, medaglie, ritratti, conchiglie, fermacarte, paraventi, scialli. Hanno armadi pieni di bottiglie, di stoffe, di vecchi vestiti, di giornali, hanno conservato tutto. Il passato è un lusso da proprietari.
    Ed io dove potrei conservare il mio? Non ci si può mettere il passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarvelo. lo non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto, non può fermare i ricordi, gli passano attraverso. Non dovrei lagnarmi: il mio solo desiderio è stato d'esser libero. (2003, p. 85)
  • La verità m'appare d'un tratto: quest'uomo morirà presto. Di sicuro lo sa anche lui; basta che si sia guardato ad uno specchio: di giorno in giorno rassomiglia sempre più al cadavere che sarà. Ecco che cos'è la loro esperienza; ecco perché mi son detto tante volte che odora di morte: è la loro ultima difesa. Il dottore vorrebbe pur credervi, vorrebbe mascherarsi l'insopportabile realtà: ch'egli è solo, che non ha capito nulla, che non ha passato; con un'intelligenza che gli s'intorbida, e un corpo che si sfascia. E allora egli ha apprestato ben bene, ha ben sistemato e imbottito il suo piccolo delirio di compensazione: dice a se stesso che progredisce. (2003, p. 90)
  • Finché si resta tra queste mura, tutto ciò che dovrà capitare capiterà a sinistra o a destra della stufa. Se san Dionigi in persona volesse entrare qui dentro, reggendo la testa fra le mani, dovrebbe entrare da destra, e camminare tra gli scaffali consacrati alla letteratura francese e la tavola riservata alle lettrici. E se non toccasse terra, se si librasse a venti centimetri dal suolo, il suo collo sanguinante arriverebbe esattamente all'altezza del terzo scaffale. Così questi oggetti servono almeno a fissare i limiti del verosimile. (in biblioteca; 2003, p. 98)
  • Ma il suo giudizio mi trafiggeva come una spada e metteva in discussione perfino il mio diritto d'esistere. Ed era vero, me n'ero sempre reso conto: non avevo il diritto di esistere. Ero apparso per caso, esistevo come una pietra, una pianta, un microbo. La mia vita andava a capriccio, in tutte le direzioni. A volte mi dava avvertimenti vaghi, a volte non sentivo che un ronzio senza conseguenze. (2003, p. 108)
  • La vera natura del presente si svelava: era ciò che esiste, e tutto quel che non avevo presente, non esisteva. Il passato non esisteva. Affatto. Né nelle cose e nemmeno nel mio pensiero. Certo, avevo capito da un pezzo che il mio presente mi era sfuggito. Ma fino a quel momento credevo che si fosse soltanto ritirato fuori della mia portata. (2003, p. 121)
  • Tutto è pieno, esistenza dappertutto, densa e pesante e dolce. Ma al di là di tutta questa dolcezza, inaccessibile, vicinissimo, e, ahimè, così lontano, giovane, spietato e sereno c'è... questo rigore. (2003, p. 130)
  • È dunque questa, la Nausea: quest'accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto — il mondo esiste — ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente. È strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: è una cosa che mi spaventa. È cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giuocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è incominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. C'è stata la Nausea del «Ritrovo dei ferrovieri» e poi un'altra, prima, una notte in cui guardavo dalla finestra, e poi un'altra al giardino pubblico, una domenica, e poi altre. Ma non era mai stata così forte come oggi. (2003, pp. 153-4)
