Marchese de Sade

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Marchese de Sade, ritratto di Charles Amédée Philippe van Loo

Donatien-Alphonse-François de Sade, meglio conosciuto come Marchese de Sade o Divin marchese (1740 – 1814), scrittore, filosofo e aristocratico francese.

Citazioni di Donatien-Alphonse-François de Sade[modifica]

  • Il tumulto e l'andirivieni quotidiano rendono Napoli una città popolata e piena di vita come Parigi.[1]
  • Non abbiate specialmente alcun rispetto per la cerimonia, civile o religiosa, che vi lega ad un uomo che o non amate o non amate più, o che non vi basta. Una messa, una benedizione, un contratto, tutte queste insulsaggini sono forse abbastanza forti… abbastanza sacre per determinarvi a strisciare in catene? La fede data, giurata e promessa, non è che una formalità che dà ad un uomo il diritto di andare a letto con una donna ma che non impegna né l'uno né l'altra: e ancora meno quella che, tra i due, ha meno possibilità di liberarsene. Voi che siete destinata a vivere nel mondo [...] disprezzate, cara Juliette, calpestate tali assurdità come meritano; sono convenzioni umane a cui siete costretta ad aderire, senza volerlo davvero: un impostore mascherato che fa alcuni giochi di prestigio presso un tavolo, di fronte a un librone, e uno scemo che vi fa firmare in un altro, tutto questo non è fatto né per costringere né per ispirare soggezione. Usate i diritti dativi dalla natura; essa non vi dirà altro che disprezzare tali usi e prostituirvi come meglio desiderate. È il vostro corpo il tempio in cui essa vuole essere adorata e non l'altare su cui un prete imbecille ha appena berciato la sua messa.[2]
  • Non c'è altro inferno per l'uomo se non la sciocchezza e la cattiveria dei suoi simili e quando ha finito di vivere, tutto è stato detto: il suo annientamento è eterno, niente gli sopravvive.[2]
  • Non è stato il mio modo di pensare a causare la mia infelicità, bensì il modo di pensare degli altri.[3]
  • Se si ama il proprio dolore, esso diviene voluttà.[4]
  • Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.[5]
  • Si paragonino i secoli di anarchia con quelli in cui le leggi sono state maggiormente in vigore, sotto qualsiasi governo: ci si convincerà facilmente che proprio in quei periodi di silenzio legislativo sono esplose le migliori imprese.[2]
  • Sii uomo, sii umano, senza paura e senza speranza. Abbandona il tuo dio e la tua religione. Tutto ciò non vale che a porre il ferro nella mano degli uomini e il solo nome di tutti codesti orrori ha fatto spargere più sangue sulla terra di tutte le guerre e i flagelli messi insieme. Rinuncia all'idea di un altro mondo, poiché non ve n'è alcuno. Ma non rinunciare al piacere di essere felice e di far felici gli altri in questo mondo.[6]
  • Tutta la morale umana è racchiusa in questa sola parola: rendere gli altri tanto felici quanto si desidera esserlo noi e non recar maggior male di quanto ne vorremmo ricevere.[7]
  • Unico risultato dei costumi e dell'educazione è ciò che si chiama un'abitudine.[8]

Justine[modifica]

Incipit di Le sventure della virtù[modifica]

Per la filosofia sarebbe un autentico trionfo far luce sulle oscure vie seguite dalla provvidenza per attuare i suoi progetti sull'uomo, e tracciare di conseguenza un piano di condotta capace di indicare a questo infelice bipede, eternamente sballottato dai capricci di quell'essere che, a quanto pare, tanto dispoticamente lo controlla, come debba interpretare i decreti della provvidenza nei suoi confronti e quale strada è bene che egli segua per prevenire i bizzarri capricci di quel destino al quale si danno venti nomi diversi, senza essere riusciti ancora a definirlo

[Donatien Alphonse François de Sade, Le sventure della virtù (Les infortunes de la vertu), traduzione di Claudio Rendina, in I romanzi maledetti, Newton Compton, 2011]

Citazioni su Le sventure della virtù[modifica]

