Marc Monnier

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Marc Monnier

Marc Monnier (1827 – 1885), scrittore e poligrafo italiano.

Citazioni di Marc Monnier[modifica]

  • [Sui Viggianesi] Partono un bel mattino di primavera, cogli uccelli e come gli uccelli, per cantare nei paesi freddi, che li nutriscono o che li uccidono. Essi ritornano ricchi, quando ritornano, e riempiono di belle case, sovente scassinate da terremoti, il loro villaggio di Viggiano, che farebbe bella figura anche nelle provincie del Nord. (da L'Italia all'opera dal 1860 al 1869, E. Treves e c., 1869, p. 14-15)
  • Venosa è considerata come una città importante, non per la sua popolazione, che giunge a poche migliaia di anime, ma per le sue memorie. Ha una cattedrale e un vescovo. Si chiamò Venusia e fu patria di Orazio. (da Notizie storiche documentate sul brigantaggio, G. Barbèra, 1862, p. 53)

La camorra[modifica]

Incipit[modifica]

Lo straniero, e anche l'Italiano, che or fa poco tempo sbarcava a Napoli, spesso era meravigliato, mentre toccava terra, vedendo un uomo robusto accostarsi al suo barcaiuolo, e ricevere da lui, segretamente, un soldo o due. Se il viaggiatore prendeva vaghezza di chiedere chi fosse quell'esattore meglio vestito degli altri plebei, spesso coperto di anelli e di gioielli, che si faceva innanzi come padrone, e divideva, senza proferir verbo, il prezzo del passaggio coll'umile barcaiuolo, udiva rispondersi : è il camorrista.
Lo straniero giungendo alla locanda, preceduto da un facchino, che aveva portato i bagagli di lui, scuopriva ordinariamente un secondo esattore del pari misterioso e taciturno, che dal facchino riceveva alcuni soldi. E se i facchini erano due, entrambi deponevano una moneta di rame nelle mani dell' imperioso incognito. E se lo straniero, dopo aver osservato questa seconda contribuzione, si ostinava a chiedere qual fosse il nuovo percettore, gli veniva risposto del pari : è il camorrista.
Il viaggiatore lasciava la locanda e saliva in una carrozza di piazza. Appena avea toccato il montatoio, un terzo individuo sorgeva dinanzi al cocchiere, e questi con deferenza gli poneva un soldo in mano. Anche questo è il camorrista? chiedeva il viaggiatore, sempre più meravigliato di vedere continuamente alle sue calcagna individui, che non gli rendevano alcun servigio e tuttavia ricevevano ovunque parte del denaro che dovea sborsare. — E il cocchiere rispondeva malinconicamente: è il camorrista.

Citazioni[modifica]