  • Questo momento è stato straordinario. Ero lì, immobile e gelato, immerso in un'estasi orribile. Ma nel seno stesso di quest'estasi era nato qualcosa di nuovo: comprendevo la Nausea, ora, la possedevo. A dire il vero, non mi formulavo la mia scoperta. Ma credo che ora mi sarebbe facile metterla in parole. L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è esser lì, semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare, come l'altra sera al «Ritrovo dei ferrovieri»: ecco la Nausea; ecco quello che i Porcaccioni — quelli di Poggio Verde e gli altri — tentano di nascondersi con il loro concetto di diritto. Ma che meschina menzogna: nessuno ha diritto; essi sono completamente gratuiti, come gli altri uomini, non arrivano a non sentirsi di troppo. E nel loro intimo, segretamente, sono di troppo, cioè amorfi e vacui; tristi. (2003, p. 164)
  • Tutto era pieno, tutto era in atto, non c'era intervallo, tutto, perfino il più impercettibile sussulto, era fatto con un po' d'esistenza. E tutti questi esistenti che si affaccendavano attorno all'albero non venivano da nessun posto e non andavano in nessun posto. Di colpo esistevano, e poi, di colpo non esistevano più: l'esistenza è senza memoria; di ciò che scompare non conserva nulla — nemmeno un ricordo. (2003, p. 166)
  • Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione. (2003, p. 167)
  • La Vegetazione ha strisciato per chilometri verso le città. Attende. Quando la città sarà morta essa l'invaderà, s'arrampicherà sulle pietre, le imprigionerà, le rovisterà, le farà scoppiare con le sue lunghe pinze nere, ne accecherà i buchi e lascerà pendere dappertutto delle zampe verdi. Bisogna restare nelle città fintanto che son vive, non bisogna penetrare da soli in questa grande chioma che è alle loro porte: bisogna lasciarla ondeggiare e crollare senza testimoni. (2003, p. 194)
  • Che imbecilli. Mi ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, si sposano, hanno l'estrema stupidità di fare figli. E frattanto la grande natura incolta s'è insinuata nella loro città, s'è infiltrata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici, in loro stessi. Non si muove, si mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia dalla città. Io la vedo, questa natura, la vedo... So che la sua sottomissione è pigrizia, so ch'essa non ha leggi: quella che scambiano per la sua costanza... Non ha che abitudini, e le può cambiare domani. (2003, p. 197)
  • Mi si dia qualcosa da fare, qualsiasi cosa... È meglio che pensi ad altro, perché in questo momento sto per recitarmi la commedia. So benissimo che non voglio far niente: far qualche cosa è creare dell'esistenza — e di esistenza ce n'è già abbastanza. (2003, p. 214)
  • Esso non esiste. È perfino urtante; se mi alzassi e strappassi questo disco dal piatto che lo regge e lo spezzassi in due, non lo raggiungerei nemmeno. Esso è al di là — sempre al di là di qualche cosa, d'una voce, d'una nota di violino. Attraverso spessori e spessori d'esistenza, si svela, sottile e fermo, e quando lo si vuole afferrare non s'incontra che degli esistenti, si cozza contro esistenti privi di senso. È dietro di essi: non lo odo nemmeno, odo dei suoni, delle vibrazioni che lo rivelano. Ma esso non esiste, poiché non ha niente di troppo: è tutto il resto che è di troppo in rapporto ad esso. Esso è. (2003, p. 216)
  • Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un'impresa. Bisogna avere un'energia, una generosità, un accecamento... C'è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai piú. (Anny: 1948, p. 195)

