Marguerite Yourcenar

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Marguerite Yourcenar nel 1982

Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour (1903 – 1987), scrittrice francese.

Citazioni di Marguerite Yourcenar[modifica]

  • C'è un femminismo estremista che non amo. [...] Soprattutto per due suoi aspetti. Il primo: l'ostilità verso l'uomo. Mi sembra che nel mondo ci sia già troppo ostilità – bianchi e neri, destra e sinistra, cristiani e non cristiani, cattolici e protestanti – che non c'è bisogno di creare un altro ghetto. [...] Il fatto di considerare che sia un progresso per la donna moderna mettersi nella stessa condizione dell'uomo moderno – il manager che fa affari, il finanziere, il politico – senza vedere il lato assurdo e anche inutile di queste attività.[1]
  • Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l'abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz'acqua dirette al macello.[2]
  • Credo che la politica non sia la cosa più importante del mondo, anche se siamo tutti sue vittime. Ma un autobus può travolgermi oggi pomeriggio, e io posso morire così, non per questo però l'autobus è la cosa più importante...[1]
  • Il muro della camera magica si dissolse: soffiarono venti, senza apportare una boccata d'aria nella caverna gremita di spettri, poiché anch'essi non erano che fantasmi di venti. La sala, come un tunnel, si aprì sull'universo. Il dittatore inaugurava una mostra d'arte romana; ebrei, colpevoli della loro razza, varcavano alla rinfusa la frontiera del Reich; cannoni tuonavano nel deserto mongolo. Angiola chiuse gli occhi, lasciando passare quei residui di gesti semidigeriti dal Tempo, che per qualche settimana si sarebbero ancora sparpagliati per il mondo, staccati dalle loro cause, prima d'imputridire come foglie morte. Lei non era venuta lì per vedere quegli spezzoni banali realizzati con grandi spese dalla ditta Universo e Dio. [...] Infine, la sua voce le tornò, come un'eco, ripercossa dal muro di tela bianca. Truccata di luce come la faccia illuminata del globo, l'immensa faccia di Angiola Fides girò lentamente sulla notte, bagnata da un dolce chiaroscuro come da un vapore nato dal suo alito, con le tempie e la fronte bordate da una cupa foresta, il valloncello delle guance sotto gli zigomi delicatamente salienti, i laghi degli occhi, la faglia delle labbra che s'apriva sull'abisso interiore. Come davanti a uno specchio, lei si passò la mano sui capelli per rimettere a posto una ciocca fuori posto sulla fronte di Angiola Fides, dimenticando che aveva cambiato pettinatura. In un certo senso, intravedeva solo una morta. La camera magica, grossolana riproduzione della memoria umana, non la poteva restituire a se stessa che al passato. Ma anche, in un senso meno stupido di quello comune, lei aveva davanti a sé un vampiro: quel pallido mostro aveva bevuto tutto il sangue d'Angiola, senza comunque riuscire a rivestirsi di carne. Lei aveva sacrificato tutto a quel fantasma dotato d'ubiquità, gratificato dalla macchina da presa di visioni di un'immortalità fittizia che non escludeva la morte.[3]
  • In genere, a guardare spassionatamente, nella famiglia c'è molta più ostilità, tirannia – specialmente contro i figli – che amore, tenerezza, comprensione. Il pericolo di scaricare i propri sentimenti e desideri di violenza all'interno della famiglia è molto forte.[1]
  • [Su Le Cacce di Oppiano di Apamea] L'opera di Oppiano offre uno stupefacente catalogo di animali selvatici che va dal leone all'onagro e alla gazzella, dall'elefante all'orso, e dalla tigre al rinoceronte e al coccodrillo. Un soffio barbaro passa già su questa fine d'impero. Sembra che questa civiltà che brucia le proprie riserve veda a poco a poco crescere e avvicinarsi le cime delle foreste e le dune di sabbia, le boscaglie e le lande che così a lungo ha cercato di vincere o di dimenticare.[4]
  • L'ossessione del presente è caratteristica delle persone che vivono e pensano in modo convenzionale, dominati dalle mode. E così non si accorgono che tutto quello che è davvero importante nella nostra vita è uguale ieri come oggi.[1]
  • La libertà basta volerla.[1]
  • Mangiare carne è digerire le agonie di altri esseri viventi. Gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso.[5]
  • Ogni anima si ammaestra attraverso la carne.[6]

Alexis[modifica]

Incipit[modifica]

Questa lettera, amica mia, sarà lunghissima. Non mi piace troppo scrivere. Ho letto sovente che le parole tradiscono il pensiero, ma mi sembra che le parole scritte lo tradiscano ancor di piú. Tu sai ciò che resta di un testo dopo due successive traduzioni. E poi, io non sono abile. Scrivere è una scelta perpetua tra mille espressioni, nessuna delle quali, avulsa dalle altre, mi soddisfa completamente. Eppure dovrei sapere che soltanto la musica permette il concatenarsi degli accordi. Una lettera, anche la più lunga, costringe a semplificare ciò che non avrebbe dovuto essere semplificato: si è sempre cosí poco chiari quando si tenta di essere esaurienti!

