Mahābhārata

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Illustrazione dal Mahabharata

Mahābhārata, poema epico della letteratura sanscrita classica.

Citazioni[modifica]

  • Là dunque il dio beato, onnipresente, dormendo sull'oceano, avvolse la sua notte con tenebre spesse. Ma un sovrappiù di qualità luminosa lo svegliò e vide il mondo vuoto. (III, 272, 40-41ab)[1]
  • Anche noi [yogin] possiamo volare nei cieli e manifestarci sotto forme diverse, ma per Illusione. (V, 160, 55 e segg.)[2]
  • [Sanjaya disse:] Io cerco la protezione di Colui che è chiamato Ugra, Sthanu, Shiva, Rudra, Sharva, Ishana, Ishvara, Girisha; di quel dio che che fa progredire, Creatore e Signore dell'universo; di Colui che ha la gola blu, che non ha nascita, chiamato Shakra, che distrusse il sacrificio di Daksha e che è chiamato Hara; di Quello la cui forma è l'universo, che ha tre occhi, che è multiforme e che è il signore di Uma; di Colui che dimora nei campi di cremazione, che effonde energia, che è il Signore delle diverse specie di esseri sottili e che possiede prosperità immortale e potere; di Colui che brandisce il bastone coronato dal teschio, che è chiamato Rudra, che porta le ciocche di capelli aggrovigliate sul capo e che è un brahmacari. Purificando la mia anima che è così difficile da purificare, e con la poca energia che ho, io adoro il Distruttore delle tre città e me stesso offro in sacrificio. Tu che sei stato cantato negli inni, tu meriti ogni lode, e io canterò gli inni per la tua gloria! (X, 7)
I seek the protection of Him called Ugra, Sthanu, Shiva, Rudra, Sharva, Ishana, Ishvara, Girisha; and of that boon-giving god who is the Creator and Lord of the universe; of Him whose throat is blue, who is without birth, who is called Shakra, who destroyed the sacrifice of Daksha, and who is called Hara; of Him whose form is the universe, who hath three eyes, who is possessed of multifarious forms, and who is the lord of Uma; of Him who resides in crematoriums, who swells with energy, who is the lord of diverse tribes of ghostly beings, and who is the possessor of undecaying prosperity and power; of Him who wields the skull-topped club, who is called Rudra, who bears matted locks on his head, and who is a brahmacari. Purifying my soul that is so difficult to purify, and possessed as I am of small energy, I adore the Destroyer of the triple city, and offer myself as the victim. Hymned thou hast been, deserving art thou of hymns, and I hymn to thy glory![3]
  • O amore, io conosco la tua causa! Tu nasci in verità dall'immaginazione, ma io non ti immaginerò e quindi tu non sarai. (XII, 6610)[4]
  • Il Sâmkhya e lo Yoga esaltano ciascuno il proprio metodo come il migliore (kârana) [...]. Coloro che si lasciano guidare dallo Yoga, si basano su una percezione immediata (di essenza mistica: pratyaksahetava); coloro che seguono il Sâmkhya si basano su insegnamenti tradizionali (çâtraviniçcâyh). Io considero veri l'uno e l'altro di questi insegnamenti [....]. Se ci si conforma esattamente alle istruzioni, entrambi conducono alfine supremo. Essi hanno in comune la purezza, la repressione (dei desideri) e la pietà per tutti gli esseri; l'assoluto rispetto dei giuramenti è comune a tutti e due; ma le opinioni non sono identiche nel Sâmkhya e nello Yoga. (XII, v. 11043 e segg.)[5]
  • Il Grande Dio (Mahā-deva) è dappertutto, ma non lo si vede. Egli è il creatore, il sovrano del mondo. È il feudatario dell'Essere immenso, dell'Immanente e del Re del cielo. Tutti gli esseri celesti, dall'Essere immenso ai geni del male, lo venerano. (XIII, 14, 3, 4)[6]
  • Nessuno dovrebbe mai fare ciò che giudica dannoso per se stesso a qualcun altro. Questa, in sintesi, è la regola della Rettitudine. [Etica della reciprocità] (XIII, 113)
One should never do that to another which one regards as injurious to one's own self. This, in brief, is the rule of Righteousness.[7]
  • Quello enunciato nel Veda è il Dharma supremo; in secondo luogo viene quello della tradizione sacra; segue poi quello praticato dagli uomini dabbene. Ecco i tre dharma eterni. (XIII, 141, 65)[8]
  • Una ferita di freccia si cicatrizza, una pianta stroncata dalla scure rifiorisce, ma la ferita di una mala parola non si rimargina. (XIII, 4987)[9]
  • Il fuoco esiste solo distruggendo il combustibile che lo fa vivere, consumando l'oblazione. Tutto l'universo, cosciente o inconscio, non è che fuoco e oblazione. (Śāntī Parva, 338, 52)[10]
  • Tu sei l'origine dei mondi, tu sei il Tempo, il loro distruttore. (Anushāsana parvan, 45, 313)[6]

Citazioni sul Mahābhārata[modifica]

  • A volte, almeno per il Mahâ-Bârata, la narrazione sembra essere una semplice illustrazione del dharma indù. A ragione il Mahâ-Bârata è stato considerato come un compendio dell'induismo, mentre il Râmâyana è più secolarizzato. (Louis Renou)
  • Il monismo upanishadico aveva negato la validità della realtà immediata; il Mahābhārata, soprattutto nelle sue parti didattiche, propone invece una dottrina più ampia: da un lato vi si riafferma il monismo upanishadico, colorato di esperienze teiste (vishnuiste); d'altro lato, si accetta ogni soluzione soteriologica che non sia esplicitamente contraria alla tradizione scritturale. (Mircea Eliade)
  • Pur esaltando Vishnu come l'Essere supremo, il poema sottolinea la complementarietà di Shiva e Vishnu, e da questo punto di vista il Mahābhārata può essere considerato la pietra angolare dell'induismo: infatti questi due dèi, insieme con la Grande Dea (Shakti, Kālī, Durgā), hanno dominato l'induismo, dai primi secoli d. C. fino a oggi. (Mircea Eliade)

Note[modifica]

  1. Citato in Roberto Calasso, L'ardore, Adelphi, 2010.
  2. Citato in Mircea Eliade, Lo Yoga, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro, BUR, 2010, p. 306.
  3. Citato in Mahabarata X, 7, Bharatadesam.com.
  4. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Citato in Mircea Eliade, Lo Yoga, a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro, BUR, 2010, p. 145.
  6. a b Citato in Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
  7. Citato in Mahabarata XIII, 113, Bharatadesam.com.
  8. Citato in La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
  9. Citato in Pitigrilli, Queste coteste e quelle, Milano, Ed. Sanzogno, 1968, p. 134.
  10. Citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980.

Voci correlate[modifica]

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