Explicit[modifica]

Canta. Eccone due che si son salvati: l'ebreo e la negra. salvati. Magari si saran creduti perduti fino alla fine, annegati nell'esistenza. E tuttavia nessuno potrà pensare a me come io penso a loro. Nessuno, nemmeno Anny. Per me sono un po' come morti, un po' come eroi da romanzo; si son lavati del peccato d'esistere. Non completamente beninteso — ma quel tanto che un uomo può fare. Quest'idea mi sconvolge d'un tratto, perché non speravo nemmeno più questo. Sento qualcosa che mi sfiora timidamente e non oso nemmeno muovermi per paura che scompaia. Qualcosa che non conoscevo più: una specie di gioia.
La negra canta. Allora, è possibile giustificare la propria esistenza? Un pochino? Mi sento straordinariamente intimidito. Non che abbia molta speranza. Ma sono come uno completamente gelato dopo un viaggio nella neve, che entri di colpo in una camera tiepida. Penso che resterebbe immobile vicino alla porta, ancora freddo, e che lenti brividi percorrerebbero il suo corpo.

Some of these days
You'll miss me honey.



Non potrei forse provare... Naturalmente, non si tratterebbe d'un motivo musicale... ma non potrei forse, in un altro genere?... Dovrebbe essere un libro: non so far altro. Ma non un libro di storia: la storia parla di ciò che è esistito — un esistente non può mai giustificare un altro esistente. Il mio errore era di voler resuscitare il signor di Rollebon. Un'altra specie di libro. Non so bene quale — ma bisognerebbe che s'immaginasse, dietro le parole stampate, dietro le pagine, qualche cosa che non esistesse, che fosse al di sopra dell'esistenza. Una storia, per esempio, come non possono capitarne, un'avventura. Dovrebbe essere bella e dura come l'acciaio, e che facesse vergognare le persone della propria esistenza.
Me ne vado, mi sento incerto. Non oso prendere una decisione. Se fossi sicuro d'aver talento... Ma mai — mai ho scritto niente di questo genere; articoli storici, sì — e ancora. Un libro. Un romanzo. E ci sarebbe gente che leggerebbe questo romanzo e direbbe: è Antonio Roquentin che l'ha scritto, era un tipo rosso che si trascinava per i caffè, e penserebbe alla mia vita come io penso a quella di questa negra: come a qualcosa di prezioso e di semileggendario. Un libro. Ma naturalmente da principio ciò non sarebbe che un lavoro noioso e stanchevole, non m'impedirebbe d'esistere né di sentire che esisto. Ma verrebbe pure un momento in cui il libro sarebbe scritto, sarebbe dietro di me e credo che un po' della sua luce cadrebbe sul mio passato. Allora, forse, attraverso di esso, potrei ricordare la mia vita senza ripugnanza. Forse un giorno, pensando precisamente a quest'ora, a quest'ora malinconica in cui attendo, con le spalle curve, che sia ora di salire sul treno, sentirei il mio cuore battere più in fretta e mi direi: quel giorno a quell'ora è cominciato tutto. E arriverei — al passato, soltanto al passato — ad accettare me stesso.
Scende la notte. Al primo piano dell'albergo Printania si sono illuminate due finestre. Il cantiere della stazione nuova odora forte di legno umido: domani pioverà, a Bouville.

Le Mani sporche[modifica]

  • A che serve arrotare un coltello tutti i giorni, se non lo si usa mai per tagliare? (V, 3)[41][42]
  • Il lavoro migliore non è quello che ti costerà di più, ma quello che ti riuscirà meglio. (VI, 2)[41][43]
  • La Rivoluzione non è una questione di merito, ma di efficacia; e non v'è cielo. C'è del lavoro da fare, ecco tutto. (VI, 2)[41][44]

Il muro[modifica]

Incipit[modifica]

Ci spinsero in una grande sala bianca e cominciai a battere gli occhi perché la luce mi faceva male.[45]

Explicit[modifica]

Un orologio suonò mezzogiorno: Luciano si alzò. La metamorfosi era compiuta: in quel caffè, un'ora prima, era entrato un adolescente grazioso ed incerto; un uomo ne usciva, un capo tra i francesi. Luciano mosse alcuni passi nella luce gloriosa d'un mattino di Francia. All'angolo della strada delle scuole col boulevard Saint-Michael si avvicinò a una cartoleria e si guardò nello specchio: avrebbe voluto ritrovare sul suo viso l'aria impermeabile che ammirava su quello di Lemordant. Ma lo specchio non gli rimandò che un grazioso visetto ostinato che ancora non era abbastanza terribile. "Mi lascerò crescere i baffi" decise.

Le parole[modifica]

Incipit[modifica]

In Alsazia, verso il 1850, un maestro di scuola carico di figli lasciò di propria volontà l'insegnamento per diventare droghiere.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • A quel tempo, una famiglia distinta sentiva il dovere di annoverare tra i suoi membri almeno un bambino delicato di salute. Io ero il tipo adatto, dato che mancò poco che morissi alla mia nascita. (2020)
  • Ero un bambino, quel mostro che essi fabbricano con i loro rimpianti. (2020)
  • I bravi poverelli non sanno che il loro ufficio è di esercitare la nostra generosità. (2020)
  • La buona Società credeva in Dio per non parlare di Lui. (2020)
  • Ma i libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profonditi infinita, la varietà, l'imprevedibilità. (p. 37)

