Massimo Piattelli Palmarini

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Massimo Piattelli Palmarini nel 2006

Massimo Piattelli Palmarini (1942 – vivente), linguista ed epistemologo italiano.

Ritrattino di Kant a uso di mio figlio[modifica]

Incipit[modifica]

Mi dicono che arrivai a camminare da solo, per la prima volta, tenendomi spasmodicamente a un colletto inamidato di mio padre. Il colletto era di mio padre, ma mio padre dentro non c'era. Tenendolo tra le mani per le sue due estremità, nel vuoto, dovetti trovare non so quale appiglio immaginario, e fare i primi passi, sostenuto in realtà solo da me stesso, tramite il colletto. L'aiuto, più che immaginario, era, diciamo, psicologico. Un antico adagio dice: «Ognuno è fabbro della propria sorte». In qualche modo quel colletto mi aiutò a diventare autonomo, almeno dal punto di vista del camminare e muovermi dattorno. Se la filosofia di Kant mi ha sempre tanto affascinato, forse è perché egli ha proceduto, nel mondo delle idee, allo stesso modo.

Citazioni[modifica]

Capitolo 1, Perché proprio Kant? Ovvero: il fascino discreto della ragione pura[modifica]

  • Kant ci ha per primo dimostrato che possiamo camminare da soli, senza appoggiarci a niente di esterno. (p. 21)
  • Immaginarsi che esista un'entità sovrannaturale, letteralmente un padre divino, al quale chiedere aiuto, è, secondo Kant, una sorta di utile finzione psicologica. Un "errore benefico" che ci aiuta a vivere rettamente e a pensare "moralmente". (p. 22)
  • [...] quello che dobbiamo sforzarci di trovare è «la veduta di un ordine superiore e immutabile delle cose». (p. 22)
  • L'idea di una divinità personale ed esterna, questo benefico errore, ci stimola a cercare qualcosa di intrinsecamente più grande ancora: l'idea di un ordine universale e necessario. (p. 22)
  • Per mettere in moto i nostri muscoli, per farci agire, decidere [...], la ragione ha bisogno di certe "idee". Questi piccoli grandi motorini della ragione sono idee come quelle di libertà, di anima, di immortalità, di cosmo e, appunto, di dio. (p. 22)
  • Le religioni tradizionali sono una nostra proiezione, un modo efficace, pratico, di pensare a noi stessi. (p. 23)
  • In soldoni, e sempre alla buona, il super io di Freud è una sorta di liquore distillato dell'io in carne e ossa, mentre il soggetto trascendente di Kant è un recipiente che non contiene distillati, o piuttosto che li può contenere tutti. (p. 24)
  • La morale non viene dettata all'uomo da un dio attraverso i profeti e le tavole dei comandamenti. L'uomo detta a se stesso la legge morale in modo assolutamente autonomo.[1] (p. 24-25)
  • L'uomo si sente intimamente assoggettato a un «imperativo categorico». (p. 25)
  • Kant ha scacciato via come imperfetto e come immaturo ogni precetto morale "dettato dall'alto", cioè ogni regola morale che si possa dimostrare in disaccordo con la ragione. (p. 25)
  • [Kant] Il suo è un invito a [...] cercare le ragioni ultime della morale. (p. 25)
  • Il lavoro "critico" della ragione è spesso un lavoro lento, difficile, problematico. (p. 26)
  • [Kant] si propone (riuscendovi) di rivedere le bucce a tutta la scienza. (p. 26)
  • Con Kant la ragione umana dà a se stessa le sue leggi. (p. 26)
  • [...] la ragione ben esercitata scopre in se stessa le sue leggi. (p. 26-27)
  • Kant è un genio, e i geni hanno questa virtù, di scoprire fatti e idee che sembrano strani e complessi al primo impatto, ma che poi, quando ce li siamo fatti calare dentro a poco a poco, a ripensarci, sembrano cristallini e naturali. (p. 27)
  • [Kant] Il suo metodo del colletto ha iniziato il cammino del pensiero umano verso la vera libertà. (p. 27)
  • Come Copernico ha dimostrato che non è il Sole a girare intorno alla Terra, ma la Terra e gli altri pianeti a girare intorno alla Terra e gli altri pianeti a girare intorno al Sole, così Kant ha dimostrato che non è la mente umana a "bere" passivamente il mondo, ma piuttosto il mondo a essere "sagomato" dalla forma del nostro recipiente, cioè a essere interamente sottoposto alle leggi della ragione umana. (p. 27)
  • Ci viene fatto di pensare – tutte le persone poco istruite lo pensano – che esista una realtà, un mondo esterno fatto di cose e di oggetti. [...] Da Kant in poi si è capito che la struttura della mente umana impone le sue forme agli oggetti, non le subisce.[2] (p. 28)
  • Alcuni filosofi influenzati da Kant, come Fichte, Schelling e Hegel, hanno preso la cosa troppo alla lettera e, diversamente da Kant, hanno finito per negare che esista una realtà indipendente dal pensiero. Essi hanno affermato che, in un modo o in un altro, il pensiero crea il mondo. Praticamente il colletto se lo sono messi al collo loro, hanno fatto di ogni uomo un dio che crea un suo mondo. (p. 28)
  • Il camminare con il solo colletto della ragione significa smettere di pretendere di conoscere le cose al di fuori dei filtri concettuali e percettivi che l'uomo necessariamente si porta sempre dietro (che ha sempre dentro). (p. 29)
  • Per Kant i filosofi e i mistici, i fabbricanti di illusioni, sia pur nobili e belle, hanno preteso di trattare gli altri uomini come dei daltonici. Hanno addirittura preteso di far loro vedere altri, nuovissimi, colori. (p. 29)
  • Dobbiamo rinunciare [...], a uscire dalla nostra condizione di uomini. (p. 29)
  • Kant è il fondatore di una filosofia dei limiti della ragione. «Cosa siano le cose in sé non lo saprò mai. Uomo, io posso solo sapere cosa sono le cose l'uomo.» (p. 29)
  • Secondo Kant [la ragione] è [...] la sola fede razionale, [...]che pensa se stessa, [...] nel muoverci ad agire e a decidere, "come" libera, immortale, "come" tesa a un sommo bene, a dio. [...] Togliere le virgolette a questo "come" significherebbe immergersi davvero negli scritti di Kant. (p. 30)
  • L'uomo, finalmente conscio dei suoi limiti, rassicurato dalla sua ragione, è un uomo adulto e libero. L'uomo si dà le proprie leggi, sa che sono solo sue, sa che deve seguirle perché ha scelto di seguirle, perché giudica correttamente che il suo bene risiede nel giusto e misurato esercizio della sua libertà. (p. 30)
  • La famosa frase di Kant è: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». Questa volta stellata, limpida, la si può forse pensare finalmente sgombra dal terrore di un dio tirannico e dalla facile consolazione di un dio paternalistico. (p. 30)
  • La sua, anzi la nostra, da lui resa a noi accessibile, è una legge che scaturisce dal di dentro, che parla una voce amica, perché è la nostra stessa voce di uomini. Ecco il fascino di Kant, il fascino della ragione pura. (p. 31)
  • La filosofia ha avuto i suoi eroi dal fascino rapinoso e pericoloso. Hegel, il Napoleone della filosofia; Nietzsche, il monellaccio che voleva provocare, scandalizzare; Marx, che aveva bisogno di smuovere masse di uomini per stravolgere il corso della storia. (p. 31)
  • Kant è un eroe solitario, un esploratore polare. Un po' freddino e professorale, lento, prudente, poco incline alle piroette e ai salti mortali del pensiero. (p. 31)
  • [...]; nel suo nome non sono mai state fatte sommosse, guerre, rivoluzioni. Sulla vita di Kant nessuno ha mai pensato di fare un film. (p. 31)
  • Fascino poco discreto, invece, quello di Nietzsche, di Hegel e di Marx. Certo è un fascino! La tenebrosa sregolatezza e l'anticonvenzionalità del primo, il respiro cosmico e il ribollire della Storia del secondo, i grandi sommovimenti "liberatori" ispirati dal terzo. (p. 31)
  • Per questo io preferisco, senza reticenze e senza incertezze, il fascino discreto del cielo stellato sopra di me e della legge morale dentro di me. Il mio eroe è Immanuel Kant, nato, vissuto e morto a Königsberg. Né da vivo, né da morto gli si è mai potuto rimproverare niente. La vera liberazione la dobbiamo a lui. (p. 32)

Capitolo 2, Che tipo d'uomo era Kant[modifica]

