Nick Hornby

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Nick Hornby nel 2009

Nick Hornby (1957 – vivente), scrittore britannico.

Per approfondire, vedi: Il mio anno preferito.

Citazioni di Nick Hornby[modifica]

  • Ah, la malinconia: s'infila dappertutto. È la vita, suppongo.[1]
  • Cosa avete fatto dodici volte nell'ultimo anno di così bello, a parte leggere libri? Bugiardi.[2]
  • È arrivata la fine del mondo e sta andando tutto a rotoli. A meno che non vi piaccia leggere romanzi meravigliosi e pagarli poco. Se è così, allora potreste anche pensare che il mondo sta benone.[3]
  • È il lettore che manda la palla in rete.[4]
  • Forse i poeti bisognerebbe conoscerli bene o non conoscerli affatto.[5]
  • Ho capito che i libri non sono squadre sportive e che quindi non devono competere tra loro.[6]
  • La mia unica avvertenza è di scrivere romanzi brevi, ma molto, molto belli: è questo il motore di tutta la faccenda (se scrivete romanzi brevi brutti, allora è inutile: tanto vale scriverne uno brutto lungo).[7]
  • La nostra fame di libri è uguale alla nostra fame di cibo.[8]
  • Non scoprirete mai nulla del mondo se guardate solo i fatti![9]
  • Non siamo noi a scegliere di perdere tempo leggendo. Capita e basta.[10]
  • Pensare è più facile quando hai tolto di mezzo i perditempo.[11]
  • Per nessun film al mondo vale la pena di saltare la cena.[12]
  • Proprio tu, caro lettore, mi hai aiutato a scegliere con più attenzione e a leggere con più impegno.[13]
  • Quando il mondo ti cade addosso, Tina Turner non basta.[14]
  • Se le cose vanno male come dice Kolbert, allora i matrimoni e i Mondiali sono le uniche cose che contano.[15]
  • Se siamo fortunati, leggiamo i libri giusti nei momenti giusti.[16]
  • Se tutti fanno lo stesso errore non è più un errore: vuol dire che la nostra lingua è cambiata per fargli posto.[17]
  • Tutti facciamo cazzate, sempre. È più forte di noi.[18]
  • Secondo me fumiamo e beviamo e ascoltiamo musica rock e, sì, ogni tanto puliamo la guida delle scale e ci lamentiamo, soffriamo e moriamo. Se però queste mie opinioni risultassero sgradite alla chiesa di Scientology, sono pronto a rivederle.[19]
  • Vorrei che la carta geografica delle mie letture somigliasse a quella dell’impero britannico nel 1900.[20]

Come diventare buoni[modifica]

Incipit[modifica]

Mi trovo in un parcheggio a Leeds quando dico a mio marito che non voglio più stare con lui. David non è lì con me nel parcheggio. È a casa, a curare i bambini, e io l'ho chiamato soltanto per ricordargli che dovrebbe scrivere due righe per la maestra di Molly. L'altra cosa mi è come... sfuggita. Un errore. Ovvio. Evidentemente, e con mia grande sorpresa, sono il tipo di persona capace di dire al marito che non se la sente più di stare con lui, ma non pensavo davvero di essere capace di dire questa cosa da un cellulare, da un parcheggio. Adesso, è chiaro, la considerazione che avevo di me stessa andrà rivista.

[Nick Hornby, Come diventare buoni, traduzione di Stefano Viviani, Tea]

Explicit[modifica]

La mia famiglia, penso, solo questo. E poi: posso farlo. Posso viverla, questa vita. Sì, posso viverla. È una scintilla che voglio alimentare, un crepitio di vita nella batteria scarica; ma proprio nel momento sbagliato lancio un'occhiata al cielo notturno dietro David, e vedo che là fuori non c'è nulla.

[Nick Hornby, Come diventare buoni, traduzione di Stefano Viviani, Guanda]

Febbre a 90'[modifica]

Incipit[modifica]

ARSENAL-STOKE CITY
14.9.68

Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé.

