Marco Polo

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Marco Polo

Marco Polo (1254 – 1324), mercante ed esploratore italiano.

Milione[modifica]

Incipit[modifica]

Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di Persia e di Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.

Citazioni[modifica]

  • E sí vi dico ched egli dimorò in que’ paesi bene trentasei anni; lo quale poi, stando nella prigione di Genova [Palazzo San Giorgio], fece mettere in iscritto tutte queste cose a messere Rustico da Pisa, lo quale era preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1289. (cap 1)
  • Toris [Tabriz nel nord-ovest dell'Iran] è una grande cittade ch’è in una provincia ch’è chiamata Irac, nella quale è ancora piú cittadi e piú castella. Ma contarò di Toris, perch’è la migliore città de la provincia.
    Gli uomini di Tor(i)s vivoro di mercatantia e d’arti, cioè di lavorare drappi a seta e a oro. E è in luogo sí buono, che d’India, di Baudac e di Mosul e di Cremo vi vengono li mercatanti, e di molti altri luoghi. Li mercatanti latini vanno quivi per le mercatantie strane che vegnono da lunga parte e molto vi guadagnano; quivi si truova molte priete preziose. Gli uomini sono di piccolo afare, e àvi di molte fatte genti. E quivi àe armini, nestarini, iacopetti, giorgiani, i persiani, e di quelli v’à ch’aorano Malcometto, cioè lo popolo de la terra, che si chiamano taurizins. Atorno a la città è belli giardini e dilettevoli di tutte f(r)utte. Li saracini di Toris sono molti malvagi e disleali. (cap 25, Della nobile città di Toris)
  • In Persia è la città ch'è chiamata Saba [l'attuale Saveh in Iran], da la quale si partiro li tre re ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co' capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente. (cap. 30, De la grande provincia di Persia: de' 3 Magi)
  • Iadis è una cittade di Persia molto bella, grande, e di grandi mercatantie. Quivi si lavora drappi d’oro e di seta, che si (chi)ama ias[d]i, e che si portano per molte contrade. Egli adorano Malcometto.
    Quando l’uomo si parte di questa terra per andare inanzi, cavalca 7 giornate tutto piano; e non v’à abita[zione] se no in tre luoghi, ove si possa albergare. Quivi àe begli boschi e piani per cavalcare; quivi àe pernice e cuntornici asai. Quindi si cavalca a grande solazzo, quivi àe asine salvatiche molto belle. (cap. 33, Della città di Iadis)
  • Casciar [Kashgar in Cina] fue anticamente reame; aguale è al Grande Kane; e adorano Malcometto. Ell’à molte città e castella, e la magiore è Casciar; e sono tra greco e levante. È vivono di mercatantia e d’arti. Egli ànno begli giardini e vigne e possessioni e bambagie assai; e sonvi molti mercanti che cercano tutto il mondo. È sono gente scarsa e misera, ché male mangiano e mal beono. Quivi dimorano alquanti cristiani nestorini, che ànno loro legge e loro chiese; e ànno lingua per loro. (cap. 50 Del reame di Casciar)
  • Or avenne che nel 1187 anni li Tartari fecero uno loro re ch'ebbe nome Cinghis Kane. Costui fu uomo di grande valenza e di senno e di prodezza; e sí vi dico, quando costui fue chiamato re, tutti li Tartari, quanti n'era al mondo che per quelle contrade erano, si vennero a lui e tennello per signore; e questo Cinghis Kane tenea la segnoria bene e francamente. E quivi venne tanta moltitudine di Tartari che no si potrebbe credere; quando Cinghi si vide tanta gente, s'aparechiò con sua gente per andare a conquistare altre terre. E sí vi dico ch'egli conquistò bene otto province in poco tempo, né no li face' male a cui egli pigliava né no rubavano, ma menavaglisi drieto per conquistare l'altre contrade, e cosí conquistò molta gente. E tutta gente andavano volontieri dietro a questo signore, veggendo la sua bontà; quando Cinghi si vide tanta gente, disse che volea conquistare tutto 'l mondo. (cap. 64, Come Cinghis fue il primaio Kane)
  • Ancora vi dico che appresso di questo palagio n'à un altro né più né meno fatto, ove istàe lo nipote del Grande Kane che dé regnare dopo lui; e questo è Temur, figliuolo di Cinghi, ch'era lo magiore figliuolo del Grande Kane. E questo Temur che dé regnare, tiene tutta quella maniera che fae lo suo avolo, e àe già bolla d'oro e sugello d'imperio, ma non fa l'uficio infino che l'avolo è vivo.