  • Autobiografia, certo. Justine infatti nasce sulla scia dell'affaire Trillet, che ha causato a Sade la prigionia a Vincennes, con il successivo trasferimento alla Bastiglia. E indiscutibile che quel giugno del 1787 Sade evochi per Les Infortunes de la Vertu la figura della bella Catherine Trillet, cameriera in servizio al castello di La Coste, dove veniva chiamata con il soprannome di Justine e che, vittima consenziente dei desideri morbosi del marchese, aveva rifiutato di tornare dal padre che ne reclamava il ritorno a casa sua. (Claudio Rendina)

Justine ovvero le disgrazie della virtù[modifica]

Incipit[modifica]

Sarebbe il capolavoro della filosofia dispiegare i mezzi di cui la Provvidenza si serve per raggiungere gli scopi che si propone verso l'uomo, e ricavarne alcuni piani di condotta che possano rivelare a questo sventurato bipede in che modo deve procedere nello spinoso cammino della vita, al fine di prevenire i bizzarri capricci di quella fatalità cui dà venti nomi diversi, senza essere ancora riuscito a conoscerla o a definirla.

[Donatien Alphonse François de Sade, Justine ovvero le disgrazie della virtù (Justine ou les Malheurs de la vertu), traduzione di Maurizio Grasso, in I romanzi maledetti, Newton Compton, 2011]

Citazioni[modifica]

  • L'egoismo è la prima legge della natura.
  • La virtù non conduce ad altro che all'inazione più stupida e più monotona, il vizio a tutto ciò che l'uomo può sperare di più delizioso sulla terra.
  • Quando il più forte vuole opprimere il più debole lo convince che Dio santifica le sue catene, ed il debole, abbrutito, gli crede.
  • Anche l'uomo deforme trova specchi che lo rendono bello.
  • Anche se il servizio fosse stato reso da eguale a eguale, mai l'orgoglio di un'anima nobile si abbasserebbe sino a provare riconoscenza; non è forse umiliato chi riceve? E l'umiliazione che prova non compensa sufficientemente il benefattore che solo per questo si trova posto al di sopra dell'altro? Non è un godimento l'innalzarsi sopra il proprio simile? Che altro è dovuto, a chi presto servigio? Se la pietà, che umilia chi ne è affetto, si trasforma in un fardello, con quale diritto si vieta a chi lo porta di sbarazzarsene? Perché devo accettare di sentirmi umiliato ogni volta che incontro lo sguardo di chi mi ha reso un favore? L'ingratitudine non è un vizio, è anzi la virtù delle anime fiere. La generosità è invece la virtù delle anime deboli; mi si renda servigio finché si vuole se ci si prova piacere, ma non si pretenda niente da me.
  • No; non c'è nessun Dio, la natura basta a se stessa; non ha alcun bisogno di un autore.
  • L'emozione della voluttà altro non è, nella nostra anima, che una specie di vibrazione prodotta grazie alle scosse che l'immaginazione accesa dal ricordo di un oggetto lubrico fa provare ai nostri sensi, per la presenza di quell'oggetto, o meglio ancora per l'irritazione avvertita da quell'oggetto e che appartiene al genere che ci colpisce più intensamente; così la nostra voluttà, questo inesprimibile titillamento che ci smarrisce, che ci trasporta al culmine della felicità che un uomo possa provare, si accenderà soltanto per due motivi, o perché nell’oggetto che ci serve abbiamo scorto realmente o fittiziamente il genere di bellezza che ci attira maggiormente, o perché vediamo quell’oggetto provare la più forte sensazione immaginabile; ora, nessuna sensazione è così intensa come quella del dolore; le sue impressioni sono sicure, non si ingannano come quelle del piacere che le donne recitano perennemente e non provano quasi mai; del resto, quanto amor proprio, quanta gioventù, quanta forza, quanta salute servono per esser certi di produrre in una donna questa dubbia e poco soddisfacente sensazione di piacere. Quella del dolore, al contrario, non ha alcuna esigenza: più difetti ha un uomo, più è vecchio, meno è amabile, più gli sarà facile provocarla.