Citazioni[modifica]

  • Ci si crede puri finché si disprezza quel che non si desidera.
  • È l'opinione altrui che conferisce ai nostri atti una sorta di realtà.
  • Ho sempre pensato che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio, il mistero del silenzio che cerca di esprimersi.
  • I libri avrebbero potuto istruirmi. Ho sentito incriminare molto la loro influenza; forse mi renderei interessante. Ma i libri non hanno avuto alcun effetto su di me. Non ho mai amato i libri. Ogni volta che li apriamo siamo in attesa di qualche rivelazione sorprendente, ma ogni volta che li richiudiamo ci sentiamo più scoraggiati. D'altra parte bisognerebbe leggere tutto, e la vita non basterebbe. Ma i libri non contengono la vita; non ne contengono che la cenere; è, immagino, ciò che si chiama l'esperienza umana.
  • La sofferenza che si cagiona è l'ultima di cui ci si accorge.
  • Le cose, nella vita, non sono mai troppo precise; ed è mentire dipingerle nude, poiché non le vediamo mai se non in una nube di desiderio.
  • Ogni felicità è un'innocenza.
  • Più difficile è essere dinanzi agli altri quel che siamo davanti a Dio.
  • Si può essere felici senza mai smettere di essere tristi.
  • Talora i nostri difetti sono i migliori avversari dei nostri vizi.

[Marguerite Yourcenar, Alexis o il trattato della lotta vana, traduzione di Maria Luisa Spaziani, Feltrinelli, Milano]

Archivi del nord[modifica]

  • Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione.
  • Alcuni, di fronte alla malvagità e alla cattiveria, si ritraggono non per viltà ma per ripugnanza a discutere con un insolente.
  • Bisogna aver vissuto in una piccola città per sapere come i congegni della società vi giochino allo scoperto e fino a che punto i drammi e le farse della vita pubblica e privata vi siano messi a nudo.
  • C'è il momento in cui ogni scelta diventa irreversibile.
  • Ci pare sempre di essere vissuti a lungo nei luoghi in cui abbiamo vissuto intensamente.
  • Ci sono in ogni epoca degli individui che non pensano come tutti, cioè che non pensano come coloro che non pensano affatto.
  • Di fronte agli eccessi compiuti in altri tempi dal partito a cui si tiene, la tecnica molto semplice consiste da una parte nel denigrare le vittime, dall'altra nel dichiarare che le condanne erano necessarie per garantire l'ordine.
  • È dai fatti e dai gesti più banali che si deve cominciare a delineare un personaggio, come uno schizzo a grandi linee.
  • Il coraggio che rimuove troppo radicalmente il dolore avvelena questo e noi stessi.
  • L'antipatia è come un'amicizia a rovescio.
  • L'entusiasmo non si comunica come attraverso una miccia. La polvere è lenta ad accendersi e non basta mettere la gente di fronte ad un bel paesaggio o ad un buon libro per farglieli apprezzare.
  • L'infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono ma sono i due stati più profondi che è dato di vivere.
  • La riflessione profonda, se espressa, cade facilmente nel luogo comune.
  • La vita fa presto a riformare dei vincoli che prendono il posto di quelli da cui ci si sente liberati: qualunque cosa si faccia e ovunque si vada, dei muri ci si levano intorno creati da noi, dapprima riparo e subito prigione.
  • Le più piccole gentilezze nei suoi confronti lo commuovevano fino alle lacrime: mi ci è voluto molto tempo per capire che quella forma di emotività è spesso prerogativa delle nature meschine che non danno nulla in cambio e si stupiscano che gli altri diano.
  • Lo scopo di ogni scrittore: comunicare un'impressione che non si potrà più dimenticare.
  • Lo strano impulso dell'artista consiste nel sovrapporre ai brulicanti aspetti del mondo reale una folla di figurazioni nate dal suo spirito, dal suo occhio e dalle sue mani.
  • Modesti sono coloro che hanno una tranquilla fiducia in sé stessi.
  • Molti grandi scrittori (soprattutto nel nostro tempo), nel collegio hanno trovato l'amore, il piacere, l'ambizione, i nobili pensieri, i bassi intrighi, tutta la vita in sunto. A volte è come se non avessero più imparato nulla in seguito e come se in loro l'essenziale fosse morto a vent'anni.
  • Per gli psicologi l'oblio nasconde sempre un segreto: questi analisti si rifiutano di affrontare il vuoto desolato.
  • Quei cattolici osservanti non si chiedevano se il lusso delle chiese non insultasse la miseria dei poveri.
  • Quelle famiglie i cui stemmi tappezzano i muri delle chiese discendono a volte da straccioni ribelli.
  • Un argomento poco sfruttato dalla letteratura ma che quando esiste è uno dei più forti e più completi in assoluto: l'affetto reciproco tra padre e figlia.
  • Un guscio di indifferenza talvolta circonda l'infanzia e la difende dalle provocazioni degli adulti.

