Julio Velasco

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Julio Velasco (2016)

Julio Velasco (1952 – vivente), dirigente sportivo e allenatore di pallavolo argentino naturalizzato italiano.

Citazioni di Julio Velasco[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Vorrei che ogni giocatore fosse come Kiraly: sembra che ti mangi, ha le vene gonfie, non molla mai, ti urla in faccia, ti fa sentire che è lui il più forte.[1]
  • Le olimpiadi sono ricordate per le storie umane che raccontano.[2]
  • A me piace proprio scandagliare l'animo umano, amo la psiche dei campioni, cerco di interpretarla il più a fondo possibile. Mi documento molto, ma con questo approccio. [...] comunque tengo per me queste valutazioni. Non voglio ridurre tutto a chiacchiere da bar, non mi piacciono i paragoni, le banalizzazioni.[3]
  • Nel calcio è tutto più difficile rispetto alla pallavolo, non c'è confronto. Ci sono esasperazioni, i praticanti a livello planetario sono infinitamente di più. Ovunque i bambini hanno il pallone fra i piedi, a qualsiasi latitudine e in ogni contesto socio-economico.[3]

Cuor di computer

Intervista di Simonetta Martellini, Guerin Sportivo nº 42 (766), 18-24 ottobre 1989, pp. 125-127.

  • Non sono io ad usarlo [il computer], è il mio collabratore Paolo Giardinieri. A Jesi, lo stesso lavoro veniva svolto a mano da due persone. Il metodo non l'ho inventato io. Però il computer è una prerogativa degli americani e nostra. Certo, fa notizia: noi, figli della cultura calcistica, non siamo abituati. [...] [«[...] si narra di un utilizzo molto... latino delle statistiche, nel corso dei recenti Europei»] Siamo stati tanto ingenui da chiedere il permesso di usufruire dei dati durante le partite, a ogni time out e alla fine del set. Prima ci hanno detto sì, poi una protesta, non si sa di chi, li ha fatti tornare sulle loro decisioni. Allora per tre giorni abbiamo ricevuto i fogli della stampante di nascosto, i giocatori in panchina li mettevano sotto la maglia... dopodiché gli svedesi che dovevano giocare con noi la quarta partita ci hanno marcato stretto, ci hanno denunciato... Allora siamo andati a comprare una piccola radio, Giardinieri trasmetteva dalla postazione di Telemontecarlo, il secondo allenatore ascoltava da una ricevente sistemata nel polsino.
  • Quando ho un'impressione, chiedo sempre aiuto alle cifre. E poi sono io a decidere. Ma non bisogna fidarsi della soggettività, ecco tutto.
  • Non dico: possiamo? Questo va fatto, così e così.
  • Basta poco per far emergere le risorse morali che hanno i giocatori [...]. Io credo nell'uomo, nelle cose inspiegabili. Credo nella volontà, in particolare, nel carattere, nell'energia che viene fuori nei momenti meno pensabili.
  • [...] io sono fermamente convinto che non si debba mollare mai, è la mia mentalità.
  • [«Cosa si nasconde dietro il — dichiarato — rifiuto di essere amico dei giocatori?»] "Amico", per me, ha un solo significato. Se io sono amico di uno, lo difendo perfino quando ha torto, non mi interessa se ha ragione o no. Se fossi amico-amico di un giocatore non lascerei che la società lo mandasse via, anche in caso di scarso rendimento. Molte volte ho avuto voglia di approfondire la conoscenza con un giocatore, e mi sono detto "no": perché quell'amicizia avrebbe potuto condizionare il mio lavoro.
  • [«Se non è amico dei giocatori, come si pone nei loro confronti?»] Il rapporto con l'allenatore deve essere di rispetto, anche di affetto. È importante, tuttavia, che i giocatori siano uniti tra loro. Uniti perfino contro l'allenatore. A volte faccio arrabbiare la squadra apposta, quando vedo che molla. In questo ho anche ecceduto, è stato il gruppo a dirmi: stai esagerando. E io sono tornato sui miei passi. Si riallaccia tutto al discorso dell'amicizia: il nostro è un lavoro di stress, ma non basta fare le cose per bene, bisogna farle meglio degli altri. Come posso essere amico e mettere sotto stress i giocatori? Magari uno non ha voglia, ha appena vinto e vorrebbe riposare, ha problemi familiari, ha problemi personali... Ecco, io non devo ascoltare niente. Io devo mettere i ragazzi sotto pressione, sia quel che sia: perché devono giocare, devono vincere.
  • Lo sport ad alto livello è spettacolo, come la musica. Se uno vuole che i bambini facciano sport, bisogna poter disporre di strutture, di scuole. Però il giovane deve essere entusiasmato, incentivato dal grande spettacolo sportivo. E lo spettacolo ha bisogno di bravi (e ben pagati) professionisti, di soldi, del grande palazzetto, delle ragazze pon pon. Lo sponsor consente di realizzare proprio questo. Poi il problema della deformazione del messaggio sportivo non riguarda i finanziatori. E comunque non è problema solo dello sport. È l'essere umano, a rivelarsi spesso poco puro.