Citazioni[modifica]

  • Tuttavia non furono le dimensioni della folla che mi colpirono maggiormente, o il modo in cui gli adulti potevano gridare la parola «COGLIONE»! forte quanto volevano, senza attirare l'attenzione di nessuno. Ciò che più mi colpì fu proprio quanto la maggior parte degli uomini intorno a me odiasse, veramente odiasse, essere là. Per quel che riuscivo a giudicare, nessuno sembrò trarne piacere, nel senso in cui io intendevo la parola, da niente di ciò che accadde in tutto il pomeriggio. A pochi minuti dal calcio di inizio ci fu vera rabbia («Sei una VERGOGNA, Gould. Una VERGOGNA!», «Cento sterline a settimana? CENTO STERLINE A SETTIMANA! Dovrebbero darle a me per guardarti»); man mano che il gioco continuò, la rabbia si traformò in indignazione, e poi sembrò coagularsi in un torvo, silenzioso disagio. Sì, sì, conosco tutte le battute... Che cos'altro avrei potuto aspettarmi a Highbury? Ma sono stato negli stadi del Chelsea, del Tottenham e dei Rangers, e ho visto la stessa cosa: che la condizione naturale del tifoso di calcio è l'amara delusione, indipendentemente dal risultato. (p. 18)
  • Ma non era solo la qualità del calcio; era il modo in cui consideravano l'abbellimento ingegnoso e stravagante tanto funzionale e necessario quanto un corner o una rimessa laterale. L'unico paragone che avevo a disposizione allora era con le macchinine: pur non avendo alcun interesse per i modellini della Matchbox, mi piaceva tantissimo la Rolls-Royce rosa di Lady Penelope e la Aston Martin di James Bond, entrambe dotate di elaborati congegni come i sedili ad espulsione automatica e i mitragliatori nascosti che le elevavano al di sopra della noiosa normalità. Il tentativo di Pelé di segnare dalla sua metà campo con un pallonetto, la finta che mandò il portiere peruviano da una parte e la palla dall'altra... questi erano gli equivalenti calcistici dei sedili ad espulsione automatica, e facevano sì che tutti gli altri modi di giocare sembrassero tante Opel Kadett. Perfino la maniera brasiliana di gioire per un gol – correre quattro passi, saltare, esultare agitando i pugni in aria, correre quattro passi, saltare, esultare agitando i pugni in aria – era diversa e divertente e invidiabile allo stesso tempo. (p. 35)
  • All'inizio degli anni '70 ero diventato un perfetto inglese; ovvero odiavo l'Inghilterra almeno quanto sembravano odiarla la metà dei miei compatrioti. Mi allontanarono l'ignoranza, il pregiudizio e le paure del ct; ero convinto che le mie scelte avrebbero distrutto qualsiasi squadra del mondo, e provavo una forte antipatia per i giocatori del Tottenham, del Leeds, del Liverpool e del Manchester United. Cominciai a provare imbarazzo quando guardavo le partite dell'Inghilterra in TV, e a sentire, come molti di noi sentono, che non avevo nessun tipo di legame con quello che stavo guardando; avrei potuto benissimo essere gallese, o scozzese, o olandese. (p. 28)
  • Il calcio era un gioco alla moda, e il Chelsea una squadra alla moda; le indossatrici, gli attori e i giovani rampanti che incitavano i Blues erano bellissimi da vedere, e rende vani Stamford Bridge (le tribune, almeno) un luogo squisitamente esotico. (p. 45)
  • L'inglese bianco, borghese, del sud è la creatura più sradicata in assoluto; preferiremmo appartenere a qualsiasi altra comunità del mondo. I nativi dello Yorkshire, di Lancaster, gli scozzesi, gli irlandesi, i neri, i ricchi, i poveri, perfino gli americani e gli australiani hanno qualcosa su cui piangere davanti a una birra o in un pub o in un bar, canzoni da cantare, cose a cui aggrapparsi e stringere forte quando ne hanno voglia, ma noi non abbiamo niente, o perlomeno niente che vogliamo. (pp. 45-46)
  • Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive, e il fenomeno degli hooligan mi ha fornito sia un certo gusto per la sociologia che un certo grado di esperienza sul campo. Ho appreso il valore di investire tempo ed emozioni in cose che non sono io a controllare, e di appartenere a una comunità della quale condivido le aspirazioni in maniera totale e acritica. (pp. 68-69)