[Marguerite Yourcenar, Archivi del nord, traduzione di Graziella Cillario, Einaudi, 1982]

Il colpo di grazia[modifica]

  • La crudeltà è un lusso da oziosi, come le droghe e le camicie di seta. (p. 20)
  • L'amicizia è prima di tutto certezza, ed è questo che la differenzia dall'amore. È anche rispetto, e accettazione totale di un altro essere. (p. 28)
  • Perché le donne vanno proprio ad invaghirsi degli uomini che non sono loro destinati, costringendoli così a scegliere fra lo snaturarsi e il detestarle? (p. 36)
  • Possiamo fidarci del fuoco a condizione di sapere che la sua legge è di estinguersi o di bruciare. (p. 43)
  • Abbiamo l'abitudine di parlare come se le tragedie si svolgessero nel vuoto: ma chi le condiziona è lo sfondo. (p. 46)
  • Ciò che può sembrare più simile alle fasi monotone di un amore, sono le infaticabili e sublimi tiritere dei quartetti di Beethoven. (p. 74)
  • Chi pretenda di ricordare tutta una conversazione parola per parola, mi è sempre sembrato un bugiardo o un mitomane. (p. 82)
  • Nella solitudine le donne non possono vivere e immancabilmente la saccheggiano, non fosse che sforzandosi di costruirvi un giardino. (p. 84)
  • Per le donne niente ha importanza al di fuori di loro stesse, e ogni scelta che non le riguardi non la giudicano se non una follia cronica o un'aberrazione passeggera. (p. 91)
  • Il fatto è che i cuori puri albergano una buona dose di pregiudizi, la cui assenza compensa forse nei cinici quella degli scrupoli. (p. 105)
  • Si dice che il destino sia maestro nello stringere il cappio intorno al collo del paziente; che io sappia, è maestro soprattutto nello spezzare le fila. (p. 105)
  • Credo che in ogni vita ci siano periodi in cui un uomo esiste realmente, e altri in cui egli non è che un agglomerato di responsabilità, di fatiche e, per le teste deboli, di vanità. (p. 112)
  • Le risposte sincere non sono mai nette né rapide. (p. 120)

[Marguerite Yourcenar, Il colpo di grazia, traduzione di Maria Luisa Spaziani, Feltrinelli, Milano, 2005. ISBN 88-07-81089-1]

Fuochi[modifica]

  • Ciò che appare evidente è che questa nozione dell'amore puro[7], a volte scandaloso ma pur tuttavia imbevuto di una specie di virtù mistica, non sembra possa sussistere se non associato a una qualsiasi forma di fede nella trascendenza, non fosse che all'interno della persona umana, e che una volta privato del sostegno di certi valori metafisici e morali oggi disprezzati, forse perché i nostri predecessori ne hanno fatto un abuso, il folle amore smette presto di essere altro che un vano gioco di specchi o una triste mania. (dalla Prefazione, edizione Bompiani, 2014, p. 11. ISBN 9788858765500)
  • Bestia stanca, uno staffile di fiamme mi colpisce le reni. Ho ritrovato il vero senso delle metafore dei poeti. Mi sveglio ogni notte nell'incendio del mio stesso sangue.
  • Bisogna amare un essere per correre il rischio di soffrire per lui. Bisogna amarti molto per rimanere capace di soffrirti.
  • Cessare di essere amata, significa diventare invisibile. Tu non ti accorgi più che io abbia un corpo.
  • Come sarebbe stato scialbo essere felici!
  • L'amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a rimanere soli.
  • Si arriva vergini a tutti gli avvenimenti della vita. Ho paura di non sapere come fare con il mio Dolore.

[Marguerite Yourcenar, Fuochi, traduzione di Maria Luisa Spaziani, Bompiani, 1986.]

L'opera al nero[modifica]

Incipit[modifica]

Enrico-Massimiliano Ligre procedeva a piccole tappe sulla via di Parigi.
Dei contrasti che opponevano il Re all'Imperatore, ignorava tutto. Sapeva solamente che la pace conclusa da qualche mese si sfilacciava già come un abito indossato troppo a lungo. Non era un segreto per nessuno che Francesco di Valois persisteva nell'adocchiare il Milanese come un amante sfortunato la sua bella; si sapeva da fonte sicura che si adoprava in silenzio a equipaggiare e adunare su i confini del duca di Savoia truppe nuove, per mandarle a raccattare a Pavia gli speroni che vi aveva perduti.

Citazioni[modifica]

  • [...] la vita imprigiona i pazzi e dischiude un pertugio ai savi.
  • Esageri l'ipocrisia degli uomini. [...] La maggior parte pensa troppo poco per pensare doppio.
  • I pensieri periscono come gli uomini.
  • Chi sarebbe così insensato da morire senza aver fatto almeno il giro della propria prigione?
  • Le vostre età dell'oro sono come Damasco e Costantinopoli: belle a distanza; bisogna camminare per le loro strade per vedervi i lebbrosi e i cani famelici.
  • So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, ma so che anch'essi, come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell'errore qual è la parte del vero e tener conto nel vero dell'eterna presenza di falso.
  • Non ho mai deformato le opinioni dell'avversario per confutarle più facilmente [...].
  • Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza.
  • Morirò un po' meno sciocco di come sono nato.
  • A venti anni si era creduto libero dalle consuetudini o dai pregiudizi che paralizzano i nostri atti e mettono i paraocchi all'intelletto, ma in seguito la sua vita era trascorsa ad acquistare soldo a soldo quella libertà che aveva creduto di possedere di primo acchito nella sua totalità. Non si è liberi finché si desidera, si vuole, si teme, forse finché si vive.
  • La carne, il sangue, i visceri, tutto ciò che ha palpitato e vissuto gli ripugnavano in quel periodo della sua esistenza, poiché alla bestia duole morire come all'uomo, e gli dispiaceva digerire agonie.
  • L'uomo è un'istituzione che ha contro di sé il tempo, la necessità, la fortuna e l'imbecille e sempre crescente supremazia del numero. Gli uomini uccideranno l'uomo.