  • La Camorra potrebbe esser definita l'estorsione organizzata: essa è una società segreta popolare, cui è fine il male. È utile studiarla da vicino, non solo per osservare i costumi ancora poco conosciuti e offrire qualche singolarità di più alla curiosità del pubblico, ma sopratutto per mostrar i veri ostacoli che l'Italia incontra a Napoli. I pubblicisti stranieri, quelli in specie, che a profitto di certe teorie e forse di certe ambizioni hanno avversato l'unità italiana, attribuiscono questi ostacoli a non so quale opposizione sentimentale e politica. Scrivono tutti i giorni che l'Italia occupa il Napoletano senza possederlo, imponendosi alle popolazioni che la respingono e bramano esser da lei avulse. Di qui concludono che bisogna conservare al Papa il suo poter temporale. (in Introduzione, p. 1)
  • Ciò che sia la camorra, ciò che ella fosse almeno non è molto tempo, io dirò in due parole: era un'associazione di uomini del popolo, corrotti e violenti, che ponevano a contributo coll'intimidazione i viziosi e i vigliacchi. (p. 5)
  • Si dà nome di camorrista ad un uomo di importanza che vende per una botte di vino un favore; all'ufficiale superiore il quale si fa pagare la protezione che accorda a coloro che desiderano le spallette; all'alto funzionario che minaccia di destituzione gli impiegati scrupolosi cui fanno difetto la pieghevolezza dell'animo e le compiacenterie; al cavaliere d'industria che, abile nella scherma, vorrebbe esser rispettato come un cavaliere del Toson d'oro; al vescovo reazionario, che sotto pena di sospensione a divinis proibisce al modesto curato di riconoscere il Regno d'Italia; infine a tutti i grandi di questa terra che usano violenza ai deboli, col diritto del più forte. Ma io stimo che per imbattersi in tali camorristi non sia mestieri recarsi a Napoli. (p. 5)
  • I politici, che cercano oggi ingegnose soluzioni alla questione di Napoli, non si sono giammai chiesti in qual modo crescessero sotto i Borboni i figli del povero, in questo paese tanto malmenato e dalla stupidità e dall'ignoranza e dalla miseria, e dalla tirannia degli uomini, quanto beneficato da tutti i doni del Cielo. Quando il bambino staccavasi dal seno materno, e sovente anche prima, — dacché i fanciulli qui vengono allattati fino al terzo anno — stendeva la mano ai passeggeri e si struggeva in lacrime, giurando per tutti i santi del paradiso esser egli orfano di nascita, e morente per fame. Mancavano scuole ed asili, ed il pane era a sì mite prezzo, che i genitori non si trovavano costretti ad insegnare ai figli la necessità del lavoro. Il piccolo vagabondo restava dunque mendicante, e addiveniva ladro di buon'ora Rubava fazzoletti, col furto si assicurava ne' mercati il suo vitto, si impadroniva or qua or là di qualche piccola moneta di rame, e finiva un giorno o l'altro col risvegliarsi in prigione. Allora di due cose l' una : o avea coraggio, o ne difettava. Vigliacco, era sfruttato dalla camorra ; coraggioso, aspirava a divenir camorrista. Ma per giungervi era mestieri che ei superasse i vari gradi di iniziamento. Dapprima, garzone di mala vita, era tenuto al servizio de' più rigorosi e de' meno produttivi, semplice servo de' servi de' settari, in realtà assai più di quello che il Papa sia servo de' servi di Dio. Rimaneva in questo stalo fino a che non avesse fornito prova di zelo e di ardire. Passando allora dal terzo grado al secondo, dalla candidatura al noviziato, diveniva picciotto di sgarro. (p. 6)
  • La camorra era [...] rispettata e venerata nei tempi (ne siamo peranco usciti appieno?), nei quali non riconoscevasi altro diritto, tranne quello del più forte. E aggiungi che la camorra, fino ad un certo punto, rispettava sé stessa. Non ammetteva nel suo seno che uomini relativamente onesti, vale a dire vagabondi, fannulloni dotati di una certa fierezza. Fui assicurato che in passato — ma son lontani assai quei tempi — i ladri ne erano esclusi. (p. 8)
  • Una stoccata da dare o la galera da subire non erano che mezzi straordinari per salire al grado di camorrista. (p. 10)
  • Sapete voi quali sono i doveri del camorrista? Il candidato avea risposto : — «Li conosco; debbo fare una tirata (ossia un duello al coltello, come già dicemmo) con uno dei miei compagni, giurare d'essere fedele ai miei soci, nemico delle autorità pubbliche, non avere alcun rapporto (p. 11)
  • Il napoletano è per ordinario sobrio, ma intemperante fino alla ghiottornia nelle grandi gioie eccezionali. Dissi fino alla ghiottornia, mai però fino all'ebrezza: dopo questi formidabili pasti e queste omeriche libagioni i convitati se ne tornavano in città insieme, camminando dritti e sicuri, come una pattuglia di granatieri digiuni. (p. 11)
