Guido Gozzano

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Guido Gozzano

Guido Gustavo Gozzano (1883 – 1916), poeta e scrittore italiano.

Citazioni di Guido Gozzano[modifica]

  • L'azzurro che riempie le foglie più verdi, palmate, degli ippocastani, si direbbe intagliato nella pura turchese.[1]

I colloqui[modifica]

Incipit[modifica]

Venticinqu'anni!... Sono vecchio, sono
vecchio! Passò la giovinezza prima,
il dono mi lasciò dell'abbandono!

Citazioni[modifica]

  • Oggi pur la tristezza si dilegua | per sempre da quest'anima corrosa | dove un riso amarissimo persiste, || un riso che mi torce senza tregua | la bocca.... Ah! veramente non so cosa | più triste che non più essere triste! (L'ultima infedeltà, 9-14)
  • Ecco, nel lento oblio, rapidamente in vista, | apparve una ciclista a sommo del pendio. || Ci venne incontro: scese. «Signora: sono Grazia!» | Sorrise nella grazia dell'abito scozzese. | «Tu? Grazia? la bambina?» - «Mi riconosce ancora?» | «Ma certo!» E la Signora baciò la Signorina. || «La bimba Graziella! Diciott'anni? Di già? | La mamma come sta? E ti sei fatta bella! || La bimba Graziella: così cattiva e ingorda!...» | «Signora, si ricorda quelli anni?» - «E così bella || vai senza cavalieri in bicicletta?...» (Le due strade, I, 3-13)
  • Mi piacquero leggiadre bocche, ma non ho pianto | mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre. (Il responso, 33-34)
  • «Tutte, persin le brutte, mi danno un senso lento | di tenerezza... Sento» — risi — «di amarle tutte!» (Il responso, 55-56)
  • Amor non lega troppo eguali tempre. (Il buon compagno, 11)
  • Nutrirsi.... non fare più versi... nessuna notte più insonne.... | non più sigarette.... non donne.... tentare bei cieli più tersi: || Nervi.... Rapallo.... San Remo.... cacciare la malinconia; | e se permette faremo qualche radioscopia.... (Alle soglie, 11-14)
  • Donna: mistero senza fine bello! (La signorina Felicita ovvero la Felicità, V, 49)
  • Oh! questa vita sterile, di sogno! | Meglio la vita ruvida concreta | del buon mercante inteso alla moneta, | meglio andare sferzati dal bisogno, | ma vivere di vita! Io mi vergogno, | sì, mi vergogno d'essere un poeta! (La signorina Felicita ovvero la Felicità, VI, 13-18)
  • Nel mestissimo giorno degli addii | mi piacque rivedere la tua villa. | La morte dell'estate era tranquilla | in quel mattino chiaro che salii | tra i vigneti già spogli, tra i pendii | già trapunti di bei colchici lilla. || Forse vedendo il bel fiore malvagio | che i fiori uccide e semina le brume, | le rondini addestravano le piume | al primo volo, timido, randagio; | e a me randagio parve buon presagio | accompagnarmi loro nel costume. (La signorina Felicita ovvero la Felicità, VIII, 1-12)
  • Il mio sogno è nutrito d'abbandono, | di rimpianto. Non amo che le rose | che non colsi. Non amo che le cose | che potevano essere e non sono | state.... Vedo la casa, ecco le rose | del bel giardino di vent'anni or sono! (Cocotte, IV, 25-30)
  • Come una stampa antica bavarese | vedo al tramonto il cielo subalpino.... | Da Palazzo Madama al Valentino | ardono l'Alpi tra le nubi accese.... | È questa l'ora antica torinese, | è questa l'ora vera di Torino.... (Torino, II, 1-6)
  • Ch'io perseguendo mie chimere vane | pur t'abbandoni e cerchi altro soggiorno, | ch'io pellegrini verso il Mezzogiorno | a belle terre tepide lontane, | la metà di me stesso in te rimane | e mi ritrovo ad ogni mio ritorno. (Torino, IV, 1-6)
  • Reduce dall'Amore e dalla Morte | gli hanno mentito le due cose belle! | Gli hanno mentito le due cose belle: | Amore non lo volle in sua coorte, | Morte l'illuse fino alle sue porte, | ma ne respinse l'anima ribelle. || In braccio ha la compagna: Makakita; | e Makakita trema freddolosa, | stringe il poeta e guarda quella cosa | di là dai vetri, guarda sbigottita | quella cosa monotona infinita | che tutto avvolge di bianchezza ondosa. (In casa del sopravissuto, I, 13-24)

La via del rifugio[modifica]

Incipit[modifica]

Trenta quaranta
tutto il Mondo canta
canta lo gallo
risponde la gallina...

Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.