Nota dell'autore[modifica]

  • La formula l'Opera al nero data come titolo al presente libro designa nei trattati alchimistici la fase di separazione e di dissoluzione della sostanza ed era, pare, la parte più difficile della Grande Opera. Si discute tuttora se tale espressione venisse applicata ad audaci esperimenti sulla materia o se si riferisse simbolicamente al travaglio dello spirito nell'atto di liberarsi dalle abitudini e dai pregiudizi. È probabile che sia servita a indicare alternativamente o simultaneamente l'uno e l'altro.

[Marguerite Yourcenar, L'opera al nero, traduzione di Marcello Mongardo e Gabriella Cartago, Feltrinelli, Milano]

Memorie di Adriano[modifica]

Incipit[modifica]

Mio caro Marco,
Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d'accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d'un uomo che s'inoltra negli anni ed è vicino a morire di un'idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m'ha curato in sua assenza. È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana; l'occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue.

Citazioni[modifica]

  • Vi sono già zone della mia vita simili alle sale spoglie d'un palazzo troppo vasto, che un proprietario decaduto rinuncia a occupare per intero. (I, 1: p. 7)
  • Che cos'è l'insonnia se non la maniaca ostinazione della nostra mente a fabbricare pensieri, ragionamenti, sillogismi e definizioni tutte sue, il suo rifiuto di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi o alla saggia follia dei sogni? (I, 1: p. 20)
  • Confesso che la ragione si smarrisce di fronte al prodigio dell'amore, strana ossessione che fa sì che questa stessa carne, della quale ci curiamo tanto poco quando costituisce il nostro corpo, preoccupandoci unicamente di lavarla, di nutrirla e – fin dov'è possibile – d'impedirle che soffra, possa ispirarci una così travolgente sete di carezze sol perché è animata da una individualità diversa dalla nostra, e perché è dotata più o meno di certi attributi di bellezza su i quali, del resto, anche i giudici migliori son discordi. Di fronte all'amore, la logica umana è impotente, come in presenza delle rivelazioni dei Misteri [...] (2002, p. 14)
  • Anche nei rapporti più alieni dai sensi, l'emozione sorge o si attua proprio nel contatto: la mano ripugnante di quella vecchia che mi sottopone una supplica, la fronte madida di mio padre nei suoi ultimi istanti, la piaga detersa di un ferito, persino i rapporti più intellettuali o più anodini si istituiscono attraverso questo sistema di segnali del corpo: il lampo d'intesa che illumina lo sguardo del tribuno al quale si spieghi una manovra prima della battaglia, il saluto impersonale d'un subalterno che al nostro passaggio s'immobilizza in un atteggiamento di obbedienza, lo sguardo amichevole d'uno schiavo che ringrazio per avermi portato un vassoio, l'espressione da intenditore d'un vecchio amico davanti al dono d'un cammeo greco. Con la maggior parte degli esseri umani, i più lievi, i più superficiali di questi contatti bastano, o persino superano l'attesa; ma se essi si ripetono, si moltiplicano attorno a un unico essere sino ad avvolgerlo interamente; se ogni particella d'un corpo umano si impregna per noi di tanti significati conturbanti quante sono le fattezze del suo volto; se un essere solo, anziché ispirarci tutt'al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest'ultima.
  • Ripugna allo spirito umano accettare la propria esistenza dalle mani della sorte, esser null'altro che il prodotto caduco di circostanze alle quali nessun dio presieda, soprattutto non egli stesso. (I, 2: p. 26)
  • Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleccio fortuito degli uccelli, o verso il contrappeso remoto degli astri. (I, 2: p. 26)
  • M'importava assai poco che l'accordo ottenuto fosse esteriore, imposto, probabilmente temporaneo; sapevo che il bene e il male sono una questione d'abitudine, che il temporaneo si prolunga, che le cose esterne penetrano all'interno, e che la maschera, a lungo andare, diventa il volto. (III, 1: p. 94)
  • Ciascuno di noi ha più qualità di quel che non si creda, ma solo il successo le mette in luce, forse perché allora ci si aspetta di vederci smettere d'esercitarle. (III, 2: p. 100)
  • Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell'uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l'amore non corrisposto, l'amicizia respinta o tradita, la mediocrità d'una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni: tutte le sciagure provocate dalla natura divina delle cose (III, 3: p. 108-109)
  • Fino a oggi, tutti i popoli sono periti per mancanza di generosità: Sparta sarebbe sopravvissuta più a lungo se avesse interessato gli iloti alla sua sopravvivenza. [...] Tenevo a che la più diseredata delle creature, lo schiavo che sgombra le cloache delle città, il barbaro che si aggira minaccioso alle frontiere, avessero interesse a veder durare Roma. (III, 3: p. 110)
  • Le nostre raccolte di aneddoti rigurgitano di storie di crapuloni che gettano i domestici alle murene, ma i crimini scandalosi, facilmente punibili, son poca cosa di fronte alle mille e mille angherie oscure, perpetrate ogni giorno da persone cosiddette perbene, ma dal cuore arido, che nessuno si sogna di molestare. (III, 3: p. 111)
  • Esser dio, in fin dei conti, obbliga ad una maggior numero di virtù che non essere imperatore. (p. 139)