  • La camorra è sparsa in tutti i luoghi di detenzione dell'ex-reame delle due Sicilie. Essa si costituisce ovunque è riunito un certo numero di prigionieri: è organata in piccoli gruppi indipendenti gli uni dagli altri, ma non privi di relazioni fra loro. Non è riunita sotto gli ordini di un capo unico; ma soggetta però ad una certa gerarchia tradizionale, che subordina un centro ad un altro, le prigioni di Napoli... (p. 13)
  • Camorra è il nome della società in generale, ma più particolarmente denota i fondi della cassa comune. il prodotto delle estorsioni compiute chiamavasi anche barattolo. (p. 15)
  • La camorra somiglia a tutte le sètte del mondo, in quanto ha usi particolari e linguaggio speciale. Così i capi hanno il titolo di Masto, Sì masto o capo Masto (signore, padrone, maestro, capo maestro); quest'ultimo titolo davasi a coloro che avevano maggiore notorietà. Quando un semplice compagno (questo nome appartiene di diritt» a tutti gli allìniati) dirige nella via la parola a uno de' capi, gli dice col cappello alla mano Masto, volete niente? Quanto al semplice compagno, esso non ha diritto che al titolo di Si, abbreviativo di Signore. (p. 15)
  • Il camorrista poteva renunziar alla sua qualità, ma non abbandonare giammai completamente la setta; non era astretto ai doveri, alla disciplina di essa, non ne partecipava i profitti, ma conservava a malgrado di ciò alquanta influenza e considerazione. Avea il diritto di dar consigli e il potere di farsi ascoltare ; la sua renunzia era considerata come un'abdicazione, non come una decadenza. La società rispettava sempre in lui l'antico compagno. I vecchi camorristi erano soccorsi; la vedova e i figli di quegli che era morto sotto le armi al servizio della setta riscuotevano esattamente una pensione; i malati erano assistiti, i morti vendicati. Tutti questi usi e molti altri ancora, ne' quali procedendo in questo studio ci incontreremo, mostrano già i legami potenti che univano fra di loro i camorristi. (p. 16)
  • È noto che a Napoli la immagine della Vergine non solamente è affissa su tutti i canti delle vie, ma anche nelle botteghe le più profane, nei caffè, nelle taverne e perfino ne' postriboli. Le prostitute, alla pari delle donne oneste, si addormentano la sera, sotto l'immagine della Madre di Dio, che esse, per devoto pudore, tengono velata durante le loro turpitudini. La Madonna può dunque a maggior ragione essere anche nelle prigioni venerata dai malfattori e dai camorristi incaricati di fornire l'olio della lampada, che deve stare accesa dinanzi a lei. A tale effetto, essi richiedono una contribuzione a tutti i detenuti, e guadagnano per tal modo di che illuminare la città intiera. È questo un costume immemorabile, del quale si ritrovano le tracce ad ogni passo, risalendo nella storia di Napoli, fino alla conquista spagnuola, e nella storia della Spagna fino al medio-evo. L'olio per la Madonna fornì in ogni epoca pretesto ad ogni sorta di frodi, e alla più umile di tutte, cioè all'accattonaggio. (p. 18-19)
  • Volete ragguagli precisi sulle estorsioni de' camorristi di Castel Capuano? Ho potuto consultare in proposito molti antichi prigionieri politici, e fra gli altri il signor Michele Persico (già deputato) e il signor Fittipaldi (oggi ispettore delle Poste), i quali subirono questo singolare dispotismo e lo studiarono con seria attenzione. Essi mi hanno narrato che la camorra disponeva di tutto, cominciando dalle armi, delle quali tollerava o proibiva l'uso. Quando un prigioniero di un certo grado era condotto alla Vicaria, riceveva bene spesso non dai carcerieri, ma dai settari, di quelli assai più potenti, la licenza di portare un coltello a propria difesa. In tal guisa avvenne che all'arrivo alla Vicaria del signor Michele Persico e del Carlo Poerio, si presentò loro dinanzi un compagno di carcere (oggi onest'uomo), il quale, fatta una profonda riverenza, disse offrendo loro due stili: «Prendete, eccellenze, noi vi autorizziamo a portare queste armi.» (p. 20)
  • Il tabacco, il vino, il giuoco, erano in poter della camorra. Così il danaro, che la setta avea pagato per togliere ai detenuti la lor veste nuova o il loro vitto, tornava fatalmente alla setta, la quale speculava sui piaceri dopo aver speculato sui bisogni. Né basta: i camorristi costringevano i prigionieri a giuocare, offrendo loro imperiosamente un mazzo di carte: que' malaugurati erano obbligati a giuocare sotto pena di esser bastonati: una fra le ordinarie ricreazioni della prigione era la mora o come la chiamano a Napoli il tocco. (p. 20-21)
