Giuseppe Prezzolini

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Giuseppe Prezzolini

Giuseppe Prezzolini (1882 – 1982), giornalista, scrittore ed editore italiano.

Citazioni di Giuseppe Prezzolini[modifica]

  • C'è nel mondo qualche cosa che non può essere vissuta che a patto d'essere unica a possedere l'animo, d'essere presa per sempre e non affittata per ore, d'essere una sposa e non un'amante. È l'azione religiosa. (da Centivio, p. 4, 1906)[1]
  • Che cos'è Papini? Non lo so. Alle volte mi pare un arcangelo, gli s'illuminano gli occhi e ci sono riflessi d'oro sui suoi capelli ricciuti, come un'aureola. Alle volte mi pare uno gnomo, storto, maligno, unghioso. (da Diario 1900-1941, p. 29)[1]
  • Che peccato che un Gramsci si sia trovato nella condizione di sacrificare la sua intelligenza e la sua vita alla creazione della società più triste, più oppressiva, più noiosa, più funerea del mondo, la civiltà comunista. (da Ideario, Corbaccio, Milano, 1993, p. 125)
  • Ci sono uomini colti persino tra i professori. (da Saper leggere, Studio Tesi, 1988)[2]
  • Colui che giunge alla coscienza della vita spontanea che si manifesta negli spiriti individuali è un mistico. Sia pure artista, filosofo, uomo di armi, poeta: purché non attribuisca a se stesso la propria creazione, egli è un mistico. (da Saggio sulla libertà mistica, 1907)[1]
  • Come tutti i principali collaboratori della Voce, accettai la guerra come un fatto naturale. Non eravamo guerrafondai, intendi bene. Ma riconoscevamo che la guerra fa parte della vita, essendo la vita lotta e conquista. La guerra, anzi, con le sue regole e i suoi limiti, costituisce un passo avanti rispetto alle lotte barbariche. Il nemico, nella guerra, rappresenta l'ostacolo al raggiungimento di un fine, non una bestia da sgozzare. Perciò permette e anzi favorisce la pietà per il ferito, la compassione per il vinto, una volta che l'ostacolo è superato. Conquistata la trincea, i nemici tornano uomini e fratelli.[3]
  • Gli uomini politici italiani, in generale, sono mediocri. (citato in Rudy de Cadaval, La Nuova Tribuna Letteraria, Anno XI, n. 64, Padova 2001)
  • Gli uomini sono una razzaccia. Sono bestiacce cupide, libidinose, avare, senza fede, senza gratitudine, egoiste, nella maggior parte dei casi esseri senza forza di spirito, incapaci di seguire il bene o il male, incerti e pronti a cedere al più forte, senza sentimento di responsabilità, vittime del primo partito che capita. (Da Vita di Machiavelli[4])
  • [Giovanni Della Casa] Godè ai suoi tempi di grandissima fama. Il Bembo ed altri gli rivolsero sonetti di elogio; le sue poesie furono commentate come quelle del Petrarca; e il sonetto cinquantanovesimo ottenne persino l'onore di una lezione di Torquato Tasso. (Citato in prefazione a Giovanni Della Casa, Galateo, p. XLI, Edizioni Studio Tesi)
  • Ieri sera venne Cecchi mentre si pranzava con Slataper. Non ti posso ripetere quel che ci ha detto. Non sono soltanto argomenti. Era il modo come parlava, la sua convinzione morale, il suo atteggiamento così serio e grande da tanto tempo. Tutto ci fece sentire che malgrado la difesa tentata eravamo d'accordo con lui. (da una lettera a Giovanni Papini; citato in Giancarlo Vigorelli, La terrazza dei pensieri, Immordino Editore, 1967)
  • Il concetto di Dio per me è il concetto dell'essere, ed è l'essere. Noi esistiamo, cambiamo continuamente. L'essere è assoluto, che non cambia. E questo qui, questo, è il concetto di Dio. Esso non ha una realtà fisica, ma è una realtà che agisce.[5]
  • Il conservatore è un freno all'utopia e agli utopisti, che s'innamorano di cose e di idee mai sperimentate e che, quando si realizzano, si rivelano ben diverse da come se le immaginavano.[6]