  • Kant sosteneva che il potere nutritivo della carne era tutto nel sugo e che la polpa ingombrava inutilmente lo stomaco.[3] (p. 38)
  • [Kant] Senza aver mai messo piede in un laboratorio, stupì il grande chimico Hagen per le sue conoscenze "sperimentali". Hagen esclamò: «Ma non è possibile che quest'uomo abbia potuto imparare tutto questo solo leggendo dei libri!» (p. 43)
  • [Kant] La sua forza, dicevano i suoi studenti, era di non far mai sentire l'altro ignorante o incompetente. «Io non voglio insegnare la logica» diceva Kant «voglio insegnare a pensare.» (p. 43)
  • Kant scrisse poi nella sua opera Antropologia che, quando c'è un particolare fuori posto, l'attenzione è come magnetizzata da esso e finisce per trascurare tutto il resto. (p. 44)
  • In materia di denaro, il principio di Kant era «Né debiti, né spilorcerie», vivere di quanto si ha, senza indebitarsi, senza avere l'assillo di mettere da parte. (p. 45)
  • Kant affermava che si debbono rispettare anche le leggi che non ci piacciono. Magari si deve contribuire a farle cambiare, ma le si devono rispettare fintanto che sussistono. «Per amore della comunità» (p. 45-46)
  • La libertà è nel volere e nel pensare. Nel conoscere, la ragione deve percorrere le sue tappe obbligate. (p. 47)
  • Per certi religiosi l'uomo è un eterno bambino, da solo non può che combinare guai. (p. 49)
  • Kant credeva fermamente nel ruolo capitale dell'educazione, ma non in quello delle verità mascherate, differite, addolcite, centellinate. (p. 53)
  • La ragione è patrimonio di tutti, anche degli imberbi. Essa deve permettere proprio ai giovani di spodestare dai loro troni i tiranni, e dai loro pulpiti i predicatori dalla doppia verità. (p. 53)

Capitolo 3, Come si può conoscere il mondo[modifica]

  • Un giorno, però, dopo aver letto le opere del grande empirista inglese David Hume, Kant «si svegliò dal sonno dogmatico». (p. 58)
  • Cos'è, per Kant, questa sintesi a priori? Un processo di conoscenza che ha lo stesso a priori della matematica e lo stesso a posteriori delle scienze. [...] [È] un cocktail di sensazione e di concetto, di percezione e di ragionamento. (p. 59-60)
  • Le sensazioni sono il contenuto, i concetti sono il recipiente. Senza uno di questi due non si beve, cioè [...] non si fa buona filosofia. (p. 60)
  • Qualunque sensazione, qualunque esperienza verrà filtrata e "formata" secondo i modi di sentire e di percepire della mia mente. (p. 60)
  • La sintesi a priori è un mettere contenuti esterni, forniti via via dal mio girolonzare per il mondo e dal mio guardare le cose, dentro forme interne, proprie alla nostra specie. (p. 61)
  • Il concetto che qualcosa sia la causa di un'altra cosa io ce l'ho dentro a priori, non lo derivo da quanto osservo intorno a me. (p. 61)
  • Kant con la sua sintesi a priori, cioè con l'idea di una forma innata (tempo, spazio, numero, causa, scopo e poche altre cose fondamentali) e di contenuti a posteriori, riuscì a liberarci sia dal dogma che dallo scetticismo. L'invenzione, o piuttosto la scoperta, della sintesi a priori segnò una rivoluzione in filosofia. (p. 63)
  • Qui si entra nella "metafisica", in un terreno cioè ingombrato dai carrozzoni degli imbroglioni. (p. 64)
  • [Metafisici] Architetti di diversi mondi ideali campati in aria, dei quali ciascuno, tranquillo, occupa il suo mondo con esclusione degli altri. Noi, dinanzi alla contraddizione delle loro visioni, pazienteremo finché questi signori siano usciti dal sogno. (p. 64: Kant)
  • Non tutto il terreno, dunque, oggi è ingombrato da impostori, come all'epoca di Kant.[4] (p. 65)

Capitolo 4, Come è possibile agire bene[modifica]

