Luigi Morandi

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Luigi Morandi (1844 – 1922), educatore, scrittore, grammatico, e poeta italiano.

Come fu educato Vittorio Emanuele III[modifica]

  • Giovane ancora, e con tutta la sua rigidezza compitissimo e simpaticissimo, egli [Egidio Osio] apparteneva allo stato maggiore; aveva fatto le campagne del 1859, 60 e 66, segnalandosi alla presa di Capua; aveva seguito gl'Inglesi nella spedizione contro re Teodoro d'Abissinia; era stato addetto militare alla nostra Ambasciata a Berlino, e, dottissimo, studiava sempre: io lo trovavo quasi ogni mattina con un classico latino in mano, e in verità avrei giurato che in vita sua non avesse fatto mai altro che lo studioso e l'educatore. Come semplice curiosità, voglio anche notare ch'egli discende dalla medesima cospicua famiglia di quel suo omonimo Egidio, reso tristamente celebre dal Manzoni nella storia della Monaca di Monza. (cap. II, pp. 11-12)
  • Facendo ogni anno i bagni e prendendo insieme lezione di nuoto a Venezia (s'è poi sempre mantenuto appassionato del mare e nuotatore abilissimo), aveva imparato il veneziano con tanta facilità, che la Marchesa di Villamarina mi raccontava d'esserne rimasta maravigliata lei e la Regina. Più agevolmente ancora aveva potuto imparare il piemontese, perché a Corte lo parlavano spesso e volentieri quasi tutti. (cap. IV, p. 32)
  • Ordinariamente, continuava a studiare più o meno persino durante i bagni, o le gite e i viaggi, intorno ai quali doveva scrivere diari o relazioni, con cui, mi disse un giorno scherzando, gli si avvelenava il divertimento. (cap. V, p. 36)
  • È noto che Ruggero Bonghi scrisse nel 1885, che nessuno de' nostri giovani veniva istruito con maggior cura e più scrupolosa diligenza del futuro Re d'Italia. Ma io posso aggiungere che lo stesso Bonghi, di cui l'ingegno e la dottrina erano una continua umiliazione per gli altri, disse a me che il Principe [di Napoli], con le acute e inaspettate domande, metteva soggezione. (cap. VI, p. 53)
  • Un'occupazione intellettuale, a cui il Principe si dedicò fin da giovinetto, e che poi, pure attendendo seriamente a tante altre cose, non abbandonò quasi mai, fu la numismatica.
    Vi si avviò da sé, a dieci o undici anni, con un umile soldo di Pio IX; da sé cambiò metodo, quando s'accorse che con l'abbracciar troppo stringeva poco, e da sé finisce con la grandiosa idea del Corpus Nummorum Italicorum.
    È uno dei più begli esempi d'autodidattica che si conoscano. (cap. XVII, p. 133)

Origine della lingua italiana[modifica]

Incipit[modifica]

Non paia strano ch'io cominci il mio ragionamento col combattere il titolo, che io stesso gli ho dato.
Le parole: Origine della Lingua italiana, presentano la questione nel modo come è concepita dai più, e sono anche il titolo più comune, col quale viene trattata. Io quindi le ho messe nel frontespizio, per non rendermi singolare, ma insieme per aver subito occasione di dimostrare, che esse non rispondono bene a una trattazione rigorosa della materia, e conducono necessariamente fuori di strada chi le accetta per guida.
Infatti, è o non è lingua italiana quella usata da monsignor Giovanni della Casa nel suo famoso Galateo? Sicuro, è lingua italiana; e così bisogna chiamarla, non foss'altro, perché non si saprebbe chiamare diversamente.
Eppure, io trovo che la prima parola di codesto libro è un conciossiacosaché, parola che di certo non fu mai usata parlando; e trovo che il cavalier Lionardo Salviati, volendo fare il maggiore degli elogi al medesimo libro, dice che in esso, "cosa che appena par da credere, l'Autore la moderna legatura delle parole, ed il moderno suono, mentre continuo l'aveva nell'orecchie, si potette dimenticare."
Quindi, accanto a quella usata dal Casa, e da essa più o meno diversa per vocaboli e per costrutti, c'era un'altra lingua italiana, cioè la parlata. Di quale, dunque, di queste due lingue dovrò io raccontare l'origine?
Della parlata, soprattutto, – mi par di sentirmi rispondere. E sta bene.
Ma, parlata, dove?

Citazioni[modifica]

  • [...] nel secolo passato, il nostro Quadrio scriveva che "ad un parto con la Lingua Latina, e sorella di essa, nacque l'Italiana odierna Favella dalla Pelasga, dall'Osca, dalla Greca e forse ancor dall'Ebraica... Anzi, siccome le cose imperfette esistono prima, che le perfette; così non andrebbe lungi dal vero chi opinasse, che l'odierna Lingua Italiana fosse prima, che la cólta Latina."[1] Argomentazione, la quale potrebbe benissimo mutarsi in quest'altra: siccome le cose imperfette esistono prima che le perfette, così non andrebbe lungi dal vero chi opinasse, che il cervello del Quadrio fosse un cervello antidiluviano. (cap. II, p. 8)

Incipit di alcune opere[modifica]

La ritrosa[modifica]

Voi sete pura più che neve al monte,
Ma sete altera quanto una regina;
Una grazia di Dio vi brilla in fronte,
Ma il vostro sguardo punge come spina:
Avete tolto la freschezza al fonte,
Lo splendore a la stella mattutina.

Note[modifica]

  1. Della Storia e della Ragione d'ogni poesia; Bologna, 1739; vol. I, pag. 42. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]