  • Il mistero della generazione di un nuovo mondo europeo si compie. Forze oscure scaturite dalla profondità dell'essere sono al travaglio ed il parto avviene tra riti mostruosi di sangue e gemiti che fanno fremere. Noi non guarderemo soltanto al dolore. Salute al nuovo mondo! (da Facciamo la guerra, La Voce, 26 agosto 1914)
  • Il soldato italiano non ha molte qualità militari; salvo lo slancio nell'attacco, purché abbia capi che paghino di persona e inspirino fiducia. Allora lo si porta dove si vuole. Manca però di voglia di lavorare, non ha molta precisione, né amor patrio, poca disciplina, debole senso del dovere... In compenso questi difetti, gravi per una guerra come la presente, ha in dose enorme una qualità grandissima, ed è la capacità di soffrire e di sopportare, fino ad un grado che rasenta l'inverosimile. Perché un soldato italiano si rivolti occorre che ogni limite umano sia sorpassato. (da Dopo Caporetto, Roma, 1919, p. 23-24)
  • In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del partito rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso, il Sindaco del partito nero fa tutto il rovescio dell' altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso. Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente. (citato in Corriere della sera, 17 settembre 2007)
  • [...] in quei sei anni mi trovai molto bene con la popolazione meridionale di Vietri che scoprii, contro l'opinione di molti connazionali sul Mezzogiorno, pulita, laboriosa (quando la gente trovava lavoro) onesta e gentile. È un certificato che vale soprattutto per il fatto che ora non ci abito più e ne son distante più di cinquecento chilometri e potrei sfogarmi a strillare ai quattro cantoni (dove trovassi chi fosse disposto a darmi retta) tutte le querimonie e tutte le rabbie che avessi in corpo. Invece no. Passai sei anni dei migliori della mia vita, e non dico che questo fosse dovuto tutto alla brava gente di Vietri, ma insomma essi non mi disturbarono, anzi fecero il possibile perché mi trovassi bene e se non fecero di più fu perché erano, in generale, assai poveri e io non li sollecitai mai, sicché non potendo far altro per mostrarmi almeno tanta simpatia quanta io ne avevo per loro stessi, per il loro mare, per il loro paesaggio, per il loro cielo mi fecero dono della cittadinanza con una cerimonia che ebbe il merito di essere rapida, semplice e cordiale. Dopo di che continuai sul mio binario. (dalla prefazione a Domenico Apicella, I ritte antiche ovvero I proverbi napoletani, raccolti con la traduzione in Italiano e con la Grammatica Napoletana, seconda edizione ampliata e corretta, prefazione di Giuseppe Prezzolini, Ed. IL Castello, Cava dei Tirreni (Salerno), 19722, pp. 7-8.
  • Islandesi, svizzeri, inglesi, americani sono nati democratici. Noi autoritari e faziosi. Che l'italiano sia un popolo democratico è un'assurdità in cui possono credere solo dei professori di scienze politiche. Forse non sono stato fascista perché ero troppo poco italiano.[7]
  • La verità è sempre la correzione di un errore, e quindi l'errore fa parte della verità. (da Filosofia del nulla, Gazzetta Ticinese, 13 dicembre 1980; citato in Gino Ruozzi, Scrittori italiani di aforismi, Mondadori)
  • Le donne commettono dei particolari reati per la loro fragilità, ma tenendo conto di questa fragilità femminile, i giudici maschi sono di solito tolleranti con loro. E dunque stiano buone. (citato in Rudy de Cadaval, La Nuova Tribuna Letteraria, Anno XI, n. 64, Padova 2001)
