Mary Shelley

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Mary Shelley in un ritratto di Richard Rothwell, 1840

Mary Wollstonecraft Godwin Shelley (1797 – 1851), scrittrice e saggista inglese.

Frankenstein[modifica]

Per approfondire, vedi: Frankenstein o il moderno Prometeo.

L'ultimo uomo[modifica]

Incipit[modifica]

Visitai Napoli nel 1818. L'8 dicembre di quell'anno io e il mio compagno attraversammo il golfo, per visitare le antichità sparse sulle coste di Baia. Le acque calme del mare, traslucide e brillanti, ricoprivano i frammenti di antiche ville romane a cui si erano intrecciate le alghe marine, e che assumevano sfumatura adamantine in virtù del gioco variegato dei raggi del sole; l'elemento blu e semitrasparente era come quello che potrebbe aver sfiorato Galatea sul suo cocchio di madreperla, o quello che, più adeguatamente del Nilo, Cleopatra potrebbe aver scelto come via per la sua magica nave.

Citazioni[modifica]

  • Ma in verità, né le meditazioni solitarie dell'eremita né i tumultuosi rapimenti del gaudente sono in grado di soddisfare il cuore dell'uomo. Dal primo otteniamo speculazioni inquietanti, dall'altro disgusto. Lo spirito langue sotto il peso del pensiero, e si abbatte nell'aridità di relazioni che hanno come unico scopo il divertimento. Non c'è gioia nel loro vuoto piacere, e sotto le ridenti increspature di queste acque basse si celano rocce acuminate. (cap. III)
  • Esiste un sentimento come l'amore a prima vista? E se sì, in cosa si differenzia dall'amore che cresce a poco a poco e si fonda su una lunga frequentazione? Forse i suoi effetti non sono così stabili ma, fino a quando durano, sono altrettanto impetuosi e intensi. Privi di gioia, noi camminiamo nei labirinti ciechi della società finché non afferriamo la traccia che, attraverso quel labirinto, ci conduce fino al paradiso. La nostra fioca natura, simile a una torcia spenta, dorme in un vuoto informe fino a che non la raggiunge il fuoco, vita della vita, luce della luna, e gloria del sole. Che importa, se il fuoco viene acceso dall'acciarino e dalla pietra focaia, nutrito con cura fino a che si sviluppa nella fiamma, e trasmesso poi lentamente allo scuro lucignolo, oppure se la forza radiosa della fiamma e del calore si trasforma rapidamente in un potere affine, e accende insieme il falò e la speranza? (cap. V)
  • Che mare è il flusso della passione, le cui fonti sono nella nostra stessa natura! Le nostre virtù sono delle sabbie mobili, che si mostrano con l'acqua bassa e calma; basta però che le onde si alzino sospinte dal vento e il povero diavolo, la cui speranza era riposta nella loro durevolezza, si accorge che esse cedono sotto di lui. Le mode del mondo, le sue necessità, gli insegnamenti e gli svaghi, sono venti che spingono la nostra volontà, come delle nuvole, tutte in un'unica direzione; ma se solo si leva un temporale sotto forma di amore, odio o ambizione, i nembi retrocedono, procedendo trionfalmente contro l'aria che si oppone. (cap. V)
  • Esamina la mente dell'uomo, dove la saggezza regna sovrana; dove l'immaginazione siede, come un pittore, col suo pennello intinto in colori più incantevoli di quelli del tramonto, e abbellisce la vita consueta con tonalità brillanti. Che nobile benedizione, degna di chi l'ha data in dono, è l'immaginazione! Toglie alla realtà il suo colore plumbeo, avvolge tutti i pensieri e le sensazioni in un velo sfolgorante, e con una mano ricolma di bellezza ci invita ad abbandonare il monotono mare della vita per i suoi giardini, e pergolati, e radure di beatitudine immensa. (cap. V)
  • Come erano stati sventati quei girovaghi che avevano abbandonato il loro riparo e si erano lasciati intrappolare nella ragnatela della società per prendere parte a quello che gli uomini del mondo chiamano "Vita", quel labirinto di malvagità, quella congiura per la tortura reciproca. Per vivere, secondo questa accezione della parola, non dobbiamo solo osservare e imparare, dobbiamo anche sentire con l'animo e i sensi; non dobbiamo essere puri spettatori delle azioni, dobbiamo agire; non dobbiamo descrivere, ma essere soggetto delle descrizioni. Una profonda sofferenza deve aver abitato nel nostro petto, la frode deve averci atteso pronta all'agguato, l'astuzia deve averci ingannato, dubbi sgradevoli e false speranze devono aver movimentato le nostre giornate, l'ilarità e la gioia, che cullano l'anima fino a condurla all'estasi, devono a volte averci posseduto. Chi, tra coloro che sanno cos'è la "vita", si struggerebbe di desiderio per questo febbrile tipo di esistenza? Io ho vissuto. Ho trascorso giorni e notti di festeggiamenti; ho partecipato a speranze ambiziose e ho esultato nella vittoria: ma ora, chiudete la porta al mondo, e costruite alto il muro che deve separarmi dall'inquieta scena recitata dentro i suoi confini. Viviamo piuttosto l'uno per l'altro e per la felicità; ricerchiamo la pace nella nostra cara casa, vicino al mormorio dei ruscelli dell'entroterra e al grazioso ondeggiare degli alberi, alla bella vegetazione della terra e allo sfarzo sublime dei cieli. Lasciamo dunque la "vita", affinché possiamo vivere. (cap. XV)
  • Cosa siamo noi, abitanti di questo globo, il più piccolo tra i molti che popolano lo spazio infinito? La nostra mente abbraccia l'infinito, ma il meccanismo visibile del nostro essere è in balia del più piccolo accidente. Giorno dopo giorno siamo forzati a prestar fede a questo. Chi è stato distrutto da un graffio, chi scompare dalla vita visibile sotto l'influenza delle forze ostili che si muovono intorno a noi, aveva le mie stesse facoltà: anch'io sono soggetto alle stesse leggi. A dispetto di tutto questo, noi ci chiamiamo signori della creazione, dominatori degli elementi, padroni della vita e della morte, e adduciamo a scusa di questa arroganza l'argomento che, se pure l'individuo viene distrutto, l'uomo continua per sempre.
    Così, perdendo la nostra identità, che è quello di cui siamo maggiormente coscienti, ci gloriamo della continuità della specie, e impariamo a guardare alla morte senza terrore. Ma quando un'intera nazione, qualunque essa sia, diventa la vittima delle forze distruttrici degli agenti esterni, allora l'uomo si fa davvero piccolo fino a diventare insignificante; sente che la sua permanenza in vita è incerta, il suo diritto all'eredità della terra negato. (cap. XVI)
  • C'è un potere magico nella somiglianza. Quando muore una persona che si ama, speriamo di rivederla in un altro stato, e quasi ci aspettiamo che la mediazione dell'animo informi il suo nuovo abito a imitazione di quel vestimento terreno ormai decaduto. Ma queste sono solo fantasticherie. Sappiamo che lo strumento è andato in pezzi, che l'immagine sensibile giace in frammenti miserabili, dissolta nella polvere del nulla; uno sguardo, un gesto o la forma di un arto simili a quello del defunto in una persona viva, toccano una corda vibrante la cui sacra armonia si riverbera fin nei più diletti recessi del cuore. (cap. XXIII)
  • [...] nell'eccesso di sventura, infatti, i sofferenti immaginano sempre che la loro porzione di calamità sia la più amara, proprio come quando, mal sopportando un forte dolore in una certa parte del corpo, cambieremmo volentieri quella tortura con qualsiasi altra che colpisse una parte diversa. (cap. XXIV)
  • È un fatto strano ma incontestabile: il filantropo, che arde dal desiderio di fare il bene, paziente, ragionevole, gentile com'è, rifiuta tutte le altre argomentazioni se non quelle della verità; tuttavia, egli ha meno influenza sugli animi degli uomini di colui che, avido ed egoista, non disdegna di ricorrere a ogni mezzo, risvegliare ogni passione, di diffondere ogni menzogna, pur di perorare il progresso della sua causa. (cap. XXV)
  • Gli uomini desiderano a tal punto avere un sostegno che si appoggerebbero a una spada dalla punta avvelenata [...]. (cap. XXVI)