    Dacché v’ò contato de’ palagi, sí vi conterò de la grande città de Canblau [l'attuale Pechino la capitale della Cina], ove sono questi palagi e perché fu fatta, e come egli è vero che apresso a questa città n’avea un’altra grande e bella, e avea nome Garibalu, che vale a dire in nostra lingua ’la città del signore’. E ’l Grande Kane, trovando per astorlomia che questa città si dovea ribellare [e] dare grande briga a lo ’mperio, e però lo Grande Kane fece fare questa città presso a quella, che non v’è in mezzo se non uno fiume. E fece cavare la gente di quella città e mettere in quest’altra, la quale è chiamata Canblau.
    Questa città è grande in giro da 24 miglie, cioè 6 miglia per ogni canto, e è tutta quadra, che non à piú dall’uno lato che da l’altro. Questa città è murata di terra e sono grosse le mura 10 passi e alte 20, ma non sono cosí grosse di sopra come di sotto, perché vegnono sí asottigliando che di sopra sono grosse da 3 passi; e sono tutte merlate e bianche. E quivi àe 10 porti, e ’n su ciascuna porta àe uno grande palagio, sicché su ciascuna quadra àe 3 porti e 5 palagi. Ancora su ciascuna quadra di questo muro àe uno grande palagio, ove stanno gli uomini che guardano la terra. (cap. 84, Ancora d'uno palagio del nipote)
  • E sappiate per vero che in Canbalu viene le piú care cose e di magiore valuta che 'n terra del mondo, e ciò sono tutte le care cose che vegnon d'India – come sono pietre preziose e perle e tutte altre care cose – (che) sono recate a questa villa [...] ché voglio che sappiate che ogni die vi viene in quella terra piú di 1.000 carette caricate di seta, perché vi si lavora molti drappi e ad oro ed a seta. (cap. 94, Come 'l Grande Kane tiene sua corte e festa)
  • Qua(ndo) l’uomo si parte di Canbalu, presso lí a 10 miglie, si truova un fiume, il quale si chiama Pulinzaghiz [il fiume Yongding], lo quale fiume va infino al mare Ozeano; e quinci passa molti mercata(n)ti co molta mercatantia. E su questo fiume àe uno molto bello ponte di pietre [Quello che oggi è conosciuto come Il ponte di Marco Polo a Pechino]. E sí vi dico che al mondo non à un cosí fatto, perch’egli è lungo bene 300 passi e largo otto, che vi puote bene andare 10 cavalieri l’uno allato all’altro; e v’à 34 archi e 34 morelle nell’acqua; e è tutto di m[a]rmore e di colonne, cosí fatte com’io vi dirò. Egli è fitto dal capo del ponte una colonna di marmore, e sotto la colonna àe uno leone di marmore, e di sopra un altro, molto belli e grandi e ben fatti. E lungi a questa colonna un passo, n’à un’altra né piú né meno fatta, con due leoni; e dall’una colonna a l’altra è chiuso di tavole di marmore, perciò che neuno potesse cadere nell’acqua. E cosí va di lungo in lungo per tutto il ponte, sicch’è la piú bella cosa a vedere del mondo. (cap. 104 De la provincia del Catai)
  • E di capo di questa provincia, ove noi siamo venuti, è una città ch’à nome Tinanfu [Taiyuan in Cina] , ove si fa mercatantia ed arti assai; e quivi si fae molti fornimenti che bisogna agli osti del Grande Sire. Quivi àe molto vino, e per tutta la provincia del Catai non à vino se no in questa città; e questa ne fornisce tutte le province d’atorno. Quivi si fae molta seta, però ch’ànno molti gelsi e molti vermi che la fanno. (cap. 106, Del reame di Taiamfu)
  • E la maestra città à nome Sardanfu [l'odierna Chengdu in Cina], la quale fue anticamente grande città e nobile, e fuvi entro molto grande e ricco re; ella giròe intorno bene 20 miglie. [...] E sappiate che per mezzo questa villa passa un grande fiume d’acqua dolce, ed è largo bene mezzo miglio, ove à molti pesci, e va fino al mare Aziano, e àvi bene da 80 a 100 miglie, e è chiamato Quinianfu. In su questo fiume àe grande quantità di città e di castella, e àvi tante navi ch’a pena si potrebbe credere, chi nol vedesse; e v’à tanta moltitudine di mercatanti che vanno súe e giuso, ch’è una grande meraviglia. E ’l fiume è sí largo che pare uno mare a vedere, e non fiume.
    E dentro da la città su questo fiume è uno ponte tutto di pietre, e è lungo bene uno mezzo miglio e largo 8 passi. Su per lo ponte àe colonne di marmore che sostegnono la copritura del ponte; ché sappiate ch’egli è coperto di bella copritura, e tutto dipinto di belle storie. E àvi suso piú magioni, ove si tiene molta mercatantia ed arti; ma sí vi dico che quelle case sono di legno, che la sera si disfanno e la mattina si rifanno. E quiv’è lo camarlingo del Grande Sire, che riceve lo diritto de la mercatantia che si vende su quel ponte; e sí vi dico che ’l diritto di quello ponte vale l’anno bene 1.000 bisanti d’oro. (Cap. 113 De Sardanfu)