  • L'irreligiosità moderna è una nuova freschezza di spirito, un atto morale, una liberazione. L'irreligiosità è una difficoltà, un carico, un obbligo, un dovere maggiore. In questo senso ci rende nobili. È l'emulazione con la virtù passata. Noi, irreligiosi, possiamo e dobbiamo essere da tanto quanto gli uomini passati, religiosi. Anzi di più; o meglio: altrimenti. (da Punti, spunti, appunti per le "Parole d'un uomo moderno", La Voce, 15 maggio 1915; ora in Il meglio di Prezzolini, Longanesi)
  • Lei [Ennio Flaiano] continua a osservare il mondo con la stessa curiosità del primo giorno, anche se l'esperienza gli ha appreso che non c'è da farsi illusioni. (da Saper leggere, Studio Tesi, 1988, p. XVI)
  • Mi tenne lontano da lui [Dino Campana], un certo suo modo di fare strano (che più tardi prese forma precisa di follia) e anche la convinzione, che non mi perito di confessare, che i suoi meriti poetici fossero allora e siano ora esagerati. Temo che il pittoresco della sua vita sia stato confuso col poetico della sua opera. (citato da Enrico Falqui in La Fiera Letteraria, 23 febbraio 1967)
  • Ogni verità che scopriamo, altrettanti enigmi di più da risolvere. Ogni scoperta migliaia di problemi. Ogni scoperta, superiore ignoranza. (da Filosofia del nulla)
  • Quando mi domandano che cosa mi ha colpito di più nel mio ritorno in Italia, rispondo senza esitazione: Papini. Papini è la cosa più grande che ci ho trovato. (da L'italiano inutile, Rusconi, Milano, 1994)
  • Se Gramsci avesse letto con attenzione Machiavelli non ne avrebbe fatto un apostolo della classe contadina. È un elogio di schiavi ingenui, non di popolo politico. (da Prezzolini alla finestra, Pan, Milano, 1977, p. 167)
  • Scrivere aforismi è da gran signore; un gran signore regala bottiglie di vino pregiato; un villano regala una botte di vino mediocre. (da Ideario, Ponte alle Grazie)
  • Se lo scopo di un partito è diffondere un'idea, il partito liberale lo ha raggiunto: ed appunto per questo è morto. (citato in Leo Longanesi, In piedi e seduto, Longanesi, 1968)
  • Se io viaggiai in terza classe per molti anni non lo facevo per gusto di povertà. Lo facevo perché convinto che era pericoloso prendere l'abitudine della prima classe e del lusso. (da L'italiano inutile))[8]
  • Vi è [...] da notare sul fattore sessuale [...] Gli scrittori son andati tanto in là nell'analizzarlo da rendere a volte ciò che è noioso ed osceno, freddamente scientifico, o tutt'al più ironico. Gli autori presentano questa realtà con occhio tanto penetrante che il loro punto di vista si è completamente obbiettivato e mentre paiono darle importanza, in verità la allontanano da noi, come un oggetto veduto al microscopio perde attrattiva perché difetti e imperfezioni invisibili ad occhio nudo, si vedono ora chiaramente. Se guardiamo da vicino la pelle di una bella donna, tutto ciò che vediamo sono dei piccoli pori, non certo attraenti, coperti da stille di sudore. (da I narratori. L'enciclopedia della vita, in L'Italia finisce: ecco quel che resta, traduzione dall'inglese di Emma Detti, Rusconi Libri, Milano, 1994, pp. 70-71)
  • Vicino a Vietri c'è una piccola città ottocentesca che si chiama Cava dei Tirreni. È molto «distinta» e carina, quasi come una vecchia zia decaduta che abbia conservato certe antiche maniere. Ora la stanno circondando di fabbriche e di casoni moderni con le facciate aggravate da balconi portasaponi, ma il centro rimane modesto, ritirato, sommesso, sotto pedale insomma e, nello stesso tempo, tanto «per bene». Ci son persino dei portici, di venti fogge diverse un po' malandati e sbilenchi, ma sembran ricordare che un tempo ci si faceva «il passeggio». (dalla prefazione a I ritte antiche, p. 8.)