Un uomo solo ai comandi

Intervista di Marco Strazzi, Guerin Sportivo nº 32-33 (1008), 10-23 agosto 1994, pp. 56-59.

  • Mi ritengo un grande lavoratore, che cerca sempre di approfondire e di imparare. [...] Poi sono un tipo determinato, che conosce le proprie responsabilità e non delega nulla agli altri. Quando dicono "vuole fare tutto lui", posso rispondere solo che è vero. E aggiungo: ci mancherebbe altro. Sono l'allenatore, le decisioni spettano a me.
  • [«Viene accusato anche di scarsa propensione alla diplomazia...»] È l'aspetto negativo di un carattere forte. È un'arma da usare con cautela: ci sono giocatori che vanno trattati con durezza, altri che richiedono un approccio più tranquillo, altri ancora che a volte devono essere avvicinati in un modo, a volte in un modo diverso. Non è facile, a volte si sbaglia. Però cerco di rispettare sempre questa regola: mai essere duro con i deboli e diplomatico con i forti.
  • L'errore più comune, nel presentare un personaggio dello sport, è la semplificazione, il volerlo far sembrare un uomo speciale. Nessuno è perfetto, tanto meno nello sport. Il problema è che, anche quando abbiamo dei dubbi, dobbiamo cercare di nasconderli. Spesso capita di dover prendere decisioni importanti in poco tempo. Per esempio, escludere un giocatore forte quasi quanto quelli che occuperanno il suo posto. In Nazionale capita frequentemente. Ma è una cosa normale, anche i dirigenti d'azienda sono costretti a prendere iniziative delicate senza poter riflettere a lungo. I dubbi sono positivi se servono a meditare con più attenzione; ma diventano un handicap se impediscono di decidere.
  • Ho sempre detto che ammiro molto i miei colleghi del calcio. Operano in un mondo totalmente irrazionale, dove nessuno vive lo spettacolo solo per divertirsi. C'è spazio solo per il primo, gli altri non contano niente. Nella pallavolo non è così, le esasperazioni sono lontane.
  • Chi "fa" lo sport è portato a giudicare in modo assai diverso da chi se ne sta comodamente seduto in poltrona e magari inveisce contro un calciatore perché "un gol così non si può sbagliare". Se avesse giocato, anche a livelli bassi, saprebbe che invece "si può"; e che chi ha fatto un buon campionato non necessariamente si ripeterà sugli stessi livelli per tutta la carriera. Altrimenti, mi chiedo, come mai Dante ha scritto un solo capolavoro come la Divina Commedia e non altri dieci? Perché certi musicisti jazz sono fantastici in alcuni concerti e solo "normali" in altri? L'uomo è fatto così, non è perfetto; [...] questo vale anche per lo sport.
  • Il problema è che in Italia si tende a confondere gli obiettivi con i pronostici. Siamo presuntuosi, insomma. [...] La vittoria non è certa nemmeno se si è fatto il possibile per conquistarla. Ci sono altri fattori: la fortuna, il rendimento degli avversari.
  • Secondo me, i giocatori hanno già anche troppi privilegi rispetto ai tecnici: dopo l'allenamento si riposano, noi continuiamo a lavorare; hanno fama, soldi, contratti pubblicitari; la loro attività è più divertente della nostra. E allora che ci lascino almeno prendere le decisioni! [...] trovo comprensibile che un giocatore manifesti il proprio disappunto; ma entro certi limiti.
  • [...] le ditte che investono nello sport cercano di esercitare un'influenza anche sulla parte tecnica. Sono loro, in un certo senso, a decidere quali sono i campioni. Per questo, togliere Lucchetta [dalla Nazionale], significa scatenare un casino; mentre escludendo Cantagalli non succede niente, anche se Luca ha vinto quanto Lucchetta, alla Panini e poi in Nazionale. Trovo giusto che i giocatori diventino famosi se sono bravi. Ma non posso accettare che li si voglia far credere bravi solo perché sono famosi.
  • Mi ritengo di sinistra, anche se non condivido in pieno le idee e i programmi di chi rappresenta la sinistra in Italia. Da giovane ero un marxista convinto; poi ho cambiato idea, molto prima che il sistema comunista crollasse, e – come altri che hanno vissuto la stessa esperienza – sono diventato decisamente contrario a certi aspetti del comunismo. Aspetti che, temo, non sono semplici degenerazioni di natura staliniana, ma caratteristiche innate. In realtà, quando parlo con gente di sinistra, mi trovo spesso in disaccordo; non come se l'interlocutore fosse di destra, ma quasi. E allora preferisco fare a meno delle etichette: non mi servono [...].