Citazioni[modifica]

  • Socchiudo gli occhi, estranio | ai casi della vita. | Sento fra le mie dita | la forma del mio cranio... || Ma, dunque, esisto! O strano! | vive tra il Tutto e il Niente | questa cosa vivente | detta guidogozzano! (La via del rifugio, 29-32)
  • Non agogno | cha la virtù del sogno: | l'inconsapevolezza. (La via del rifugio, 41-44)
  • La Vita? Un gioco affatto | degno di vituperio, | se si mantenga intatto | un qualche desiderio. (La via del rifugio, 165-168)
  • O figliuolo il meglio d'altri tempi | non era che la nostra giovinezza! (L'analfabeta, 91-92)
  • Il dolore non esiste | per chi s'innalza verso l'ora triste | con la forza d'un cuore sempre giovine. || Fissa il dolore e armati da lungi, | chè la malinconia, la gran nemica, | si piega inerme, come fa l'ortica | che più forte l'acciuffi e men ti pungi. (L'analfabeta, 98-104)
  • Chi troppo studia e poi matto diventa! | Giova il saper al corpo che ti langue? | Vale ben meglio un'oncia di buon sangue | che tutta la saggezza sonnolenta. (L'analfabeta, 109-112)
  • ...nel marzo avremo un lavoro — alla Fenice, m'han detto — | nuovissimo: il Rigoletto; si parla d'un capolavoro. (L'amica di nonna Speranza, 60-61)
  • Nonno, l'argento della tua canizie | rifulge nella luce dei sentieri: | passi tra i fichi, tra i susini e i peri | con nelle mani un cesto di primizie: || «Le piogge di settembre già propizie | gonfian sul ramo fichi bianchi e neri, | susine claudie... A chi lavori e speri | Gesù concede tutte le delizie!» (I sonetti del ritorno, IV, 1-8)
  • Penso e ripenso: — Che mai pensa l'oca | gracidante alla riva del canale? | Pare felice! Al vespero invernale | protende il collo, giubilando roca. (La differenza, 1-4)
  • O pàpera, mia candida sorella, | tu insegni che la Morte non esiste: | solo si muore da che s'è pensato. || Ma tu non pensi. La tua sorte è bella! | Chè l'esser cucinato non è triste, | triste è il pensare d'esser cucinato. (La differenza, 9-14)
  • Nulla s'acquista e nulla va distrutto: | o eternità dei secoli futuri! (Ora di grazia, 13-14)
  • Primavera non è che s'avventuri | un'altra volta e cinga di tripudi | un'altra volta i rami seminudi, | tutti raggiando questi cieli puri? (L'inganno, 1-4)
  • [Jules Verne] Maestro, quanti sogni avventurosi | sognammo sulle trame dei tuoi libri! || La terra il Mare il Cielo l'Universo | per te, con te, poeta dei prodigi, | varcammo in sogno oltre la Scienza. || Pace al tuo grande spirito disperso, | tu che illudesti molti giorni grigi | della nostra pensosa adolescenza. (In morte di Giulio Verne, 7-14)
  • O Poeta, la tua mamma | che ti diede vita e latte, | che le guance s'è disfatte | nel cantarti ninna-nanna, || la tua mamma che quand'eri | ammalato t'assisteva, | non mangiava, non beveva | nei tristissimi pensieri, || lei che t'era sempre intorno | per rifarti sano e forte | per contenderti alla Morte, | e piangeva, notte e giorno || invocava Gesù Cristo | e la Vergine Maria: | o Poeta! ed oggi ho visto | la tua madre in agonia! (L'ultima rinunzia, II, 1-16)

Poesie sparse[modifica]

  • Non dunque accetta è l'umile dimanda | del vostro paggio, o bella castellana? | Combattuto ha per voi; fatto gualdana | egli ha per voi, magnifica Jolanda. (Primavere romantiche, 49-52)
  • Giugno. Per le finestre il sole inonda | la bella stanza d'una luce aurina: | freme la messe ai solchi della china, | la messe ormai matureggiante e bionda. (La falce, I, 1-4)
  • Ottobre. Per i vetri Autunno inonda | la bella stanza delle luci estreme: | vanno i bifolchi cospargendo il seme | su per la china con canzon gioconda. (La falce, II, 1-4)
  • M'accolga l'antica Abazia; è ricca di luci e di suoni. | Mi piacciono i frati; son buoni pel cuore in malinconia. (Nell'Abazia di San Giuliano, 7-8)
  • La Regina Maria, Re Vittorio Amedeo, | la Corte, il Clero, i Nobili aprivano il corteo. | Le carrozze di gala avanzavano lente | per Torino infiorata, tra la folla piangente || - La Bela Carôlin (la folla la chiamava | così, familiarmente, la folla che l'amava!) | La Bela Carôlin ci lascia e va lontano! | Il Duca di Sassonia ha chiesto la sua mano! | L'Ambasciatore è giunto e se la porta via... | Nozze senza lo sposo! Oh! che malinconia! - (Carolina di Savoia, 25-34)
  • Ninna-nanna, bimbo mio! | Ninna-nanna, dolce Re! | Mentre Mamma pensa a Dio, | c'è il buon Dio che pensa a te! | Quando tu nascesti venne | la Madonna a contemplare, | si fermarono le penne | dei Cherùbi ad adorare! | E nel cielo fu la Stella | e s'udirono parole | e più fulgido fu il Sole | e la Terra fu più bella! | Ninna-nanna, pupo biondo, | Ninna-nanna, dolce Re! | Non si trova in tutto il mondo | pupo bello come te!... (La culla vuota, 4-19)

