Laurence Olivier

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Laurence Olivier
  • Premio Oscar onorario (1947)
  • Amleto
    • Miglior film (1949)
    • Miglior attore (1949)
  • Premio Oscar alla carriera (1979)

Laurence Kerr Olivier (1907 – 1989), attore e regista britannico.

Citazioni di Laurence Olivier[modifica]

  • [Su Marilyn Monroe ne Il principe e la ballerina] [...] una cosuccia deliziosa.[1]
  • [A Marilyn Monroe davanti alla troupe de Il principe e la ballerina] [Devi] tentare di essere sexy.[1]
  • [Su Marilyn Monroe] Il suo lavoro la spaventava, e pur disponendo di indubbio talento credo che opponesse una resistenza inconscia alla disciplina di attrice. Ma era affascinata dalla mistica del mestiere, e contenta come una bimba quando la si fotografava. Gestiva tutta la faccenda del divismo con un'ineffabile, astuta, evidente disinvoltura.[1]
Her work frightened her, and although she had undoubted talent, I think she had a subconscious resistance to the exercise of being an actress. But she was intrigued by its mystique and happy as a child when being photographed; she managed all the business of stardom with uncanny, clever, apparent ease.[2]
  • [Su Marilyn Monroe] Era del tutto in balìa di grancasse pubblicitarie e sensazionalismi... e venne sfruttata oltre ogni limite.[1]

Confessioni di un peccatore[modifica]