La nuova Justine[modifica]

Incipit[modifica]

Giancarlo Pontiggia[modifica]

Sarebbe il capolavoro della filosofia rendere evidenti i mezzi che la fortuna adopera per arrivare ai propri fini sull'uomo, e così trarne piani di condotta che indichino a questo sventurato individuo bipede come procedere nello spinoso cammino della vita, e prevenire i bizzarri capricci di quella fortuna che è stata volta a volta chiamata Destino Dio Provvidenza Fatalità Caso, denominazioni tutte tanto viziose quanto prive di buon senso, perché non apportano allo spirito che idee vaghe e puramente soggettive.

[D.A.F. de Sade, La nuova Justine (La nouvelle Justine ou les Malheurs de la vertu), traduzione di Giancarlo Pontiggia, Garzanti, 2007]

Flaviarosa Nicoletti Rossini[modifica]

Capolavoro filosofico sarebbe svolgere in quale maniera e di quali mezzi la fortuna si è servita per raggiungere i fini che si è proposta nei confronti dell'uomo, e tracciare perciò delle linee di condotta che possano far conoscere a questo sventurato individuo bipede come deve camminare lungo il cammino coperto di spine della vita e prevenire i bizzarri capricci di questa fortuna che fu detta di volta in volta Destino, Dio, Provvidenza, Fatalità, Caso, definizioni tutte imperfette e prive di buon senso, le une quanto le altre, e che nulla apportano alla mente, se non idee vaghe e puramente soggettive.

[D.A.F. de Sade, La nuova Justine ovvero le sciagure della virtù (La nouvelle Justine ou les Malheurs de la vertu), traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini, in I romanzi maledetti, Newton Compton, 2011]

Citazioni[modifica]

  • Lo spirito dell'uomo, ancora troppo bambino per trovare nel seno della natura le leggi del movimento, unica molla di tutto quel meccanismo che lo stupiva, credette più semplice supporre un motore separato dalla natura piuttosto che crederla motrice di se stessa. (p. 65, 2007)
  • – Bisogna chiavarla, fratello, disse la Dubois, e chiavarla bene; non vedo altro mezzo per convertirla. (p. 69, 2007)
  • Obbediente alla volontà di un prete, cioè di un furfante coperto di menzogne e di crimini, questo gran Dio, creatore di tutto ciò che vediamo, si abbasserà fino a scendere ogni mattina, dieci o dodici milioni di volte, in un pezzo di pane che, digerito dai fedeli, si trasformerà ben presto, in fondo alle viscere, nei più vili escrementi. (p. 103, 2007)
  • L'universo è una causa, non un effetto. (p. 105, 2007)
  • Per il povero la virtù è una necessità. (p. 108, 2007)

Citazioni su La nuova Justine[modifica]

  • [I tre testi su Justine] si differenziano invece su un piano tecnico in tre fasi di scrittura, più simili nelle prime due, tanto da potersi definire Les infortunes de la vertu come un abbozzo di Les Malheurs, mentre La nouvelle Justine propone un cambiamento sostanziale nella tecnica narrativa. (Claudio Rendina)

La filosofia nel boudoir[modifica]

Incipit[modifica]

Voluttuosi di ogni età e sesso, dedico quest'opera a voi soli: nutritevi dei suoi principi, favoriranno le vostre passioni! E le passioni, verso le quali certi freddi e piatti moralisti v'incutono terrore, sono in realtà gli unici mezzi che la natura mette a disposizione dell'uomo per raggiungere quanto essa si attende da lui. Obbedite soltanto a queste deliziosi passioni! Vi condurrano senza dubbio alla felicità.
[D.A.F. de Sade, La filosofia nel boudoir, traduzione di Claudio Rendina, Sonzogno, 1986]

Citazioni[modifica]

