Knut Hamsun

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Knut Hamsun nel 1939
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1920)

Knut Hamsun (1859 – 1952), scrittore norvegese.

Citazioni di Knut Hamsun[modifica]

  • "Amo tre cose", dico allora. "Amo il sogno d'amore di un tempo, amo te e amo quest'angolo di terra." "E cosa ami di più?" "Il sogno."[1]
  • Non è facile distinguere chi è pazzo e chi no. Dio ci protegga dall'essere smascherati![2]
  • Un caso che finisca bene è Provvidenza, un caso che termini male è destino.[3]

Fame[modifica]

Incipit[modifica]

Fruttero & Lucentini[modifica]

Erano gli anni in cui erravo affamato per le strade di Christiania[4], quella strana città da cui non riesci a fuggire prima che t'abbia impresso il suo marchio.

[Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.]

Ervino Pocar[modifica]

A quel tempo ero affamato e andavo in giro per Christiania[4], quella strana città che nessuno lascia senza portarne i segni...

Federigo Verdinois[modifica]

Tutto quel che segue accadde in quel tempo, che io andavo qua e là attorno per Cristiania, soffrendo la fame... Strana cosa la fame... Su chiunque l’abbia un sol giorno provata, essa imprime il suo suggello.

[Knut Hamsun, Fame, traduzione di Federigo Verdinois, Giannini, Napoli, 1921.]

Citazioni[modifica]

  • Com'erano leggeri e sereni tutti quegli uomini che incontravo, come dondolavano la testa spensieratamente e attraversavano danzando la vita come fosse una sala da ballo! Non un occhio affamato, non una spalla curva sotto un peso, forse neanche un pensiero angoscioso, neanche una pena segreta nel cuore di tutta quella gente allegra. E io passavo accanto a loro, giovane appena adulto, e avevo già dimenticato il volto della felicità! (cap. I; 2002, p. 24)
  • Ero seduto là sulla panchina e pensavo a tutto ciò e diventavo sempre più duro verso Dio per le sue costanti angherie. Se credeva di attirarmi a sé più vicino e di rendermi migliore col farmi soffrire e mettendo ostacoli su ostacoli sulla mia via si sbagliava un pochino, poteva esserne sicuro. (cap. I, 1983)
  • L'autunno è arrivato e ha già incominciato a preparare il letargo del mondo. Le mosche e tutte le altre bestiole hanno già ricevuto il colpo di grazia. Sugli alberi e sulla terra la vita guizzante combatte, frusciando e strisciando senza posa, l'ultima battaglia: non vuol perire. Tutti gli esseri dell'aria e della terra si agitano ancora una volta: si tratta di vita o di morte. Ancora una volta sporgono la testa gialla dai licheni, ancora una volta muovono le gambe, tastano l'aria con le lunghe antenne e crollano poi improvvisamente rovesciandosi col ventre in su. Ogni pianta ha preso un suo volto particolare sotto il soffio diafano e sottile dei primi freddi. Gli steli si rizzano pallidi verso il sole e le foglie cadute raschiano il terreno con il rumore sommesso di filugelli che si spostano. È tempo d'autunno, il carnevale della caducità. Il rosso delle rose s'infiamma e sopra il colore sanguigno si spande una luce stranamente smorta. (cap. I, 2002)
  • Le tenebre gravavano intorno a me, e regnava un profondo silenzio. Ma alto nel cielo risonava il respiro del vento, un lontano confuso mormorio che sembrava una musica senza fine. Stetti ad ascoltare la melodia dolorosa e infinita finché ne fui stordito: era certamente la sinfonia dei mondi che turbinavano sopra di me, erano le stelle che cantavano in coro... (cap. I, 2002)
  • La coscienza di essere una persona onesta mi montava la testa e mi dava una sensazione beata: la sensazione di essere un uomo di carattere, un faro bianco e luminoso in mezzo a una marea spregevole di relitti umani. (cap. I, 2002)
  • Aprii gli occhi. Non potevo certo tenerli chiusi se non riuscivo ad addormentarmi. E intorno a me covava sempre la stessa oscurità, quella stessa eternità nera e imperscrutabile, contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. Con che cosa potevo paragonarla? Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande per definire quel buio, una parola così crudelmente nera da annerire la mia bocca quando l'avessi pronunciata. (cap. I; 2002, p. 71)
  • Quando mi ritrovai fuori, mi fermai in mezzo alla strada e stringendo i pugni dissi forte: "Caro Padre Eterno, ti voglio dire una cosa: sei un poco di buono!". E mordendomi le labbra tesi le braccia contro le nuvole: "Sì, il diavolo mi porti, un poco di buono!". (cap. II; 2002, p. 78)
  • Capivo che bisognava morire. Era l'autunno, ogni cosa era già immersa nel letargo invernale. Avevo tentato tutti i mezzi, avevo sfruttato tutte, tutte le risorse. Accarezzavo con commozione questo pensiero e ripudiavo ogni speranza di salvezza bisbigliando tra me: Non vedi, sciocco, che stai già morendo? Si trattava di scrivere ancora un paio di lettere, di prepararmi al viaggio, di tenermi pronto. Volevo lavarmi ancora una volta da capo a piedi e rifare il letto per benino. Avrei posato la testa su quel paio di fogli bianchi, la cosa più pulita che mi fosse rimasta. (cap. II; 2002, pp. 86-87)
  • Nei giorni di vendita all'asta andavo volentieri a vedere ed ero contento quando mi pareva che i miei libri capitassero in buone mani. L'attore Magelson aveva il mio orologio e ne ero quasi orgoglioso. Un annuario che conteneva i miei saggi poetici era stato acquistato da un conoscente e il mio soprabito era andato a finire da un fotografo. (cap. II; 2002, pp. 95-95)
  • L'unica cosa che mi torturava un poco, nonostante il disgusto del cibo, era la fame. Avevo di nuovo un appetito formidabile, una voglia di divorare avidamente che diventava sempre più acuta e cattiva. Mi sentivo rodere lo stomaco senza misericordia: pareva vi si svolgesse un lavorio strano e silenzioso, che ci fossero alcune dozzine di animaletti graziosi: essi posavano la testina da una parte e rosicchiavano un poco, la posavano dall'altra e rosicchiavano un altro poco, poi stavano fermi un momento e ricominciavano, mordevano senza rumore e senza fretta e, dove arrivavano, lasciavano il vuoto e il deserto. (cap. III, 2002)
  • Io mi ostinai e continuai a parlare. Parlavo senza pause pur avendo la penosa impressione che l'annoiavo e che le mie parole non la colpivano affatto. Eppure non la smettevo: in fondo avevo un'anima piuttosto sensibile, osservai, e non per questo era necessario che fossi pazzo. Ci sono certe nature che si addolorano per delle sciocchezze e possono morire per una parola aspra. E lasciai intendere che io avevo una natura così. (cap. III; 2002, p. 148)
  • Il povero intelligente è un osservatore assai più sottile che non il ricco intelligente. A ogni passo che fa, il povero si guarda intorno e tende l'orecchio diffidente a tutte le parole di coloro che incontra. Ogni suo passo presenta, per così dire, un compito, una fatica ai suoi pensieri e sentimenti. Egli ha l'udito acuto e sensibile, è esperto e ha l'anima segnata di cicatrici... (cap. III, 2002)