  • A me preoccupava la prospettiva di morire così, a metà stagione, ma è chiaro che con tutta probabilità morirò in un qualche momento tra agosto e maggio. Abbiamo la speranza ingenua di andarcene senza lasciare niente di inconcluso: avremo fatto pace con i nostri figli, li lasceremo felici e realizzati, e avremo realizzato più o meno tutto quello che volevamo nella vita. Chiaramente sono tutte sciocchezze, e i tifosi del calcio che meditano sulla mortalità sanno che sono tutte sciocchezze. Ci saranno mille cose inconcluse. Magari moriremo la notte prima che la nostra squadra scenda in campo a Wembley, o il giorno dopo una partita di andata in Coppa dei Campioni, o nel bel mezzo di una lotta per la promozione o di una battaglia per evitare la retrocessione, ed è assai probabile, secondo tante teorie sulla vita nell'aldilà, che non riusciremo neppure a conoscerne l'esito. La questione fondamentale sulla morte, metaforicamente parlando, è che è destinata ad arrivare prima che siano stati assegnati i trofei più importanti. (pp. 69-70)
  • Il calcio, com'è noto, è il gioco del popolo, e come tale cade nelle grinfie di tutta quella gente che non è, insomma, il popolo. Ad alcuni piace perché sono dei socialisti sentimentali; ad altri perché hanno frequentato le scuole private, e vorrebbero non averlo fatto; ad altri perché il loro lavoro – di scrittore, giornalista televisivo o pubblicitario – li ha portati molto lontani da quello che considerano il loro luogo di appartenenza, o di provenienza, e il calcio sembra loro un modo veloce e indolore per ritornarci. (pp. 94-95)
  • Una volta credevo, anche se adesso non lo credo più, che crescere e diventare adulti fossero due cose analoghe, due processi inevitabili e incontrollabili entrambi. Adesso penso che diventare adulti sia una cosa dominata dalla volontà, che si possa scegliere di diventare adulti, ma solo in determinati momenti. Questi momenti capitano piuttosto di rado – durante i periodi di crisi nelle relazioni, per esempio, o quando si ha la possibilità di ricominciare tutto da capo da qualche altra parte – e si può ignorarli o prenderli al volo. (p. 97)
  • I tifosi di calcio parlano in questo modo: i nostri anni, le nostre unità di tempo vanno da agosto a maggio (giugno e luglio non esistono neanche, soprattutto negli anni dispari, che non hanno i mondiali o gli europei). Chiedetici quale è il periodo migliore o peggiore della nostra vita e il più delle volte vi risponderemo con un numero a quattro cifre – 66/67 per i tifosi del Manchester United, 67/68 per quelli del Manchester City, 69/70 per quelli dell'Everton, e così via – recante nel mezzo un silenzioso trattino, unica concessione al calendario in uso nel resto del mondo occidentale. Ci ubriachiamo l'ultimo dell'anno, come tutti, ma in realtà è dopo la finale di Coppa, in maggio, che facciamo ripartire il nostro orologio interiore, e ci lasciamo andare alle promesse e ai rimpianti e agli impegni di rinnovamento che le persone normali si concedono alla fine dell'anno tradizionale. (p. 114)
  • Liam Brady fu uno dei due o tre calciatori migliori degli ultimi vent'anni in quanto a passaggi, e per questo era riverito da ogni tifoso dell'Arsenal, ma per me era molto più di questo. Io lo adoravo perché era grande, e lo adoravo perché, nel nostro gergo, se lo spremevi sprizza Arsenal da tutti i pori (come Charlie George, anche lui era frutto del vivaio); ma c'era anche una terza cosa. Era intelligente. Quest'intelligenza si manifestava principalmente nei suoi passaggi, che erano incisivi e fantasiosi e sempre sorprendenti. Ma si manifestava anche fuori dal campo: aveva facilità di parola, era spiritoso e impegnato [...] man mano che avanzavo negli studi, e sempre più persone sembravano mettere il calcio da una parte e la vita intellettuale dall'altra, Brady sembrò un ponte di collegamento tra questi due mondi. (pp. 118-119)
  • Paul Gascoigne possiede intelligenza calcistica a palate (ed è un'intelligenza abbagliante, che comporta, tra le altre doti, una sorprendente coordinazione e la capacità di sfruttare all'istante una situazione che nel giro di due secondi non sarà più la stessa), tuttavia è evidente e leggendaria la sua assoluta mancanza del benché minimo buonsenso. (p. 119)