Dare fiducia ai giovani

Intervista di Gian Luca Pasini, dal15al25.gazzetta.it, 4 agosto 2022.

  • [...] si può vincere o perdere: dato che anche gli avversari fanno le cose per bene.
  • Il volley femminile [...] rappresenta per le ragazze quello che per i maschi è il calcio. Ed è così a livello mondiale. Oggi sembra scontato, ma non lo era.
  • Lo dico da anni: se tratti i giovani da deboli, saranno deboli. Dobbiamo trattare i giovani avendo fiducia in loro: tutti. Figli, nipoti e giocatori. Dobbiamo avere fiducia che siano forti, anche a livello mentale. Poi gli va detta la verità: qui si fa sport di competizione, prevarranno i migliori. Il nostro compito è prepararli. Quello che noto e non è cambiato dagli anni 80, nei giovani italiani si notano molto più i difetti di quanto non si esaltino i pregi. Cosa che in altri Paesi [...] non accade. E questo fa parte della cultura generale italiana, non solo dello sport. Ma quello che non può accadere è che i giovani di casa nostra non credano in loro stessi per primi. Questo è un tema centrale nei discorsi che faccio con loro.
  • Bisogna sviluppare l'orgoglio, la fiducia, la competitività, senza superbia. Ne parlo spesso con gli allenatori. È come si trattano gli atleti, come li correggi. Questo non vuole dire vinceremo sempre, ma che saremo sempre competitivi sì.

Citazioni non datate[modifica]

  • [Su vittoria e sconfitta] Chi vince festeggia, chi perde spiega.[4]
  • In partita non si molla mai, questa è una regola. Secondo, no alibi: non spiegatemi perché non potete fare le cose. Terza, l'errore è parte dell'apprendimento. Perché se non metto anche questa, siamo i Marines. E a me i Marines non mi piacciono. Come modo didattico, parlo.[5]
  • [Sulla dittatura militare argentina] In quel periodo ho imparato a pensare una cosa e a dirne un'altra.[6]
  • La prima regola che io metto è "Non si molla". Mai. Possiamo giocare male, possiamo avere una brutta giornata, però non si molla. Se si molla sono dolori. Una volta con la Nazionale siamo andati negli Stati Uniti: giocavamo con gli Stati Uniti due partite di World League, vincendo la prima eravamo già qualificati per le finali. Siccome io combattevo questa cosa ho detto: «Abbiamo vinto la prima, la seconda la giochiamo» che in gergo vuol dire "la giochiamo", non "stiamo in campo": la giochiamo, come le altre. [mima la risposta dei giocatori] «Sì, sì, sì, sì.» Siamo entrati in campo e tic, tic, tic [mima l'atteggiamento svogliato dei giocatori] perdiamo 3-0 la domenica. Martedì avevamo il volo, eravamo in California a Los Angeles, lunedì era programmata visita a Disneyland, che io non conoscevo. Abbiamo fatto pesi in albergo, lunedì. E Disneyland non l'abbiamo vista. Perché io metto poche regole, ma quelle lì sono sacrosante. Non si molla mai. Che vuol dire? Mai. Mai si molla. In partita, mai.[5]
  • Non saprei che fare senza la genuinità, vivacità dello sport, cosi come senza la riflessione, i libri, lo studio.[6]

Quando eravamo re

Citato in Giuseppe Pastore, ultimouomo.com, 9 agosto 2019.

