Théophile Gautier

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Théophile Gautier

Pierre Jules Théophile Gautier (1811 – 1872), scrittore, poeta, giornalista e critico letterario francese.

Citazioni di Théophile Gautier[modifica]

  • A nostro avviso Tiziano è il solo artista completamente "sano" che sia esistito dopo l'antichità. Egli possiede la serenità possente e forte di Fidia; in lui, nulla di morboso, nulla di tormentato, nulla d'inquieto: la malattia moderna non l'ha sfiorato. È bello, robusto e sereno come un artista pagano dei tempi migliori.[1]
  • «Ah!», continuò Cleopatra, «[...] tutto mi è indifferente, tutto mi è insopportabile!»
    «Si vede bene», disse fra sé Carmione, «che la regina non ha avuto amanti e non ha fatto uccidere nessuno da un mese.»[2]
  • [La Basilica di San Marco] [...] colossale reliquiario delle città scomparse, cattedrale di pirati arricchita dalle spoglie dell'universo.[3]
  • Conquistare l'amicizia di un gatto è cosa ardua. È una bestia filosofica, posata, tranquilla, che tiene molto alle sue abitudini, all'ordine e alla pulizia, e che non ripone a caso il suo affetto; può esservi amico, se ne siete degno, ma mai il vostro schiavo.[4]
  • [Su Antoine Watteau] Costruire con poche pennellate un mondo di grazia, giovinezza, amore e freschezza...[5]
  • Di veramente bello c'è soltanto quel che non può servire a niente; tutto ciò che è utile è brutto, perché è espressione di qualche bisogno, e i bisogni dell'uomo sono ignobili e disgustosi come la sua povera e inferma natura.[6]
  • I gatti sono le tigri dei poveri.[7]
  • In generale, quando una cosa diventa utile cessa di essere bella.[8]
  • La folla è come l'acqua che fugge le alte cime; | dove non è il suo livello essa non giunge mai. | Senza prendere per piacerle una pena inutile, | non mettere scale al tuo pensiero ardito.[9]
  • La musica è il più caro e il più sgradevole dei rumori.[10]
La musique est le plus cher, mais le plus désagréable des bruits.
  • Mentre che dietro pensieri malvagi | corre la gente con gran bramosia, | Marzo sghignazzando tra i nubifragi | schiude ai fiori di nascosto la via.[11]
  • Per chi è appena sbarcato in America, tutti i neri sono neri, indistinguibili l'uno dall'altro. Alla stessa maniera, a occhi inesperti, tre gatti neri sono tre gatti neri; ma gli osservatori più acuti non commettono un simile errore. La fisionomia felina è altrettanto varia di quella umana [...].[12]
  • Quando crebbero [i gattini] sprezzarono questi frivoli giochi e acquisirono il temperamento calmo e filosofico ch'è proprio dei gatti.[12]
  • Se una barca ci passava accanto con i suoi toni reali, i suoi alberi color salmone e i suoi dettagli nettamente stagliati, sembrava, in quell'azzurro d'elisio, un pallone fluttuante nell'aria; impossibile sognare nulla di più fiabesco di quell'infinito luminoso!
    In fondo emergeva lentamente, tra l'acqua lattiginosa e il cielo madreperlaceo, cinto dalla sua corona murale merlata di torricelle, il magnifico profilo di San Pietroburgo, i cui toni d'ametista separavano con una linea di demarcazione quelle due pallide immensità. L'oro scintillava in pagliuzze e aghi su quel diadema, il più ricco, il più bello che abbia mai portato la fronte d'una città. [...] Nulla era più splendido di quella città d'oro sull'orizzonte d'argento, dove la sera aveva i biancori dell'alba.[13]
  • Sì, l'opera esce più bella da una forma ribelle al lavoro dell'artista, verso, marmo, onice, smalto.[14]
  • Sono un uomo per il quale il mondo esteriore esiste.[15]
  • [La Basilica di San Marco] [...] una grande Bibbia d'oro, istoriata, miniata, fregiata: un Messale del Medio Evo in grande scala. Da otto secoli, una città sfoglia questo monumento come un libro illustrato.[3]

Il Capitan Fracassa[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Sur le revers d'une de ces collines décharnées qui bossuent les Landes, entre Dax et Mont-de-Marsan, s'élevait, sous le règne de Louis XIII, une de ces gentilhommières si communes en Gascogne, et que les villageois décorent du nom de château.

[Théophile Gautier, Le Capitaine Fracasse, Charpentier, Paris, 1866.]