  • Non dobbiamo considerare certe azioni come doverose perché sono precetti di Dio, ma dobbiamo considerarle come precetti di Dio perché sono interiormente doverose. L'uomo giusto può ben dire: io voglio che vi sia un Dio. (p. 70: Kant)
  • Kant non è affatto un mangiapreti, né il classico "ateo del villaggio". (p. 70)
  • Kant è profondamente rispettoso della libera volontà che interiormente "tende" alla religione, ma dice che è la religione e l'idea di dio a discendere dall'oggetto della volontà umana. (p. 70)
  • Il pilastro della vita morale, il puntello della libertà sono, appunto, gli imperativi categorici interni. Essi dicono solo: «Sii una persona morale, datti delle regole interamente razionali di comportamento, poni da te stesso i limiti della tua libertà». (p. 72)
  • Kant trova mostruosa l'idea del paradiso e dell'inferno, trova ignobile il concetto di ricompensa per i buoni e di punizione per i cattivi. (p. 73)
  • La persona morale deve trovare nella sua propria moralità l'unica e la più ambita ricompensa. (p. 73)
  • Si deve essere morali perché l'essere morali è il migliore, anzi il solo modo, di vivere degnamente la propria condizione umana. (p. 73)
  • Il soggetto razionale deve sempre obbedire alla "tirannica" voce del suo principio morale. Essa è tirannica (a volte), ma è pur sempre mia e solo mia. (p. 73)
  • [Kant] Egli ci dà delle massime formali, cioè delle regole di principio, le quali non dicono: «Fai questo o quello», ma piuttosto: «Qualunque cosa tu faccia, fallo ispirandoti a questo criterio». (p. 74)
  • Agisci come se tu potessi volere che la massima della tua azione divenisse legge universale della natura. (p. 74: Kant)
  • Agisci in moda da trattare l'umanità [...], sempre come un fine, mai come un semplice mezzo. (p. 74: Kant)
  • L'uomo è sempre un fine, mai un mezzo.[5] (p. 74: Kant)
  • Basterebbe applicare con rigore questa massima kantiana a tutti i livelli dei rapporti tra gli uomini e le nazioni per, letteralmente, "rivoluzionare" il corso della storia. Purtroppo siamo molto lontani da questo. Scomparirebbe ad esempio ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ogni truffa, ogni umiliazione. (p. 75)
  • Kant non è Machiavelli, è l'anti-Machiavelli. (p. 76)
  • Una frase che non è di Kant, ma che si applica bene a Kant, è che l'uomo è come condannato alla libertà, e necessariamente obbligato a vivere nella sua libertà. (p. 78)

Capitolo 5, Un appuntino su cosa significa «la religione nei limiti della sola ragione»[modifica]

  • La religione deriva dalla ragione e dai principi regolativi della morale. (pp. 81-82)
  • Kant accusa gli ecclesiasti di avere reso il cristianesimo simile a una religione "pagana". (p. 82)
  • Il culto deve essere libero, intimo, razionale e cosciente. (p. 82)
  • L'esistenza dell'anima sta a rappresentare l'intuizione profondissima che lo spazio proprio della legge morale è più ampio dell'esistenza del singolo. (p. 82)
  • L'intuizione di una "rivelazione divina" sta a rappresentare l'intuizione che l'uomo è alla ricerca di principi, garantiti, necessari, sicuri e universali. Invece di assumerli in proprio, li "scarica" su un oggetto esterno. (p. 82)
  • L'esistenza di dio è per Kant [...], una sorta di meta che serve a "regolare dall'interno" il buon funzionamento della morale umana. (p. 82)
  • [Kant] Il suo messaggio centrale è che dio è il frutto della volontà dell'uomo razionale. In qualche modo è la natura profonda dell'uomo che è portata, tramite la volontà, a creare dio. (p. 82)

Capitolo 6, Una breve passeggiata tra i ritrattini di alcuni postkantiani famosi[modifica]