  • Mia sorella, essendo non solo l'unica donna in famiglia dopo la morte di mia madre ma anche la più grande di noi figli, aveva il privilegio di un bagno tutto per sé. Ma noi tre maschi, padre, figlio maggiore e minore, non godevamo di questo lusso, anzi, sembrava quasi che dovessimo ripagare il suo privilegio saltando nella stessa acqua uno dopo l'altro. Naturalmente papà per primo, poi Dickie e infine io. A quel punto l'acqua era in uno stato tale da poter esser definita a stento un mezzo detergente. (p. 10)
  • Oggi spesso la gente chiede a mia moglie Joan: "Come fa a capire quando Larry sta recitando e quando no?" e mia moglie risponde sempre: "Larry? Oh, ma lui recita sempre". In fondo al cuore so soltanto di non capire bene quando recito e quando no o meglio, per essere ancora più sincero, quando mento e quando no. Perché, cosa è la recitazione se non menzogna e cosa è la buona recitazione se non menzogna convincente? (p. 15)
  • I più intelligenti tra i miei giovani colleghi, in continue conversazioni che hanno pateticamente per tema la ricerca di una qualche razionalizzazione della vita, sono d'accordo nel dire d'aver scelto questo mestiere per soddisfare un forte bisogno di "esprimere se stessi". Per quanto mi riguarda non posso vantare nemmeno questo livello di intelligenza; onestamente devo confessare, con un po' di vergogna, che ero conscio solo del mio bisogno di mettermi in mostra. (p. 15)
  • Ho sempre pensato che il problema di fondo tra me e mio padre era che lui non riusciva a vedere il minimo scopo nella mia esistenza. Ecco lì, in splendido rilievo, c'era la sua bellissima figlia, la prima, e poi, di tre anni più giovane, c'era il figlio ed erede, l'unico di cui avesse bisogno, grazie mille. Tutto lo irritava di me. Ero un peso in più assolutamente non necessario sul bilancio familiare. (p. 16)
  • Credo, col senno di poi, che quell'alone di superiorità conferitomi dal mio ruolo di solista unito alle mie notevoli opportunità di recitare, mi avessero dato un po' un'aria da sbruffone a cui i ruoli femminili che interpretavo avevano aggiunto anche un tocco di femminilità. Tutto questo è un modo educato per spiegare il fatto che ero noto a tutti come "quello stronzetto di un invertito di Olivier". (p. 24)
  • Ero una femminuccia. Meritavo l'ostracismo. Avevo subito più di una normale dose di angherie a All Saints. Ero lì da circa un anno quando arrivò un nuovo insegnante. Era un eroe che tornava a casa dalla guerra ferito e con una psicosi traumatica da bombardamento, un genere di cui tutti gli studenti di quei tempi avevano molta paura. […] A volte si esprimeva in tendenze sadiche. Quest'uomo fissò il suo interesse su di me (si diceva che io cantassi come un angelo e che ero quel tanto carino per scatenare il peggio in certi uomini). Arrivò a scuola armato di una cinghia di foggia particolare. L'oggetto delle sue esibizioni con la cinghia ero naturalmente io. (p. 25)
  • I prefetti più anziani avevano sofferto loro stessi così a lungo da non veder l'ora di mettere in pratica la più alta espressione della loro autorità. La forza che stava dietro alle loro frustate era così piena di sadismo che ho sofferto dolori che non credevo possibili. Non sono mai stato uno portato a stringere i denti e in queste situazioni ero incapace di comportarmi da uomo: le mie reazioni erano quindi inusuali, rumorose, stridule. Gli altri ragazzi, quando sapevano che toccava a me, si radunavano davanti alla sesta classe per non perdersi il divertimento provocato dalle mie lamentose prestazioni. Ci misi quasi due anni per imparare a sopportare il dolore come ci si aspettava. (p. 25)
  • Poi si piegò verso di me e mi disse: "La tua debolezza sta… qui" e mise la punta del mignolo sulla mia fronte, alla base dell'attaccatura dei capelli e la fece scivolare giù per fermarsi nel profondo incavo tra le sopracciglia e l'inizio del naso. Capii immediatamente la saggezza di quella dichiarazione. C'era ovviamene un po' di timidezza nel mio sguardo. Capii questa cosa così a fondo che oscurò i miei primi anni da attore. Non sto imputando a Elsie Fogerty la responsabilità di un blocco psicologico, non è così, sapevo che era vero, che c'era una debolezza lì. Durò finché scoprii il protettivo riparo di un naso finto e provavo un piacevole senso di relax e di sollievo quando una parte richiedeva l'aggiunta di qualche posticcio alla mia faccia, il che mi permetteva di nascondermi dietro un personaggio estraneo e mi evitava una cosa imbarazzante come la rappresentazione di se stessi. (p. 29)
  • Spesso la gente mi chiede quali sono i miei hobbies, cosa faccio per divertimento. Non riesco mai a pensare a nulla. Mi prendono dei grossi sensi di colpa all"idea di fare una vacanza; e mi sento molto a disagio se sto facendo qualcosa che non sia il mio lavoro. Il lavoro è vita per me, è l"unica ragione di vita; e in più ho anche la fede quasi religiosa che essere utili è tutto. Mi capita qualche volta di trovarmi a contatto con gente triste che mi chiede: "Per cosa vivo, quale è la mia ragione di vita?". La risposta "Lavoro" non va sempre bene. E allora rispondo prontamente, anche se un po" sentenziosamente: "Essere utili; se tu soltanto potessi credere in quest"ideale, se tutti potessero, allora nessuno, dalla regina alla più umile donna di fatica, avrebbe mai la sensazione di vivere per nulla". (p. 31)