Massimo Bontempelli[modifica]

Sul pendio d'una di quelle colline scarne che ondulano le Lande, tra Dax e Mont-de-Marsan, sorgeva, sotto il regno di Luigi XIII, una di quelle tane di nobili, tanto comuni in Guascogna, che i paesani onorano del nome di castello.

[Théophile Gautier, Il Capitan Fracassa, traduzione di Massimo Bontempelli, Istituto editoriale italiano, 1927.]

Alfredo Jeri[modifica]

Sul rovescio d'una delle tante colline calve e gobbe sparse nelle Lande, fra Dax e Mont-de-Marsan, si levava, sotto il regno di Luigi XIII, una di quelle dimore signorili che in Guascogna sono così comuni e a cui i contadini attribuiscono il titolo di castelli.

[Théophile Gautier, Il Capitan Fracassa, traduzione di Alfredo Jesi, Rizzoli, Milano, 2010 (edizione digitale). ISBN 978-88-58-61147-0.]

Giuseppe Lipparini[modifica]

Di là da una di quelle colline calve e gobbe sparse per le Lande, tra Dax e Mont-de-Marsan, si ergeva, regnando Luigi XIII, una di quelle case di campagna che son così comuni in Guascogna e che i villani chiamano pomposamente castelli.

Citazioni[modifica]

  • La solitudine non vuole esser sorpresa ignuda e si difende con ogni sorta d'ostacoli. (cap. I, Il castello della miseria; 1958)
  • [...] tardi si tappano le falle di una nave quando affonda [...]. (cap. I, Il castello della miseria; 1958)
  • [...] l'oblio [...] sui morti cresce più presto dell'erba [...]. (cap. I, Il castello della miseria; 1958)
  • L'opera dello scrivere è in questo inferiore a quella del dipingere, ché lo scrittore non può mostrare gli oggetti se non uno dopo l'altro. (cap. II, Il carro di Tespi; 1958)
  • [...] i grandi appetiti sono muti come i grandi dolori [...]. (cap. II, Il carro di Tespi; 1958)
  • [...] se si suol dire che non v'è rosa senza spine, vi sono, in compenso, spine senza rose. (Sigognac: cap. II, Il carro di Tespi; 1958)
  • [...] dalle ragazze più belle discendono le vecchie più orrende. (Blazio: cap. III, L'albergo del "Sole turchino"; 1958)
  • L'amore per esprimersi non trova mai parole abbastanza vivaci. (cap. IV, Briganti spaventapasseri; 1958)
  • In verità, il teatro non è dunque la vita in iscorcio, il vero microcosmo cercato dai filosofi nelle loro fantasticherie ermetiche? Non chiude esso nel suo cerchio il complesso delle cose e le varie fortune degli uomini rappresentate al vero per mezzo di logiche finzioni? (cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • [...] la spada è un'amica fedele, custode della vita e dell'onore del suo signore. Non l'abbandona mai nelle sciagure, nei pericoli, nei cattivi incontri, come fanno gli adulatori, vile genia parassita della prosperità. (Blazio: cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • La modestia [...] è come un rossetto interno [...]. (cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • Ciò che fa allontanare il marito può essere ancora la delizia dell'amante. Amore è bendato, ma Imene no. (cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • I romanzieri hanno naturalmente in dito l'anello di Gige, che rende invisibile chi lo porta. (cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • I mariti fanno quello che possono; ma gli amanti debbono essere senza difetti. (Giovanna: cap. V, In casa del signor marchese; 1958)
  • [...] i comici hanno anche questa miseria, che in loro neppure la morte può essere grave. (cap. VI, Effetto di neve; 1958)
  • «Ebbene! Che c'è?» disse il servo da commedia, com'ebbe raggiunti i compagni. «Matamoro è dunque malato, da portarlo così, tutto stecchito come se avesse inghiottito il suo spadone?»
    «Non è malato» rispose Blazio «anzi gode una salute di ferro. Gotta, febbre, catarro, renella non posson più niente su lui. È guarito per sempre d'una malattia per cui nessun medico, neppure Ippocrate, Galeno o Avicenna, ha trovato rimedio; cioè la vita, che è quella che ci fa morire.»[16] (cap. VI, Effetto di neve; 1958)
  • «In parole povere» disse Blazio «tu vorresti mangiare. Polifemo, orco, Gargantua, Golia, mi fai schifo.»
    «E tu, tu vorresti bere» replicò il Tiranno. «Sabbia, spugna, otre, imbuto, barile, sifone, tu mi fai compassione.» [insulto] (cap. VII, In cui il romanzo dà ragione del titolo; 1958)
  • Una cosa dimenticata, ritorna come nuova. (Erode: cap. VIII, Le cose s'imbrogliano; 1958)
  • Quando il soldato si nasconde dietro i merli della torre, vuol dire che la freccia dell'assediante ha raggiunto il bersaglio. (Duca di Vallombrosa: cap. VIII, Le cose s'imbrogliano; 1958)
  • [...] noi attrici, quando non siamo brutte, possediamo due bellezze, una composita e una naturale: la maschera e il volto. Spesso, la gente preferisce la maschera, anche se il volto è grazioso. (Zerbina: cap. VIII, Le cose s'imbrogliano; 1958)
  • Una donna che ha un amante, può anche averne due, come dice il proverbio; ma una donna che ha un amore è assai difficile vincerla, perché ha già quello che voi le offrite. (Rigogolo: cap. VIII, Le cose s'imbrogliano; 1958)
  • [...] ben pochi hanno il coraggio di mostrarsi vili davanti alla gente. (cap. IX, Stoccate, bastonate e avventure diverse; 1958)
  • [...] nulla accende il desiderio come il fare pudico d'un'ingenuità artefatta. (cap. XIII, Assalto doppio; 1958)
  • Frango nec frangor,[17] questo è il mio motto. (Duca di Vallombrosa: cap. XIII, Assalto doppio; 1958)
  • [...] è sempre bene avere una spia nella fortezza, anche se questa è inespugnabile. Alle volte, la guarnigione si addormenta, e si fa presto ad aprire una postierla, di dove entra il nemico. (cap. XIII, Assalto doppio; 1958)
  • [...] quel secolo di spadaccini e di raffinati [...]. (cap. XIV, Gli scrupoli di Lampourde; 1958)
  • [...] anche la più pura virtù non è insensibile alla lode, e [...] perfino la modestia sa ricompensare l'adulazione. (cap. XV, L'opera di Malartic; 1958)
  • [...] quando vi canta presso l'usignuolo, è fastidio sentire in un angolo un corvo che gracchia. (cap. XV, L'opera di Malartic; 1958)
  • Un coltello è un amico fedele; e non tradisce il padrone, purché questi gli dia da bere; perché il coltello ha sete. (Chiquita: cap. XVI, Vallombrosa; 1958)
  • La violenza chiama la violenza, e la perdona [...]. (Principe di Vallombrosa: cap. XVII, L'anello di ametista; 1958)
  • Anche l'assuefazione a una pena ha la sua attrattiva; e talora noi rimpiangiamo meno certe gioie che certe tristezze. (cap. XIX, Ragnateli ed ortiche; 1958)
  • Pensava [Sigognac] che gli animali non fossero pure macchine, anzi concedeva loro un'anima, di natura inferiore a quella degli uomini ma pure capace d'intelligenza e di sentimento; la quale opinione, d'altra parte, è quella di tutti coloro che, essendo vissuti lungo tempo in solitudine, con la sola compagnia di un cane, d'un gatto o di un altro animale, hanno avuto modo di osservarlo e di aver rapporti con lui. (cap. XXII, Il castello della felicità; 1958)