  • SAINT-ANGE: Questo scettro di Venere che vedi sotto i tuoi occhi, Eugénie, è l'elemento fondamentale dei piaceri in amore: lo si chiama membro per eccellenza, e non c'è parte del corpo umano nel quale lui non vada a ficcarsi. (p. 46, 1986)
  • [sulle prostitute] SAINT-ANGE: Bellezza mia, si chiamano così le vittime pubbliche del vizio degli uomini, sempre pronte a darsi per passione o per interesse; buone e rispettabili creature, che la società disprezza e la voluttà esalta; assai più necessarie alla società delle puritane [...]. (p. 52, 1986)
  • Nessuna azione, per quanto singolare possiate supporla, è veramente criminale; e nessuna può realmente chiamarsi virtuosa. Tutto è in rapporto ai nostri costumi e all'ambiente in cui abitiamo. (p. 61, 1986)
  • La posizione più in uso per la donna, in questo piacere, è di mettersi carponi sul bordo del letto, con le natiche ben aperte e la testa più reclinata possibile. L'uomo che la monta, dopo essersi divertito un po' vedendo davanti quel bel culo, dopo averlo palpeggiato e tastato, a volte anche frustato, pizzicato e morso, bagna di saliva il buchetto che dovrà perforare e prepara l'introduzione con la punta della lingua [...]. (p. 71, 1986)
  • Dunque la distruzione è una delle leggi della natura come la creazione. (p. 111, 1986)
  • Ma le leggi, buone per la società, sono deleterie per l'individuo che ne fa parte. (p. 122, 1986)
  • Sì, cittadini, la religione è incompatibile col sistema della libertà; l'avete sentito. L'uomo libero non s'inchinerà mai davanti agli dei del cristianesimo; mai i suoi dogmi, i suoi riti, i suoi misteri o la sua morale converranno ad un repubblicano. Ancora uno sforzo! Dal momento che vi date da fare per distruggere tutti i pregiudizi, non lasciatene in vita nessuno, perché anche uno solo è sufficiente a farli ritornare tutti. E state pure certi che ritorneranno, se lasciate vivere proprio quello che è la culla di tutti gli altri! Piantiamola di credere che la religione possa essere utile all'uomo; abbiamo buone leggi, sapremo fare a meno della religione. Ma c'è sempre chi dice che ne occorre una per il popolo, una che lo distragga e lo tenga a freno. Be', se proprio serve, dateci quella che si addice agli uomini liberi! restituiteci gli dei del paganesimo! Adoreremo volentieri Giove, Ercole o Pallade, ma non vogliamo più saperne di quel fantomatico artefice dell'universo che invece si muove da solo, non vogliamo più saperne di un dio senza estensione ma che pure riempie tutto della sua immensità, di un dio che è onnipotente ma non realizza mai quello che desidera, di un essere immensamente buono ma che scontenta tutti, di un essere amico dell'ordine ma nel cui governo tutto è disordine. No, non vogliamo più saperne di un dio che sconvolge la natura, è padre di confusione, è motore dell'uomo che si abbandona agli orrori; ma un dio simile ci fa fremere d'indignazione ed è giusto che lo releghiamo per sempre nell'oblio da cui quell'infame di Robespierre ha voluto trarlo! (p. 132, 1986)
  • Ogni qual volta non darete all'uomo il mezzo per buttar fuori quella dose di dispotismo che la natura mette nel fondo del suo cuore, egli per esercitarlo si sfogherà su quanto lo circonda e disturberà il governo. (p. 147, 1986)
  • Non c'è dubbio che le religioni siano la culla del dispotismo. (1974, p. 217)
  • Le passioni dell'uomo sono soltanto i mezzi di cui la natura si serve per conseguire i suoi scopi.
  • Possedere in esclusiva una donna è tanto ingiusto quanto possedere degli schiavi.

Le 120 giornate di Sodoma[modifica]

Incipit[modifica]

INTRODUZIONE

Le grandi guerre che Luigi XIV ebbe a sostenere durante il corso del suo regno, nel mentre sfinirono le finanze dello Stato e le risorse del popolo diedero segreta occasione di arricchire una enorme quantità di quelle sanguisughe sempre a caccia delle calamità pubbliche che provocano invece di attenuare, e ciò per trarne maggiori vantaggi.

PARTE PRIMA

Le centocinquanta passioni semplici, o di prima classe, che compongono le trenta giornate di novembre occupate dalla narrazione della Duclos, alle quali sono inframezzati gli avvenimenti scandalosi del castello, in forma di diario, durante quel mese.