Explicit[modifica]

Così, intorno ai lidi della terra deserta, mentre il sole è alto e la luna cresce o cala, gli angeli, gli spiriti dei morti e l'occhio sempre vigile del Supremo, contempleranno la minuscola barca che trasporta il carico di Verney... L'ULTIMO UOMO.

Matilda[modifica]

Incipit[modifica]

Sono soltanto le quattro del pomeriggio, ma è inverno, e il sole è già tramontato. Non ci sono nuvole nel cielo terso e grigio, su cui si allunga la traccia dei suoi raggi obliqui, ma l'aria stessa è soffusa di una lieve sfumatura rosata a sua volta riflessa sulla neve che copre il terreno. Vivo in un cottage isolato, su una vasta brughiera disabitata, da dove non mi giunge alcuna voce o suono di vita. Vedo la desolata pianura coperta di bianco, escluse alcune macchie scure sulla sommità di qualche collinetta, dove la neve, dopo esser scivolata obliquamente sui pendii ripidi, si è posata in uno strato più sottile che sul terreno pianeggiante, ed è stata sciolta al sole di mezzogiorno.

Citazioni[modifica]

  • Ho ottenuto di conoscere il suo segreto, e ambedue siamo stati perduti per sempre.
  • Non avevo idea che tanta infelicità potesse nascere dall'amore.

Metamorfosi[modifica]

Incipit[modifica]

Ho sentito dire che quando a un essere umano è occorsa una qualsivoglia avventura strana, soprannaturale, negromantica, quell'essere umano, per quanto desideroso di occultarla possa essere, si sente in certi periodi lacerato, per così dire, da un terremoto intellettuale, ed è costretto a denudare le profondità più intime del suo spirito con qualcun altro. Di quanto ciò sia vero io sono testimone. Ho solennemente giurato a me stesso di non rivelare mai a orecchie umane le nefandezze alle quali una volta, in un eccesso di orgoglio diabolico, mi sono abbandonato. Il sant'uomo che ha ascoltato la mia confessione, e che mi ha riconciliato alla chiesa, è morto. Nessuno sa che una volta...