  • Grosso modo, possiamo dire che per Hegel il rapporto tra l'"a priori" e l'"a posteriori" diventa un rapporto ciclico. [...] Ciò che ora è conseguenza diviene poi antecedenza di nuove conseguenze, e così via, come un rullo che rotola sulla neve ingrandendosi via via. Il risultato è la valanga della storia, nella quale soggetto e oggetto si scambiano a vicenda, si condizionano mutualmente. [...] Hegel vuole che la filosofia sia investita, coinvolta dalla ragione, vuole progressivamente fondere la realtà con la ragione, sentire agire e parlare la ragione nella Storia. (p. 87)
  • L'avventura umana è, per Kant, un remare con i propri muscoli nell'oceano della realtà. [...] Per Hegel è una specie di surf, di scivolamento sull'onda incalzante della realtà. (p. 88)
  • Con Marx e con [...] il marxismo in pillole per le masse, la morale e l'etica divengono dei trastulli per i borghesi ricchi. (p. 89)
  • Il fatto che la mela sia a portata di mano, verde, che mi piaccia, che io la desideri, che mi ispiri piacere, dolore, timore è più importante, più fondamentale a livello filosofico, a livello della conoscenza, del fatto "oggettivo" che la mela sia tale frutto, così composto chimicamente, dotato di peso, di consistenza eccetera. La scienza viene dopo, prima viene il mio sentimento soggettivo di essere nel mondo, il Desein ("l'essere là", "l'esserci").[6] (p. 92)
  • Kant riderebbe sotto i baffi. Vedete che pasticcio avete combinato abbandonando la pura ragione? (p. 94)
  • L'autore della commedia sono io. Ma l'autore figura anche come personaggio nella commedia (come nelle commedie di Pirandello) [la parentesi è di Putnam, non mia]. (p. 95)

Explicit[modifica]

Se questo non ci è molto chiaro, va benissimo. La filosofia è un'arte difficile, un'arte che, come vedete, continua ancor oggi. Aveva avuto torto Hegel a dire che la filosofia, con lui era finita. Ciascuno tiri dalla favoletta la morale che la ragione gli detta.

Scienza come cultura[modifica]

Incipit[modifica]

È stato detto che ogni introduzione serve innanzi tutto a scusarsi per il libro che non si è scritto. Se si volesse spingere questa tesi a un estremo, allora per ogni libro reale, esisterebbe nella testa del suo autore, un anti-libro o contro-libro virtuale. Forse un po' come oggi, in fisica, si considera ogni particella reale contornata da uno sciame di particelle virtuali. Il libro che non ho scritto è un libro di scienza. Le sue ripercussioni sul libro che ho scritto, su questo libro sono molteplici. Avendo sempre in mente quell'altro libro, ad ogni momento avrei voluto spiegare, sottilizzare, dare degli antefatti, richiamare nozioni, fatti, personaggi. L'alter ego, l'autore potenziale e represso di quell'altro libro si imparentava con quel personaggio esoso e un poco ridicolo che a Napoli chiamano o' professo'. (Premessa)

Citazioni[modifica]

