Paolo Giovio

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Paolo Giovio

Paolo Giovio (1483 – 1552), vescovo, storico, medico e biografo italiano.

Citazioni di Paolo Giovio[modifica]

  • Avanzando di dignità di corpo e di leggiadria di bellezza i più delicati giovani, [Aimone di Savoia] riusciva anco allora molto più grande e più bello di se stesso quando, con una nuova foggia, si lasciava crescere i capegli di color d'oro, e spesse volte acconciandogli in treccie, e tallora lasciandogli andar giù per le spalle, gli assettava in una cuffia di rete o con una ghirlanda di fiori; perché ciò si gli aveniva molto essendo egli bianco e riguardevole del color di latte e con una barba bionda, come si può vedere per molte imagini di lui, e massimamente in una armata a cavallo, la quale si vede nella rocca di Pavia alla sinistra loggia. (da Le vite di dicianove huomini illustri, 1561)
  • [...] Beatrice moglie di Lodouico (era costei figliuola di Hercole da Este) donna di superbia & grandissima pompa, le più volte soleua molto più arrogantemente che a donna non conveniua, intromettersi ne maneggi delle cose importanti, dispensare gli uffici, & commandare anchora a giudici delle cose criminali & ciuili, talche Lodouico, il quale fino allhora concio dalle lusinghe di lei, era tenuto molto amoreuole della moglie, era talhora costretto compiacere al desiderio della importuna donna [...]. (da La prima parte dell'Historie del suo tempo di Paolo Giovio vescovo di Nocera, traduzione di M. Lodovico Domenichi, Firenze, 1551, libro I, pp. 16-17)
  • Ferrando, stanco per le molte fatiche della guerra, ammalò di flusso di corpo [...]. Era egli di una complessione di corpo molto forte da poter sopportare ogni gran furia di male; ma disordinando troppo negli abbracciamenti della nuova moglie [...] et già essendo quasi pestilente l'autunno, non poté reggere la violenza del male. Dicesi che niun Re non fu mai sepolto con maggiori, o veramente con più vere, lagrime d'ogni qualità d'huomini. Percioché egli pieno di tanta virtù d'animo, e di corpo, con iniqua legge di destino, era morto in mezo il fiore dell'età sua, et nel principio proprio della vittoria acquistata, et del regno rihavuto, allora ch'egli doveva pigliare il primo frutto delle sue fatiche.[1]
  • Lardellano i loro magri libri col grasso delle opere degli altri.[2]
  • [Ludovico il Moro] Humanissimo et molto facile a dare udienza et l' animo suo non è vinto mai dalla collera. Moderatamente et con patienza grande rendeva ragione, et con singolar liberalità favoriva gli ingegni chiari o nelle lettere o nell'arti nobili. Et finalmente quando ne veniva la carestia o la peste, della vettovaglia et della sanità grandissima cura teneva; et tolti via i rubbamenti, et drizzati a filo gli ediflici goffi della città, arrecò tanto splendore et ricchezza alla Lombardia, che da tutti era chiamato edificatore della pace aurea, della pubblica sicurezza et della leggiadria.[3]
  • Re Ferrandino, il quale troppo tosto, sopra l'ordine del trionfo della sua vittoria, per iniquità delle parche, in un soffio fu levato di questo mondo.[4]

Attribuite[modifica]

Citazioni su Paolo Giovio[modifica]

  • Qui giace il Giovio, storicone altissimo, | di tutti disse mal, fuorché dell'asino, | scusandosi col dire: egli è mio prossimo.[7] (Pietro Aretino)

Note[modifica]

  1. Paolo Giovio, Istorie del suo tempo tradotte da M. Lodovico Domenichi., 1572, p. 181.
  2. Citato in Robert Burton, Anatomia della malinconia, a cura di Jean Starobinski, traduzione di Giovanna Franci, Marsilio, Venezia, 2020.
  3. Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro - la vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento, vol. 1, Milano, Hoepli, 1913, pp. 364-365.
  4. Dialogo dell'imprese militari et amorose di Paolo Giovio, 1555, pp. 35-36
  5. Giammaria Mazzuchelli, nella sua Vita di Pietro Aretino (G. Comino, 1741, pp. 81-84), l'attribuisce a François Maynard nella forma seguente:
    Qui giace l'Aretin poeta Tosco,
    che disse mal d'ognun, fuorché di Dio,
    scusandosi col dir, Non lo conosco
    .
  6. Giuseppe Fumagalli (Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 413) riporta lo stesso epigramma in forma leggermente diversa: "Qui giace l'Aretin poeta tosco, | che disse mal d'ognun fuor che di Dio | scusandosi col dir, non lo conosco", e negandone l'attribuzione a Paolo Giovio.
  7. Questa citazione, sotto forma di epigrafe, fu scritta parafrasando quella che il Giovio aveva scritto sull'Aretino.

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