Il romanzo della mummia[modifica]

Incipit[modifica]

Prologo
«Ho il presentimento che troveremo nella valle di Biban El Molûk una tomba inviolata», diceva a un giovane inglese di nobile aspetto un personaggio molto più umile, mentre si asciugava con un gran fazzoletto a riquadri blu la fronte calva imperlata di sudore quasi fosse stata plasmata nell'argilla porosa e riempita d'acqua come un orcio di Tebe.
«Che Osiride vi ascolti», rispose al dottore tedesco il giovane lord: «è un'invocazione che ci possiamo permettere davanti all'antica Diospolis magna ma siamo già stati delusi molte volte; i cercatori ci hanno sempre preceduto».

Citazioni[modifica]

  • Si sarebbe detto un dio ibiocefalo, come se ne vedono negli affreschi funebri, confinato in un corpo di studioso in seguito a qualche trasmigrazione. (p. 21)
  • La mia franchezza mi vieta di contraddire Sua Signoria: spero di ricavare un buon prezzo dalla mia scoperta; ognuno vive, in questo mondo, della sua piccola industria: io esumo Faraoni e li vendo agli stranieri. Il Faraone diventa raro, col ritmo con cui si lavora; non ce n'è per tutti. L'articolo è richiesto e non ne fanno più da tanto tempo. (p. 23)
  • [...] i nostri fiori appassiscono presto mentre dopo più di tremila anni le testimonianze di quegli antichi dolori si ritrovano intatte, perché l'Egitto non può fare nulla che non sia eterno. (p. 27)
  • Quando si è tristi bisogna mescolarsi alla folla. La solitudine nutre i pensieri cupi. (p. 53)
  • La speranza è dura a morire per un cuore innamorato. (p. 96)
  • La fortuna in battaglia è mutevole; a un disastro c'è rimedio. (p. 98)
  • E io che i desideri precorro, ho desiderato qualcosa; ho capito che non ero tutto. [...] Mi sembrava che non ci fosse sulla terra un essere simile a me che potesse turbarmi [...]. [...] Ma ti ho vista; ho provato un sentimento bizzarro e nuovo; ho capito che esisteva fuori di me un essere necessario, imperioso, fatale, del quale non avrei più potuto fare a meno, e che aveva il potere di rendermi infelice. Ero un re, quasi un dio; o Tahoser! tu hai fatto di me un uomo! (cap. XIII, p. 118)

