Antonio Spinosa

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Antonio Spinosa (1923 – 2009), scrittore e giornalista italiano.

Citazioni di Antonio Spinosa[modifica]

  • Alla Rafanelli, che gli chiedeva se fosse sentimentalmente impegnato, [Mussolini] rispondeva di essere libero «come l'aria». Leda sapeva benissimo del suo rapporto con Rachele e non gliene fece mistero, ma Benito replicava giurandole e spergiurandole di non essere legato a nessuna. Le rivelava tuttavia l'esistenza di due donne che lo amavano «follemente». Ma egli non le voleva: «Una è troppo brutta, pur avendo un'anima nobile e generosa. L'altra è bella, ma ha l'anima subdola, avara, sordida anzi. È ebrea». Le fece i nomi: Angelica Balabanoff e Margherita Sarfatti.[1]
  • [Su Telesio Interlandi] Questi mezzo letteraloide e mezzo barricadero, agì con fredda malafede. Quello della razza fu per lui una carta come un'altra. Vi puntò sopra forte, convinto di aver intuito il momento buono sulla ruota della fortuna. Interlandi non credeva minimamente nell'impresa che conduceva con cinismo. Uno dei capisaldi della difesa della razza era, nella sua propaganda, l'educazione militaristica che i giovani del Littorio ricevevano il sabato pomeriggio nelle palestre della Gil[2], ma ciò nonostante fece esonerare Cesarino, suo figlio, da ogni esercitazione o disturbo del genere, perché in privato, le considerava inutili, ridicole e stupide.[3]
  • [Pio XII] Si comportava da povero, sicché portava per anni la stessa tonaca e le stesse scarpe facendo rammendare all'occasione i risvolti sdruciti della veste e mandando a risuolare le scarpe da un ciabattino di via dei Ginnasi. Anche nel letto, le lenzuola erano sempre quelle che aveva trovato al momento dell'ascesa al soglio e che erano state del suo predecessore. Ogni dieci giorni suor Pasqualina gliele cambiava, come di sabato gli faceva trovare pulita ai piedi del letto la biancheria personale, mutande marrone felpate, per l'inverno, e per l'estate mutande di lino coi legacci alle caviglie. Aveva voluto una croce pettorale priva di pietre preziose. Infine, scriveva la traccia dei suoi discorsi sul rovescio delle buste usate di cui faceva raccolta proprio in vista d'un'ulteriore utilizzazione.[4]

La Gioconda sono io[modifica]

Incipit[modifica]

Con il programma-inchiesta televisivo di Renato Castellani sulla vita di Leonardo, il genio vinciano è entrato di prepotenza fin nelle coscienze più assopite sebbene il film abbia rischiato di immergere nella realtà della volgarizzazione una grande leggenda. Si sono dissipate molte ombre sulla storia e sulla irrequieta personalità di Leonardo, si sono capite molte cose sulle tendenze sessuali, anche se sussurrate a mezza voce e dette per accenni indiretti, sulla vita privata dell'artista; si è fatta un'opera di divulgazione su una delle più complesse filosofie della pittura italiana.

Citazioni[modifica]

  • «La Gioconda sono io», quando estimatori o detrattori gli chiedevano il significato e il valore di quel sorriso inquietante, remoto, sovrapposto a un paesaggio surreale, liquefatto e oscuro.
  • Il professor Kenneth Keel, tra una visita e l'altra ai suoi pazienti dell'ospedale di Ashford nel Middlesex, ha messo a punto una nuova teoria sul misterioso sorriso di Monna Lisa. Gli occhi sono maliziosi? L'atteggiamento è impenetrabile e ambiguo? Ebbene Lisa Gherardini nascondeva un segreto intimo: aspettava un figlio.
  • La Gioconda è ormai mitizzata. Opera pittorica insuperabile è sottoposta agli assalti di curiosità e interessi morbosi, è un vero e proprio idolo di consumo.
  • Monna Lisa è un uomo? Tracciato questo solco è facile veder circolare cartoline della Gioconda col volto caricaturale di Fernandel; o anche di Salvador Dalì e di Stalin: basta aggiungere baffi all'insù o baffoni. Più complessa la contaminazione Gioconda-de Gaulle.[5]

Starace[modifica]

Incipit[modifica]

Nel copioso armamentario fotografico del fascismo, amante della sua stessa immagine, spicca una grandiosa foto che celebra i fasti del regime. Ne sono protagonisti Mussolini e Starace, l'uno accanto all'altro, all'apogeo della loro avventura, al punto di massimo splendore della loro storia.
Erano una grande coppia. Rinnovavano e incarnavano in qualche modo l'antico mito dei dioscuri che compivano strettamente uniti le loro imprese. Una grande coppia come lo erano stati in passato Castore e Polluce, Patroclo e Achille. don Chisciotte della Mancia e il suo fido Sancio Panza. Storici e scrittori sono sempre attratti dal personaggio eminente della coppia, e l'altro resta in ombra, ma ora per una volta l'ottica si rovescia e nel cono di luce si staglia la figura dello scudiero.