Amici[modifica]

  • Gli italiani in generale stimano Einaudi perché sentono in lui qualche cosa di diverso, anzi di opposto, a quelle che sono le qualità tipiche dell'italiano. (p. 29)
  • Luigi Einaudi è riescito a fare in pochi anni a traverso il Corriere della Sera quello che le diciannove università del Regno non erano riescite a compiere in cinquant'anni di vita nazionale: fare leggere ragionamenti appoggiati da cifre e cifre illustrate da ragionamenti. (p. 30)
  • [...] l'ironia degli economisti è stata sempre di carattere moralistico. Non è ironia dissolvente, sconfortata o negatrice. L'ironia degli economisti ha basi ed effetti moralizzatori. È la sferza del pedagogo. Serve a richiamare alla realtà gli interessati e gli uomini in preda ai pregiudizi. (p. 31)
  • [...] la prosa di Jahier presenta una ritmicità, un sobbalzare regolare di accenti, un chiudersi ed aprirsi di pause, un ripetersi di finali, che si avvicina e spesso diventa addirittura poesia. Dentro a questa prosa non è indifferente sentire che si muove una immaginazione calda, un sentimento cupo e profondo, un'acerbità di sensi. (p. 53)
  • Con me e con gli alpini è un libro d'amore per il popolo e di critica della sua classe dirigente. Il Jahier protestante, nel senso di dovere, c'è ancora tutto, a contrasto con i leggeri, i deboli, i finti, i potenti; a contrasto con i poveri, i semplici, gli umili. Il popolo italiano, i suoi dialetti, le sue qualità, i suoi mille lavori, le sue fatiche e gli stenti, sono rievocati e studiati con animo caldo e inneggiante. L'onore di Italia è lì, in basso, e non in alto; lì la sua forza e la sua resistenza, la speranza per l'indomani, la certezza dell'avvenire. (p. 55-56)
  • Jahier non ha fretta. Nessuna necessità materiale o solletico di gloria ha potuto smuoverlo dalla sua linea. Non ha mai potuto prendere un impegno regolare, una «fornitura» di poesia o di prosa a quotidiani e a riviste che lo richiedevano. (pp. 57-58)
  • Secondo il Bollettino del Ministero della Pubblica Istruzione, Giuseppe Lombardo-Radice insegna pedagogia nella R. Università di Catania; secondo l'Annuario della vita italiana, egli insegna pedagogia in tutta l'Italia, e i suoi discepoli sono tante centinaia che non starebbero in nessuna aula, per quanto magna, dei nostri Istituti di studi superiori. Lombardo Radice insegna; non fa che insegnare; sembra nato per insegnare; ha insegnato ed insegna a tutti noi; credo che abbia cominciato ad insegnare appena cominciò ad imparare; e ci insegnerà come si insegna, ancora molti, tantissimi anni, quanti vivrà e gli auguriamo di vivere. (p. 63)
  • [Giuseppe Lombardo Radice] Tutta la sua pedagogia è fondata sull'idealismo come quella del Gentile, ma ha un procedimento che sembra proprio l'opposto, perché quella del Gentile parte dalla vita per arrivare ai concetti, quella di Lombardo si fonda sui concetti ma intende giungere alla vita e sembra domandarsi: ma, insomma, che cosa è questa libertà dello spirito che ci siamo conquistati e ci stiamo continuamente conquistando, se non significa nel mondo concreto questa e quella riforma, come sarebbe l'abolizione del componimento, il sentire la punizione come un semplice mezzo di richiamo della coscienza a se stessa, la rottura di mille pregiudizi, di mille classificazioni, di mille meccanismi, e in fine il fare scorrere quanto più libero, creativo, naturale lo spirito del fanciullo, anzi dell'uomo? senza pregiudiziale d'età, di classe, di metodo? (pp. 67-68)
  • Il Panzini è tutto l'opposto di un pensatore. Non c'è virilità, non c'è scelta, non c'è pensiero che regga sopra se stesso e si crei. Di fronte ai problemi più ovvi e più vecchi egli si impaurisce ed oscilla. Va da un lato all'altro, guardando, e come volesse sempre sfuggire l'estreme conseguenze, ritorna al lato da cui era partito, per poi di nuovo fuggirlo. Non c'è decisione, non c'è nettezza. Non osa come i pensatori sicuri. Ma in questa sua torturante vicenda – che lo fa soffrire e stancare – sta un segreto della sua arte, giacché proprio in quell'oscillare, come di gocciola purissima attaccata a un filo di telegrafo, che si avvia al suo destino tremando e nello stesso tempo rifrange in bei colori la luce che la trapassa, proprio in quell'oscillare egli ha modo di mostrare la sua grazia e la sua umanità sensibile. L'arte non è fatta di acciaio e il pensiero è asta di durissimo acciaio. (p. 87)
  • L'arte non è decisione e nel Panzini è proprio indecisione fremente, concupiscente, debole, femminea. Le sue riflessioni non urtano, non costringono alla disciplina, ma carezzano anche quando vogliono essere severe, ma solleticano anche quando voglion sferzare. E se non si esce dalla sua lettura soddisfatti, se ne esce sempre con una grande simpatia per l'autore. (pp. 87-88)
