Gaio Lucilio

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Gaio Lucilio (180 a.C. – 103 a.C.), poeta latino.

Satire[modifica]

Libro I[modifica]

  • Cercare il tempo che diede origine ai cieli e alla terra.
aetheris et terrae genitabile quaerere tempus. (1 Warmington)
  • Gli dèi discutevano sui grandi problemi degli uomini... come Giove potesse salvare ancora il popolo e la città di Roma... e, se non più a lungo, prolungarne l'esistenza almeno di un cinquennio... e in qual modo potesse attuare il proposito e salvare le mura. (1968)
Consilium summis hominum de rebus habebant... | quo populum atque urbem pacto servare potisset | amplius romanam... | si non amplius, at lustrum protolleret unum... | munus tamen fungi et muros servare potisset.
  • Quirino: O cittadini dei cieli, vorrei, al concilio che voi dite | di aver tenuto qui un tempo, – a quel concilio, vorrei essere stato presente!
Quirinus: Vellem concilio vestrum, quod dicitis olim, | caelicolae, hic habitum, – vellem adfuissemus priore | concilio. (20-22 Warmington)
Haec ubi dicta dedit, fecit pausam ore loquendi. (18 Marx)
  • Apollo: Non c'è nessuno di noi che non sia o l'ottimo padre degli déi o il padre Nettuno o il padre Libero o il padre Saturno o il padre Marte, Giano, Quirino, e non venga chiamato con questo nome. (1968)
Apollo: Nemo sit nostrum quin aut pater optimus Divum, | aut Neptunus pater, Liber, Saturnus pater, Mars, | Ianus, Quirinus pater siet ac dicatur ad unum.
  • Dio 1: Che aspetto ha l'uomo, com'é l'espressione del volto? | Dio 2: Il volto è così come l'aspetto: il resto è morte, malattia, veleno. | Dio 3: Li farò venire a cena, e agli intervenuti per prima cosa | darò a ciascuno ventresche di tonno e filetti di branzino. | Dio 4: Ti uccidono, Lupo, sardelle e salsa di pesce siluro. (2003)
Deus I: Quae facies, qui vultus viro? (43 Marx) | Deus II: Vultus item ut facies, mors cetera, morbus venenum. (44 Marx) | Deus III: Ad cenam adducam, et primum hisce abdomina tunni | advenientibus priva dabo cephalaeaque acarnae. (49-50 Marx) | Deus IV: Occidunt, Lupe, saperdae te et iura[1] siluri. (54 Marx)

Libro VII[modifica]

  • Mi rado, mi depilo, mi striglio, mi liscio, mi agghindo, mi fo bello, mi trucco... (2005)
Rador, subvellor, desquamor, pumicor, ornor, | expolior, pingor... (1830)

Libro IX[modifica]

  • Tu non conosci l'esatto significato di «poesia», né che differenza passi fra «poesia» e «poema». Incominciamo da quello che noi chiamiamo «poema»: [...] «poema» è anche una qualsivoglia lettera non lunga; «poesia» invece è un'opera considerata nel suo complesso (una composizione unica nel suo complesso come l'Iliade, come gli annali di Ennio) ed è un'opera unica, ed è molto più ampia, come ho già detto, di un poema. Perciò dico: chi vuol criticare Omero non è che lo critichi tutto, e neppure critica ciò che ho chiamato prima la sua «poesia»; ne critica un verso solo, una parola, un concetto, un passo isolato. (1968)
Non haec quid valeat, quidve hoc intersiet illud | cognoscis. Primum hoc, quod dicimus esse poema [...] | [...] Epistula item quaevis non magna poema est. | Illa poesis opus totum, (tota Ilias una | est, una ut thesis[2] annales Enni) atque opus unum | est, maius multo est quam quod dixi ante poema. | Qua propter dico: nemo qui culpat Homerum, | perpetuo culpat, neque quod dixi ante poesin; | versum unum culpat, verbum, entymema[2], locum unum.

