Luigi Garlando

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Luigi Garlando (1962 – vivente), giornalista e scrittore italiano.

Citazioni di Luigi Garlando[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Nessuno è stato grande come Gaetano, perché gli altri, compresi i sommi Beckenbauer e Baresi, erano difensori che avanzavano, lui era difensore in difesa, centrocampista vero a centrocampo, attaccante vero in attacco. Era unico.[1]
  • "Meazza faceva così" riprende il Giacomo: "si fermava davanti al portiere, lo invitava a uscire, come il torero col drappo rosso in pugno: Aca toro!. Il portiere usciva dai pali, il Peppino lo aggirava e metteva il pallone in rete. Un giorno lo ha fatto per ben tre volte col portiere della Roma, Ballante: tre gol. La quarta volta il guardiano è rimasto inchiodato sulla linea di porta. Il Peppino allora ha fatto qualche passo avanti e ha messo in rete senza problemi. Ballante ha festeggiato col gesto dell'ombrello: Tiè!. Meazza gli ha fatto notare: Guarda che il pallone è entrato. Lo so – ha risposto il numero uno –. Però stavolta non mi hai fregato. Non sono uscito! Capisci, Ambrogio? Il Peppino faceva diventare matti i portieri".[2]
  • La gente pensa che i calciatori dal campo vedano soltanto un muro informe, invece riconoscono nitidamente i volti, le espressioni, leggono perfino le parole sulle labbra, perché lo stadio è un cannocchiale: da un lato gli spettatori vedono i giocatori, dall'altro i giocatori osservano i tifosi da vicino. Se ti odiano, ti insultano, o ti urlano buuu, non puoi non farci caso, ignorare quelle facce deformate e tirare dritto senza danni. Anche se scappi veloce sulla fascia, ti arriva tutto sulla schiena, come una frustata.[3]
  • Il tunnel che porta da uno spogliatoio a un campo di calcio è sempre un fascio di emozioni. È l'intestino che collega il santa sanctorum della squadra, la zona più intima, all'altare della celebrazione pubblica, la zona più esposta; un piccolo ponte nascosto che unisce due galassie distanti anni luce. È una vena che in un verso, dallo spogliatoio al campo, fa scorrere sangue limpido di sogni e nell'altro, dal campo allo spogliatoio, diventa spesso un'arteria di sangue intossicato: Materazzi che brutalizza Cirillo e zuffe varie. È praticamente impossibile attraversare quel ponte con pulsazioni regolari.[4]
  • Johan Cruijff [...] era un attaccante che costruiva gioco e che trovavi anche in difesa. Era tutto. Se proprio vogliamo definirlo: era un calciatore in viaggio perenne con la palla al piede.[5]
  • Zdenek Zeman, quando si poteva ancora, vestiva di fumo in panchina. Nuvole come fumetti di un grande pensatore che ha ridisegnato le linee di gioco in campo, con attaccanti che correvano come nei cartoni animati, ma fumo anche come metafora dell'inconsistenza delle sue difese che troppo spesso si squagliavano nell'aria.[6]
  • Il portiere nella interpretazione moderna del gioco è percepito come un guastafeste, come un imbucato alla festa, come una specie di terrorista che cospira contro la felicità pubblica. Se la gioia del calcio è il gol e se i padroni del circo hanno interesse a vendere televisivamente lo spettacolo più gioioso possibile, è chiaro che chi si affanna per non fare entrare i palloni in rete diventa un eversivo e, come tale, deve essere perseguito e limitato.[7]
  • Un portiere è un angelo. Ha scelto quel ruolo perché ama volare. Ha deciso di barattare la sua sofferta unicità (la maglia diversa, la solitudine, la distanza dall'abbracio dei compagni quando segnano) con quel privilegio: poter volare.[7]

Zanetti ancora una partita, poi fai il Facchetti

Gazzetta.it, 30 aprile 2013

  • Javier Zanetti è una figurina che ogni padre metterebbe in mano al proprio figlio come un santino, a prescindere dal campanile del tifo: gioca come lui, comportati come lui. Il capitano nerazzurro è da anni una stella polare indicata ai giovani che si incamminano nello sport. La sua lezione più preziosa è la dignitosa accettazione della sconfitta e l'orgoglioso sforzo per ripartire. Una lezione straordinariamente moderna oggi che ai ragazzi si insegna altro: che la sconfitta è la spia del fallimento, da evitare in tutti i modi, e non un passaggio naturale e istruttivo per migliorarsi.
  • Zanetti ha annodato una all'altra quelle delusioni e ne ha fatto una corda solidissima con cui si è arrampicato fino alla gloria somma del Triplete. La sua traiettoria calcistica ha la forza di una parabola.
  • La rottura del tendine d'Achille non è un infortunio come gli altri, è un crollo da usura, è il corpo che dice basta, è la campanella dell'ultimo giro.
  • Una grande bandiera smette di appartenere solo a se stesso, deve rendere conto anche a chi la sventola: chi lo ama vuole che resti il trattore che arava la fascia, che sradicava palloni, che si avvitava su stesso e ripartiva inarrestabile. Almeno nel ricordo.