  • Nell'abbazia di Westminster c'è un sepolcro e su questo una iscrizione, forse la più bella che l'uomo abbia scolpito per un altro uomo: «Si rallegrino i mortali – ecco subito l'ossimoro, il bisticcio – che tra loro sia vissuto un cotale e cotanto lustro del genere umano». Questo grande eroe del razionalismo, questo humani generis decus è celebrato dal poeta Alexander Pope con un distico dalla musicalità intraducibile, nel quale la rima baciata tra notte e luce (night e light) genera l'ossimoro della conoscenza e dell'ignoranza. «Natura e leggi di natura erano nel grembo della notte, e Dio disse sia fatto Newton e tutto fu luce». (I Vestibolo: ritratti degli eroi fondatori. Isaac Newton: il tutto nella parte, pp. 25-26)
  • Ricordare uno dei più lucidi e intransigenti teorici dell'ateismo di questo secolo avvalendomi di un precetto evangelico può apparire improprio, quanto meno. Eppure, conoscendo il suo stile di pensiero e ascoltando Monod, riandavo spesso mentalmente a quel «vostro parlare» che deve essere sì, sì, no, no, al di più «che viene dal maligno». Continuo a credere che gli si addicesse a meraviglia. Non mi venne mai di esternargli questa associazione, né me ne rammarico ora. Avrebbe annuito, poi si sarebbe subito passati a parlare d'altro. Prediligeva piuttosto una frase di Wittgenstein, il cui succo è identico: «Tutto ciò che può esser detto può essere detto chiaramente, sul resto si deve tacere». Calcando assai sul «si deve», quasi parlando a sé stesso, ne ripeteva la fine in tedesco muss man schweigen. (I Vestibolo: ritratti degli eroi fondatori. Jacques Monod e il disincanto della ragione, p. 58)
  • Chomsky postulò lo sviluppo e la stabilizzazione della capacità di linguaggio in ogni soggetto come l'effetto congiunto di tre fattori: lo sviluppo di un apparato biologico generico (percezione, memoria, attenzione, discriminazione uditiva ecc.), il contatto specifico con i normali locutori di una lingua data, lo sviluppo di un organo linguistico innato. (I Vestibolo: ritratti degli eroi fondatori. Noam A. Chmsky, o la dolce violenza della ragione, p. 66)
  • Per essere un filosofo di estrazione logico-matematica e perfino a suo tempo neopositivistica[7], Nelson Goodman è forse eccessivamente ghiotto di allitterazioni e giochi di parole. Vicino ai suoi ottanta anni, professore emeritus a Harvard, autore di saggi che hanno fatto sudare già due generazioni di studenti, collocato da molti (con i quali naturalmente concordo) nel firmamento dei più grandi filosofi del Ventesimo secolo, Goodman conserva un piglio caratteriale e letterario che non esito a definire scanzonato. (I Vestibolo: ritratti degli eroi fondatori. Nelson Goodman, o il risveglio di un sogno viennese, p. 75)
  • Se fosse legittimo ricapitolare la filosofia di chiunque in un solo slogan (ricordate Marx con «i filosofi hanno variamente interpretato il mondo, mentre il problema è quello di cambiarlo», oppure Kant con «il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi»?), beh, allora lo slogan di Goodman sarebbe «la mente e il mondo creano la mente e il mondo». (I Vestibolo: ritratti degli eroi fondatori. Nelson Goodman, o il risveglio di un sogno viennese, p. 76)
  • La letteratura italiana di questi ultimi anni ci ha donato tre luminosi esempi di compenetrazione tra scienza e narrativa.
    Si tratta di opere tra loro diverse, scolpite ciascuna in una roccia speciale, eppure tanto simili e singolari da formare, agli occhi di un lettore sintonizzato con la produzione internazionale, un qualcosa che potremmo chiamare se non una «scuola», certo una sensibilità. Parlo del Sistema periodico di Primo Levi, del Caso Majorana di Leonardo Sciascia e del raffinato pastiche[8] Se una notte d'inverno... di Italo Calvino. (II Prima sala: scienza e letteratura. Quando il romanzo «parla» la scienza, p. 95)