Libro XXII[modifica]

  • Un servo che di certo non fu poco fidato né poco utile al padrone | è qui sepolto: il piccolo pilastro della casa di Lucilio, Metrofane. (1996)
Servus neque infīdus neque inutilis quaquam | Lucili columella hic situs Metrophanes. (vv. 581s. Krenkel)

Libro XXVI[modifica]

  • Che io debba diventare un pubblicano dell'Asia, un esattore di imposte, invece che essere Lucilio, questo io non lo voglio, e al posto di questa cosa sola non vorrei in cambio tutto l'oro del mondo. (2005)
Publicanus vero ut Asiae fiam, ut scripturarius | pro Lucilio, id ego nolo, et uno hoc non muto omnia. (671-672 Marx)
  • Qui è tormentata dalla fame, | dal freddo, dalla sporcizia, dalla mancanza di bagni, lavacri e cure. (1996)
Hic cruciatur fame, | frigore, inluvie, imbalnitie, inperfunditie, incuria. (vv. 620s. Krenkel)

Libro incerto[modifica]

  • Ora dalla mattina presto a tarda notte, nei giorni di festa e di lavoro, tutto il popolo e i senatori, senza distinzione, si agitano per il fòro, e non se ne vanno mai; tutti si sono dedicati a un'unica attività, a un'unica arte: riuscire a imbrogliarsi senza darlo a vedere, combattersi con la frode, gareggiare in complimenti, fingersi galantuomini, tendersi trabocchetti, come se fossero tutti nemici l'uno dell'altro. (2005)
Nunc vero a mani ad noctem, festo atque profesto, | totus item pariterque die populusque patresque | iactare indu foro se omnes, decedere nusquam, | uni se atque eidem studio omnes dedere et arti, | verba dare ut caute possint, pugnare dolose, | blanditia certare, bonum simulare virum se, | insidias facere, ut si hostes sint omnibus omnes.[3] (1228-1234 Marx)
  • Quinto Muzio Scevola Augure: O Albucio, tu hai preferito essere detto greco, invece che romano o sabino, concittadino di Ponzio[4], di Tritano[5], concittadino di centurioni, di uomini insigni, di primipili e di alfieri. Perciò ad Atene, al tempo che ero pretore, visto che tu lo preferivi, quando ti sei presentato a me, ti ho salutato in greco: «Chaere, o Tito.». E i littori e tutta la coorte e la folla: «Chaere, o Tito.». Fu da quel momento che Albucio mi divenne nemico, da allora mi fu avversario. (1968)
Quintus Mucius Scaevola Augur: Graecum te, Albuci, quam Romanum atque Sabinum, | municipem Ponti, Tritani, centurionum, | praeclarorum hominum ac primorum signiferumque, | maluisti dici. Graece ergo praetor Athenis, | id quod maluisti, te, cum ad me accedis, saluto: | «Chaere[2], – inquam – Tite!». Lictores, turma omnis chorusque: | «Chaere, Tite!», hinc hostis mi Albucius, hinc inimicus. (89-95 Krenkel)
  • Quello che hai è quello che tu sei, | quello che sei stimato. (2003)
Tantum habeas, tantum ipse sies tantique habearis. (1120 Marx)
  • Virtù, o Albino, è l'essere capaci di dare il giusto prezzo | alle cose in mezzo a cui ci troviamo; | virtù è sapere ciò che per un uomo comporti ogni cosa; | virtù è sapere che cosa per un uomo sia retto, utile, bello, | che cosa sia bene; e poi che cosa sia male, che cosa non utile, vergognoso, brutto; | virtù è sapere qual è il limite e la misura nel cercare il guadagno; | virtù è l'essere capaci di attribuire alle ricchezze il loro prezzo; | virtù è dare agli onori ciò che effettivamente ad essi si deve, | essere nemico e avversario delle persone e dei comportamenti cattivi, | e, al contrario, essere difensore delle persone e dei comportamenti buoni; | di questi far gran conto, a questi voler bene, con questi vivere in amicizia; | è inoltre mettere al primo posto gli interessi della patria, | quindi quelli dei genitori, al terzo poi e ultimo posto i nostri. (1996)
Virtus, Albine, est pretium persolvere verum | quis in versamur, quis vivimus rebus, potesse, | virtus est homini scire id quod quaeque habeat res, | virtus scire homini rectum, utile quid sit, honestum, | quae bona, quae mala item quid inutile, turpe, inhonestum, | virtus quaerendae finem re scire modumque, | virtus divitiis pretium persolvere posse, | virtus id dare quod re ipsa debetur honori, | hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum | contra defensorem hominum morumque bonorum, | hos magni facere, his bene velle, his vivere amicum, | commoda praeterea patriai prima putare, | deinde parentum, tertia iam postremaque nostra. (vv. 1342-1354 Krenkel)

Attribuite[modifica]

  • O preoccupazioni degli uomini! Quanta inutilità c'é nelle loro cose![6] (2005)
O curas hominum! O quantum est in rebus inane! (9 Marx)