Per questo mi chiamo Giovanni. Da un padre a un figlio il racconto della vita di Giovanni Falcone[modifica]

Incipit[modifica]

Papà entrò in camera mia dopo cena. Seduto alla scrivania, stavo ripassando la lezione di storia. Eravamo arrivati a Garibaldi che libera tutta la mia Sicilia, poi a un certo punto riceve una lettera e risponde: "Obbedisco". Solo quello: "Obbedisco". Era un punto che non mi risultava chiarissimo: perché doveva fermarsi e tornare indietro, visto che continuava a vincere battaglie su battaglie? Probabilmente, quando la maestra l'aveva spiegato in classe, mi ero distratto.

Citazioni[modifica]

  • «Giovanni [Giovanni Falcone] è venuto al mondo coi pugni chiusi come un pugile e gli è entrato dalla finestra il simbolo della pace. Questa è la cosa strana, papà.»
    «Non è strano. La pace non arriva mai in volo per conto suo, bisogna sempre conquistarla e difenderla, a volte anche con la forza.» (p. 18)
  • [Mafia] È una parola molto antica. Pensa, appare per la prima volta in un vocabolario nel 1868, con due significati: "miseria" e "prepotente". L'autore del vocabolario spiega che la mafia è la "miseria" di chi crede che vale solo la legge del "prepotente". E aggiunge: quell'uomo si crede tanto importante grazie alla sua forza e invece è una bestia, perché solo tra le bestie la ragione sta dalla parte del più forte. Si sente un uomo rispettato, un "uomo d'onore", e invece è come un animale. 1868: più di un secolo fa. (p. 38)
  • A forza di accettare l’ingiustizia, non vedrai più l’ingiustizia. (p. 38)
  • Ricordati la data di quel vocabolario: 1868. Dopo oltre un secolo di ingiustizie del genere, la mafia, l'insieme di quei prepotenti che si credono grandi uomini e invece sono bestie, è diventata una legge accettata da molti, in Sicilia, rispettata come la legge dei sindaci e della polizia. Anzi, spesso le due leggi sono la stessa cosa, perché ci sono poliziotti e sindaci che stanno dalla parte della mafia. (pp. 39-40)
  • Quando ti dico che Giovanni dovrà combattere un mostro senza volto, voglio dire anche questo: un mafioso non è un indiano in assetto da guerra che riconosci subito dalla faccia dipinta. Un mafioso può essere vestito da salumiere, da imbianchino o magari da carabiniere… (p. 40)
  • Giovanni, alla fine di quel processo, commenta: "La giustizia è stata sconfitta". Ma una battaglia persa spesso aiuta a vincere quella successiva. (p. 41)
  • Sai come si chiama la corona di foglie del carciofo? […] Cosca. Ma è una parola che non si usa quasi più, adesso ha un altro significato: gruppo di mafiosi. Cosca o anche famiglia. Quando Giovanni tornò a lavorare a Palermo, la città era come questo carciofo: ogni quartiere, una cosca di mafiosi. (pp. 42-43)
  • «Devi fare un giuramento, promettere fedeltà e rispettare la cosca. […] Con una cerimonia. Un uomo, di solito abbastanza anziano, un uomo d'esperienza pronuncia un discorso all'aspirante mafioso, mentre altri due membri della famiglia ascoltano e fanno dei testimoni. […] Nel discorso il mafioso denuncia le ingiustizie sociali e ricorda che la cosa si preoccupa di difendere i deboli, gli orfani, le vedove… […] Nel giuramento non si parla mai di mafia. Tra loro non pronunciano mai la parola. Dicono la cosa.» […]
    «Quindi l'uomo d'onore parla, i due testimoni ascoltano. E quello che deve entrare nella famiglia?»
    «Ascolta anche lui. Gli chiedono se accetta di entrare nella cosa, lui risponde di sì, allora l'uomo d'onore chiede ai due testimoni di pungere il dito del nuovo mafioso con una spina di arancia amara e di versare una goccia di sangue su un'immaginetta sacra. Infine bruciano la figurina: il nuovo mafioso deve tenerla in mano finché il fuoco si spegne e pronunciare queste parole: "Le mie carni debbono bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento". […] Comunque, finito il fuoco, l'uomo d'onore che dirige il rito, svela al nuovo mafioso che la cosa ha un nome: Cosa Nostra.» (p. 43-44-45-46)
  • Ricorda: è una forma di giuramento molto antica. Forse un tempo c'era davvero bisogno di associazioni che difendessero i più deboli, quando l'Italia era appena nata, ai tempi di Garibaldi, e lo Stato non aveva ancora istituzioni forti, ma oggi noi abbiamo le leggi, la polizia, i giudici. Devono essere loro a combattere le ingiustizie per noi. Non possono esserci due maestre nella stessa classe. In realtà oggi gli uomini d'onore – perché tra loro i mafiosi si chiamano così: uomini d'onore – hanno ben altri interessi. (p. 44-45)