Citazioni[modifica]

  • Erano passati due giorni dall'incontro [con i giornalisti] e si ebbe puntualmente la notizia ufficiale della nomina di Starace a segretario [del partito fascista]. Si diffuse anche una strana voce: il nuovo segretario ha fatto bruciare la poltrona che aveva occupato anche Turati, volendo in tale maniera dimostrare quanto gli facesse ribrezzo la sua nomea di omosessuale. (parte seconda, p. 62)
  • Il regime cercava di mantenere vivi i legami col mondo rurale. La battaglia del grano fu infatti una delle prime iniziative di grande respiro cui il fascismo dedicò tutto se stesso. L'impresa rispondeva anzitutto all'esigenza di liberare il paese dalla dipendenza dei mercati esteri, ma serviva anche come strumento di propaganda politica. (parte seconda, p. 87)
  • L'esercito italiano [nella guerra d'Etiopia] aveva mandato in avanscoperta un abilissimo e noto colonialista, Jacopo Gasparini, una sorta di grande agente segreto, il quale essendo un perfetto conoscitore del luogo e delle sue popolazioni, di cui parlava i dialetti, aveva stabilito come un Lawrence d'Etiopia, strette relazioni con i capi locali. Il nostro Lawrence, anche profondendo denaro, era riuscito a legarli al suo carro. (p. 138)
  • La GIL doveva essere un serbatoio di soldati fascisti, mentre i ragazzi la chiamavano Gioventù Incretinita Lentamente. (parte terza, p. 173)
  • In quei tempi viveva anche un D'Annunzio dei poveri, Guido Da Verona, che a differenza del vate, non riscuoteva l'ammirazione di Starace. Anzi, il D'Annunzio dei poveri ebbe contro di sé tutto il fascismo, essendo uno scrittore agli antipodi dello stile predicato dal regime. In un'epoca militaresca, strapaesana e autarchica, Da Verona era un dandy cosmopolita, l'eroe in smoking, il nomade da grand hôtel internazionale che amava le comodità delle camere con bagno e bidet. (parte terza, p. 179)
  • [...] quando si parlava delle infedeltà di Edda [Ciano], che erano sulle labbra di tutti e si raccontavano le avventure amorose di quella "cavallina matta", si superò il grottesco inventando una béguin fra lei e Starace. Il conte, che lasciava correre perché in fondo il suo era un matrimonio "politico", alla voce della tresca fra sua moglie e l'odiato gerarca gallipolino, andò su tutte le furie. E la gente cominciò a dire: "Sai che differenza c'è fra la Sardegna e Ciano?... La Sardegna ha la Grazia Deledda, Ciano ha la disgrazia dell'Edda!". (parte terza, p. 213)
  • Starace non amava il generale Sebastiano Visconti Prasca[6], che all'inizio era il comandante delle truppe, anzi lo osteggiava essendo un protetto di Ciano e lo disprezzava perché portava il monocolo ed era un effeminato. Esclamava: "Quando mi abbraccia provo un gran ribrezzo. Pensate, ha le sopracciglia tinte. Ed è tutto dire!". (parte quarta, p. 238)
  • I partigiani avevano trascinato Starace fuori dell'aula e lo avevano caricato su un autocarro scoperto. Gli fecero fare un giro della città, alla gogna. La popolazione lo insultava, lo irrideva, gli lanciava sassi e manciate di terriccio. All'improvviso si trovò in Piazzale Loreto, al cospetto del cadavere di Mussolini che pendeva a testa in giù dalla tettoia di un distributore di benzina. Non vedeva che Mussolini, quasi non riconosceva i corpi degli altri giustiziati che, in uno scenario macabro e orrendo, egualmente pendevano a testa in giù. Non ravvisava nemmeno le fattezze di Claretta. Non aveva occhi che per Mussolini e contemplava il corpo inanimato dell'uomo che tanto a lungo aveva dominato la sua esistenza, che lo aveva glorificato e umiliato, che lo aveva portato troppo in alto, senza averne il merito, e spinto troppo in basso, senza averne colpa. Era stato il suo mastino in vita e ora si trovava lì pronto a morire proprio come un cane fedele. (parte quarta, p. 290)
  • I minuti passavano [in attesa dell'esecuzione] e Starace disse una prima volta a un partigiano che gli stava accanto e che lo prendeva a spintoni: "Fate presto, invece di picchiare e di insultare un uomo che state per fucilare". Il capitano Marino, questo era il nome di battaglia di Angelo Galbiati che comandava i partigiani della 116a Brigata Garibaldi raccolti a Piazzale Loreto, faceva disporre il plotone che doveva eseguire la condanna a morte mediante fucilazione alla schiena. Ma il plotone non era ancora pronto. Starace, che già volgeva la faccia al muro, esclamò una seconda volta: "Fate presto". Il capitano Marino ordinò il fuoco, i mitra crepitarono e Starace cadde mentre gridava "Viva il Duce!", nell'attimo in cui alzava la mano per un ultimo saluto fascista che rimase incompiuto e che si tramutò in uno sberleffo. (parte quarta, p. 291)

Note[modifica]

  1. Da Mussolini. Il fascino di un dittatore, Arnoldo Mondadori, Milano, 1996, cap. V.
  2. Gioventù italiana del littorio, organizzazione giovanile fascista.
  3. Da Il Ponte, luglio 1952; citato in Giampiero Mughini, A via della Mercede c'era un razzista, RCS Rizzoli Libri, Milano, 1991, ISBN 88-17-84100-5, p. 173.
  4. Da Pio XII l'ultimo papa, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1992, parte seconda, p. 252. ISBN 88-04-35677-4
  5. Antonio Spinosa, La Gioconda sono io, La Fiera letteraria, n. 43, 5 dicembre 1971.
  6. Visconti Prasca comandava le truppe italiane nella fase iniziale (1940) della campagna di Grecia.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]