  • Tebet [il Tibet] è una grandissima provincia, e ànno loro linguaggio; e sono idoli e confinano co li Mangi e co molte altre province. Egli sono molti grandi ladroni. E è sí grande, che v’à bene 8 reami grandi, e grandissima quantità di città e di castella. E v’à in molti luoghi fiumi e laghi e montagne ove si truova l’oro di paglieola in grande quantità. E in questa provincia s’espande lo coraglio, e èvi molto caro, però ch’egli lo pongono al collo di loro femine e de’ loro idoli, e ànnolo per grande gioia. E ’n questa provincia à giambellotti assai e drappi d’oro e di seta; e quivi nasce molte spezie che mai non furo vedute in queste contrade. E ànno li piú savi incantatori e astorlogi che siano in quello paese, ch’egli fanno tali cose per opere di diavoli che non si vuole contare in questo libro, però che troppo se ne maraviglierebbero le persone. E sono male costumati. Egli ànno grandissimi cani e mastini grandi com’asini, che sono buoni da pigliare bestie salvatiche; egli ànno ancora di piú maniere di cani da cacc[ia]. E vi nasce ancora molti buoni falconi pellegrini e bene volanti. (cap. 115 Ancora de la provincia di Tebet)
  • Quin’àe [identificata con la regione cinese dello Yunnan] mercatanti e artefici. La legge v’è di piú maniere: chi adora Maomett[o] e chi l’idoli, e chi è cristiano nestorino. E v’à grano e riso assai; ed è contrada molto inferma, perciò mangiano riso. Vino fanno di riso e di spezie, ed è molto chiaro e buono, ed inebria tosto come ’l vino. Egli spendono per moneta porcellane bianche che si truovano nel mare e che si ne fanno le scodelle, e vagliono le 80 porcelane un saggio d’argento, che sono due viniziani grossi, e gli otto saggi d’argento fino vagliono un saggio d’oro fino. Egli ànno molte saliere, onde si cava e faie molto sale, onde si ne fornisce tutta la contrada; di questo sale lo re n’à grande guadagno. È non curano se l’uno tocca la femina dell’altro, pure che sia sua volontà de la femina. (cap. 117 De la provincia di Caragian)
  • Ciangli [Jinan in Cina] è una città del Catai. È sono idoli e al Grande Kane; e ànno moneta di carte. [...] Questa contrada è di grande [prode] al Grande Kane, ché per mezzo la terra vae un grande fiume, ove sempre va molta mercatantia di seta e di molta spezzeria ed altre cose. (cap. 129 Di Cia(n)gli)
  • Sugni [Suzhou in Cina] è una molto nobile città. È sono idoli e al Grande Kane; moneta ànno di carte. Elli ànno molta seta e vivono di mercatantia e d’arti; molti drappi di seta fanno, e sono ricchi mercatanti. Ell’è sí grande, ch’ella gira 60 miglia, e v’à tanta gente che neuno potrebbe sapere lo novero. E sí vi dico che se fossero uomini d’arme quelli del Mangi, elli conquistebbono tutto ’l mondo; ma elli non sono uomini d’arme, ma sono savi mercatanti d’ogne cosa e sí ànno boni † ... † e naturali e savi fisolafi. E sappiate che questa città à bene 6.000 ponti di pietre, che vi paserebbe sotto o una galea o [2]. E ancor vi dico che ne le montagne di questa città nasce lo rebarbero e zezebe in grande abondanza, ché per uno veneziano grosso s’avrebbe ben 40 libbre di zezibere fresco, ch’è molto buono. Ed à sotto di sé 16 città molto grandi e di grande mercatantia e d’arti. (cap. 147 Della città chiamata Sugni)
  • Di capo di queste tre giornate, si truova la sopranobile città di Quinsai [Hangzhou in Cina], che vale a dire in francesco ’la città del cielo’. E conteròvi di sua nobiltà, però ch’è la piú nobile città del mondo e la migliore; e dirovi di sua nobiltà secondo che ’l re di questa provincia scrisse a Baian, che conquistò questa provincia de li Mangi [...] La città di Quinsai dura in giro 100 miglia, e à 12.000 ponti di pietra; e sotto la maggior parte di questi ponti potrebbe passare una grande nave sotto l’arco, e per gli altre bene mezzana nave. E neuno di ciò si maravigl[i], perciò ch’ell’è tutta in acqua e cerchiata d’acqua; e però v’à tanti ponti per andare per tutta la terra. (cap. 148 Di Quinsai)
