Pandolfo Collenuccio

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Pandolfo Collenuccio (1444 – 1504), umanista, storico e poeta italiano.

Apologhi in volgare[modifica]

  • ESOPO. La castagna una volta si mise in dosso una sua veste orrida, spinosa, spiacevole, coprendosi tutta insino al volto, talché li viandanti non ardivano toccarla, anzi detestandola la schifavano. Passando per la selva Autunno, la pregò che 'l volto si scoprisse e dicessegli chi ella era. Il che fatto, e la sua grata condizione conosciuta: – Quanto son pazzi li omini – disse Autunno – che da la vista di fòra de l'altrui condizione fanno iudicio! (Da Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, p. 37) [Ad ERCULE]
  • ERCULE. Non sai tu che chi non è armonicamente, o per natura o per dottrina, composto, non si pò di armonia dilettare, e però né anche per quella commovere? (Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, p. 39) [Ad ESOPO]
  • ESOPO. Cantava il lusignolo sopra una quercia. Ebbe ardire il cucco[1]di svillaneggiarlo e voler con esso di canto contendere. Il lusignolo con suavissima melodia di più canzoni e varie (come tu sai che sòle) la sua parte cantò: il cucco da l'altra parte con due sole sillabe sempre a una misura[2]fece ancor lui suo strepito. Finito il canto, e la contesa essendo sì grande, che iudice li bisognava, a l'asino, il quale ivi vicino udito il lor canto avea, per iudicio ricorseno. Rispose l'asino che più arte di canto forsi porria avere il lusignolo, ma che a lui il cantar del cucco più piacea; e così il meschin lusignolo la sentenza contra sé riportò.
    ERCULE. Tu mi fai pur troppo ridere, Esopo. Odi a che iudicio si riduce qualche volta la perizia! Già suol dirsi in proverbio: «Che ha da far l'asino con la lira?[3]». Perversa cosa è pur per certo che alcun iudichi di quel che non intende. Anche a me ricorda che, combattendo io con l'idra, un granchio ebbe ardire di morsicarmi un calcagno: e furno sì pazzi quelli che allora iudicavano, che lo dedicorno in cielo e poseno nel zodiaco, non per altra virtù, se non per aver avuto ardire di pizzicare il piede ad Ercule. Ma lasciamo andar questo: la ignoranza di tutte le cose assurde è madre. (Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, p. 40)
  • Le api, non solo da viole, meliloto e timo, ma ancor da spine e da cepolle e cardi la più suave e miglior parte coglieno e servano, la qual poi da li omini per cibo e medicina si adopera. (da Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, p. 50) [Al RE]
  • LUCIANO. [...] [Esopo] è filosofo, ma non come li altri che con sillogismi e longhe narrazioni e difficili mostrano a li omini la via de la virtù, facendo oscuro quel che molto chiaro esser doverìa, e non facendo però con le opere quello che con la lingua insegnano. Ma ha trovato una nova via breve et espedita, per la quale pigliando argumento di cose umili e naturali, con dolci esempi dimostra quello che a li omini sia utile. (da Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, pp. 51-52) [Al RE]
  • BERRETTA. Non ti dico io che in te non è parte niuna di quelle cose che tu dici avere dentro? Quanti di questi da le diademe hai tu veduti, che più di vent'anni sono stati dipinti nel muro, né mai però fecerno miracoli! E quanti portano corona, che meglio serìa che di aglio o di cepolla se la facessino! E quanti son quelli che portano mitria, e nel summo loco coperta di gemme, che se bene fussino li lor meriti pesati, degni piuttosto seriano (sì come a' dannati per loro eccessi si usa) di una mitria di carta, a vituperosa imagine dipinta! Adunque tu credi che io possa racconciare e ricoprire li mancamenti de l'animo, sì come io posso il calvizio e la tigna nascondere? (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, pp. 67-68) [Alla TESTA]
  • BERRETTA. El ti sona pur il bacinetto[4] per certo! Ma almeno lassami stare così. Perché mo' a mezza altezza indrieto e negletta mi lassi?
    TESTA. Tu vòi saper ragione di troppe cose. Lo faccio per mostrarmi pensoso e di non curare e di affettare ornamento, e per mille altri gentili rispetti. Che credi tu? sono premure neapolitane per aver grazia, con l'andare alla sprezzata. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 77)
  • BERRETTA. Per questo solo adunque, che 'l porta l'oro, gli fai tante sberrettate? Oh dio, fussi io una braga piuttosto che una berretta! Orsù per tua fe', non più, andiamo pur via. La prima lucerna da olio ch'io trovo, ho deliberato darli dentro e coprirmi tutta; almeno s'io sarò macchiata d'olio, so che non mi porterai più a vedere tanta iniustizia. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 84) [Alla TESTA]
  • BERRETTA. Ho bene inteso che li omini son quelli che onorano li lochi, e non li lochi li omini. Più ti voglio dire ch'io ho per esperienza il contrario più volte veduto: ché molti omini, finché sono stati in basso loco, hanno avuto vita e fama laudabile, ma poi che sono stati esaltati e sublimati, hanno perduto l'arte e la reputazione, e finalmente come le scimie feceno, che quanto più in alto montano, più brutta parte di loro mostrano. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 89) [Alla TESTA]
  • BERRETTA. Quanto più parli, più tua sciocchezza, ignoranza e falsità di iudicio dimostri. Perché non è vero quello che tu dici, che valente omo sia quello che a la propria utilità sempre ha rispetto e a che per l'utile proprio fare si deve: anzi simili omini come veneno fuggire si vogliono[5], e da loro guardarsi, come de la repubblica e commune utilità specialissimi inimici. Guai a quel principe e a quel re, che per[6] consiglieri e ministri si governano che a la propria utilità mirano! guai a quelle città che il lor stato amministrano per cittadini, che a la loro utilità e commodi intendono! (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 94) [Alla TESTA]
  • ERCULE. Sì come tra li beni del corpo la sanitade è il primo e tra quelli de l'animo la virtù, così tra li beni esterni chiamati di fortuna, l'onore il primo e summo loco tiene; non le ricchezze, come li irrazionali e vulgari omini estimano. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 99) [Alla TESTA]
  • TESTA. Il trarre de la berretta, com'io diceva, è pure adunque segno di onore?
    ERCULE. Tu dici il vero che serìa segno, quando il fondamento di tal segno ci fusse, cioè la eccellenza de la virtù; e benché il fumo sia segno di foco acceso, nondimeno, se senza foco qualche fumosità si vede, quella non fumo che nasca da foco, ma esalazione o vapore o altra densa elevazione di qualche sordida materia chiamare si deve. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, pp. 99-100)
  • ERCULE. Quelli adunque che senza elezione[7] alcuna ad ogni omo per ogni vil causa il capo scopreno, di ignorante e servile animo fan segno e una nobile istituzione adulterano; e quelli che tal segno in sé cercano e usurpano, se di quelle persone non sono a chi il pubblico governo sia commesso, Filotimi[8] e ambiziosi si chiamano. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 101) [Alla TESTA]
  • ERCULE. Rara cosa è che insieme la virtù con la pecunia in un subietto stiano; anzi sì male insieme si accordano, che dove una cresce, l'altra minuisce. (da Apologo intitulato Filotimo a lo illustrissimo Principe Ercule inclito Duca di Ferrara, composto per Messer Pandolfo Coldenose da Pesaro, p. 110) [Alla BERRETTA]