  • Avevo voluto che quel santuario di tutti gli dèi [il Pantheon di Roma] riproducesse la forma della terra e della sfera stellare, della Terra dove si racchiudono le sementi del fuoco eterno, della sfera cava che tutto contiene, Era quella, inoltre, la forma di quelle capanne ancestrali nelle quali il fumo dei più antichi focolari umani usciva da un orifizio aperto alla sommità. La cupola, costruita d'una lava dura e leggera che pareva partecipe ancora del movimento ascensionale delle fiamme, comunicava col cielo attraverso un largo foro, alternativamente nero e azzurro. (ed. La biblioteca di Repubblica, 2002, ISBN 84-8130-543-X, p. 143)
  • Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada. (p. 155)
  • Le nostre vecchie religioni, che non impongono all'uomo il gioco di alcun dogma, si prestano a interpretazioni tanto varie quanto la natura stessa, e lasciano che i cuori austeri si foggino, se lo vogliono, una morale più alta, senza costringere le masse a precetti troppo rigidi per evitare che ne scaturiscano subito costrizione e ipocrisia. (V, 1: p. 208)
  • Mi dicevo che è vano sperare, per Atene e per Roma, quell'eternità che non è accordata né gli uomini né alle cose, e che i più saggi tra noi negano persino agli dèi. [...]
    «Natura deficit, fortuna mutatur, deus omnia cernit.» La natura ci tradisce, la fortuna muta, un dio dall'alto guarda ogni cosa. [...]
    Là dove un tessitore rattopperebbe la sua tela, dove un calcolatore correggerebbe i suoi errori, dove l'artista ritoccherebbe il suo capolavoro ancora imperfetto o appena danneggiato, la natura preferisce ricominciare dall'argilla, dal caos; e questo sperpero è ciò che si chiama l'«ordine delle cose». (V, 3: pp. 227–9)
  • La mia opinione su di lui si modificava senza posa, il che accade solo per gli esseri che ci toccano da vicino: gli altri, ci contentiamo di giudicarli alla grossa, e una volta per tutte. (V, 5: p. 241)
  • Mi fa meraviglia che la maggior parte degli uomini abbia tanta paura degli spettri, mentre si acconsente così facilmente a parlare con i morti, in sogno. (VI, 2: p. 272)
  • Io non esistevo più. Era sola. Quasi brutta, con la fronte aggrottata, in una indifferenza incantevole per la propria bellezza, faceva e rifaceva sulle dita, con una smorfia da scolaretta, le addizioni difficili. Non mi piacque mai tanto come quel giorno. (II, 5)
  • Mi sorprende sempre constatare quanto rari siano, soprattutto in Italia, i lettori disposti ad accettare questo libro per quello che è: uno studio sul destino umano, l'immagine d'un uomo che delle sue virtù e dei suoi difetti, delle sue esperienze personali e della sua cultura poco a poco si compone una sorta di saggezza pragmatica d'amministratore e di principe... (da una lettera alla traduttrice; citato in Una traduzione e un'amicizia: p. 327)
  • Fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.
  • Ho cercato la libertà più che la potenza, e quest'ultima soltanto perché, in parte, secondava la libertà.
  • Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha.
  • Per un uomo di gusto, l'ostacolo più grave consiste nel fatto di occupare una posizione preminente, che implica ineluttabilmente il rischio dell'adulazione e della menzogna.
  • Se, per miracolo, qualche secolo venisse aggiunto ai pochi giorni che mi restano, rifarei le stesse cose, persino gli stessi errori, frequenterei gli stessi Olimpi e i medesimi Inferi.
  • Il mio primo consolato fu anch'esso un anno di guerra, una lotta segreta, ma continua, in favore della pace. Ma non la combattevo da solo. Prima del mio ritorno, s'era verificato nell'atteggiamento di Licinio Sura, di Attiano, di Turbo, un cambiamento analogo a quello che si era prodotto in me, come se, a onta della severa censura che praticavo sulle mie lettere, i miei amici mi avessero già compreso, preceduto, o seguito. In altri tempi, gli alti e bassi della mia sorte mi impacciavano soprattutto riguardo a essi; paure, impazienze che da solo avrei sopportato a cuor leggero, si facevano opprimenti se mi vedevo costretto a celarle alla loro sollecitudine o a infliggerne loro la confidenza; mi risentivo di quell'affetto che li angustiava per me più di me stesso, e che mai li portava a scoprire, sotto le agitazioni esteriori, l'essere tranquillo, al quale nulla importa davvero, e che per conseguenza può sopravvivere a tutto. Ma, ormai, mi mancava il tempo per interessarmi a me stesso, come del resto per disinteressarmene. Calava nell'ombra la mia persona, proprio perché, il mio punto di vista cominciava a contare. Ciò che importava, era che qualcuno si opponesse alla politica di conquiste, ne valutasse le conseguenze e la fine, e si preparasse, se possibile, a ripararne gli errori.
  • Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario delle realtà, l'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco. (L'imperatore Adriano)
  • Come Ulisse ho viaggiato per 7 anni in cerca della mia Itaca... gli approdi che via via mi vedevano rifocillarmi alle altrui fonti non facevano altro che allontanarmi sempre più dalla mia patria, e sempre più smarrita mi scoprivo.... infine... l'ho trovata.... la mia Itaca... (... e mi accorsi... quanto sia vantaggioso essere un uomo nuovo... solo... quasi senza avi... un Ulisse senz'altra Itaca che quella interiore...)
  • La nostra vita è breve: parliamo continuamente dei secoli che hanno preceduto il nostro o di quelli che lo seguiranno, come se ci fossero totalmente estranei; li sfioravo, tuttavia, nei miei giochi di pietra: le mura che faccio puntellare sono ancora calde del contatto di corpi scomparsi; mani che non esistono ancora carezzeranno i fusti di queste colonne.