  • Qualsiasi tifoso dell'Arsenal, dal più giovane al più vecchio, sa che nessuno ci vuole, e quest'antipatia la respiriamo quotidianamente intorno a noi. (p. 122)
  • D'altra parte il West Ham, o il Tottenham, sono famosi per la poesia, il talento, la ricerca di un bel calcio, di un calcio fluido («progressivo» [...]). Tutti hanno un debole per Peters, Moore, Hurst, Brooking e la West Ham «Academy», come tutti odiano e disprezzano Storey, Talbot, Adams e l'idea, la natura stessa dell'Arsenal. [...] Gli Hammers e gli Spurs sono i Custodi della Fiamma, i Soli Seguaci del Sacro Cammino; noi siamo i Gunners, i Visigoti, con Erode e lo Sceriffo di Nottingham come coppia di centrali, le braccia in aria a reclamare il fuorigioco. (p. 123)
  • Le squadre di calcio sono incredibilmente fantasiose nel trovare nuovi modi per far soffrire i loro supporter. Vanno in vantaggio a Wembley be poi buttano via la partita; arrivano in testa alla Prima divisione e poi si bloccano di colpo; pareggiano fuori casa in una partita difficile e perdono la ripetizione in casa; una settimana battono il Liverpool e quella successiva perdono con lo Scunthorpe; a metà stagione ti fanno credere di poter anche aspirare alla promozione e poi fanno dietro front... sempre, quando pensi di aver previsto la cosa peggiore che poteva succedere, loro riescono a saltar fuori con qualcosa di nuovo. (p. 125)
  • Credo siano molti i padri, in giro per il mondo, ad aver sperimentato il rifiuto più crudele, più spietato di tutti: i loro figli sono diventati tifosi della squadra sbagliata. Quando mi metto a considerare l'ipotesi di fare un figlio, cosa che mi succede sempre più spesso man mano che il mio orologio biologico si avvicina alla mezzanotte, mi rendo conto di aver davvero paura di questo tipo di tradimento. Cosa farei se mio figlio o mia figlia decidessero, all'età di sette o otto anni, che papà è un pazzo e che il Tottenham o il West Ham o il Manchester United sarà la loro squadra? Come affronterei la faccenda? Riuscirei a comportarmi da genitore, accettando il fatto che l'epoca di Highbury sia finita, e comprerei un paio di abbonamenti a White Hart Lane o a Upton Park? Neanche per sogno. Sono io stesso troppo infantile nei riguardi dell'Arsenal per sottostare ai capricci di un bambino; spiegherei a lui o a lei che, pur rispettando qualsiasi decisione di questo tipo, se, come è ovvio, desiderassero veder giocare la loro squadra, dovrebbero farlo da soli, pagando di tasca loro e andandoci con le loro gambe. Questo servirebbe a svegliare un po' i mocciosi. (pp. 127-128)
  • Il calcio di punizione di Gazza contro l'Arsenal nella semifinale di Coppa d'Inghilterra a Wembley fu semplicemente strabiliante, uno dei gol più eccezionali che abbia mai visto... ma vorrei con tutto il cuore non averlo visto, che non l'avesse mai tirato. Anzi, per tutto il mese precedente, avevo pregato che Gascoigne non giocasse, il che sottolinea la diversità del calcio: chi comprerebbe un biglietto da un sacco di soldi per il teatro sperando che la prima attrice sia indisposta? Gli spettatori neutrali impazzirono per quel pezzo di bravura di Gascoigne, chiaramente, ma gli spettatori neutrali nello stadio erano pochi. C'erano tifosi dell'Arsenal disgustati quanto me, e tifosi del Tottenham altrettanto entusiasti del secondo gol, un tiro casuale da due metri di Gary Lineker dopo una mischia; in realtà andarono ancora più fuori di testa dopo questo gol, perché sul 2-0, dopo dieci minuti, l'Arsenal era morto e sepolto. Quindi dov'è il rapporto tra tifoso e intrattenimento, quando il tifoso ha un rapporto così problematico con alcuni tra i momenti più significativi del gioco? (p. 132)