Spaesamento. Napoli e Capri[modifica]

  • A Napoli ho scoperto l'immonda parentela tra l'amore e il Cibo. Non è avvenuto all'improvviso, Napoli non si rivela immediatamente: è una città che si vergogna di se stessa; tenta di far credere agli stranieri che è popolata di casinò, ville e palazzi. Sono arrivato via mare, un mattino di settembre, ed essa mi ha accolto da lontano con dei bagliori scialbi; ho passeggiato tutto il giorno lungo le sue strade diritte e larghe, la Via Umberto, la Via Garibaldi[46] e non ho saputo scorgere, dietro i belletti, le piaghe sospette che esse si portano ai fianchi.
    Verso sera ero capitato alla terrazza del caffè Gambrinus, davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto. Ero piuttosto scoraggiato, non avevo afferrato a volo che piccoli fatti multicolori, dei coriandoli. Mi domandavo: «Ma sono a Napoli? Napoli esiste?».[47] (da Alimenti, p. 19)
  • Seguì per un po' Via Roma, poi si infilò in un vicolo. «Un vicolo di Napoli, non è come un tempio. Ti si appiccica, è come la pece.» [...] Dei bassi impudichi e segreti: ti buttano in faccia il loro calore organico ma non si svelano mai. «Forse perché non si vede mai qualcuno dentro.» Di notte, si chiudevano ermeticamente; di giorno, quando si aprivano, si svuotavano dei loro occupanti, li spingevano fuori, nella strada, e questi restavano là tutto il giorno, madidi, stagnanti, legati ai bassi da un invisibile cordone ombelicale, legati tra di loro da un qualcosa più profondo del linguaggio, da una comunanza carnale. [...] Il cielo sembrava altissimo, lontanissimo sopra la sua testa; Audry stava proprio in fondo – in fondo a una vita densa e nera come sangue che si coagula, era stordito; a poco a poco era invaso da un desiderio di sonno, di cibo e d'amore. (da Spaesamento, p. 31, 33)
  • Napoli si avvicina. Come ogni volta, prima di arrivarci, ho una stretta al cuore. Attraversiamo un frutteto deserto. So molto bene, troppo bene, ciò che troverò a Napoli. È una città in putrefazione. L'amo e ne ho orrore. (da Verso Napoli, p. 60)
  • La nostra corriera fa spostare un carro funebre, che caracolla davanti a noi, più adorno di un carretto siciliano, il cavallo ha l'aria di una bella di notte; la carrozza sobbalza dietro di lui, quattro colonne tortili sostengono una sorta di baldacchino dove volano gli angeli. Dai quattro vetri si vede la bara ricoperta di fiori. Ai quattro lati traballano lanterne d'argento. Sulla predella posteriore, un beccamorto fa acrobazie. È bello essere ricevuti a Napoli dalla morte. Da una morte caracollante, agghindata come una puttana, fantastica, assurda e veloce. Tutto si copre d'ombra, ci si immerge nella città. (da Verso Napoli, p. 60)

Citazioni su Jean-Paul Sartre[modifica]