  • Mentre scendevamo mi disse: "Oh, deve stare attento, l'entrata è un po' scomoda". "Lo so, grazie," risposi. Questa storia cominciava ad annoiarmi. […] Diedi un colpo alla porta di pesante tela e mi lanciai attraverso con decisione. Naturalmente inciampai sul gradino, volai per aria e, prima di rendermi conto di cosa fosse successo, mi ritrovai con i denti ben conficcati tra una lampadina rossa e una blu in mezzo alle luci della ribalta. Stavo recitando in un teatro molto capiente, il che significa che qualunque sia la reazione degli spettatori arriva con la forza di un tuono a chi sta davanti a loro sul palcoscenico. Il volume di quella reazione specifica mi rintronò per un secondo o due. Mi rimisi in piedi in qualche modo, spolverandomi un po' i vestiti e stetti fermo per un attimo a scrutare il pubblico; poi mi girai e gettai uno sguardo a Ruby Miller che era sufficientemente professionista da non muovere un capello. Tornai a guardare il pubblico con aria supplichevole, ma non sembrava intenzionato a rinunciare così facilmente alla più grande risata del secolo. Nei molti anni trascorsi da allora a oggi ho recitato con gioia in numerose commedie […] Mi sono illuso di poter generalmente conquistare il livello di risate che io o la situazione comica meritavamo, ma ho sospirato invano; mai, proprio mai, nella mia vita ho sentito un suono così esplosivo e alto come il gioioso clamore sollevato da quel pubblico. Tutte le volte che ho pensato di avere motivo per essere soddisfatto di me stesso, il ricordo della mia prima entrata su un palcoscenico professionale ha immediatamente ristabilito il mio senso di equilibrio. Avanzai con aria miserevole sul palcoscenico verso Ruby e sedetti al suo fianco sul divano, lasciando che lei, con il suo fantastico senso della sincronizzazione, da grande esperta, facesse smettere quelle risate. […] Finalmente la mia parte sulla scena si concluse, mi alzai, mi chinai a baciare la mano a Ruby e uscii, questa volta evitando il gradino, piacevolmente accompagnato da un breve, allegro scoppiettio di applausi da parte di quel generosissimo pubblico. Al che mi montai la testa, in un allarmante risorgere di presunzione. (pp. 36-37)
  • Il mio solo dispiacere durante la tournée di The farmer's wife fu quello di non essermi innamorato e sposato. Morivo dalla voglia di sposarmi così, con la benedizione di Dio, avrei potuto godermi il sesso, dal cui pensiero cominciavo a essere ossessionato ininterrottamente. Potreste forse pensare, e con ragione, che ciò ostacolasse il mio lavoro; non fu così, perlomeno non in modo pregiudizievole. Non ci furono avventure romantiche, oh no, no certamente – senza matrimonio sarebbe stato un peccato più che mortale e io ero molto religioso, e lo ero sinceramente. La fede religiosa avrebbe dovuto avere la meglio sui "cattivi pensieri" e scacciarli. Ma, evidentemente, non avevo la stoffa del martire e quasi sempre i pensieri sessuali vincevano. Travagliato da questo compromesso continuai nelle mie convinzioni e abitudini religiose fino all'età di ventitré anni, fino al giorno in cui, di fatto, mi sposai; pensatela come vi pare. (p. 48)
  • Aveva annusato fin dall'inizio che io ero un tipo dalla risata facile. Potevo a stento controllarmi alle risate del pubblico, anche se erano le stesse tutte le sere. Un giorno Noel mi prese in disparte e mi disse: "Senti un po', Larry mio, tu sei uno che ha la risata facile, vero?". "Si," risposi. "Allora ascoltami: ho intenzione, ho deliberatamente intenzione, di tormentare questa tua debolezza. Abbiamo davanti a noi tre mesi a Londra e poi quattro a New York. Ecco quello che farò. Farò tutto quello che potrò per farti ridacchiare fino a farti morire a ogni spettacolo [...] e se nove mesi di questo trattamento non cancelleranno questa macchia da dilettante nel tuo per altro brillante giovane talento, allora farai davvero meglio a incominciare a vedere di rimediarti un altro lavoro." (p. 51)
  • Gli sforzi di ingraziarmi Ralph lo lasciarono freddo, indifferente e superiore. [...] Non ero molto abile a farmi degli amici, forse perché le mie avances erano evidentemente impacciate. (p. 55)
  • Con incredibile presunzione, mi diedi immediatamente da fare per incontrarla spinto dalla decisione che, con dei genitori del genere, anche se non bellissima sarebbe andata benissimo come moglie. Non avevo nessuna voglia di aspettare una donna più adatta, morivo dalla voglia di sposarmi ed era improbabile che alla mia età (21 anni) trovassi qualcosa di meglio e così, con il mio stile inconfondibile e secondo i miei canoni, mi innamorai subito di lei. [...] Ci mise quasi due anni per dirmi di sì e in realtà non mi corrispose mai. (p. 56)
  • [Su Vivien Leigh] Era seducente e nel modo più perturbante che avessi mai incontrato. Forse era per via di quello strano, quasi commovente lampo di dignità che c'era in lei, e che rendeva schiava l'ardente schiera dei suoi ammiratori.
  • [Su Vivien Leigh] La prima volta che misi gli occhi sulla proprietaria di questa meravigliosa, inimmaginabile bellezza fu sul palcoscenico del St. James Theatre, dove recitava in The Mask of Virtue di Ashley Dukes. Con questa parte aveva attirato un notevole interesse, anche se, a quei tempi, non esattamente per il fatto di essere un'attrice promettente. Al di là della sua bellezza, che era magica, aveva un portamento meraviglioso; il collo sembrava quasi troppo fragile per sostenere la testa e la reggeva con un senso di sorpresa e con quella specie di orgoglio del giocoliere che riesce a far sembrare quasi casuale un'abile mossa.