Canzone alla Morte[modifica]

Incipit[modifica]

Qual peregrin nel vago errore stanco
de' longhi e faticosi soi viaggi
per lochi aspri e selvaggi,
fatto già da' pensier canuto e bianco,
al dolce patrio albergo
sospirando cammina, e si rimembra
le paterne ossa e sua novella etade;
di se stesso pietade
tenera 'l prende, e le affannate membra
posar desia nel loco ov'el già nacque
e 'l dì prima gli piacque;
tal io, ch'ai peggior anni oramai vèrgo,
in sogni, in fumi, in vanitade avvolto,
a te mie preci vólto,
refugio singular che pace apporte
a l'umane fatiche, inclita Morte.

Citazioni[modifica]

  • Questa c'ha nome vita falso in terra, | ch'altro è che fatica, affanno e stento, | sospir, pianto e lamento, | dolore, infermità, terrore e guerra? | Questa acerba matrigna, | natura, in tanti mal questo sol bene | per pace dètte, libertade e porto, | a' più savi diporto: | il fine attender de le mortal pene. | E dicon: – Non fia lunge chi ne spoglia | con generosa voglia! – | Tu sei quella, tu sei quella benigna | madre, che i vil pensier dai petti sgombri | e' nostri mali adombri | di lunga oblivion, d'immortal scorte: | soccormi adunque, o graziosa Morte. (vv. 65-80, p. 117)
  • Qual di famosi ingegni è maggior gloria, | ebrei, greci, latini, arabi e persi, | di lingue e stil diversi, | quanti l'antique carte fan memoria, | te han scritta e desiata. | Felice disse alcun chi mòre in fasce; | altri, quando la vita più diletta; | chi, quando men s'aspetta. | Molti beato disser chi non nasce: | molti con forte man t'han cerco e tolta, | grave turba e non stolta! | Tu breve, tu comune e iusta e grata, | tu facil, natural, pronta, che sèpre | il bel fior da la vepre: | nostre calamità prego che ammorte, | benigna e valorosa, optata Morte. (vv. 81-96, p. 117)

Incipit di Compendio de le istorie del Regno di Napoli[modifica]

Natural cosa è che non manco si amano li lochi ove li uomini ne la sua tenera età sono stati educati e nutriti, che quelli ove sono nati: la quale affezione tanto maggior diventa, quanto in quelli lochi l'uomo sotto il governo di qualche principe, di eccellente natura ha imparato virtú e costumi e ottima istruzione et esperienza a la vita. Però meraviglia non è se la Vostra Eccellenza, del regno di Napoli, ove il fiore de la puerizia e gioventú in gloriosi esercizi tradusse, e de l'inclito buon re Alfonso I di Aragona, col quale familiarmente in favore onoratissimo visse, spesso parla e volontieri ode, e de le passate sue condizioni cerca averne espedita notizia.

Note[modifica]

  1. Cuculo. Cfr. nota a p. 115 degli Apologhi in volgare.
  2. Di durata uguale. Cfr. nota a p. 115 degli Apologhi in volgare.
  3. Famoso proverbio greco cui si è ispirato Fedro per una favola (Appendix Perrottina, 12), ricorrente con molta frequenza in Luciano (Dialogi meretricum, 14 4; Adversus indoctum, 4), citato nell'esatta versione del dialogo di P. Collenuccio nel De mercede conductis, 25). Cfr. nota a p. 115 degli Apologhi in volgare.
  4. Elmo: hai cioè la testa vuota. Cfr. nota a p. 124 degli Apologhi in volgare.
  5. Si debbono. Cfr. nota a p. 126 degli Apologhi in volgare.
  6. Per mezzo di. Nota a p. 126 degli Apologhi in volgare.
  7. Criterio. Nota a p. 126 degli Apologhi in volgare.
  8. Amanti degli ossequi. Cfr. nota a p. 124 degli Apologhi in volgare.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]