  • 'Esistenzialismo' è il termine con cui viene designata la filosofia di Sartre; deriva dal concetto secondo il quale noi ci troviamo prima di tutto ad esistere in questo mondo, e poi dobbiamo decidere cosa fare delle nostre vite. Avrebbe potuto essere esattamente l'opposto: avremmo potuto essere come dei coltellini tascabili, progettati per uno scopo preciso. Ma, pensava Sartre, così non è. Nella sua concezione, la nostra esistenza è anteriore alla nostra essenza, mentre per gli oggetti progettati l'essenza precede l'esistenza. (Nigel Warburton)
  • Forse Sartre è scandaloso come lo è stato Gide: perché mette il valore dell'uomo nella sua imperfezione. "Non amo l'uomo", diceva Gide, "amo quel che lo divora". La libertà di Sartre divora l'uomo come entità costituita. (Maurice Merleau-Ponty)
  • Ha scritto migliaia di pagine sul niente, sull'essere, sull'angoscia, sulle camere di albergo, su Giove, su Elettra, sulle mosche. Niente si salva da questo grafomane: né il teatro né la filosofia né la letteratura né l'intimità dei veri poeti. (Vitaliano Brancati)
  • Il dato della morte è indissolubile dal quadro delle categorie di ogni vero romanziere. In fondo ogni romanziere degno di questo nome non fa altro che proporre una risposta semplice e inevitabile domanda. Sartre ha detto di volerla evitare ma la sua dichiarazione ha un valore relativo; il suo mondo era così impregnato di morte, da poterne fare a meno, da metterla per un momento in un angolo, ma i suoi personaggi in fondo non ci dicono mai se sono liberi, se tutto si giuoca qui e adesso. Anzi direi che l'uomo solo di Sartre è solo perché è di fronte alla morte, perché nessuna illusione riesce a attecchire nella sua memoria, nel registro della fantasia. (Carlo Bo)
  • Jean-Paul Sartre ha faticato tutta la vita per diventare un personaggio. Sempre alla ricerca del successo e sempre preoccupato di essere emarginato. Angosciato di essere scavalcato «a sinistra» ha giocato su tutte le scacchiere. Non è riuscito mai a dare uno «scacco» al Re. La sua ambiguità appare come un mattatore che ha tentato la Francia e l'Europa con la sua diabolica intelligenza. [...] Dopo la sua scomparsa (e finite le commemorazioni d'uso) di lui resta il ricordo. (Francesco Grisi)
  • Jean-Paul Sartre. Voltaire a sinistra. (Marcello Marchesi)

Note[modifica]