Citazioni su Laurence Olivier[modifica]

  • Personalità. Non presumo di risolvere questo mistero. Ma conta sempre più della tecnica. Per esempio, chi conosce la tecnica meglio di Olivier? Certo che, se la recitazione cinematografica dipendesse in modo significativo da una tecnica particolare Larry se ne sarebbe impadronito. Eppure per quanto bravo sia al cinema, è solo un'ombra dell'attore che impone la sua presenza sulle scene teatrali. Perché la macchina da presa sembra diminuirlo? E ingrandire Gary Cooper, che di tecnica non ne sapeva un bel niente? (Orson Welles)
  • [Su Laurence Olivier e Marilyn Monroe in Il principe e la ballerina] Con lui ha avuto dei problemi, su questo non c'è dubbio. Olivier vedeva il film alla maniera degli inglesi: recitano nel grande stile, loro. Marilyn del grande stile non sapeva niente di niente. Nell'interpretazione di Olivier non c'era niente con cui potesse entrare in contatto. (Arthur Miller)
  • [Marilyn Monroe in Il principe e la ballerina] Fin dall'inizio fu evidente che in quel film lei sarebbe stata un problema per Larry. Molti attori hanno l'abitudine di venire sul set e chiacchierare, ma lei sul set non ci veniva mai. Mi dispiaceva molto per Larry che tentava di recitare e di dirigere quel film. Ma lei patì tante pene con Larry perché, nei suoi confronti, lui era un vero e proprio assillo. (Jack Cardiff)
  • Ma io non sono Olivier, anche se mi farebbe piacere... e poi lo vorrei vedere sul quadrato recitare se con Sugar si misurasse chissà quante ne pigliasse. (Toro scatenato)
  • Non dimenticate che il grande artista conosciuto in tutto il mondo inglese, Olivier, dopo una rappresentazione data da Eduardo De Filippo a Londra, andò a trovarlo in camerino, piegò il ginocchio e gli baciò la mano per ammirazione. (Sandro Pertini)
  • Non sopporto il modo di recitare di Laurence Olivier. È rigido, impacciato, musone, falsamente modesto e ingeneroso. [...] Io ho fame e lui mi serve un menù illustrato. (David Mamet)
  • Nonostante gli impubblicabili giudizi [di Olivier] sulla sua mancanza di esperienza e professionalità, Marilyn era in pratica apparsa nello stesso numero di film (Il principe e la ballerina fu il venticinquesimo film di lei, e il ventottesimo di lui), e i suoi rapporti con la macchina da presa erano ben più intimi di quelli di Olivier: dame Sybil aveva ragione. Assistendo al film oggi, Marilyn vi appare lieta e naturale, mentre lui sembra spesso rigido e goffo. (Colin Clark, terzo assistente alla regia)
  • Penso che Larry Olivier avesse fatto sacrifici tremendi, soprattutto per il teatro. Merita la sua posizione come primattore del teatro in lingua inglese: non ha rivali. Ma viveva con una disciplina: aveva viaggiato in abbonamento da Brighton per anni, aveva vissuto del magro salario che il National Theatre gli pagava, mantenuto da tutte quelle piccole parti nei film. [...] Marlon non ha mai avuto questo tipo di disciplina. Aveva un talento selvaggio che poteva essere imbrigliato, ma non si poteva controllare l'uomo. Certamente non aveva l'amore per il teatro che ha Larry. (Joseph L. Mankiewicz)

Note[modifica]

  1. a b c d Citato in Mike Evans, Marilyn (MQ Publications Limited, 2004), traduzione di Michele Lauro, Giunti Editore, 2006. ISBN 880904634X
  2. (EN) Citato in Silja Schriever, Marilyn by Milton Greene, earBOOKS, Germania, 2007. Libro fotografico con 2 CD. ISBN 9783940004024

Filmografia[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Laurence Olivier, Confessioni di un peccatore (Confessions of an Actor), traduzione di Francesca Caminoli, Rizzoli, 1983.

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