Incipit di alcune opere[modifica]

L'altare del passato[modifica]

Ho ripensato al conte Fiorenzo X... l'altro giorno, dinnanzi al suo palazzo distrutto, con una mia cara amica, settantacinquenne.
E la signora mi rivelò un mistero sentimentale, un poco buffo, che dormiva nel mio ricordo da quasi vent'anni.

La danza degli gnomi e altre fiabe[modifica]

Piumadoro e Piombofino[modifica]

Piumadoro era orfana e viveva col nonno nella capanna del bosco. Il nonno era carbonaio ed essa lo aiutava nel raccattar fascine e nel far carbone. La bimba cresceva buona, amata dalle amiche e dalle vecchiette degli altri casolari, e bella, bella come una regina.
Un giorno di primavera vide sui garofani della sua finestra una farfalla candida e la chiuse tra le dita.

Il re Porcaro[modifica]

Un Re aveva tre figliuole belle come il sole e ch'egli amava più degli occhi suoi.
Avvenne che il Re, rimasto vedovo, riprese moglie e cominciò per le tre fanciulle una ben triste esistenza. La matrigna era gelosa dell'affetto immenso che il Re portava alle figlie e le odiava in segreto. Con mille arti aveva cercato di farle cadere in disgrazia del padre, ma visto che le calunnie non servivano che a farle amare di più, deliberò di consigliarsi con una fattucchiera.

Il reuccio Gamberino[modifica]

Tre giorni ancora e il Reuccio Sansonetto compiva diciott'anni, età che, secondo le leggi del regno, gli permetteva di togliere moglie. Egli stava ad una loggia del palazzo reale, raggiante ed impaziente di sposare Biancabella reginetta di Pameria, con la quale era fidanzato fin dall'infanzia. Ingannava il tempo mangiando ciliege e scagliando i noccioli sui passanti, con una piccola fionda. I beffati alzavano il volto incolleriti, ma l'inchinavano tosto, ossequiosi, appena riconoscevano il reale schernitore.

La danza degli gnomi[modifica]

Quando l'alba si levava,
si levava in sulla sera,
quando il passero parlava
c'era, allora, c'era... c'era...

... una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. la matrigna odiava Serena ch'era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa.

I tre talismani[modifica]

Quando i polli ebbero i denti
e la neve cadde nera
(bimbi state bene attenti)
c'era allora, c'era... c'era...

... un vecchio contadino che aveva tre figliuoli. Quando sentì vicina l'ora della morte li chiamò attorno al letto per l'estremo saluto.
– Figliuoli miei, io non son ricco, ma ho serbato per ciascuno di voi un talismano prezioso. A te, Cassandrino, che sei poeta e il più miserabile, lascio questa borsa logora: ogni volta che v'introdurrai la mano troverai cento scudi. A te, Sansonetto, che sei contadino e avrai da sfamare molti uomini, lascio questa tovaglia sgualcita: ti basterà distenderla in terra o sulla tavola, perché compaiano tante portate per quante persone tu voglia. A te, Oddo, che sei mercante e devi di continuo viaggiare, lascio questo mantello: ti basterà metterlo sulle spalle e reggerlo alle cocche delle estremità, con le braccia tese, per diventare invisibile e farti trasportare all'istante dove tu voglia.

La fiaccola dei desideri[modifica]

Quando in quella che fuggì
settimana veritiera
si contò tre Giovedì
c'era, allora, c'era... c'era...

... un vecchio contadino che viveva in una povera capanna. Questo contadino aveva un figliuolo malaticcio, gobbo, distorto; e per colmo d'ironia questo figliuolo si chiamava Fortunato. Sui diciott'anni Fortunato decise di lasciare la capanna paterna e di mettersi alla ventura.

La lepre d'argento[modifica]

Quando il filtro e la sortiera
preparavano gl'incanti
(ascoltate tutti quanti!)
c'era, allora, c'era... c'era...