Explicit[modifica]

Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...

Taccuini di appunti[modifica]

  • Chi colloca il romanzo storico in una categoria a parte dimentica che il romanziere si limita a interpretare, valendosi di procedimenti del suo tempo, un certo numero di fatti passati, di ricordi, coscienti o no, personali o no che sono tessuti della stessa materia della storia. Guerra e pace, tutta l'opera di Proust, che cosa sono se non la ricostruzione d'un passato perduto? [...] Ai tempi nostri, il romanzo storico, o quello che per comodità si vuol chiamare così, non può essere che immerso in un tempo ritrovato: la presa di possesso di un mondo interiore. (2002, pp. 258-259)
  • Il tempo non c'entra per nulla. Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti d'aver conquistato e trasformato lo spazio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento la distanza dei secoli. (p. 288)
  • Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. (p. 288)
  • L'uomo appassionato di verità, o, se non altro, di esattezza, il più delle volte è in grado di accorgersi, come Pilato, che la verità non è pura. (p. 296)
  • In un certo senso, ogni vita raccontata è esemplare; si scrive per attaccare o per difendere un sistema del mondo, per definire un metodo che ci è proprio. Ma non è meno vero che le biografie in genere si squalificano per una idealizzazione o una denigrazione a qualunque costo, per particolari esagerati senza fine o prudentemente omessi; anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce. (p. 297)
  • Qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche. (p. 297)
  • Ogni essere che ha vissuto l'avventura umana sono io. (p. 297)
  • Fare del proprio meglio. Rifare. Ritoccare impercettibilmente ancora questo ritocco. «Correggendo le mie opere, – diceva Yeats, – correggo me stesso». (p. 299)
  • Non c'è nulla di più fragile dell'equilibrio dei bei luoghi. Le nostre interpretazioni lasciano intatti persino i testi, essi sopravvivono ai nostri commenti; ma il minimo restauro imprudente inflitto alle pietre, una strada asfaltata che contamina un campo dove da secoli l'erba spuntava in pace creano l'irreparabile. La bellezza si allontana; l'autenticità pure. (p. 301)
  • I nostri rapporti con gli altri non hanno che una durata; quando si è ottenuta la soddisfazione, si è appresa la lezione, reso il servigio, compiuta l'opera, cessano; quel che ero capace di dire è stato detto; quello che potevo apprendere è stato appreso. (p. 301)

[Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano. Seguite dai Taccuini di appunti, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, Giulio Einaudi editore, Torino, 1988. ISBN 88-06-60011-7.]

Pellegrina e straniera[modifica]