  • L'Heysel stava arrivando, com'è inevitabile che arrivi il Natale. Ciò che sorprese è che la causa di tutte quelle morti fu qualcosa di tanto innocuo quanto una carica, esercizio che almeno la metà dei giovani tifosi inglesi praticava, e che non aveva altro scopo se non quello di spaventare i tifosi avversari e di divertire chi correva. I tifosi della Juventus, molti dei quali erano uomini della media borghesia, non sapevano di quest'abitudine, e d'altronde perché mai avrebbero dovuto? Non conoscevano il complicato comportamento del pubblico inglese, che noialtri avevamo assorbito senza accorgercene. Quando videro una schiera di hooligan inglesi urlanti cominciare a correre verso di loro, si fecero prendere dal panico e si precipitarono verso l'estremità del loro settore. Crollò un muro, e nel caos che seguì la gente morì schiacciata. Fu un modo orribile di morire, e noi probabilmente, davanti alla TV, assistemmo a quelle morti: ricordiamo tutti quell'uomo robusto con la barba, assomigliante a Pavarotti, che con una mano cercava disperatamente un aiuto che nessuno riusciva a dargli. Alcuni dei tifosi del Liverpool arrestati più tardi devono essersi sentiti sinceramente sconcertati. In un certo senso, il loro reato era solo quello di essere inglesi: le abitudini della loro cultura, tolte dal loro contesto ed esportate in un luogo in cui non venivano capite, uccidevano le persone. (p. 153)
  • Una cosa è certa sul tifo: non è un piacere parassita, anche se tutto farebbe pensare il contrario, e chi dice che preferirebbe fare piuttosto che guardare non capisce il concetto fondamentale. Il calcio è un contesto in cui guardare diventa fare – non in senso aerobico, perché guardare una partita con il fumo che esce dalle orecchie, e poi bere e mangiare patatine per tutta la strada del ritorno è assai improbabile che ti faccia del gran bene, nel senso in cui te ne fa la ginnastica di Jane Fonda o lo sbuffare su e giù per il campo. Ma nel momento del trionfo il piacere non si irradia dai giocatori verso l'esterno fino ad arrivare ormai smorzato e fiacco a quelli come noi in cima alle gradinate; il nostro divertimento non è una versione annacquata del divertimento della squadra, anche se sono loro che segnano i gol e che salgono i gradini per incontrare la principessa Diana. La gioia che proviamo in queste occasioni non nasce dalla celebrazione delle fortune altrui, ma dalla celebrazione delle nostre; e quando veniamo disastrosamente sconfitti il dolore che ci inabissa, in realtà, è autocommiserazione, e chiunque desideri capire come si consuma il calcio deve rendersi conto prima di tutto di questo. I giocatori sono semplicemente i nostri rappresentanti, e certe volte, se guardi bene, riesci a vedere anche le barre metalliche su cui sono fissati, e le manopole alle estremità delle barre che ti permettono di muoverli. Io sono parte del club, come il club è parte di me; e dico questo perfettamente consapevole del fatto che il club mi sfrutta, non tiene in considerazione le mie opinioni, e talvolta mi tratta male, quindi la mia sensazione di unione organica non si basa su un fraintendimento confuso e romantico di come funziona il calcio professionistico. (pp. 184-185)
  • Strano che non abbia ancora detto che il calcio è uno sport stupendo, ma è chiaro che lo è. I gol hanno quel valore della rarità che i punti e i set non hanno, e quindi ci sarà sempre quel fremito, il fremito di vedere qualcuno fare qualcosa che può essere fatto solo tre o quattro volte in tutta una partita se sei fortunato, neanche una se non lo sei. E mi piace la velocità, la mancanza di una formula prestabilita; e adoro come gli uomini piccoli possano distruggere quelli grandi (guarda Beardsley contro Adams) in un modo che in altri sport è semplicemente impossibile, e il fatto che la squadra migliore non necessariamente vince. E poi c'è l'aspetto atletico (con tutto il rispetto dovuto per chi gioca a cricket come Ian Botham e per i trequartisti della nazionale inglese di rugby, sono pochissimi i bravi giocatori grassi), e il modo in cui la forza e l'intelligenza debbano unirsi. Il football fa sì che i giocatori appaiano splendidi e armonici come altri sport non permettono: un tuffo con colpo di testa perfettamente sincronizzato o un preciso al volo consentono al corpo di raggiungere una compostezza e una grazia che certi atleti non riusciranno mai ad esibire. (pp. 196-197)
  • [Sulla strage di Hillsborough] Quando arrivammo a casa era ormai evidente che questo non era un semplice incidente calcistico, di quelli che si verificano una volta ogni qualche anno, in cui una o due persone sfortunate ci lasciano la pelle, e che viene generalmente e casualmente visto da tutte le autorità preposte come uno dei rischi insiti nel divertimento che ci siamo scelti. Il numero dei morti aumentava di minuto in minuto – sette, poi venti, poi una cinquantina e infine novantacinque – e fu chiaro che per tutti quelli che avevano ancora un briciolo di buon senso, niente sarebbe stato più come prima. (p. 214)