  • [O]r sapiate che questa città di Fugiu [Fuzhou in Cina] è capo del regno di Conca [...] E per lo mezzo di questa città vae un fiume largo bene un miglio. Qui si fa molte navi che vanno su per quel fiume. Qui si fa molto zucchero; qui si fa mercatantia grandi di pietre preziose e di perle, e portal[e] i mercatanti che vi vengono d’India. E questa terra è presso al porto di Catun, nel mare Ozeano: molte care cose vi sono recate d’India. Egli ànno bene da vivere di tutte cose, ed ànno be’ giardini co molti frutti, ed è sí bene ordinata ch’è maraviglia. (cap. 152 Della città chiamata Fugiu)
  • Di capo di queste 5 giornate si truova una città ch’à nome Zartom [Identificata con Quanzhou in Cina], ch’è molto grande e nobile, ed è porto ove tutte le navi d’India fanno capo, co molta mercatantia di pietre preziose e d’altre cose, come di perle grosse e buone. E quest’è ’l porto de li mercatanti de li Mangi, e atorno questo porto à tanti navi di mercatantie ch’è meraviglia; e di questa città vanno poscia per tutta la provincia de li Mangi. E per una nave di pepe che viene in Alesandra per venire in cristentà, sí ne va a questa città 100, ché questo è l’uno de li due p[o]rti del mondo ove viene piúe mercatantia. (cap. 153 Di Zart[om])
  • Zipangu [il Giappone] è una isola in levante, ch’è ne l’alto mare 1.500 miglia.
    L’isola è molto grande. Le gente sono bianche, di bella maniera e elli. La gent’è idola, e no ricevono signoria da niuno se no da lor medesimi.
    Qui si truova l’oro, però n’ànno assai; neuno uomo no vi va, però neuno mercatante non ne leva: però n’ànno cotanto. Lo palagio del signore de l’isola è molto grande, ed è coperto d’oro come si cuoprono di quae di piombo le chiese. E tutto lo spazzo de le camere è coperto d’oro grosso ben due dita, e tutte le finestre e mura e ogne cosa e anche le sale: no si potrebbe dire la sua valuta.
    Egli ànno perle assai, e son rosse e tonde e grosse, e so’ piú care che le bianche. Ancora v’àe molte pietre preziose; no si potrebbe contare la ricchezza di questa isola. (cap. 155 Dell'isola di Zipangu)
  • Quando l’uomo si parte di Cianba e va tra mezzodie e siloc ben 1.500 miglia, si viene a una grandissima isola ch’à nome Iava [L'isola di Giava]. E dicono i marinai ch’è la magior isola del mondo, ché gira ben 3.000 miglia. È sono al grande re; e sono idoli, e non fanno trebuto a uomo del mondo. Ed è di molto grande richezza: qui à pepe e noci moscade e spig[o] e galinga e cubebe e gherofani e di tutte care spezie. A quest’isola viene grande quantità di navi e di mercatantie, e fannovi grande guadagno; qui à molto tesoro che non si potrebbe contare. Lo Grande Kane no l’à potuta conquistare per lo pericolo del navicare e de la via, sí è lunga. E di quest’isola i mercatanti di Zaiton e de li Mangi n’ànno cavato e cavano grande tesoro. (cap. 159 Dell'isola di Iava)
  • Ed io Marco Polo vi dimórai 5 mesi [a Sumatra] per lo mal tempo che mi vi tenea, e ancora la tramontana no si vedea, né le stelle del maestro. È sono idoli salvatichi; e ànno re ricco e grande; anche s’apellano per lo Grande Kane. Noi vi stemmo 5 mesi; noi uscimmo di nave e facemmo in terra castella di legname, e in quelle castelle stavavamo per paura di quella mala gente e de le bestie che mangiano gli uomini. Egli ànno il migliore pesce del mondo, e non ànno grano ma riso; e non ànno vino, se non com’io vi dirò. Egli ànno àlbori che tagliano li rami, gocciolano, e quell’acqua che ne cade è vino; ed empiesine tra dí e notte un grande coppo che sta apiccato al troncone, ed è molto buono. L’àlbore è fatto come piccoli datteri, e ànno quattro rami; e quando lo troncone non gitta piúe di questo vino, elli gittano de l’acqua al piede di questo àlbore e, stando un poco, el troncone gitta; ed àvine del bianco e del vermiglio. Di noci d’India à grande abondanza; elli mangiano tutti carne e buone e reie. (cap. 163 Del reame di Samarra)
  • Quando l’uomo si parte de l’isola de Angaman e va 1.000 miglia per ponente e per gherbino, truova l’isola di Seilla [Ceylon, l'odierno Sri Lanka], ch’è la migliore isola del mondo di sua grandezza. [...] È vanno tutti ignudi, salvo lor natura. No ànno biade, ma riso, e ànno sosimain, onde fanno l’olio, e vivono di riso, di latt’e di carne; vino fanno degli àlbori ch’ò detto (di sopra). [...] Sapiate che (’n) quest’isola nasce li nobili e li buoni rubini, e non nasciono in niuno lugo del mondo piúe; e qui nasce zafini e topazi e amatisti, e alcune altre buone pietre preziose. E sí vi dico che ’l re di questa isola àe il piú bello rubino del mondo, né che mai fue veduto; e diròvi com’è fatto. [...] La gente è vile e cattiva, e se li bisogna gente d’arme, ànno gente d’altra contrada, spezialemente saracini. (cap. 169 Dell'isola di Seilla)