  • L'attaccante schiaccia fuori perché non gli hanno alzato bene la palla, ma la palla non è stata alzata bene perché chi ha ricevuto non l'ha fatto nel migliore dei modi. Quest'ultimo, poverino, non può a sua volta scaricare la colpa sull'avversario, dicendo: batti più facile! E allora dà la colpa alla luce. Quindi, se schiaccio fuori, è colpa dell'elettricista!
  • [Nel 1989, all'inizio del ciclo della Generazione di fenomeni] Voi italiani siete i migliori del mondo per ciò che riguarda mangiare, bere e vivere bene. O almeno credete di esserlo. Ma tra queste righe gialle qui, quelle che racchiudono i 18 metri del campo, le beccate sempre dai sovietici, dai bulgari, dai polacchi, dalla Germania Est. Il vostro primo nemico siete voi. Da adesso si gioca per vincere.
  • Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo, pensano in francese e vorrebbero essere inglesi.
  • Il mondo non si divide tra vincenti e perdenti, ma tra brave e cattive persone: tra le brave persone ci sono anche dei perdenti, tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti.

Citazioni su Julio Velasco[modifica]

  • [«Cosa vi ha insegnato Julio Velasco?»] Ci ha insegnato l'obiettività. Lui sa tutto di tutto. Alle volte anche eccede. Ma quando lui ti parla e vede una cosa di te, te la dice profonda. Può essere anche negativa. Poi sta a te elaborarla. (Andrea Giani)

Maurizia Cacciatori[modifica]

  • È un tecnico attento, preciso. Devo essere sincera, non ha migliorato il nostro bagher o la nostra schiacciata, ha migliorato proprio il nostro modo di approcciarci al team, alla squadra, a collaborare.
  • Il cambiamento nasce dalla volontà di capire chi siamo in quel momento e dalla capacità di capire come possiamo diventare grandi. Quando arrivò Velasco noi eravamo una nazionale che non aveva nulla da invidiare alle cosiddette grandi del momento, Cuba, gli Stati Uniti, la Cina, la Russia. Quello che Julio fece fu un cambio soprattutto mentale. Con lui ci allenavamo moltissimo e facevamo molti sacrifici che ci consentirono di diventare un gruppo. Prima eravamo un po' come quei turisti che vedi spesso a Venezia, tutti in fila diligentemente a seguire il capo gruppo con l'ombrello, e che sembrano un gruppo ma che in realtà sono solo tante persone che eseguono tutte la stessa cosa. Senza contare che mancava comunicazione, intesa come comunicazione assertiva, efficace. Velasco lavorò molto più sulla nostra testa che sui nostri bagher, voleva che noi giocatrici trovassimo proprio quella comunicazione assertiva che ci mancava. All'inizio noi eravamo un po' resilienti a questo nuovo approccio, dire pubblicamente alle compagne cose come "Francesca (Piccinini), hai schiacciato male" mi sembrava quasi offensivo. Invece col tempo mi resi conto che quelli erano i primi fondamentali passi per migliorarci come gruppo, perché fino ad allora i silenzi non ci avevano portato da nessuna parte. Il nostro è stato un percorso lungo ma che ci ha portato nel giro di un anno a competere con le nazionali al top a livello mondiale. E quando dico competere intendo anche perdendo, ma era una maniera differente di perdere, molto più matura.
  • Velasco mentalmente è un uomo che ha una marcia in più. È anche uno straordinario speaker per le aziende, un motivatore, un uomo molto intelligente e di grandissima cultura. È una persona che ti insegna veramente tanto

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Corrado Sannucci, "Comando così", il señor volley e le sue regole, la Repubblica, 6 aprile 1989.
  2. Citato in Velasco, percorso netto, la Repubblica, 30 luglio 1996.
  3. a b Dall'intervista di Vanni Zagnoli, «In vent'anni sottorete è cambiato tutto intorno non solo la pallavolo», l'Unità, 1º settembre 2009, pp. 46-47.
  4. Citato in Leo Turrini, Pazza Inter: cento anni di una squadra da amare, Mondadori, 2007, p. 154. ISBN 8804567015
  5. a b Video disponibile su youtube.com.
  6. a b Citato in Vanni Masala, In Argentina contro i Generali. A Modena amico degli immigrati, l'Unità, 31 ottobre 1990, p. 28.

Voci correlate[modifica]

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