Explicit[modifica]

E il capitano mi assegnò il mio compito. Quando fummo al largo mi rizzai in piedi, sudato e abbattuto dalla febbre, e dissi addio per questa volta alla città, a Christiania, dove tutte le finestre, ora illuminate, scintillavano.

[Knut Hamsun, Fame, traduzione di Ervino Pocar, Adelphi, 2002. ISBN 978-88-459-1698-4]

Misteri[modifica]

Incipit[modifica]

Verso la metà della scorsa estate una piccola città del litorale norvegese fu teatro di parecchi avvenimenti affatto straordinari. Apparve nella città uno straniero, un certo Nagel, un vero meraviglioso ciarlatano, il quale fece una quantità di cose straordinarie e poi così improvvisamente come era venuto scomparve di nuovo. Questo uomo ricevette perfino la visita di una giovane signora, piena di mistero, la quale venne Dio sa per qual motivo, e non si trattenne più di un paio d'ore. Ma questo non è il principio... Il principio è che, quando il battello a vapore verso le sei pomeridiane si accostò al Quai, si vedevano sulla coperta due o tre viaggiatori: fra questi un uomo in uno strano costume con un berretto di velluto bianco.

Citazioni[modifica]

  • Voi, domandavate, dottore, se io suono? Io non suono, assolutamente; io giro con un astuccio da violino, ma non vi è dentro strumento di sorta; esso è ripieno di biancheria sudicia. Mi sembrava che avrebbe fatto bella figura il vedere un astuccio di violino fra i bagagli e per ciò me lo sono comprato (p. 70)
  • No, il fatto è che qui il sole non splende; il sole norvegese è una luna, una lanterna che mette in grado i Norvegesi di distinguere il nero dal bianco. (p. 115)
  • Quando parlo con un uomo, non ho bisogno di guardarlo per seguire esattamente quello che dice; sento subito se egli mi dà a bere qualche cosa o me ne nasconde qualche altra; la voce, credetemi, è un apparecchio pericoloso. Mi capite bene? Intendo non il suono materiale della voce, che può essere alto o basso, limpido o roco; non intendo la materialità della voce, la essenza del tono, no; io mi occupo del mistero che sta dietro di esso, del mondo dal quale esce. (p. 140)
  • Una volta gli venne in mente di avere un'enorme quantità di carrozze; affittò per sé solo ventiquattro carrozze che fece attaccare l'una dietro l'altra. Ventitré erano completamente vuote e nella ventiquattresima, l'ultima, sedeva lui e squadrava i passanti, fiero come un Giove sull'Olimpo. (p. 196)