  1. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 270. ISBN 9788858014165
  2. Da Rèflexions sur la question juive, 1946, ed. Gallimard, Parigi.
  3. In Vogue, 1945.
  4. Da Galleria, 3-6 (1967), pp. 259-60, a cura di Aldo Marcovecchio; citato in Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1990, p. XII.
  5. Da Santo Genêt commediante e martire.
  6. a b c d e Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  7. Da Le mosche.
  8. Da Così incontrai il "Che", in Ernesto Che Guevara – uomo, compagno, amico..., Coop Erre emme edizioni.
  9. Da I militanti socialisti e la costruzione dell'Europa, 10 febbraio 1977; citato in Unione Europea: anche Sartre profetizzò il suo fallimento, opinione-pubblica.com.
  10. Citato in AA.VV., Il libro della storia, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2018, p. 324. ISBN 9788858016572
  11. Da A porte chiuse; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013.
  12. Da Situations, II. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  13. Da A proposito dell'Urlo e il furore. La temporalità di Faulkner, in Che cos'è la letteratura?, traduzione di Luisa Arano Cogliati, Anna Del Bo, Oreste del Buono, Jone Graziani, Augusta Mattioli, Massimo Mauri, Daria Menicanti, Giorgio Monicelli, Edoardo Soprano, Domenico Tarizzo, Gisella Tarizzo, il Saggiatore, Milano, 2009, p. 191. ISBN 9788856501506
  14. Da L'essere e il nulla. La condizione umana secondo l'esistenzialismo, trad. di Giuseppe Del Bo, NET, 2002, pp. 438-445.
  15. Da Questioni di metodo, I, in Critica della ragione dialettica I. Teoria degli insiemi pratici, libro primo, traduzione di Paolo Caruso, il Saggiatore, Milano, 1990, p. 28. ISBN 88-04-33818-0
  16. Da Questions de méthode (Questioni di metodo), in Critique de la raisson dialectique, Gallimard, Paris, 1960, traduzione italiana di F. Ferniani, Il Saggiatore, Milano, 1976, pp. 92-96.
  17. Da Situazioni
  18. Citato in Paco Ignacio Taibo II, Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara, traduzione di Gloria Cecchini, Gina Maneri e Sandro Ossola, il Saggiatore, Milano, 2012, p. 406. ISBN 978-88-428-1781-9
  19. Da Situazioni.
  20. Citato in Gaspare Barbiellini Amidei, Perché credere?, Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
  21. Da dichiarazione su Le Figaro, 23 ottobre 1964.
  22. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 271. ISBN 9788858014165
  23. Da il muro.
  24. Citato in Come funziona la filosofia, a cura di Marcus Weeks, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2020, p. 189. ISBN 9788858025598
  25. Citato in Merleau Ponty e Le lettere del divorzio, Corriere della Sera, 28 gennaio 1997.
  26. Le temps modernes, numero speciale, ottobre 1961, ripreso in Situation IV, Paris Gallimard, 1964, p. 248
  27. Citato in Valter Vecellio, Marco Pannella. Biografia di un irregolare, Rubbettino Editore, 2010, p. 6. ISBN 8849830483
  28. a b Citato in Sartre e la filosofia del suo tempo. Atti del convegno (Trento, marzo 2005), a cura di Nestore Pirillo, Dipartimento di filosofia, storia e beni culturali, Università degli Studi di Trento, 2008, p. 88.
  29. Si veda immagine, Bibliothèque nationale de France.
  30. Testo dell'intervista.
  31. Simone de Beauvoir, La force des choses, vol. 2, Gallimard, 1963, p. 47.
  32. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  33. Le Diable et le Bon Dieu, Gallimard, 1971, acte I, scène VI, p. 108.
  34. Cfr. Louis Blanc: «È coi poveri che i ricchi fanno la guerra».
  35. Citato in Come funziona la filosofia, a cura di Marcus Weeks, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2020, p. 127. ISBN 9788858025598
  36. Da L'esistenzialismo è un umanismo, a cura di Maurizio Schoepflin, Armando Editore, Roma, 2000, p. 47. ISBN 9788883588426
  37. Da L'esistenzialismo è un umanismo, a cura di Maurizio Schoepflin, Armando Editore, Roma, 2014. ISBN 9788866778370
  38. Citato in Come funziona la filosofia, a cura di Marcus Weeks, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2020, p. 129. ISBN 9788858025598
  39. Una parola lasciata in bianco [nda].
  40. Una parola è cancellata (forse «forzare» o «forgiare»), un'altra, riscritta sopra, è illeggibile [nda].
  41. a b c Da Le Mani sporche, traduzione di G. Monicelli, in Teatro, Mondadori, Milano, 1960.
  42. Citato in Tra virgolette. Dizionario di citazioni, p. 110.
  43. Citato in Tra virgolette. Dizionario di citazioni, p. 225.
  44. Citato in Tra virgolette. Dizionario di citazioni, p. 381.
  45. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  46. In italiano nel testo.
  47. Citato in Spaesamento – Napoli e Capri, introduzione e traduzione di Aniello Montano, Napoli, Dante & Descartes, 2000; visibile su Il Mattino online.

Bibliografia[modifica]

  • Jean-Paul Sartre, Bariona, o il figlio del tuono : racconto di Natale per cristiani e non credenti, traduzione di Marco Antonio Aimo, Marinotti, 2003.
  • Jean-Paul Sartre, La nausea (La Nausée, 1938), traduzione di Bruno Fonzi, Einaudi, Torino, 1948. ISBN 8806173472
  • Jean-Paul Sartre, La nausea, traduzione di Bruno Fonzi, La biblioteca di Repubblica, 2003.
  • Jean-Paul Sartre, Le parole, traduzione di Luigi De Nardis, il Saggiatore, 1964.
  • Jean-Paul Sartre, Le parole, traduzione di Luigi de Nardis, il Saggiatore, 2020. ISBN 9788865768396
  • Jean-Paul Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, traduzione di G. Mursia Re, Mursia, 1990.
  • Jean-Paul Sartre, La morte nell'anima, traduzione di Giorgio Monicelli, introduzione di Paolo Caruso, Oscar Mondadori, 1971.
  • Jean-Paul Sartre, Spaesamento, Napoli e Capri, introduzione e traduzione di Aniello Montano, Libreria Dante & Descartres, Napoli, 2000. ISBN 88-881-42-02-9
  • Franca Rosti, Tra virgolette. Dizionario di citazioni, Zanichelli, Bologna, 1995. ISBN 88-08-09982-2

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