  • È facile capire come mai coloro che ebbero un lutto in famiglia vorrebbero vedere gli agenti di polizia del South Yorkshire davanti a un tribunale: il loro errore di valutazione fu catastrofico. Tuttavia, anche se è chiaro che la polizia fece un bel po' di confusione quel pomeriggio, sarebbe terribilmente presuntuoso accusarla di qualcosa che andasse oltre l'incompetenza. Pochissimi tra noi hanno la sfortuna di essere in una posizione tale per cui gli errori professionali possono uccidere la gente. La polizia, a Hillsborough, non fu mai in grado di garantire la sicurezza, indipendentemente da quanti cancelli aprì o non aprì; nessuna forza di polizia in nessuno stadio del paese potrebbe farlo. Sarebbe potuto accadere ovunque. Sarebbe potuto accadere a Highbury, magari sui gradoni di cemento che dal North Bank portano fuori sulla strada (e non ci vuole una gran fantasia per immaginarselo); sarebbe potuto succedere a Loftus Road, dove centinaia di tifosi possono accedere al settore ospiti solo passando attraverso un bar. E poi ci sarebbe stata un'inchiesta, e dei servizi sui giornali, e la polizia sotto accusa, o il servizio d'ordine, o i tifosi ubriachi, o qualcun altro. Ma non sarebbe stato giusto, visto che l'intera cosa si basava su delle premesse così grottesche. (pp. 214-215)
  • Hillsborough fu il quarto disastro calcistico inglese del dopoguerra, il terzo in cui un gran numero di persone trovarono la morte schiacciate in seguito a qualcosa che non funzionò nel controllo della folla; fu il primo ad essere attribuito a qualcosa di più della sfortuna. Possiamo quindi incolpare la polizia per aver aperto il cancello sbagliato al momento sbagliato, se vogliamo, ma penso che significherebbe mancare il bersaglio. (p. 216)
  • Il guaio dell'orgasmo come metafora, in questo caso, è che l'orgasmo, anche se ovviamente piacevole, è una cosa familiare, ripetibile (nel giro di un paio d'ore, se mangi spinaci) e prevedibile, specialmente per un uomo: se stai facendo sesso, sai cosa sta per venire, per così dire. Forse, se non avessi fatto l'amore da diciott'anni, e se avessi abbandonato ogni speranza di farlo per altri diciotto, e poi, all'improvviso, del tutto inaspettatamente, si presentasse l'occasione... forse in queste circostanze sarebbe possibile ricreare con una certa approssimazione quel momento a Anfield. Pur non essendoci alcun dubbio sul fatto che il sesso sia un'attività più piacevole che guardare le partite di calcio (niente pareggi 0-0, niente trappola del fuorigioco, niente risultati imprevisti, e sei al caldo), di solito i sentimenti che genera non sono come quelli innescati da una vittoria di Campionato all'ultimo minuto che ti capita una sola volta nella vita. (p. 227)
  • Ciascuna di queste trasgressioni isolò sempre di più il club e i suoi fedeli dal continente dei benpensanti, quelli che storcono il naso e odiano l'Arsenal; Highbury diventò l'Isola del Diavolo nel bel mezzo di Londra nord, la patria dei farabutti e dei miscredenti. (p. 237)
  • L'Arsenal non è un Nottingham Forest o un West Ham o addirittura un Liverpool, una squadra che ispiri affetto o ammirazione in altri tifosi: spartiamo i nostri piaceri solo tra noi. (p. 238)
  • I tifosi del West Ham che conosco hanno un innato senso di autorità morale da cane bastonato, quelli del Tottenham emanano un'aria compiaciuta, quelli del Manchester United sono permeati di grandiosità frustrata, quelli del Liverpool sono semplicemente magnifici. E per quanto riguarda quelli dell'Arsenal... È impossibile pensare di non essere stati influenzati dal fatto di amare ciò che il resto del mondo considera fondamentalmente indegno di amore. (pp. 238-239)
  • Con lo sport non puoi sognare come puoi fare se scrivi, se reciti, se dipingi o se fai carriera come dirigente: l'ho capito a undici anni che non avrei mai giocato per l'Arsenal. Undici anni sono davvero pochi per scoprire una così amara verità. (p. 241)