  • È sempre il caso di scrivere qualcosa intorno a Papini. Più si cerca di definirlo e di caratterizzarlo, più sembra che egli si sforzi di sfuggirci e di creare un nuovo Papini che ci costringa a mutar di giudizio. (p. 99)
  • Di persona Papini è come certa specie di pere, brutte a vedersi e dolci a mangiarsi. A prima vista non piace. I suoi lineamenti sono irregolari. La bocca è troppo grande, la mascella troppo sporgente, i denti troppo in fuori, il naso troppo schiacciato, il colore troppo pallido, spesso terreo. Troppo lungo di corpo, cammina come uno scheletro da commedia, tutto storto e dinoccolato. (p. 101)
  • Papini è principalmente un artista ma di un carattere suo speciale: un artista delle idee. Il suo mondo di colori e di forme (il mondo esterno) si è presentato a lui forse un po' tardi e se ne eccettui alcuni pochi brani, il resto è opera di talento e di scienza letteraria e diciamolo pure, accademica, più che di lirico. (p. 112)
  • In Salvemini parla spesso l'uomo del popolo, e sul popolo egli attira la nostra attenzione e le nostre speranze per il rinnovamento del paese. Le sue idee per il Mezzogiorno si concentrano soprattutto nel chiedere che il popolo venga lasciato a se stesso, senza corruzione elettorale, senza tortura e oppressione fiscale, senza protezionismo che lo rende schiavo del settentrione, senza l'intromissione di cattivi impiegati. Ma oltre questi mali, che dipendono dal governo di Roma, egli dipinge il male della piccola borghesia meridionale, loquace, oziosa, litigiosa, oppressiva, usuraia, proprio l'opposto del popolo paziente e lavoratore; la classe che, per non lavorare manualmente o nel commercio, per spagnolesca alterigia, invade l'Università di Napoli alla ricerca di un diploma per entrare nei pubblici impieghi. (p. 126)
  • Forse, come tutti i profeti, tocca a Salvemini la sorpresa di non veder bene il presente. L'idea è quasi sempre giusta, i mezzi sono a lui quasi sempre sbagliati. Ottimo umo di battaglia, non lo si vede al governo. Critico felice, sebbene talvolta troppo acerbo, è spesso inabile per troppa schiettezza e per il desiderio di non volere essere mai sospettato di un'ambizione o di un calcolo. Non è un temperamento politico, e tanto meno poi in un ambiente come il nostro. (p. 129)
  • Scipio Slataper è, anzitutto, l'autentico e rappresentativo figlio di Trieste, fusione di razze diverse nel crogiolo della coltura italiana. Guardatelo: alto, biondo, coi pomelli un poco sporgenti, e gli occhi azzurri, si vede subito il discendente di una razza slava (ma da parte di madre era italianissimo, veneto). (p. 136)
  • Slataper era vergine, Dico in tutti i sensi, salvo che in quello imbecille. Era vergine con piena coscienza del valore della sua verginità e purezza, e senza nessun velo di ciò che potesse essere – ciò che si chiama non essere vergini. Questa grande purezza cosciente ed orgogliosa di sé, meriterebbe un'analisi più minuta di quel che io posso fare. Però dico che quella e soltanto quella spiega la deliziosa finezza di certe leggende per bimbi, che egli ha scritto. (p. 137)
  • [Ardengo Soffici] Autodidatta, vagabondo spirituale, gentiluomo in eterna crisi di spirito, col suo taccuino d'impressioni in mano, semplice anche nelle sue complicazioni, si è conciliato la simpatia di tutti, persino di quelli che ha maltrattato. (p. 140)
  • [Ardengo Soffici] La sua figura ci è ben nota. Autodidatta, vagabondo spirituale, gentiluomo in eterna crisi di spirito, col suo taccuino d'impressioni in mano, semplice anche nelle sue complicazioni, si è conciliato la simpatia di tutti, persino di quelli che ha maltrattato. Nei suoi trascorsi e nelle sue impudicizie letterarie, è stato sempre d'un equilibrio straordinario e la sua schiettezza toscana, la sua probità d'artista, la sua visione limpidissima gli hanno accaparrato la simpatia anche dei vecchi, restii alla sua smania di innovare ad ogni costo la prosa italiana, contro la quale nessun altro scrittore ha mai dato di piglio con l'ascia rivoluzionaria, addentando fino al midollo il suo tronco secolare, come lui nei suoi illeggibili Chimismi lirici. (p. 146)
  • Il cattolicismo o il militarismo, con la loro formalità precisa, con le loro gerarchie, con l'assenza di pensiero, con il senso protettivo paterno che danno agli spiriti stanchi o impauriti, sono la naturale calamita di tutti gli sbandati spirituali che ad una certa età si convincono che la vita sociale non può essere una baldoria di istinti e di arbitrî personali, ma abbisogna di una regola e di un vincolo. (p. 156)