  • Tale, quale indugia ancora sugli schermi dei teatrini delle ombre ateniesi, Karagöz è anteriore alla Guerra di Indipendenza, anteriore a Byron: egli appare al tempo della dominazione ottomana. È però anche parente del greco troppo astuto delle commedie romane, del paria disinvolto che in ogni tempo s'è cavato d'impiccio in tutti i porti del Mediterraneo e del quale si ritrovano ancor oggi i tratti in tutti i cambiavalute, i lustrascarpe e i lenoni delle porte d'Oriente. (da Karagöz e il teatro delle ombre in Grecia, pp. 13-14)
  • Karagöz risolve gli enigmi che gli propone la figlia del visir, vola al cielo sul suo asino ruotando a mo' di elica la coda della cavalcatura, vende la sua stamberga pezzo a pezzo «Tanto per la vista, e tanto per l'aria, tanto per i muri, tanto per le finestre, tanto per il soffitto e tanto per il pavimento»: come un Nabot più astuto, capace di fiutare un buon affare persino nella concupiscenza di Re Davide. Demolisce il primo piano, tanto per disturbare l'inquilino del secondo, e si vanta, esattamente come un poeta surrealista «d'aver comprato dieci arpenti[8]di mare per piantarci dei rocchetti». Paga fedelmente la pigione e non è in ritardo che di trentasei mesi ogni tre anni. (da Karagöz e il teatro delle ombre in Grecia, p. 15)
  • La Grecia ha lasciato alla Sicilia qualche tempio e qualche grande ricordo; l'influenza araba vi aleggia onnipresente; il barocco napoletano abbonda; si intravede la Spagna in quella sensazione di siccità austera, ma i conquistatori normanni e angioini hanno lasciato a questo popolo molto più delle loro cattedrali di Cefalù e di Monreale: gli hanno lasciato un'intera tradizione di leggende eroiche, un popolo di paladini, le cui immagini dagli ingenui colori decoravano ancora recentemente i carretti di paese, e che fornisce i suoi temi al teatro dei Pupi di Sicilia. (da I pupi di siciliani, p. 30)
  • Molto più grandi e pesanti delle marionette comuni, manovrati anziché coi fili con solide aste di ferro, i Pupi siciliani sono sontuosamente rivestiti di autentiche armature che cozzano insieme con fragore nel corso delle battaglie: hanno il capo ornato di alti pennacchi e trascinano sulle assi del palco ampi mantelli di velluto. Le figure femminili, in questo mondo di eroici fantocci, sono rare; una tragica Alda vestita di nero, come si addice alla fidanzata di un morto, penzola solitaria a un chiodo tra le quinte di questo stupefacente teatro, il cui impresario è, a tempo perso, fabbro, armaiolo, sellaio, costumista e scenografo, come per un torneo, un serpente, come nell'Eden, e un leone, come nella foresta delle Ardenne di Shakespeare. (da I pupi siciliani, p. 31)
  • Anne Lindbergh ha dato agli Stati Uniti due delle opere di valore prodotte dalla letteratura contemporanea; scrittrice brillante, moglie di un aviatore celebre – il cui ruolo politico, rivelatosi nefasto in questi ultimi mesi, non ha intaccato il prestigio delle sue grandi imprese aeree – aviatrice lei stessa e madre infelice, questa giovane donna appartiene alla leggenda del nostro tempo. (da Forze del passato e forze dell'avvenire, p. 54)
  • A un amico che sollecitava una mia opinione sull'opera di Enrique Larreta, scrittore argentino dell'inizio del secolo – ancora molto letto, sembra, e molto studiato nelle scuole del suo paese – rispondevo di primo acchito di avere letto uno solo dei suoi libri. Si tratta di un romanzo, La Gloria di Don Ramiro, che conobbe la celebrità in Francia grazie a una traduzione di Rémy de Gourmont, da me letto quando avevo circa quattordici anni. È conoscere male un autore averne letto un solo libro: le armoniche dell'opera ci sfuggono. (da A un amico argentino che sollecitava una mia opinione sull'opera di Enrique Larreta, p. 59)
  • Più fortunati dei poeti, all'estero i pittori possono fare a meno di un traduttore: il linguaggio delle forme e dei colori non ha risentito delle infelici conseguenze seguite al crollo della Torre di Babele. E tuttavia, questa regola ha le sue eccezioni: all'estero, Poussin, il più grande dei nostri pittori, ha ancora oggi un pubblico tanto esiguo ed esclusivo quanto quello di Racine. Apprezzare Poussin equivale ad essere ammessi tra i cultori di quella musica da camera francese che Nietzsche, giustamente riteneva incomparabile. [...] Trent'anni fa gli Stati Uniti, a quanto pare, non possedevano un solo dipinto di Poussin: i compratori in un primo tempo si erano rivolti ad artisti di genio più accessibili, o difficili ma più immediatamente aggressivi. (da Un'esposizione di Poussin a New York, p. 65)
  • Böcklin è sepolto a Fiesole. Forse la sensualità di Venezia, che è triste, o, almeno, lo è nell'opera di Maurice Barrès, sarebbe stata più adatta. Ma non ci si sceglie la tomba. [...] Böcklin non ha fatto rotta verso l'isola dei morti, su una di quelle barche simili alle gondole. L'Arno qui non è più navigabile di quanto lo sia il Reno a Basilea. Sono fiumi scontrosi; il fiume color terra ricorda il torrente dal colore dell'erba. L'Italia di Böcklin, una Germania assolata, è il sogno di un cervello nordico. Senza dubbio, dall'alto delle colline di Fiesole, Böcklin ama questo fiume selvaggio che gli lenisce la nostalgia del Reno. (da «L'isola dei morti» di Böcklin, pp. 143 e 148)
  • 1944.Wave of the Future. Ad Anne Lindbergh basta di paragonare l'hitlerismo all'onda del futuro (ammesso che il futuro abbia onde) per chinare il capo davanti a ciò che crede ineluttabile con un misto di sottomissione e di rispetto: come se quanto appare una minaccia proprio per questo meriti di esistere; quasi non dipendesse dagli uomini modificare, ogni giorno, le possibilità dell'indomani. Quelli che descrivono l'imminente catastrofe politica come una marea di settembre, e la civiltà come una spiaggia balneare inondata, dimenticano che le due caratteristiche dell'onda sono il flusso e il riflusso. [...] Così vuole il Dio che governa i flutti. (da Carnet di appunti, 1942-1948, pp. 164-165)
  • Ruysdael è un grande pittore alquanto misconosciuto. Costretto nei manuali al ruolo di paesaggista – definizione troppo limitativa, perché il paesaggio, trattato alla sua maniera, esprime tutto – si è tentati di vedere in lui un preromantico alla Salvator Rosa che, fronda su fronda, roccia su roccia, giunge a produrre effetti sorprendenti e decorativi. Certamente, questo cupo sognatore è molto diverso dagli altri ritrattisti della terra d'Olanda, compreso il Rembrandt degli acquerelli e delle incisioni. Tutti si segnalano per il senso delle prospettive immobili tipiche del loro paese, la linea dell'orizzonte sempre ben marcata, la presenza piatta delle acque e la dolce mistura di foschia e luminosità che è quella dei cieli olandesi. Ruysdael, invece, (come più tardi Hobbema, che però fu suo allievo) scelse di amare soprattutto i boschi cedui intricati, ma non impenetrabili, isolati nella landa o, più raramente, nella piana arabile, dietro ai quali si scopre sempre una distesa di cielo, l'acqua ribollente di torrentelli che sembrano avere alla lunga eroso le pietre, qualche villaggio gelato dall'inverno, chiuso su di sé in modo quasi brutale, tanto che anche la sola presenza di un pattinatore risulterebbe incongrua; e la potente pesantezza di qualche marina con navi a rollare sulle acque agitate. (da L'uomo che firmava con un ruscello, p. 211)
  • Noi abbiamo una sola vita: se anche avessi fortuna, se anche raggiungessi la gloria, di certo sentirei di aver perduto la mia, se per un solo giorno smettessi di contemplare l'universo.
  • Una generazione assiste al sacco di Roma, un'altra all'assedio di Parigi o a quello di Stalingrado, un'altra ancora alla presa del Palazzo d'Estate; la conquista di Troia unifica in una sola immagine questa serie di istantanee tragiche, come il focolaio iniziale di un incendio che si propaga nella storia, e il lamento di tutte le vecchie madri che la cronaca non ha avuto il tempo di ascoltare trova voce nella bocca sdentata di Ecuba.[9]