PRIMA GIORNATA

Tutti si alzarono il primo di novembre alle dieci del mattino, com'era prescritto dai regolamenti, dai quali si erano mutualmente giurati di non allontanarsi in nulla. I quattro fottitori che non avevano condiviso il letto degli amici portarono, appena alzati, Zéphire dal duca, Adonis da Curval, Narcisse da Durcet, e Zélamir dal vescovo.
[Donatien Alphonse François de Sade, Le 120 giornate di Sodoma, edizione integrale a cura di Gianni Nicoletti, Sonzogno, 1986]

Citazioni[modifica]

  • Ogni giorno ci si alzerà alle dieci del mattino. In quel momento, i quattro fottitori che non sono stati di servizio durante la notte verranno a far visita agli amici e ognuno accompagnerà un ragazzino; passeranno successivamente da una camera all'altra. (p. 61, 1986)
  • Il duca di Blangis, cinquant'anni, fatto come un satiro, dotato di un membro mostruoso e di una forza prodigiosa. Si può considerarlo ricettacolo di ogni crimine […]. Il Vescovo di… è suo fratello; più esile e delicato del duca, brutta bocca. È un birbante, astuto, fedele della seguace della sodomia attiva e passiva […]. Il presidente de Curval, sessant'anni. È un uomo grande, secco, esile, gli occhi affossati e spenti, bocca malsana, l'immagine ambulante della dissolutezza e del libertinaggio […]. Durcet, finanziere, cinquantatré anni, grande amico e compagno di scuola del duca. È piccolo, basso, e tarchiato. […]. È sagomato come una donna e ne ha tutti i gusti […]. (p. 71, 1986)
  • Duclos, interruppe il presidente, non siete stata avvertita che nei vostri racconti sono indispensabili i particolari più ampi e più estesi? che possiamo giudicare quanto la passione descritta ha relativamente ai costumi e al carattere dell'uomo solo se non ne mascherate alcuna circostanza? (p. 85, 1986)
  • Il sette di novembre, risoluzione della prima settimana, dal mattino si procederà al matrimonio di Michette e Giton, e i due sposi, ai quali l'età non permette di congiungersi, come agli altri seguenti tre imenei, saranno separati dalla sera stesa. (p. 110, 1986)
  • L'indomani, siccome gli esempi del giorno prima incutevano timore, non si riuscì a trovare nessuno in colpa. Le lezioni continuarono sui fottitori, e siccome non capitò nulla di nuovo fino al caffè, parleremo della giornata solo a partire da quel momento. (p. 149, 1986)
  • Più procediamo, più possiamo chiarire al nostro lettore certi fatti che in principio siamo stati obbligati a tener velati. Ora per esempio, possiamo dirgli qual era lo scopo delle visite al mattino nelle camere dei fanciulli […]. (p. 163, 1986)
  • Quel giorno fu dato modo di accorgersi che il tempo veniva a favorire ulteriormente i progetti infami dei libertini e a sottrarli ancor più delle loro stesse precauzioni agli occhi dell'intero universo. (p. 191, 1986)
  • Il più forte trova sempre giustissimo ciò che il più debole trova ingiusto, cambiando l'uno e l'altro di posto, ambedue cambiavano parimenti modo di pensare.
  • La devozione è una vera malattia dell'anima; si ha un bel fare, è impossibile correggerla. Più facilmente s'impregna nell'anima degl'infelici, perché li consola, offre chimere per consolarli dei loro mali, per cui è più difficile estirparla in costoro che negli altri. (p. 251, 1986)
  • Non s'immagina neppure quanto colui che ha stabilito che l'assassinio è un crimine abbia limitato ogni sua voluttà; si è privato di ceno piaceri, uno più delizioso dell'altro, osando adottare l'odiosa chimera di un pregiudizio (Curval)
  • (Taluni) sicurissimi di pentirsi dei piaceri che assaporano, se li concedono fremendo, in modo da diventare contemporaneamente virtuosi nel crimine e criminali nella virtù.
  • Tutti i principi morali universali sono oziose fantasie. (da Le 120 giornate di Sodoma)
  • Un uomo, per essere veramente felice in questo mondo, non solo deve darsi a tutti i vizi ma mai permettersi alcuna virtù, e non solo è necessario fare sempre il male, ma anche non fare mai il bene.
  • Vi era di realmente giusto soltanto quel che faceva piacere e di ingiusto quel che dava dolore.