  • L’omertà è la più grande qualità dell’uomo d’onore: nun lu sacciu, non lo so, non ho visto. Per me è vero il contrario: la più grande qualità di un uomo è aiutare la giustizia a punire i colpevoli e a liberare la gente dalla paura dei prepotenti. (p. 55)
  • Quando la pianta è ancora piccola è più facile raddrizzarla. Più cresce storta, più sarà difficile farlo dopo. Anche da piccoli si può combattere contro il mostro. Abituarsi alle prepotenze, scambiarle per leggi giuste, è già un modo di perdere la guerra. (p. 56)
  • Il mostro si presenta spesso così: come un benefattore. Facci caso. Mafia è una parola femminile e inizia come mamma: suona dolce, protegge… (p. 57)
  • L'amore è un mostro invincibile che arriva dappertutto. (p. 65)
  • Il 16 luglio 1984, in una stanza della Criminalpol del Lazio, don Masino [Tommaso Buscetta] comincia a parlare. La sua confessione inizia così: "Sono stato un mafioso e ho commesso degli errori. Nell'interesse della società, dei miei figli, dei giovani, sono pronto a dire tutto quello che so a proposito di quel cancro che ha nome mafia, affinché le nuove generazioni possano vivere in un mondo più degno e più umano. Vedi? Anche lui, nel momento in cui si pente, pensa ai giovani, come Rocco [Rocco Chinnici], che andava a parlare nelle scuole: sono due persone molto diverse, ma sanno tutti e due che il mostro può esser sconfitto solo da chi non accetta la sua legge ingiusta, fin dall'inizio. È da piccoli che bisogna cominciare a dire no alla mafia. (pp. 77-78)
  • Ma la mafia vive da secoli, ha la saggezza dei vecchi, sa come va il mondo, sa che bisogna aspettare che passino i momenti difficili e poi rimettersi in piedi. C'è un proverbio siciliano che dice: Calati juncu ca passa la china, "Piegati giunco che passa la piena". In attesa che passi la piena, cioè il momento difficile, il mostro prepara la sua vendetta, che non è fatta solo di bombe, ma anche di calunnie, accuse anonime, sospetti. Le parole possono ferire più dei proiettili, e se ne possono sparare anche più di seicento al minuto. La lingua non va ricaricata, è anche meglio di un kalashnikov. (pp. 94-95)
  • «Quell'uomo [Giovanni Falcone] era morto anche per me, per difendere i miei negozi, la mia casa, la mia città. Per lottare contro il mostro al posto mio aveva rinunciato ad avere un figlio, cioè alla gioia più grande che si possa provare sulla terra. Nessuno meglio di me quel sabato di maggio poteva capire i suoi sacrifici.»
    «Per questo, papà, io mi chiamo Giovanni?»
    «Si. Per questo ti chiami Giovanni.» (p. 120)
  • Il futuro è il tempo della speranza. (p. 131)
  • Prima di Giovanni non c'era tutta questa fiducia in un futuro migliore per Palermo e per la Sicilia. C’era rassegnazione: la mafia è sempre esistita e sempre esisterà. Magari scompare per un po’, ma poi ritorna come le zanzare. Giovanni invece ha dimostrato che si può sconfiggere il mostro, si può metterlo in gabbia e ha dato l’esempio da seguire. (p. 131)

Note[modifica]

  1. Da L'esempio di Scirea, una favola che vive, La Gazzetta dello Sport, 3 settembre 1999.
  2. Da Ora sei una stella, Mondadori; citato in L'invito di Meazza, Gazzetta.it, 10 luglio 2007.
  3. Da Buuu, con Mario Balotelli, Einaudi, 2010, ISBN 978-88-06-20492-1
  4. Citato in Mancini e Valdifiori nel tunnel delle emozioni, Sportweek, 11 aprile 2015.
  5. Da C'era Cruijff sulla Luna con Armstrong, Sportweek nº 25 (942), 22 giugno 2019, p. 11.
  6. Da L'abito fa il tecnico, Sportweek nº 38 (955), 21 settembre 2019, p. 13.
  7. a b Da Che autogol il rigore sui rigori, Sportweek nº 39 (956), 28 settembre 2019, p. 11.

Bibliografia[modifica]

  • Luigi Garlando, Per questo mi chiamo Giovanni. Da un padre a un figlio il racconto della vita di Giovanni Falcone, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2012. ISBN 978-8817055772
  • Luigi Garlando, Ora sei una stella. Il romanzo dell'Inter, Mondadori, Milano, 2007. ISBN 978-88-04-56476-8

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