Madamigella di Maupin[modifica]

Incipit[modifica]

Ti lagni, caro amico, della scarsa frequenza delle mie lettere. – Che vuoi che ti scriva, se non che sto bene e che ho sempre il medesimo affetto per te? – Son cose che sai benissimo, e così naturali alla mia età, e con le belle doti che tu possiedi, ch'è quasi ridicolo far percorrere cento leghe a un miserabile foglio di carta per non dire niente di più. – Ho un bel ricercare: non ho nulla che valga la pena d'ssere riferito: – la mia vita è la più uniforme del mondo, e nulla viene a interromperne la monotonia. Oggi porta con sé domani, come ieri aveva portato oggi; e senza aver pretesa d'esser profeta, posso audacemente predire al mattino ciò che mi accadrà la sera.

Citazioni[modifica]

  • Può darsi che, non trovando nulla al mondo degno del mio amore, finisca con l'adorare me stesso, come il fu Narciso di egoistica memoria. (pp. 37-38)
  • Il vero paradiso non è in cielo, ma sulla bocca di una persona amata. (p. 51)
  • Quando penso che sono nato da una madre così dolce e rassegnata, di gusti e di costumi così semplici, sono grandemente sorpreso di non averle fatto scoppiare il ventre mentre mi portava, (p. 84)
  • Tre cose mi piacciono: l'oro, il marmo e la porpora: magnificenza, solidità e colore. (p. 121)
  • Molte nobili intelligenze sono costrette a prendere scientemente una strada che non è la loro, e a rasentare continuamente i propri dominî dai quali sono escluse; felici se potranno gettare un'occhiata furtiva al di là della siepe, e vedere dall'altra parte aprirsi al sole i bei fiori screziati ch'essi possiedono in seme e non possono seminare per mancanza di terreno. (p. 168)
  • L'amore è come la fortuna: non gli piace che gli si corra dietro.[18]

Incipit di Jettatura[modifica]

Il Leopoldo, magnifico vapore toscano che fa il servizio fra Marsiglia e Napoli, aveva doppiata la punta di Procida.
I passeggieri erano tutti sul ponte guariti del mal di mare dall'aspetto del paese, molto più efficace dei confetti di Malta e di tutte le altre ricette adoperate in simil caso.
Sul ponte (nello spazio riservato alla prima classe) v'erano degli Inglesi i quali sforzandosi di separarsi il maggiormente possibile gli uni dagli altri, si creavano intorno, ognuno per suo conto, una barriera insormontabile.

Citazioni su Théophile Gautier[modifica]