Viaggio in Italia[modifica]

  • In generale non è a Napoli che bisogna venire a cercare le arti. Si lasciano a Roma. Qui non bisogna ricercare che la natura e oso credere che essa sia superiore a ciò che le arti stesse sono a Roma. Virgilio è il viaggiatore da tener presente percorrendo questa felice campagna dove egli fa peregrinare il suo eroe, e si trova che, malgrado le rivoluzioni che hanno desolato questo bel paese, esso non è tuttavia ancora abbastanza mutato per non riconoscerlo dalle descrizioni che egli ci fa. (da Napoli, p. 225)
  • Risalendo all'origine della mescolanza dei diversi popoli che hanno sostituito i Greci in questa bella contrada, e che non vi hanno apportato che quella crudeltà che li ha condotti a distruggere i più bei monumenti, si troverebbe forse una causa[9]più giusta: lo scarso progresso che le arti e le scienze vi hanno fatto in seguito, da cui è venuta questa imperdonabile negligenza nell'educazione, ha continuato a nutrire l'ignoranza e conseguentemente l'abbrutimento. La mollezza, vizio ordinario dei popoli che abitano in un bel clima, si è venuta ad aggiungere. La depravazione, che ne è una conseguenza, ha finito di corrompere, e io credo che ci vorrebbe oggi una rivoluzione completa per riportare questo popolo a quella amabilità che regna nella massima parte del resto dell'Europa. (da Napoli, p. 262)
  • Fra il popolo, non si vedono che marchi spaventosi del veleno di questa peste[10]che sfigura ogni cosa in quasi tutte le parti del corpo. Se il veleno è tenuto più nascosto dai ricchi e dai nobili, non è per questo meno pericoloso, e io credo che ciò che uno straniero può fare di meglio è di evitare ogni contatto con questo popolo corrotto.
    Come fare tuttavia, in un paese in cui il clima, gli alimenti e la corruzione generale invitano così eternamente alla depravazione? È fisicamente impossibile immaginarsi sino a qual punto essa è spinta a Napoli.
    Le strade, di sera, sono piene di sventurate vittime offerte alla brutalità del primo venuto, e che vi provocano, per il prezzo più vile, a tutti i tipi di libertinaggio che l'immaginazione può concepire, e persino a quelli per i quali sembra che il loro sesso dovrebbe avere orrore. [...]
    Con il danaro si può avere a Napoli la prima duchessa della città. E io mi domando cosa diventeranno la virtù, la popolazione, la salute in uno Stato in cui la degradazione dei costumi è arrivata[11]sino a questo punto, e in cui la più lieve lusinga per il guadagno conduce al delitto, capovolgendo ogni sentimento di probità, di onore e di virtù!
    L'onesta e piacevole galanteria, il sano commercio dei due sessi, che riscalda tutte le passioni nobili e che serve spesso da focolare a tutte le virtù, è poco conosciuto in una città in cui la brutalità dei costumi non vuole che il godimento. (da Napoli, pp. 273-274)
  • Il popolo indubbiamente è rozzo, grossolano, superstizioso e brutale, ma ha una certa franchezza, e non è privo, talvolta, persino di amenità. La miglior prova è che questa plebe sterminata si mantiene nell'ordine senza polizia. La borghesia è civile, sollecita. La preferirei alla nobiltà, che l'alterigia e l'orgoglio sminuiscono proporzionalmente al suo desiderio di elevarsi. In generale è una nazione da formarsi; ma non è un'opera di un giorno, né di un regno. (da Napoli, p. 275)

Citazioni su Donatien-Alphonse-François de Sade[modifica]

