Jean Campbell Cooper

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Jean Campbell Cooper (1905 – 1999), scrittrice inglese.

Yin e Yang. L'armonia taoista degli opposti[modifica]

Incipit[modifica]

Il taoismo tradizionale, o classico, può ritenersi la più intellettuale fra le religioni, o le filosofie, ma in esso non v'è nulla di unilaterale: la sua sfera è l'uomo nella sua interezza mentale, emotiva e spirituale. In esso sono comprese non soltanto la sapienza di Lao Tzu e la poesia metafisica di Chuang Tzu, ma anche l'ispirazione che produsse la più squisita e suggestiva arte pittorica e poetica, arte che poteva oscillare tra le vette del sublime e l'umorismo, e anche il sarcasmo, generando così una civiltà elevatissima in ogni arte e mestiere.

Citazioni[modifica]

  • Il confucianesimo dunque, rappresenta il lato pratico, sobrio, sociale della vita e del carattere del popolo cinese, bilanciato, in questo senso, dal taoismo, che rappresenta l'aspetto metafisico, artistico, allegro. (p. 30)
  • L'importanza dell'acqua nel giardino cinese non era dovuta soltanto al simbolismo yin-yang, ma anche al rilevante significato simbolico dell'acqua in sé; l'acqua addirittura era il più grande simbolo taoista dopo il Drago. Essa rappresenta la forza nella debolezza, la fluidità, l'adattabilità, la freschezza di giudizio, la persuasione cortese e l'assenza di passioni. (p. 49)
  • Quest'opera si apre con il T'ai Ch'i, l'Unità Primordiale, la quale, discendendo nel mondo della dualità sotto l'aspetto dei due Determinanti, yin e yang, il principio maschile e il principio femminile, dà origine ai Quattro Modelli, i quali a loro volta producono gli Otto Diagrammi o Pa Kua. Questa interazione fra i poteri yin e yang, fra queste energie, dà luogo all'intero mondo fenomenico. Nessuno dei due poteri, in effetti, può dirsi completo in sé, né può stare da solo, mentre la loro reciproca combinazione e cooperazione dà origine a tutte le forme e le varietà di esistenza della Natura. (p. 55)
  • Al contrario, [Eraclito] condivideva con Platone l'idea che la realtà ultima fosse al tempo stesso il Molteplice e l'Uno e che i due poteri in conflitto si risolvessero infine nell'armonia del Logos. Questa teoria eraclitea dell'opposizione si distingue da quella taoista dei Due Poteri, per il fatto che questi ultimi non sono in reciproco conflitto, quanto in tensione complementare. Il flusso eracliteo, inoltre, è disordinato, sebbene lo stesso Eraclito riconosca l'esistenza nel mondo di determinate leggi, mentre nel taoismo il Tao si propone come il conservatore dell'ordine dell'universo, un ordine al quale l'uomo si deve uniformare per poter conservare l'equilibrio e l'armonia. (p. 58)
  • Questa spontaneità [dell'uomo saggio], fra l'altro, corrisponde esattamente a quel 'gioco' cosmico che le religioni orientali esprimono con un simbolismo tanto stupendo. Nell'induismo, in particolare, questo simbolo è la danza divina di creazione, l'illustrazione più felice dell'intima unità dell'universo, in quanto il danzatore e la danza non possono in alcun modo essere disgiunti l'uno dall'altra: la forza creativa che agisce nel cosmo non può disgiungersi dalla propria creazione. Shiva, però, compie sia una danza di creazione che una danza di distruzione: quando danza in compagnia di una donna, i suoi movimenti sono gentili e pieni di grazia, naturalmente creativi, trovandosi yin e yang in una condizione di equilibrio; nel momento in cui danza da solo, però, il simbolismo che gli attiene è quello dell'asceta solitario, e i suoi movimenti si fanno violenti e distruttivi: l'equilibrio di yin e yang è ormai perduto. (p. 60)
  • L'induismo, al pari del taoismo, pone l'accento sulla comprensione, più che sull'azione, e in questo modo l'ignoranza diventa il contrario del bene e dunque l'unico, vero peccato. Il trionfo dell'ignoranza è la cosiddetta avidya e sia il taoismo che l'induismo e il buddhismo insegnano che questa stessa ignoranza è il principio di ogni affanno. La conoscenza di sé, definita moksha, è il sentiero che conduce all'emancipazione e alla realizzazione della liberazione dalle illusioni del mondo sensoriale. La dottrina della maya, dell'illusione, non implica di per sé la totale irrealtà di questo mondo, il quale, piuttosto, è simile a un gioco d'ombre, a un riflesso. (pp. 88-89)
  • Il Dio dell'Advaita-Vedanta è la causa efficiente dell'Universo; è dal Brahman che si emana il cosmo intero, e nella manifestazione 'Quello' viene chiamato Ishvara, o con un qualsiasi altro nome divino. (p. 91)
  • L'induismo è correttamente e naturalmente politeistico nell'ambito del mondo manifesto, ma monoteista nella dottrina dell'Uno, del Brahman. L'apparente politeismo è, in effetti, una pluralità unificata, o anche l'azione dell'Uno nella molteplicità. (p. 91)
  • Ogni divinità indiana, in effetti è equilibrata dalla propria divinità consorte, e questo simbolismo di tipo yin-yang è particolarmente evidente, nell'induismo, nella rappresentazione di Shiva e Parvati come un'unica figura androgina, rappresentazione che esprime in pieno la teoria degli opposti-complementari, ma che ha un carattere più marcatamente sessuale della concezione taoista di yin e yang. (p. 92)