Citazioni su Gaio Lucilio[modifica]

  • Libero e franco, Lucilio era come in continua conversazione col lettore dicendo l'animo suo, e parlando de' fatti suoi, criticando eventualmente sé stesso. Dovunque trovava malvagità, vizi, o anche pregiudizi o affettazioni, egli faceva la critica, ora ragionando, ora mettendo in ridicolo – non risparmiando anche qualche amico – ora assalendo collo scherno feroce. E in tutti i campi della vita egli esercita il suo giudizio. (Carlo Giussani)
  • Lucilio si può chiamare [dopo Ennio] il secondo e il vero fondatore della satira, perché egli v'impresse quel carattere, se non esclusivo, prevalente che in essa si fissò, e diventò anche esclusivo nella satira come l'intendiamo noi: la critica di uomini e cose in forma di derisione. (Carlo Giussani)
  • Me ne vado: Lucilio ha morso a sangue la città, | te, o Lupo, e te, o Muzio... e ci si è rotto un molare. (Persio)

Orazio[modifica]

  • Garbato, naso fino, duro però nel mettere assieme i suoi versi. Il suo difetto? Eccolo: in un'ora, come fosse gran cosa, dettava sovente duecento versi, e reggendosi su un piede soltanto. Siccome scorreva fangoso, c'erano cose che avresti voluto levare; era ciarliero e insofferente della fatica di scrivere, di scrivere bene.
  • «Ha fatto però una cosa non da poco: ha mescolato parole greche alle parole latine». O ritardatari delle belle lettere, ritenete davvero difficile e meravigliosa una cosa che riesce perfino a Pitoleone da Rodi?
  • Io mi diletto di chiudere le parole nel verso, alla maniera di Lucilio, migliore di me e di te. Come a fedeli compagni, ai libri egli soleva affidare i suoi segreti, né altrove ricorreva se le cose gli andavano male, né se gli andavano bene: perciò avviene che tutta la vita di questo vecchio ci sta davanti agli occhi, come fosse dipinta su un quadretto votivo.
  • Sia pure, io dico, che Lucilio fosse garbato ed urbano, sia pure ch'egli fosse più limato di quanto non sia in genere l'iniziatore di una poesia nuova e intentata dai Greci e più anche di tutto il gruppo dei poeti più antichi; ma anche lui, se il destino l'avesse fatto scivolar giù fino ai nostri giorni, eliminerebbe molte cose dai suoi versi e tutto il superfluo, che si trascina al di là dell'espressione compiuta, lo taglierebbe via e, nel comporre il verso, si gratterebbe spesso la testa e si roderebbe le unghie fino alla carne viva.

Note[modifica]

  1. Iura: Con significato di «salse», non di «leggi». (Francesco Della Corte).
  2. a b c Lucilio, abusando di termini greci, attira contro di sé gli strali di Orazio.
  3. Cfr.: Thomas Hobbes, De cive, 1, 12.
  4. Cittadino di probabili origini sannitiche.
  5. Uomo di forza erculea, di probabili origini sannitiche.
  6. Citato in Persio, Satire, libro I, verso 1.

Bibliografia[modifica]

  • Corrado Carini e Maria Pezzati, Selecta: storia e antologia della letteratura latina, Casa editrice G. D'Anna, Firenze 2005. ISBN 9788881047567
  • Gian Biagio Conte ed Emilio Pianezzola, Corso integrato di letteratura latina. Per le Scuole superiori vol. 1-2: Alta e media Repubblica­L'età di Cesare, Edumond Le Monnier, Firenze 2003. ISBN 9788800423175
  • Francesco della Corte, Antologia degli scrittori latini. Per le Scuole superiori, Loescher, Torino 1968. ISBN 9788820110833
  • Giovanna Garbarino, Letteratura latina. Storia e antologia con pagine criticheExcursus sui generi letterari. Per le Scuole superiori – 1, Paravia, Torino 19962. ISBN 9788839531018
  • Werner Krenkel, Lucilius, Satiren, Lateinisch und deutsch, Brill, Berlino 1970.
  • A. Perreau, A. Persius Flaccus cum interpretatione latina lectionum varietate adnotationibusque novis: item Lucilii Fragmenta, Satira Sulpiciae, Parisiis: N.E. Lemaire, 1830.
  • Friedrich Marx, C. Lucilii carminum reliquiae : recensuit enarrauit Fridericus Marx, Hakkert, 1963.

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