Scritto in un giardino[modifica]

  • Il colore è l'espressione di una virtù nascosta.
  • L'idraulica costringe l'acqua a comportarsi come una fiamma, a rinnovare incessantemente all'interno della sua liquida colonna la sua ascensione verso il cielo. L'acqua, così forzata, sale fino alla punta estrema dell'obelisco fluido prima di ritrovare la sua libertà che consiste nel discendere.
  • L'acqua aspira a diventare vapore e il vapore a ridiventare acqua.

[Marguerite Yourcenar, Scritto in un giardino, traduzione di Carlo Angelino, Il melangolo, Genova 2004]

Incipit di Come l'acqua che scorre[modifica]

Anna, Soror...
Era nata a Napoli nel 1575, dietro le spesse mura del forte Sant'Elmo di cui suo padre era governatore. Don Alvaro, stabilitosi ormai da lunghi anni nella penisola, si era conquistato il favore del viceré ma anche l'ostilità del popolo e quella dei membri della nobiltà campana che mal sopportavano gli abusi dei funzionari spagnoli. Nessuno peraltro contestava la sua integrità, né l'eccellenza della sua stirpe.

[Marguerite Yourcenar, Come l'acqua che scorre: tre racconti, traduzione di Maria Caronia, Einaudi, 1983]

Note[modifica]

  1. a b c d e Dall'intervista di Elisabetta Rasy, Dall'io all'eternità, Panorama, n. 839, 10 maggio 1982.
  2. Da Chi sa se lo spirito delle bestie scende giù sotto terra, in Il tempo, grande scultore, traduzione di Giuseppe Guglielmi, Einaudi.
  3. Da Moneta del sogno, traduzione di Oreste Del Buono, Bompiani, 1984.
  4. Citato in Il Tempo, grande scultore, traduzione di Giuseppe Guglielmi, Einaudi, Torino, 1985, p. 166. ISBN 978-88-06-17683-9
  5. Citato in Umberto Veronesi, Dell'amore e del dolore delle donne, Einaudi, Torino, 2010, pp. 123-124. ISBN 978-88-06-20133-3
  6. Citato in Mario Lettieri, Il libro delle citazioni, De Agostini, Novara, 1998, p. 35. ISBN 88-415-5890-3
  7. Definito dalla Yourcenar come: "L'amore totale per una particolare creatura". Cfr. Fuochi, p. 11.
  8. L'arpento è un'antica misura di superficie [N.d.T.].
  9. Citato in Jacqueline de Romilly e Monique Trédé, Piccole lezioni sul greco antico, traduzione di Francesco Chiossone, Il melangolo, Genova, 2009, p. 90. ISBN 978-88-7018-748-9

Bibliografia[modifica]

  • Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano; seguite dai Taccuini di appunti, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2002. ISBN 84-8130-543-X
  • Marguerite Yourcenar, Pellegrina e straniera, traduzione di Elena Giovanelli, Einaudi, Torino, 1990. ISBN 88-06-12219-3

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Opere[modifica]

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