  • La Gita insegna pure che non è necessario rinunciare al mondo. Non vi dev'essere alcun vero conflitto fra vita ordinaria e vita spirituale: tutto quel che è necessario è agire liberi da attaccamento. (p. 92)
  • Lo yogi, colui che si ripropone l'unione col Reale, con l'Assoluto del Vedanta non dualista, riconosce l'importanza del corpo come strumento per Io sviluppo della propria spiritualità e così s'adopera per raggiungere un perfetto equilibrio fisico e mentale, equilibrio che lo condurrà a stati di consapevolezza ultra-fisici e ultra-mentali. (p. 93)
  • Il buddhismo e il taoismo, insomma, concordano quasi su ogni punto, tranne che sotto un aspetto limitato ma di fondamentale importanza: l'atteggiamento rispetto agli eventi della vita. Il buddhismo, al proposito, è stato accusato di pessimismo, e non del tutto a ragione; non di meno, esso concepisce la vita, in questo mondo, come dolore, un dolore che è il risultato del desiderio e dal quale è comunque necessario liberarsi. Il taoismo, dall'altro lato, insegna l'accettazione delle cose così come esse sono, concependo la vita come un qualcosa fondamentalmente positivo, da godere, secondo un'idea che s'avvicina alla fede parsi nella 'buona vita'. (p. 96)
  • Parlando in senso generale, le religioni dell'Oriente, e in particolare il taoismo e il buddhismo, fedi non teistiche, seguono il sentiero della conoscenza, della gnosi e della comprensione, mentre le religioni teistiche, postulando un Dio personale, scelgono il sentiero della devozione e del sacrificio: la via della bhakti. Le religioni teistiche, per definizione, devono dunque postulare l'esistenza di un Dio Creatore, dogma dal quale le tradizioni non teistiche si dissociano nettamente, sostenendo che la divinità è di per sé al di là di qualsiasi definizione e comunque al di là della sfera in cui agisce la mente umana; tale atteggiamento, peraltro, si riscontra pure – lo vedremo più oltre – nelle affermazioni dei mistici cristiani e Sufi. (p. 107)
  • In un periodo in cui l'influsso dell'aristotelismo era al suo culmine, nell'ambito della Chiesa Cattolica, nello Scolasticismo medievale, Eckhart istituì una scuola di pensiero mistico-metafisica, vicina per molti alla dottrina orientale della conoscenza diretta e caratterizzata dalla medesima attitudine negativista di quella: "Fondersi, ma senza confondersi". (p. 110)
  • Al pari del taoismo, anche Eckhart sottolinea la trascendenza e l'immanenza insieme dell'Assoluto, che egli chiamava la Divinità per distinguerlo dal Dio trino del cristianesimo e che può essere paragonato al Tao, poiché l'Essere di Eckhart (wesen) è privo di personalità e di elementi caratterizzanti; si tratta dell'Ignoto, assolutamente trascendente, che, con un termine negativo, viene detto il Silenzio. (p. 111)
  • Per Bruno, il Supremo, o Divino, è una potenzialità onnicomprensiva, che contiene in sé l'intero universo e tutto l'Essere e che non può essere compresa dalla mente finita né dall'intelletto. (p. 111)
  • Nel cabalismo, la branca mistica ed esoterica della tradizione ebraica, l'Ain Soph viene, al pari del Tao, espresso con termini negativi e a esso equivale in quanto principio supremo incondizionato, al di là di qualsiasi finita capacità di comprensione. È l'Uno privo di attributi, insieme immanente e trascendente, mistero fondamentale. (p. 115)
  • La recente scoperta di antichi testi gnostici ha rivelato un'ancor più stretta connessione fra le antiche sette cristiane e religioni orientali, già evidente nelle notizie riportate da fonti cristiane ortodosse. [...] Nel Vangelo gnostico, in effetti, non ci si preoccupa del peccato o della colpa; al contrario, è evidente la concezione tipicamente orientale dell'identificazione del peccato con l'ignoranza. (p. 117)
  • Nell'Islam, forse più che in altre branche religiose di misticismo, la ricerca dell'unione assume la forma di un viaggio verso Dio; il Sufi parla dei diversi stadi come di 'stazioni' alle quali si perviene solo in virtù di un incessante sforzo. (p. 118)

Explicit[modifica]

In ultima analisi, però, i mistici di tutte le epoche e di tutte le fedi parlano con un'unica voce, che si tratti della metafora occidentale della goccia che torna all'oceano, o dell'idea tutta orientale dell'oceano versato nella goccia. Ugualmente esplicite sono espressioni come: "Rinunciando a sé, l'Universo si muta in quel che Io sono", e come l'ermetica: "Quel che è sotto è uguale a quel che è sopra, e quel che è sopra è uguale a quel che è sotto, per il compimento dei miracoli dell'Unica Sostanza". È questo l'insegnamento fondamentale di tutto il misticismo – il Microcosmo e il Macrocosmo non sono altro che l'uno riflesso dell'altro, ed entrambi Uno.

Bibliografia[modifica]

  • J.C. Cooper, Yin e Yang. L'armonia taoista degli opposti, traduzione di Giorgio Milanetti, Ubaldini Editore, Roma, 1982.

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