Citazioni[modifica]

  • Genova! Mia patria – fiera città! Che ti affacci sulle azzurre onde del Mediterraneo – ti ricordi di me nella fanciullezza, quando le tue scogliere e i tuoi promontori, il tuo cielo luminoso e le tue liete vigne, erano il mio mondo? (Metamorfosi, p. 10)
  • All'ingresso di lei la stanza si soffuse di una luce sacrale. Era un aspetto angelico, il suo – quegli occhi grandi e morbidi, quelle guance piene, con le fossette, e quella bocca di dolcezza infantile che esprimeva la rara unione di felicità e amore. Per prima cosa fui sopraffatto dallo stupore ammirato. È mia! Fu la seconda fiera emozione, e la bocca mi si curvò in una smorfia di altero trionfo. (Metamorfosi, p. 15)
  • Un cavallo spinto fino al parossismo da un cavaliere armato di speroni dentati non era più schiavo di me alla violenta tirannia del mio temperamento. Un demone possedeva la mia anima, irritandola fino alla follia. Sentivo dentro di me la voce della coscienza; ma se le cedevo per un breve intervallo, era solo per essere strappato via, un momento dopo, da una sorte di turbine – trasportato sulla corrente di un'ira disperata – trastullo delle tempeste suscitate dall'orgoglio. (Metamorfosi, p. 17)
  • Vendetta! – la parola mi sembrava un balsamo. L'abbracciai – l'accarezzai – finché, come un serpente, quella non mi addentò. (Metamorfosi, p. 18)
  • Oh, attesa, che cosa terribile sei, quando ti accende più la paura della speranza! Come ti attorci intorno al cuore, torturandone le pulsazioni! Come lanci fitte sconosciute per tutto il nostro debole meccanismo, e un momento è come se tu voglia farci tremare come vetro infranto fino a ridurci un nonnulla, un altro come se rinnovassi in noi delle forze tuttavia impotenti; e così ci tormenti con una sensazione simile a quella dell'uomo forte che non riesce a spezzare le sue catene per quanto queste si pieghino nella sua stretta. (Metamorfosi, p. 25)
  • Non tenterò di descrivere il sonno trionfante e beato che immerse la mia anima nel paradiso durante le rimanenti ore di quella notte memorabile. Le parole sarebbero deboli e superficiali campioni del mio godimento, o della letizia che si impossessò del mio petto quando mi svegliai. Camminavo per aria – i miei pensieri erano nel cielo. La terra sembrava cielo, e il mio destino su di essa prometteva di essere un'estasi di piacere. (Il mortale immortale, pp. 43-44)
  • [...] non passerà un anno ancora prima che, incontrando pericoli giganteschi – combattendo con le forze del gelo nella loro dimora – io consegni questo corpo, gabbia troppo tenace per un'anima assetata di libertà, agli elementi distruttivi dell'aria e dell'acqua – o, se sopravvivrò, il mio nome sarà registrato come uno dei più famosi tra i figli degli uomini; e, compiuto il mio compito, adotterò un mezzo più risoluto, e, sparpagliando e annientando gli atomi che compongono il mio corpo, darò la libertà alla vita colà imprigionata, e così crudelmente impedita di innalzarsi da questa scura terra a una sfera più congeniale alla sua essenza immortale. (Il mortale immortale, p. 55)
  • L'infelicità è una visitatrice meglio accolta quando viene nella sua forma più scura e ci avvolge in un nero perpetuo, poiché allora il cuore non soffre più di speranza delusa. (Il Malocchio, p. 76)

Incipit di Maurice[modifica]

Una domenica pomeriggio di settembre, un viandante entrò nella città di Torquay, piccolo porto sulla costa meridionale del Devonshire. Era una bella giornata calda; le onde del mare luccicavano al sole, leggermente agitata dalla brezza. Le strade della città erano vuote perché gli abitanti, dopo essere stati in chiesa, stavano pranzando nell'intervallo fra le funzioni. Così il viaggiatore continuò a camminare per i vicoli fino al semicerchio di case che circondavano il porto, e poi si fermò davanti a una locanda dall'aspetto pulito.

Bibliografia[modifica]

  • Mary Shelley, L'ultimo uomo, traduzione di Maria Felicita Melchiorri, Giunti, Firenze, 1997. ISBN 8809211103
  • Mary Shelley, Matilda, traduzione di Mirella Billi, Marsilio Editore, Venezia, 2005.
  • Mary Shelley, Maurice, o la capanna del pescatore, traduzione di Cristina Dazzi, Mondadori, Milano, 2003.
  • Mary Shelley, Metamorfosi. Racconti gotici, traduzione di Masolino D'Amico, La Tartaruga Edizioni, Milano, 2006. ISBN 9788877384454

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]

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