Codice della vita italiana[modifica]

Capitolo I – Dei furbi e dei fessi[modifica]

  • I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
  • Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. – questi è un fesso.
  • I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
  • Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.
  • Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
  • Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.
  • Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
  • I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.
  • Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.
  • L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
  • Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido, avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.
  • Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.
  • Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandare via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.
  • Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e l'associazione con altri briganti alla guerra contro questi.
  • Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo sopratutto a quello della distribuzione.
  • L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.

Capitolo II – Della Giustizia[modifica]

  • Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. È invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può trovare: l'indirizzo è sbagliato.
  • In Italia non si può ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.

Capitolo III – Del Governo e della Monarchia[modifica]

  • L'Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica.
  • Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.
  • In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.
  • In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.
  • Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.
  • L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.
  • L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.

Capitolo IV – Della geografia politica[modifica]

  • L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.

Capitolo V – Della famiglia[modifica]

  • In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra. (Quando può.)
  • La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.
  • La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.

Capitolo VI – Delle leggi[modifica]

  • Tutto ciò che è proibito per ragioni pubbliche si può fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.
  • In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.

Capitolo VIII – Dell'ideale[modifica]

  • C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.
  • La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? È fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioè un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.

Capitolo X – Della proprietà collettiva[modifica]

  • La roba di tutti (uffici, mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.

Capitolo XI – Dell'Italia e degli Italiani[modifica]

  • L'Italia non è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.
  • L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.
  • I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.
  • La storia d'Italia è storia di Spagna e di Francia, d'Allemagna e di Austria, e in fondo, storia di Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame. (2003, p. 46, § 54)
  • L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.
  • La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.
  • Tutto è in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.
  • Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.

Capitolo XII – Senza titolo riassuntivo indispensabile[modifica]

  • L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.

Il Cattolicismo rosso[modifica]

  • Il cattolicesimo è stato il capolavoro dell'Italia, perché ha conservato il germe cristiano, che è negazione dello Stato, in una forma adatta alla realtà del mondo. Il cristianesimo, del resto, neanche i protestanti han potuto applicarlo in modo integrale. Il cristianesimo predica il perdono dei delitti, l'amore del nemico, la fraternità, l'eguaglianza, la pace universale, il possesso comune dei beni: questi sono i concetti di Cristo e con essi non si governa uno Stato.
  • Il Loisy, come in generale tutti i neo-cattolici, accentua il lato umano di Cristo, dicendo che per dogma è tanto uomo quanto Dio, ed accentua pure il lato umano della rivelazione. (p. 149)
  • Il Murri, educato nel tomismo dei Seminari, vi è rimasto così affezionato da non credere possibile per il Cattolicismo un'altra filosofia, ed ha replicatamente fatte obiezioni alla filosofia della immanenza, ricevendo per ciò lodi e congratulazioni da altissimi personaggi. La filosofia dell'immanenza non gli sembra sufficientemente adatta alle menti moderne per convincerle, e quella sua mancanza di solidità intellettuale gli par che conduca a un relativismo capace di suggerire l'utilità del credere, non una credenza. (p. 183)

Manifesto dei conservatori[modifica]

  • Evidentemente un conservatore è uno che vuol conservare qualche cosa. Ma pochi si accorgono che per poter conservare qualche cosa, bisogna che un individuo, una classe o un popolo siano anche in possesso di qualche cosa. Ecco un primo punto, proveniente dalla logica del termine stesso, che per avere realtà richiede la necessità di un possesso. Di qui deriva l'impossibilità di una propaganda conservatrice se non a gente che possieda qualche cosa e la senta propria. (cap. 1; 1972, p. 13; 1995, p. 7)
  • Uno dei più gravi pregiudizi contro la destra in Italia è quello del timore che una vittoria di questa rappresenti un ritorno al fascismo.
    Mentre è giusto che la destra pretenda, nel campo intellettuale e universitario, che il ventennio fascista venga studiato senza prevenzioni come un periodo della storia degli italiani, ai cui fasti e nefasti la maggioranza di essi prese parte e responsabilità, sarebbe sbagliato e pericoloso per la destra qualunque atto o manifestazione che potesse giustificare il pregiudizio generale contro il fascismo che ha giovato tanto ai comunisti.
    Sono passati trent'anni dalla caduta del fascismo, e in questi anni il mondo è cambiato assai. Molte situazioni sono addirittura rovesciate. Il comunismo stesso ha sentito il bisogno di modificarsi e di assumere in Italia e in altri Paesi una maschera di indipendenza nazionale. Ci sono nuovi problemi e nuove leve di giovani. Sono seccati di sentir ancora giudicare le persone e le soluzioni secondo la distinzione di fascismo e antifascismo. (cap. 4; 1972, p. 44; 1995, p. 31)
  • Il Vero Conservatore ha rispetto piuttosto per il tempo che per lo spazio, e tiene conto della qualità piuttosto che della quantità. Non disprezza le cognizioni, ma sa che non hanno valore senza principi. Sa andare all'indietro perché, per andare avanti, bisogna qualche volta arretrare per rendere meglio la spinta. (cap. 5, 1; 1972, p. 47; 1995, p. 32)
  • Prima di tutto il V.C. si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il V.C. intende «continuare mantenendo», e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il V.C. sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a principii permanenti. (cap. 5, 2; 1972, p. 47; 1995, p. 32)
  • Il conservatore non è contrario alle novità perché nuove; ma non scambia l'ignoranza degli innovatori per novità. (cap. 5, 4; 1972, p. 48; 1995, p. 32)