... un principe chiamato Aquilino, che aveva vent'anni e voleva condurre in moglie la più bella principessa del mondo. Pubblicò un bando di nozze e giunsero centinaia di ritratti, ch'egli fece esporre nelle gallerie del castello; e là meditava sulle belle sorridenti dalle grandi cornici dorate.

Nonsò[modifica]

C'era una volta un Principe che ritornando dalla caccia vide nella polvere, sul margine della via, un bimbo di forse otto anni che dormiva tranquillo. Scese da cavallo, lo svegliò:
- Che fai qui piccolino?
- Non so – rispose quegli, fissandolo senza timidezza.

La leggenda dei sei compagni[modifica]

C'era una volta un vecchio signore, senza più fortuna, che aveva tre figli. Il primogenito disse un giorno al padre:
- Voglio mettermi pel mondo, alla ventura.
- Sia come tu vuoi – disse il padre, – ma non posso darti più di dieci scudi.

La camicia della trisavola[modifica]

Quando (il tempo non ricordo!)
cani, gatti, topi a schiera
ben si misero d'accordo
c'era, allora, c'era... c'era...

... un orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perché tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo compì i diciott'anni, il vicinato cominciò ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare.

La cavallina del negromante[modifica]

C'era una volta un pover'uomo rimasto vedovo, con un figlio chiamato Candido; egli possedeva per tutta fortuna un campicello e tre buoi. Candido, che era un bimbo sveglio e intelligente, giunti agli otto anni disse al padre:
- Vorrei andare a scuola...

Nevina e Fiordaprile[modifica]

Quando il sughero pesava
e la pietra era leggera
come il ricciolo dell'ava
c'era, allora, c'era... c'era...

... una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padre Gennaio.
Lassù, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini, il Re Gennaio preparava la neve con una chimica nota a lui solo; Nevina la modellava su piccole forme tolte dagli astri e dagli edelweiss, poi, quando la cornucopia era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai quattro punti dell'orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo.
Nevina era pallida e diafana, bella come le dee che non sono più: le sue chiome erano appena bionde, d'un biondo imitato dalla Stella Polare, il suo volto, le sue mani avevano il candore della neve non ancora caduta, l'occhio era cerulo come l'azzurro dei ghiacciai.
Nevina era triste.

La marchesa di Cavour[modifica]

Giovanna Maria di Trecesson, Marchesa di Cavour... Nome che lascia perfettamente indifferenti le nostre signore d'oggi e le fa anzi temere una tediosa rievocazione storica... Nome che faceva invece sussultare di curiosità le signore di tre secoli or sono, nei salotti della Torino secentesca.[2]

Verso la cuna del mondo[modifica]

Garapuri: «città degli antri o Deva Devi, isola degli Dei»: è forse la più bella gita che offra Bombay, certo quella che unisce in minimo spazio i motivi esotici più interessanti pel forestiero. Ma difficilmente un inglese, un nativo tanto meno, la propone al suo ospite; trova di miglior gusto condurvi alla spettacolosa sala di skating (sì, hanno il coraggio di darsi a questo sport, con una temperatura minima di trenta gradi), o all'unica matinée che dà la Cleo De Merode, di passaggio per Bombay alla volta del Siam, con un plutocrate innominato, o al gigantesco teatro cinematografico dell'Esplanade, dove al soffio — ohimè! vano — di trenta ventilatori la vostra nostalgia d'italiano sussulta vedendo apparire a sfondo di qualche film poliziesca il Canal Grande, il Pincio, il Valentino.

Citazioni su Guido Gozzano[modifica]

  • Colto, intrinsecamente colto se anche di non eccezionali letture, ottimo conoscitore dei suoi limiti, naturalmente dannunziano, ancor più naturalmente disgustato del dannunzianesimo, egli fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse (com'era necessario e come probabilmente lo fu anche dopo di lui) ad «attraversare D'Annunzio» per approdare a un territorio suo, così come, su scala maggiore, Baudelaire aveva attraversato Hugo per gettare le basi di una nuova poesia. Il risultato di Gozzano fu certo più modesto: un album di vecchie stampe che resterà, nel primo Novecento, come 'Gaspard de la Nuit' di Aloysius Bertrand resterà nel primo Ottocento francese. (Eugenio Montale, Saggio introduttivo a Le Poesie, I Garzanti)
  • Gozzano con la sua ironia sensibilissima individua un momento di crisi e letterariamente la risolve in una dimensione lirica problematica. (Francesco Grisi)
  • Io che seguo un po' Giussani e un po' Gozzano, il poeta "innamorato di tutte le signore che mangiano le paste nelle confetterie". (Camillo Langone)

Note[modifica]

  1. Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. VIII, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1973, p. 517.
  2. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]