  • Al poeta impeccabile | al perfetto mago delle lettere francesi | al mio carissimo e veneratissimo Maestro e Amico | Théophile Gautier | con la più profonda umiltà | dedico | questi fiori malsani. (Charles Baudelaire)
  • Il lavoro giornalistico l'oppresse fino all'estremo momento; lavoro duro, ingrato, perfettamente contrario al suo carattere d'artista pieno di capricci e di paradossi. Negli ultimi anni che il disgusto del suo mestiere veniva accresciuto da diverse circostanze, egli non desiderava altro che una piccola rendita fissa per andare a nascondersi in un paesetto di riviera, nel Mediterraneo, e lì estetizzare sulla riva coi piedi lambiti dall'onda marina, come Socrate e Platone. – Un muricciuolo per fumarvi la mia pipa al sole, diceva talvolta colla sua forma plastica, e la minestra due volte la settimana... ecco tutto quel che io desidero. – (Luigi Capuana)
  • Il sistema di Gautier, mediante descrizione, è un sistema di trasposizione, una riduzione esatta, equivalente, piuttosto che una traduzione. Così come si riduce una sinfonia al pinoforte, egli riduce un quadro all'articolo. (Charles Augustin de Sainte-Beuve)
  • Prende un quadro, lo descrive alla sua maniera, fa lui stesso un quadro che è affascinante, ma non ha fatto un atto di vera critica. (Eugène Delacroix)
  • Se volessimo condensare in un sol rigo la poetica di Gautier basterebbe dire che in lui il particolare si fa immagine e l'immagine si fa visione. Poeta e pittore, infatti, sono tutt'uno nell'antica quanto moderna concezione dell'arte del fare e in lui in particolare è il supporto necessario del suo grande affresco mentale. (Laura Aga-Rossi)
  • Teofilo Gautier, pei francesi, è rimasto fino all'ultimo l'uomo dal gilè rosso del 25 febbraio 1830 (una data indimenticabile nella storia dell'arte). Non se ne sapeva dar pace. – L'indossai una sola volta e l'ho portato per tutta la vita – soleva dire con tristezza. Ormai il gilè rosso appartiene alla leggenda. Né vale il sapere che non era rosso, ma color di rosa; che non era un gilè, ma un pourpoint. Il Gautier insisteva sul colore. Il rosso avrebbe avuto un significato repubblicano e fra i romantici di repubblicani ce n'era appena un solo, Pietro Borel[19]. Il resto erano medioevisti, del partito dei castelli merlati, e nient'altro: ecco perché il pourpoint era color di rosa... Ma già è inutile: il Gautier del 1830 non sarà rappresentato altrimenti. (Luigi Capuana)

Note[modifica]

  1. Da Voyage en Italie, 1882; citato in Francesco Valcanover, Tiziano: i suoi penelli sempre partorirono espressioni di vita, Il Fiorino, 1999.
  2. Da Una notte di Cleopatra, in Gautier, 1995, p. 148.
  3. a b Da Italia, citato in Pietro Citati, L'armonia del mondo. Miti d'oggi, Superpocket, su licenza RCS Libri, 1999, p. 112. ISBN 88-462-0122-1
  4. Da Zoo familiare, traduzione di Lavinia Emberti Gialloreti, Elliot, Roma, 2020. ISBN 9788892760738
  5. Da Les Beaux-arts en Europe, 1855; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 199. ISBN 9788858018330
  6. Da La signorina di Maupin.
  7. Citato in Bonaventura Tecchi, Storie di bestie, a cura di Filiberto Mazzoleni, Bompiani, Milano, 1966, p. 61.
  8. Da Poesie complete, prefazione.
  9. Da Consolation, in España; citato in Domenico Ciampoli, Dizionari di citazioni italiane e tradotte: citazioni francesi, Carabba, Lanciano, 1912, p. 255, § 2817.
  10. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, pp. 555-556.
  11. Da Smalti e Cammei; citato in Pierre Gamarra, Il mistero della Berlurette, traduzione di Ugo Piscopo, G. B. Palumbo, 1972.
  12. a b Da Le dinastie bianche nere; citato in Alessandro Paronuzzi (a cura di), 101 gatti d'autore. Grandi autori, da Benni a Sepúlveda, dalla Morante a García Márquez, da Eco a Twain hanno descritto un gatto, Franco Muzzio Editore, Padova, 1997, p. 79. ISBN 88-7021-844-9
  13. In Governatorato d'Ingermanlandia, Franco Maria Ricci, Milano, 1992. Citato in San Pietroburgo, Le nuove guide oro, Touring Club Italiano, p. 136.
  14. L'Art, da Smalti e cammei.
  15. Da Storia del romanticismo; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  16. Cfr. Michel de Montaigne: «Ma non muori perché sei malato, muori perché sei vivo. La morte ti uccide pure senza l'aiuto della malattia.»
  17. Spezzo e non mi spezzo. Cfr. Frangar non flectar.
  18. Citato in Aa. Vv., Dammi mille baci, e ancora cento. Le più belle citazioni sull'amore, a cura delle Redazioni Garzanti, Garzanti, 2013.
  19. Petrus Borel, detto anche "il licantropo" (1809-1859), scrittore, letterato e poeta francese.

Bibliografia[modifica]

  • Teofilo Gautier, Il capitan Fracassa, traduzione e prefazione di Giuseppe Lipparini, Mondadori, Milano, 1958.
  • Théophile Gautier, Il romanzo della mummia (Le Roman de la Momie), cura e traduzione di Laura Aga-Rossi, Newton Compton, 1995. ISBN 88-8183-158-9.
  • Théophile Gautier, Jettatura, traduzione di Teodoro Serrao, Sonzogno, Milano, 1910.
  • Théophile Gautier, Madamigella di Maupin (Mademoiselle de Maupin), traduzione di Giovanni Marcellini, Sansoni Editore, Firenze 1965.

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