Shakespeare scriveva per soldi[modifica]

  • Di solito riesco a convincermi che lo sport in televisione possa offrire tutto ciò che offre la letteratura e anche di più, ma, dopo l'esperimento di verifica, la mia fede in questa tesi ha cominciato a vacillare. (p. 39)
  • Il problema della lettura è che non finisce mai. L'altro giorno ero in libreria a sfogliare un volume che s'intitolava più o meno I 1001 libri da leggere prima di morire (e, senza fare nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno 400 dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura – è proprio questo il punto, no? – ed uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente morto. (p. 55)

Tutto per una ragazza[modifica]

Incipit[modifica]

Dunque, tutto procedeva piuttosto bene. Anzi, dire che da un sei mesi succedevano soltanto cose belle.
- Per esempio: la mamma si era tolta dai piedi Steve, il suo strazio di fidanzato.
- Per esempio: dopo una lezione, la Gillet, la prof di arte e design, mi aveva preso da parte per chiedermi se pensavo di studiare arte all'università.
- Per esempio: improvvisamente, dopo aver fatto per settimane la figura del cretino in pubblico, avevo imparato due nuovi trick di skate. (Scommetto che non andate tutti sullo skate, quindi mi sa che devo chiarire subito una cosa, tanto per evitare terribili equivoci. Skate = skateboard. Noi non diciamo mai skateboard, quindi sarà l'unica volta che userò questa frase in tutta la storia. E se continuerete a immaginarmi a fare lo scemo su un paio di schettini, mettiamo, o di pattini o quel che è, la colpa sarà soltanto vostra.)
Tutto questo, e in più avevo conosciuto Alicia.

Citazioni[modifica]

  • Secondo voi è da pazzi? Forse sì, ma non me ne importa niente, davvero. Chi è che non parla mai con qualcuno mentalmente? Chi è che non parla con Dio, o con un gatto o un cane, o con qualcuno che ama ed è morto, o magari semplicemente con se stesso? TH... Lui non era me. Ma era la persona che avrei voluto essere, quindi si può dire che è la versione migliore di me stesso e non può essere una cosa brutta avere la versione migliore di se stessi che se ne sta lì, alla parete di una camera da letto, a guardarti. Sembra incoraggiarti a non mollare.
  • Invece nella nostra famiglia tutti inciampano sempre sul primo gradino. Anzi, di solito non trovano nemmeno le scale.
  • Nella mia scuola c'erano un paio di giovani mamme e si comportavano come se il loro figlio fosse un iPod, o un cellulare nuovo, o una cosa del genere, un aggeggio da esibire. Ci sono molte differenze tra un figlio e un iPod. Una delle più grosse è che di solito non ti aggrediscono per portarti via un figlio. Se è notte fonda e sei in autobus, non è necessario che te lo tenga in tasca. E questo dovrebbe far riflettere, visto che ti aggrediscono per rubarti qualsiasi cosa valga la pena di avere: significa che un figlio non vale la pena di averlo.
  • Ne aveva sempre uno in tasca e non era mai riuscito a usarlo, perché ad Alicia non piaceva che li le soffiasse sul collo. A volte i preservativi sono efficacissimi a non aver figli.
  • Era un po' come se avessimo avuto davanti a noi un piatto strapieno e avessimo mangiato tutto in un lampo, e non era avanzato niente. Forse è così che le coppie resistono: evitando di abbuffarsi. Sanno che quel che hanno davanti deve durare a lungo, e così lo centellinano. Anche se spero che la ragione non sia questa. Spero che, quando due persone stanno bene insieme, sia come se qualcuno continuasse a riempirgli il piatto.
  • I preservativi erano una brutta cosa, ma i test di gravidanza appartenevano a tutt'altra categoria di guai.
  • Ecco, io avevo svoltato l'angolo e lì dietro c'era un unomo di Al Qaeda con il mitra, solo che era un neonato e non aveva il mitra. Ma, se ci si riflette un momento, nel mio mondo un neonato, anche senza mitra, è come un terrorista con il mitra, perché, rispetto alle possibilità che avevo di andare all'università a studiare arte e design eccetera eccetera, Ufo era letale esattamente quanto un uomo di Al Qaeda.
  • Una casa dovrebbe essere una casa, no? Un posto dove gli altri li conosci.