  • Professore di fisica all'università di Harvard e autorevole storico di questa disciplina, Gerald Holton ha introdotto un nuovo «utensile» atto a riportare alla luce alcuni vasti giacimenti di idee che sostengono l'edificio della scienza. Questo strumento concettuale si chiama analisi tematica. Stando a Holton un tema è un po' come un'idea fissa, un'ossessione professionale in sé piuttosto innocua, un tantinello banale, la quale però domina dall'alto (o dal basso, se si vuole) l'intero panorama scientifico di una data epoca. (III Seconda sala: vedute d'insieme. L'irresistibile ascesa delle teorie selettive, p. 110)
  • Non tutto ciò che esiste è economico, adattivo, ottimale o frutto di una selezione ad hoc. Il bricolage del vivente, debitamente enfatizzato da François Jacob[9], Stephen Jay Gould e Richard Lewontin[10] [...], rappresenta un colpo salutare alle vecchie, esagerate, ottimizzazioni delle teorie darwiniane ingenue. Ora Jerne, Coutinho e Cazenave, dimostrando che il sistema immunitario non si è evoluto sotto le pressioni delle infezioni esterne, ma sotto il governo di forze molecolari interne alla rete, portano un colpo massiccio alle concezioni semplicistiche dell'adattamento evolutivo delle specie viventi. (III Seconda sala: vedute d'insieme. Immunità e serendipicità, pp. 123-124)
  • Irrequieto come gli uccelli di passo, schivo, sempre teso verso l'essenziale, sempre tormentato da un suo intimo eccesso di sensibilità, insofferente verso gli altri, ma ancor più verso se stesso, era già una leggenda quando si spense a sessantadue anni appena compiuti a Cambridge, il 29 aprile 1951. Ludwig Josef Johann Wittgenstein è stato il filosofo dei filosofi, così come vi sono i medici dei medici e i giudici dei giudici. (IV Galleria dei filosofi. Wittgenstein, il filosofo dei filosofi, p. 135)
  • Ci sono due tipi di filosofo, diceva tra le due guerre il razionalista francese Alain[11], quello che ama le idee e quello che odia le idee. Robert Nozick è decisamente un filosofo del primo tipo. Ama le idee a tal punto da essere, mi confida, spesso sgomento al pensiero di tutte le nuove, bellissime idee che verranno pensate e scritte dopo che lui sarà morto. (IV Galleria dei filosofi. Nozick, il più soave degli individualisti, p. 143)
  • Viveva tra noi, ma poco ce ne curavamo. Era discretamente affiorato nella cronaca qualche anno fa, per via di certe sue coraggiose iniziative radicali in difesa degli obiettori di coscienza, che gli attirarono i rigori della legge. Ricordo come a Parigi, nel 1979, partecipante a un convegno internazionale sui fondamenti della scienza organizzato dal suo editore, Einaudi, e dall'Istituto italiano di cultura, Bruno de Finetti parlasse con humour e noncuranza del suo rischio di finire nelle patrie galere. La sola idea di de Finetti in prigione, invece, a noi stringeva il cuore. Proprio, lui, l'ultimo dei giusti? Alla fragilità, quasi alla trasparenza del suo fisico, facevano contrasto la nobiltà del comportamento e la luce dell'intelletto, collimate come quelle di un laser. (IV Galleria dei filosofi. Bruno de Finetti, ovvero il soggetto della probabilità, p. 147)
  • Indubbiamente c'è qualcosa in Giuseppe Sermonti che infastidisce. Sarà la grinta polemica del suo scrivere e del suo parlare, sarà la sua personalità volutamente ombrosa e quel suo aspetto così serio, quasi da studioso tedesco fin de siécle che intimidisce. Molti miei colleghi biologi rifiutano addirittura di parlargli, un po' perché lo reputano di idee politiche troppo a destra. Sia come si vuole, penso, che abbiano torto. (VI Terza sala: il livello mancante. Platone, la scimmia e il biscazziere, p. 207)
  • [...] Sermonti ha credenziali scientifiche non comuni ed è uomo di rara erudizione, non solo scientifica, ma anche umanistica. Da anni va dicendo e scrivendo che il sistema darwiniano è allo sfascio, che sulle incongruenze dell'evoluzionismo ortodosso si è stabilita una sorta di congiura del silenzio. Insomma gioca pesantemente la carta di chi deve dire verità scomode, impopolari, eppure necessarie. Da noi in Toscana si dice che chi annaffia (o peggio) controvento si bagna la camicia. Sermonti sembra lieto di andare in giro con la camicia fradicia, e tanto peggio per i darwinisti sordi e ciechi. (VI Terza sala: il livello mancante. Platone, la scimmia e il biscazziere, p. 208)