  • Dello scrittore – non diciamo poi dello scrittore di genio – mancano a Sade le qualità più elementari [...] tutto il suo merito sta nell'aver lasciato dei documenti che rappresentano la fase mitologica, infantile della psicopatologia. (Mario Praz)
  • È un genio della letteratura, che è stato proibito per parecchie ragioni che conosciamo, ma come scrittore è grandissimo. Prima di tutto, prima di parlare del sadismo, di quello che ha fatto, lui ha prima di tutto scritto, ed è meraviglioso. (Jesús Franco)
  • L'essenza delle sue opere è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena [...] ma anche dell'autore e della sua stessa opera. (Georges Bataille)
  • È vero che i suoi libri differiscono da ciò che abitualmente è considerato letteratura come una distesa di rocce deserte, priva di sorprese, incolore, differisce dagli ameni paesaggi, dai ruscelli, dai laghi e dai campi di cui ci dilettiamo. Ma quando potremo dire di essere riusciti a misurare tutta la grandezza di quella distesa rocciosa? [...] La mostruosità dell'opera di Sade annoia, ma questa noia stessa ne è il senso. (Georges Bataille)
  • Sade considerava se stesso l'apostolo della rivoluzione veramente rivoluzionaria, al di là della mera politica e della mera economia: la rivoluzione nei singoli uomini, nelle donne e nei bambini, i cui corpi dovevano d'ora in avanti diventare proprietà sessuale comune a tutti, e dalle cui menti bisognava eliminare ogni decoro naturale, ogni inibizione faticosamente acquisita della civiltà tradizionale. Tra il sadismo e la rivoluzione davvero rivoluzionaria non c'è, naturalmente, alcun legame necessario o inevitabile. Sade era un squilibrato, e gli obiettivi più o meno consapevoli della sua rivoluzione erano il caos e la distruzione universali. (Aldous Huxley)

Note[modifica]

  1. Citato in Vincenzo Russo, Napoli e Parigi, le vere capitali, napule.org, 29 dicembre 2011; traduzione dall'articolo di Marco Cesario, NAPLES, PARIS, THE TRUE CAPITALS, ANSAMed, 2007.
  2. a b c Da Juliette ovvero le prosperità del vizio, ne I romanzi maledetti
  3. Dalla lettera Alla signora di Sade, primi di novembre 1983, traduzione di Luigi Bàccolo, in Opere, p. 779.
  4. Da Aline et Valcour.
  5. Da una lettera alla moglie, 20 febbraio 1791.
  6. Da Dialogo fra un prete e un moribondo, in Opere, p. 21-22.
  7. Da Dialogo fra un prete e un moribondo, in Opere, p. 21.
  8. Da Juliette ou le prospèritès du vice.
  9. Della rozzezza del popolo, che l'abate Jérôme Richard attribuiva alle vicende tumultuose che hanno caratterizzato la storia di Napoli. Cfr. De Sade, Viaggio in Italia, p. 262.
  10. La sifilide.
  11. Arivata, refuso, nel testo.

Bibliografia[modifica]

  • Donatien Alphonse François de Sade, Dialogo fra un prete e un moribondo, traduzione di Elémire Zolla in Opere, a cura di Paolo Caruso, Mondadori, Milano, 1976.
  • Donatien Alphonse François de Sade, Le 120 giornate di Sodoma, edizione integrale a cura di Gianni Nicoletti, Sonzogno, 1986.
  • Donatien Alphonse François de Sade, La filosofia nel boudoir, traduzione di Claudio Rendina, Newton Compton, Roma, 1974.
  • Donatien Alphonse François de Sade, La filosofia nel boudoir, traduzione di Claudio Rendina, Sonzogno, 1986.
  • Donatien Alphonse François de Sade, La nuova Justine (La nouvelle Justine ou les Malheurs de la vertu), traduzione di Giancarlo Pontiggia, Garzanti, 2007.
  • Donatien Alphonse François de Sade, I romanzi maledetti, traduzione di Claudio Rendina, Maurizio Grasso, Flaviarosa Nicoletti Rossini, Paolo Guzzi, Gianni Nicoletti, Newton Compton, Roma, 2011.
  • Donatien-Alphonse-François de Sade, Viaggio in Italia, in Viaggio in Italia, a cura di Bruno Cagli — Viaggio in Olanda, traduzione di Pietro Bartalini Bigi, saggio introduttivo di Gianni Nicoletti, Newton, Grandi Tascabili Economici, Roma, 1993. ISBN 88-7983-329-4

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]