Storia tascabile della letteratura italiana[modifica]

  • Alcuni autori hanno fatto uso del dialetto, come Pier Paolo Pasolini, allo scopo di esprimere la vita d'una classe di diseredati della periferia di Roma, ma con effetti più luridi che veristi.
  • [Giovanni Boccaccio] Contiene l'ammaestramento a usare l'intelligenza contro la fortuna, a saper cogliere l'occasione e a comportarsi audacemente, perché è meglio correre dei rischi che affondar nell'inerzia.
  • "I promessi sposi", che han la fama esteriore di "romanzo storico", ma il cui centro artistico è una storia dell'uomo vista con una profonda calma e saggezza, eguagliata soltanto da quella di Goethe.
  • Il Tasso piacerà sempre più alle anime romantiche, mentre l'Ariosto sarà sempre più ammirato dagli spiriti classici.
  • L'anima del Leopardi era nobilissima, delicatissima, quella d'una creatura angelica, straboccante di desiderio d'amore e di amicizia.
  • [Orsola Nemi] La delicatezza, il pudore, la sensibilità in persona.
  • [Francesco Petrarca] La sua "capacità di introspezione" lo rende romantico e moderno.
  • [Riferendosi a Dante Alighieri] Soltanto l'artista universale, il moralista intransigente attirano il lettore moderno, meravigliato che ci sia stato al mondo un carattere così potente.

Uomini 22 e città 3[modifica]

  • Charles Louis Philippe aveva una di quelle figure molto solite tra letterati francesi. Era un uomo di mezza età, tarchiato e di vigor fattoresco, grassoccio, colla barbetta a pizzo, biondo, gli occhi grandi azzurri e buoni ma senza scintilla, coperti del pince-nez: una fisonomia di brav'uomo, di buon uomo, che ha sofferto e che simpatizza con chi soffre; ma non una fisonomia geniale. Ed è così l'opera sua e il suo carattere tutto, come il volto e la calligrafia. (p. 194)
  • Nella Audoux, questo piccolo, ma sincero rivolo di poesia umile, è diventato il dolciastro filo di liquor zuccherino che bea i palati delle signorine. (p. 198)
  • Charles Louis Philippe non sarà mai [...] celebre, perché le oleografie saranno sempre più care alla moltitudine della severa arte. (p. 199)

Citazioni su Giuseppe Prezzolini[modifica]