  • Lo corpo di santo Tomaso apostolo è nella provincia di Mabar [a Chennai in India] in una picciola terra che non v’à molti uomini, né mercatanti non vi vengono, perché non v’à mercatantia e perché ’l luogo è molto divisato. Ma vèngovi molti cristiani e molti saracini in pellegrinaggio, ché li saracini di quelle contrade ànno grande fede in lui, e dicono ch’elli fue saracino, e dicono ch’è grande profeta, e chiàmallo varria, cio(è) «santo uomo».
    Or sapiate che v’à costale maraviglia, che li cristiani che vi vegnono in pellegrinaggio tolgono della terra del luogo ove fue morto san Tomaso e dannone un poco a bere a quelli ch’ànno la febra quartana o terzana: incontanente sono guariti. E quella terra si è rossa. [...] Messer santo Tomaso si stava in uno romitoro in uno bosco e dicea sue orazioni, e d’intorno a lui si avea molti paoni, ché in quella contrada n’à piú che in lugo del mondo. E quando san Tomaso orava, e uno idolatore della schiatta dei gavi andava ucellaldo a’ paoni, e saettando a uno paone, sí diede a santo Tomaso per le costi, ché nol vedea; ed issendo cosí fedito, sí orò dolcemente e cosí orando morío. E inanzi che venisse in questo romitoro, molta gente convertío alla fede per l’India. (cap. 172 Di santo Tomaso l'apostolo)
  • Sapiate che fanciugli e fanciulle nascono neri [a Chennai in India], ma non cosí neri com’eglino sono poscia, ché continuamente ogni settimana s’ungono con olio di sosima, acciò che diventino bene neri, ché in quella contrada quello ch’è più nero è più pregiato.
    Ancora vi dico che questa gente fanno dipigne(r) tutti i loro idoli neri, e i dimoni bianchi come neve, ché dicono che il loro idio e i loro santi sono neri. (cap. 172 Di santo Tomaso l'apostolo)
  • Tana [Thane nella costa occidentale dell'India] è anche uno grande reame, e sono simiglianti a questi di sopra, ed ànno anche loro re. Qui non à spezie, àcci incenso, ma non è bianco, anzi è bruno, e fassine grande mercatantia. Qui si à bucherame e bambagia assai. Li mercatanti recano qui oro e ariento, rame e di quelle cose di che vi bisogna, e portane delle loro.
    Ancora escono di qui molti corsari per mare, e fanno grande danno a’ mercatanti; e questo è per la volontà del loro segnore. E fa il re questo patto con loro, che li corsari li danno tutti li cavalli che pigliano, ché molti vi ne passano, perciò che in India si ne fa grande mercatantia, sicché poche navi vanno per l’India che no menino cavagli; e tutte l’altre cose sono de li corsali. (cap. 181 Del reame della Tana)
  • Canbaet [Khambhat in India] si è ancora un altro grande reame, ed è simile a questo di sopra, salvo che non ci à corsali né male genti. Vivono di mercatantia e d’arti, e sono buona gente. Ed è verso il ponente, e vedesi meglio la tramontana. (cap. 182 Del reame di Canbaet)
  • Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di lungi da Scara intorno da 1.000 miglia. Questi sono saracini ch'adorano Malcometo; questi ànno 4 vescovi – cioè 4 vecchi uomini –, ch'ànno la signoria di tutta l'isola. E sapiate che questa è la migliore isola e la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch'ella gira 4.000 miglia. È vivono di mercatantia e d'arti. Qui nasce piú leofanti che in parte del mondo; e per tutto l'altro mondo non si vende né compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola ed in quella di Zaghibar. E sapiate che in questa isola non si mangia altra carne che di camelli, e mangiavisene tanti che non si potrebbe credere; e dicono che questa carne di camelli è la piú sana carne e la migliore che sia al mondo. (cap. 186, Dell'isola di Madegascar)
  • Calatu [Qalhat in Oman] si è una grande cità, ed è dentro dal golfo che si chiama Calatu, ed è di lungi da Dufar 600 miglia verso maestro. Ed è una nobile cità sopra il mare; e tutti sono saracini ch’adorano Malcometto. Qui non à biada, ma per lo buono porto che àe, sí vi capitano molte navi, le quali vi ne recano asai de la biada e de l’altre cose.
    La cità si è posta in su la bocca del golfo di Calatu, sí che vi dico che veruna nave non vi puote né passare né uscire sansa la volontà di questa città. (cap. 193 Della città di Calatu)
  • E' fa prendere iscorza d'uno albore c'ha nome «gelso», e è l'albore le cui foglie mangiano gli vermini che fanno la seta.[1]