Note[modifica]

  1. Kant non dice che l'uomo può fare ciò che vuole e infatti Piattelli Palmarini ribadirà che l'uomo deve capire da sé fino a che punto spingersi con la libertà.
  2. A tal proposito si ricorda la riduzione a forme geometriche operata da Cezanne alla fine del 1800 nella propria pittura.
  3. Da intendersi in senso metaforico.
  4. Riferendosi ai filosofi che si occupano di metafisica.
  5. L'autore dice che "Assomiglia al precetto evangelico: «Ama il prossimo tuo come te stesso»."
  6. Qui l'autore si riferisce agli studi di Fenomenologia.
  7. Neopositivismo o positivismo logico, Cfr. voce su Wikipedia.
  8. Pastiche, Cfr. voce su Wikipedia.
  9. François Jacob, biologo francese, Cfr. voce su Wikipedia.
  10. Richard Lewontin, biologo e genetista statunitense, Cfr. voce su Wikipedia.
  11. Émile-Auguste Chartier, detto Alain, filosofo, giornalista e scrittore francese, Cfr. voce su Wikipedia.

Bibliografia[modifica]

  • Massimo Piattelli Palmarini, Ritrattino di Kant a uso di mio figlio, Mondadori, Milano, 2011. ISBN 978-88-04-47783-9
  • Massimo Piattelli Palmarini, Scienza come cultura. Protagonisti, luoghi e idee delle scienze contemporanee, a cura di Simone Piattelli, Mondadori, Bestsellers saggi Oscar, Milano, 1992. ISBN 88-04-35481-X

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