  • Diceva Prezzolini che la democrazia è la parificazione degli sporcaccioni con i galantuomini, e che le donne quando hanno le mestruazioni sono pericolose per l'ambiente dove lavorano, ufficio o fabbrica o (se sono parlamentari) il Parlamento. (Rudy de Cadaval)
  • Diceva Prezzolini che fin quando non vi si fosse imparato a ridere della massoneria, invece di temerla, L'Italia non sarebbe stata nazione rispettabile. (Piero Buscaroli)
  • Hai novant'anni e vivi e scrivi come se ne avessi quaranta o cinquanta. Nessuno, in Italia, come te. sei un prosatore eccellente come al tempo felice della Voce (le lettere agli amici!) e, più tardi, dei tuoi capolavori: L'italiano inutile e Dal mio terrazzo. Ti dirò una cosa che forse piacerà a Jakie e non a te: hai superato Papini. A voi il mio affetto d'amico e la mia riconoscenza di semplice lettore. (Marino Moretti)
  • Prezzolini era un lucido intelletto che non ha mai parlato per conto terzi. [...] Prezzolini è un uomo di invenzione. Le cose che contano e che restano nella sua opera non le fece ma le inventò. È un autentico scrittore perché inventa oltre il documento e le cartelle. Prezzolini inventore è certamente geniale. È artista camuffato da critico e letterato. Attaccò, provocò, polemizzò fino agli ultimi giorni. Sugli argomenti più vari, su politici e scrittori, volle sempre dire la sua. La corporazione degli intellettuali si pose sempre l'interrogativo: che ne dice Prezzolini? (Francesco Grisi)
  • Prezzolini fu personaggio di molto spicco, di grande ingegno e di cultura varia e vasta. Ma con tutto il rispetto, non fu un eroe né una vittima. (Rudy de Cadaval)
  • Prezzolini si vantò sempre d'essere uno che in realtà, tutta la vita, non fece che negarsi ogni capacità e ambizione artistica, e sempre considerò le proprie, abbondantissime, virtù di scrittore come puramente strumentali, a determinati effetti divulgativi e didattici. Diciamolo chiaro, noi che fummo sempre suoi amici. In questo mezzo secolo, nel nostro ambiente culturale, è probabile non s'incontri nessun altro così volenteroso, d'altrettanto disinteresse, pronto a fare pieno di abnegazione, ma al medesimo tempo, difficile e scorbutico come lui. Alla sua scontrosa bizzarria gli antichi avrebbero applicato qualcuno di quei loro bizzarri modi di dire: che non gli si trova mai il basto che gli entri; che è come il carbone che tinge o che scotta. Spinoso come un riccio, come un ananasso, che da qualsiasi parte lo tocchi ti punge. Spregiudicato e pedante, impazientissimo eppure tenace, simpatico e al medesimo tempo scostante, bastian contrario per la pelle. (Emilio Cecchi)
  • Sì: il caso Prezzolini è stato uno dei più significativi della cultura contemporanea del nostro Paese. Prezzolini ha incarnato una costante esigenza critica e scettica in un mondo di cultura sempre più tendente al conformismo e all'ortodossia, meglio ancora ai conformismi e alle ortodossie. (Giovanni Spadolini)
  • Tu e Papini avete insegnato tante cose in mezzo secolo e negli ultimi tempi ancor più che nei primi: tutta Italia dovrebbe esservene grata. (Marino Moretti)

Note[modifica]

  1. a b c Citato in Sandro Gentili, Carteggio di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, in introduzione, Volume 1.
  2. Anche in Ideario. La citazione è attribuita a Benedetto Croce nella forma: «Ci sono persone colte persino tra i professori».
  3. Da Intervista sulla Destra, a cura di Claudio Quarantotto, Edizioni del Borghese, Milano, 1978, p. 36.
  4. Citato in Guglielmo Lo Curzo, Prezzolini grande maestro, L'osservatore politico letterario, anno 29, n° 4, maggio 1983, pp. 33-46; disponibile anche su Circe.lett.unitn.it.
  5. Dall'intervista di Gino Agnese, Prezzolini: se mi convertissi mi nasconderei, Il Tempo, 19 maggio 1981.
  6. Citato in Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Milano, Mondadori, 2006, p. 346. ISBN 88-04-54931-9
  7. Citato in Giorgio Bocca, Il filo nero, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1995, cap. 1, p. 10.
  8. citato in Sandro Gentili, Carteggio di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, p. 8, Volume 1.

Bibliografia[modifica]

  • Giuseppe Prezzolini, Amici, Vallecchi Editore, Firenze, 1922.
  • Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, La Voce, Firenze, 1921.
  • Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, con una biografia e una bibliografia a cura di Carlo Maria Messina, Robin, Roma, 2003. ISBN 9788873710226
  • Giuseppe Prezzolini, Il Cattolicismo rosso, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli, 1908.
  • Giuseppe Prezzolini, Manifesto dei conservatori, Rusconi, Milano, 1972.
  • Giuseppe Prezzolini, Manifesto dei conservatori, introduzione di Sergio Romano, Arnoldo Mondadori, 1995. ISBN 8804392371
  • Giuseppe Prezzolini, Storia tascabile della letteratura italiana, Biblioteca del Vascello, 1993.
  • Giuseppe Prezzolini, Uomini 22 e città 3, Vallecchi Editore, Firenze, 1920.

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