Incipit di alcune opere[modifica]

Alta Fedeltà[modifica]

Ecco, per stilare una classifica, le cinque più memorabili fregature di tutti i tempi, in ordine cronologico:
1) Alison Ashworth
2) Penny Hardwick
3) Jackie Allen
4) Charlie Nicholson
5) Sarah Kendrew.
Ecco quelle che mi hanno ferito davvero. Ci vedi forse il tuo nome lì in mezzo, Laura? Ammetto che rintreresti fra le prime dieci, ma non c'è spazio per te fra le prime cinque; sono posti destinati a quel genere di umiliazioni e di strazi che tu semplicemente non sei in grado di appioppare. Questo forse suona più cattivo di quanto vorrei, ma il fatto è che noi siamo troppo cresciuti per rovinarci la vita a vicenda, e questo è un bene, non un male, per cui se non sei in classifica, non prenderla sul piano personale. Quei tempi sono passati, e che liberazione, cazzo; l'infelicità significava davvero qualcosa, allora. Adesso è solo una seccatura, un po' come avere il raffreddore o essere al verde. Se volevi veramente incasinarmi, dovevi arrivare prima.

Non buttiamoci giù[modifica]

Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio. Non voglio dire che fosse un capriccio — solo che non era tremendamente complicato o angoscioso.

Un ragazzo[modifica]

«E adesso vi siete lasciati?»
«Fai lo spiritoso?»[21]

Note[modifica]

  1. Da I libri che non ho letto, Internazionale, n. 1066, 29 agosto 2014, p. 87.
  2. Da Il lato umano di Hollywood, Internazionale, n. 554, 27 agosto 2004, p. 68.
  3. Da Forse è arrivata la fine del mondo, Internazionale, n. 978, 7 dicembre 2012, p. 110.
  4. Da I libri che ho letto negli ultimi tempi, Internazionale, n. 855, 16 luglio 2010, p. 82.
  5. Da Teneri agganci nei libri del sud, Internazionale, n. 668, 17 novembre 2006, p. 52.
  6. Da Imparare a leggere, Internazionale, n. 737, 28 marzo 2008, p. 73.
  7. Da Psicoterapia con i libri recuperati, Internazionale, n. 866, 1 ottobre 2010, p. 98.
  8. Da Autismo e baseball, Internazionale, n. 519, 19 dicembre 2003, p. 65.
  9. Da Abbasso la realtà, Internazionale, n. 713, 5 ottobre 2007, p. 58.
  10. Da Ho capito qualcosa della crisi, Internazionale, n. 907, 22 luglio 2011, p. 88.
  11. Da La mia musica, Internazionale, n. 1224, 29 settembre 2017, p. 110.
  12. Da I film siamo noi, Internazionale, n. 733, 29 febbraio 2008, p. 70.
  13. Da Ultimo capitolo, Internazionale, n. 764, 3 ottobre 2008, p. 89.
  14. Da Genealogia della lettura, Internazionale, n. 544, 18 giugno 2004, p. 73.
  15. Da I Mondiali più noiosi della storia, Internazionale, n. 660, 22 settembre 2006, p. 53.
  16. Da I miei primi quaranta libri, Internazionale, n. 790, 10 aprile 2009, p. 78.
  17. Da Inglese per gli inglesi, Internazionale, n. 1039, 21 febbraio 2014, p. 91.
  18. Da Il mio amico Rod Stewart, Internazionale, n. 995, 12 aprile 2013, p. 92.
  19. Da La mia lotta contro Scientology, Internazionale, n. 1060, 18 luglio 2014, p. 87.
  20. Da Nuovi confini personali, Internazionale, n. 595, 17 giugno 2005, p. 74.
  21. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Nick Hornby, Febbre a 90', traduzione di Federica Pedrotti e Laura Willis, Ugo Guanda Editore, Parma, 2011 (1997). ISBN 978-88-8246-347-2
  • Nick Hornby, Alta Fedeltà, traduzione di Laura Noulian, Guanda, 1996. ISBN 8882461521
  • Nick Hornby, Come diventare buoni, traduzione di Stefano Viviani, Guanda, 2001. ISBN 8882463915
  • Nick Hornby, Come diventare buoni, traduzione di Stefano Viviani, Tea, 2005. ISBN 8850207301
  • Nick Hornby, Non buttiamoci giù, trad. di Massimo Bocchiola, Guanda Editore, 2005. ISBN 9788846208767
  • Nick Hornby, Shakespeare scriveva per soldi, Guanda, 2009. ISBN 9788860888006
  • Nick Hornby, Tutto per una ragazza, traduzione di Silvia Piraccini, Guanda Editore, 2008. ISBN 9788860881786

Film[modifica]

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Opere[modifica]