  • Un camorrista non avea [...] il diritto di uccidere uno dei suoi compagni, senza la licenza degli altri. In compenso, al di fuori della setta poteva assassinare chi più gli piaceva. (p. 37)
  • Cominciamo dal popolo, e anzi tutto rendiamogli giustizia. Ha pregi veri e talune virtù, che non incontrai altrove, spinte fino alla passione; e la parola non è esagerata. Così il sentimento della famiglia, il rispetto ai vecchi, la venerazione filiale, per cui i figli conservano al padre e alla madre il titolo di gnore (signore), e consegnano ad essi, anche quando da fanciulli sono addivenuti uomini, tutto il danaro che guadagnano col lavoro: la veemenza negli affetti, la cieca devozione per gli amici, la tenacità negli amori, che uno sguardo solo basta talora ad accendere e che durano castamente per lunghi anni, fino a che l'amante, accumulando soldo a soldo, non abbia comprato il letto e ammobiliata la casa, ove ricevere la fidanzata sì fedelmente attesa: la carità infine sotto tutte le forme, le elemosine sì largamente distribuite, i socccorsi prestati senza interesse, l'adozione che fanno i poveri dei figli de' più poveri. Non cito che i fatti che vengono sotto la mia penna e che accadono tutti i giorni sotto i miei occhi. (1862, pp. 89-90)
  • [...] dopo la rivoluzione il popolo ha fatto progressi sociali notevoli. Coloro che hanno occasione di trattare con esso non lo riconoscono più, tanto l'aria vivida della libertà gli ha aperto l'intelligenza. Il lazzarone de' tempi andati, che dormiva per le vie e non chiedeva al re che di non abbandonar il suo sole, il vagabondo pittoresco più non esiste: il suo stesso nome quasi è scomparso dal dialetto, o almeno non è ricevuto che in mala parte: lo si dà, lo si respinge come un insulto. L'uomo del popolo ha preso il nome di popolano. Non porta più il costume leggero che gli si attribuiva nelle litografie; la camicia e i calzoni di grossa tela, il cappuccio o il berretto frigio di grossa lana, le calze e le scarpe di carne, come dice Cervantes. Questo semplice vestiario non si trova che qua e là fra i pescatori di Carmelo o di Mergellina. Il popolano non ha adottato la blouse turchina degli operai, ma indossa veste e sotto veste, e cuopre il suo capo di un piccolo berretto, o di un cappello di feltro, porta pantaloni che scendono fino ai piedi, calzati di cuoio, alla pari di ogni altro individuo. Lavora, lascia crescere i suoi baffi, impara a leggere, ha un'opinione politica, appartiene alla Guardia Nazionale. Gli schernitori ne ridono, gli artisti ne piangono, ma il popolo se ne avvantaggia (e questo è quel che monta), e il mondo progredisce. (1862, p. 90)
  • [...] non consiglierei allo straniero, nei tempi che corrono, di bastonare con tanta facilità, come altravolta potea fare, il suo commissionario o il cocchiere del suo fiacre. La dignità individuale si è ritemprata in queste aure libere che dalle cime delle Alpi scendono fino alle falde degli Appennini. Ho veduto ieri co' miei occhi un popolano, il quale schiaffava un borghese azzimato, che lo avea colpito colla sua canna. Quando vi prendevate scherno di un semplice pescatore prima di Garibaldi, egli rideva stupidamente, quasi fosse schiacciato dal peso de' vostri sarcasmi. Ma oggi abbiate prudenza: sa parlare libero e rispondere franco: non ne abusate, vi replicherebbe e vi vincerebbe. Mi spingo più oltre: ho notato nel popolo una certa energia collettizia che si è mostrata più d'una volta, nelle occasioni importanti, e che a più riprese ha coraggiosamente espresso il voto nazionale. (1862, pp. 90-91)

Explicit[modifica]

L'Italia ha da trionfare, perché l'Italia è la libertà, l'umanità, la civiltà. Che tutti que' principii, disconosciuti e condannati dalle dinastie decadute, escano ora dall'ombra e dal silenzio, ove si tentava seppellirli; che il popolo fatto libero si ritempri nel sentimento della sua dignità e della sua potenza; che la violenza e l'iniquità dell'alto non autorizzino la violenza e l'iniquità del basso; che la paura, questo vergognoso istinto di degradazione e di schiavitù, sia sradicata affatto dalla coscienza popolare che si rialza: ecco il sistema di repressione che senza fallo riuscirà; e la palla sarà estratta dalla ferita, e la camorra non esisterà più, se non come memoria in quest'opuscolo caduto nell'oblio.

Bibliografia[modifica]

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