Citazioni sull'opera[modifica]

Marco Polo (Palazzo Doria-Tursi, Genova)
  • Il libro più grandioso del Duecento: leggendolo vi si sente l'uomo felice di aver vissuto una vita così straordinaria: un senso di potente fecondità, di incommensurabile ricchezza, di gigantesca attività sale da queste pagine; e Marco Polo, il protagonista instancabile e imperterrito, sembra un personaggio degno d'esser messo vicino all'Ulisse dantesco. (Attilio Momigliano)
  • Tono fondamentale del Milione non è epico e poetico, ma scientifico. (Luigi Russo)

Citazioni su Marco Polo[modifica]

  • E Marco Polo li fregò: | doge, moglie, turchi, idee, | partì da Chioggia ed arrivò | non più giù di Bari, | non più giù di Bari, | poi disse "ho visto orienti magici", | ma almeno aveva avuto della fantasia; | i veneziani che applaudivano | solo invidia e ipocrisia. (Roberto Vecchioni)
  • L'inventore e il fondatore di una maniera tutta nuova, scientifica, di racconto. (Luigi Russo)

Note[modifica]

  1. Da Il Milione; Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, VI Vol. , Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1972, p. 636.

Bibliografia[modifica]

  • Marco Polo, Milione, a cura di Antonio Lanza, L'Unità – Editori Riuniti, 1982.

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]