Sotto la stella d'autunno[modifica]

Incipit[modifica]

Il mare si stendeva scintillante come uno specchio ieri e si stende scintillante come uno specchio oggi. È l'estate di San Martino e sull'isola fa caldo – e che dolcezza, che tepore! – ma non c'è sole. Sono passati tanti anni da quando ho provato una pace simile, forse venti, o trenta, o forse è stato in una vita precedente. Ma una volta, penso, questa pace devo averla già assaporata, visto che ora sono qui a passeggiare canticchiando estasiato, e ogni sasso, ogni filo d'erba attira la mia attenzione e sembra ricambiarmi con uguale interesse. Siamo vecchi amici.

Citazioni[modifica]

  • Non che fosse questa gran bellezza, ma aveva labbra rosse e uno sguardo azzurro di ragazza che la rendevano graziosa. Elischeba, Elisabeth, sei proprio adesso nella tua aurora e i tuoi occhi si sono posati sul mondo. (p. 37)
  • "Emma, io sono uno che spasima per te."
    "E chi te l'ha detto?"
    "Le stelle."
    "Avrei preferito che te l'avesse detto qualcuno qui sulla terra." (p. 72)
  • Ah, quella voce, gli occhi, la femminile tenerezza della mano che mi porgeva il bicchiere... (p. 97)
  • Poi incontriamo il fringuello, il passero dei boschi. Ha già fatto un giro nella foresta e ora torna dagli uomini, tra cui gli piace tanto stare e esplora da tutti i lati. Piccolo, strano fringuello! In realtà è un uccello migratore, ma i suoi genitori gli hanno insegnato che è possibile svernare nel Nord. E lui insegnerà ai suoi piccoli che è solo nel Nord che può svernare. Però gli scorre ancora dentro il sangue del viaggiatore, non ha smesso di essere un vagabondo. Un giorno si raduna con tutti i suoi, e insieme volano al di là di molte parrocchie, da gente tanto diversa, che vuole imparare a conoscere altrettanto bene. Allora il boschetto di tremoli rimane senza fringuelli, e può passare un'intera, lunga settimana prima che un nuovo stormo di queste creature alate torni a posarvisi... Mio Dio, quante volte mi sono divertito a osservare un fringuello! (p. 78)
  • Mentre scendo per la strada mi volto qualche volta a guardare le finestre della sala. Poi le case escono dalla mia vista. (p. 112)

Explicit[modifica]

  • La mia macchina è nella mia stanza. Non posso più montarla, ormai, perché le parti in legno più grosse sono rimaste in una canonica di campagna. Non importa, il mio amore per lei si è raffreddato. Signori nevrastenici, come esseri umani valiamo poco, e anche come specie animale non siamo granché. Così, un giorno, mi verrà a noia l'essere privo di coscienza e ripartirò di nuovo, verso un'isola.

Incipit di L'estrema gioia[modifica]

Ora me ne sono andato nella foresta.
Non che qualcosa mi avesse offeso o la malignità degli uomini mi avesse particolarmente ferito; ma se i boschi non vengono a me, bisogna che io vada da loro. Così è.[5]

Note[modifica]

  1. Da Pan, cap. XXVI.
  2. Da Un vagabondo suona in sordina, prologo.
  3. Da Vagabondi, traduzione di E. Pocar, Mondadori.
  4. a b Oslo, dal 1624 al 1878, era anche conosciuta come Christiania, e dal 1878 al 1924 come Kristiania. Cfr. voce su Wikipedia.
  5. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Knut Hamsun, Fame, traduzione di Clemente Giannini, Edizioni Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1983.
  • Knut Hamsun, Fame, traduzione di Ervino Pocar, Adelphi, 2002. ISBN 978-88-459-1698-4
  • Knut Hamsun, Misteri, traduzione di L. F. P., Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1931.
  • Knut Hamsun, Sotto la stella d'autunno, traduzione di Fulvio Ferrari, Iperborea, 1995. ISBN 88-7091-052-0

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Opere[modifica]