Paul Johnson

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Paul Johnson nel 2005

Paul Bede Johnson (1928 – 2023), scrittore, giornalista e storico britannico.

Storia degli ebrei[modifica]

Incipit[modifica]

Gli ebrei sono il popolo più tenace della storia. Ebron è lì a dimostrarlo. Sorge a una trentina di chilometri a sud di Gerusalemme, a mille metri sulle colline della Giudea. Lì, nella Grotta di Macpela, si trovano le tombe dei patriarchi. Secondo l'antica tradizione, uno dei sepolcri, di veneranda antichità, racchiude i resti mortali di Abramo, il fondatore della religione giudaica e progenitore della razza ebraica. Accanto alla sua, c'è la tomba della moglie Sara. All'interno ci sono altri due sepolcri: quello del figlio Isacco e quello di Rebecca, sua moglie. Dall'altra parte del cortile interno c'è un'altra coppia di tombe: quella di Giacobbe, nipote di Abramo, e quella di sua moglie Lea. Subito fuori dell'edificio si trova la tomba di Giuseppe, loro figlio. È qui che la storia di quattro millenni del popolo ebraico, se pure è possibile ancorarla nel tempo e nei luoghi, ebbe inizio.

Citazioni[modifica]

  • Isaia non fu soltanto il più notevole dei profeti; fu di gran lunga il più grande degli scrittori del Vecchio Testamento. (cap. I, p. 87)
  • Giobbe è un'opera formidabile della letteratura ebraica. Con la sola eccezione di Isaia, nessun altro libro della Bibbia è scritto con un tale altissimo livello di potente eloquenza, come del resto si addice al suo argomento, la giustizia di Dio. Come opera di teologia morale, il libro è un fallimento perché l'autore, come tutti gli altri, è sconcertato dal problema della teodicea. (cap. II, p. 107)
  • Il Libro di Giobbe è ricco di storia naturale in forma poetica: presenta un catalogo affascinante di fenomeni organici, cosmici e meteorologici. Nel capitolo 28, per esempio, c'è una straordinaria descrizione di una miniera. Attraverso questa immagine, ci viene presentata una visione del potenziale scientifico e tecnologico quasi illimitato del genere umano, in contrasto con le capacità morali incorreggibilmente deboli dell'uomo. (cap. II, p. 107)
  • Gli ebrei non potevano ammettere la divinità di Gesù come Dio fattosi uomo senza ripudiare il nucleo centrale del loro credo. I cristiani non potevano ammettere che Gesù fosse alcunché meno di Dio senza ripudiare l'essenza e lo scopo del loro movimento. Se Cristo non era Dio, il Cristianesimo non era nulla. Se Cristo era Dio, allora il giudaismo era falso. Non poteva assolutamente esserci un compromesso su questo punto. Ogni fede era così una minaccia per l'altra. (cap. II, p. 163)
  • [Mosè Maimonide] Era cosmopolita; scriveva in arabo, ma conosceva bene altre lingue e di solito rispondeva ai suoi corrispondenti nella loro lingua. Per tutta la vita fu lettore onnivoro; in una lettera afferma di aver letto ogni trattato conosciuto sull'astronomia, e in un'altra che non c'è niente sull'idolatria di cui egli non sia al corrente.[1] (cap. III, p. 207)
  • Maimonide prese la sua carriera di medico molto sul serio, ed è a questa, nel mondo non ebraico, che deve la sua fama. Scrisse molto sulla dieta, sui farmaci e sulle cure: ci sono pervenuti dieci dei suoi trattati di medicina, ed è possibile che ce ne siano altri. [...] Le fonti arabe dicono chiaramente che egli era considerato uno dei medici più eminenti del mondo, con un'abilità particolare nella cura delle malattie psicosomatiche. Circolava un epigramma in arabo: «La medicina di Galeno è soltanto per il corpo, ma quella di Maimonide è per il corpo e per l'anima».[2] (cap. III, p. 208)
  • La magia più portentosa era la creazione di un golem, un uomo artificiale, in cui un ba' al shem, o «Padrone del Nome», poteva insufflare la vita pronunciando uno dei nomi segreti divini, secondo una formula speciale. L'idea deriva dalla storia della creazione di Adamo, ma la parola si incontra una volta sola nella Bibbia, in un passo misterioso dei Salmi. Tuttavia intorno al golem le leggende talmudiche si accumularono. Si diceva che ne avesse fatto uno Geremia, un altro lo aveva fatto Ben Sira[3]. Dal XV al XVII secolo, il concetto acquistò grande vigore, e così la capacità di fare un golem fu attribuita a qualsiasi uomo di particolare santità e scienza cabalistica. (cap. IV, pp. 296-297)
  • Al golem veniva data la vita perché potesse eseguire diversi compiti, compreso quello di difendere gli ebrei contro i loro nemici gentili. In teoria, un golem veniva chiamato in vita quando gli si metteva in bocca il nome segreto di Dio, con le lettere disposte nell'ordine giusto e veniva disattivato rovesciando il nome. Ma ogni tanto un golem sfuggiva al controllo e impazziva, dando così origine a un nuovo ciclo di racconti del terrore. (cap. IV, p. 297)
  • [Baruch Spinoza] Era di temperamento ascetico e malinconico. Snello di carnagione scura, con lunghi capelli ricciuti e occhi grandi, scuri e lucenti, non mangiava praticamente nulla, eccetto una zuppa di fiocchi d'avena con un po' di burro e farinata d'avena mischiata a uvetta. «È incredibile», scrisse uno dei suoi primi biografi, il pastore luterano Colerus che alloggiava nella stessa casa, «di quanto poco cibo o bevande sembra essersi accontentato». (cap. IV, p. 323)
  • Dal 1840 in avanti anche dei laici cominciarono a sognare Sion. Moshe Hess (1812-1875) passò dall'hegelismo al socialismo come Marx, ma presto prese le distanze da quello che (per lui) era l'internazionalismo senz'anima del collettivo, sia nella versione teorica di Marx, sia nei tentativi pratici di Lassalle in Germania. Come molti ebrei, giunto alla mezza età cominciò a risalire alle proprie radici, ma il suo recupero del giudaismo assunse una forma nazionalistica piuttosto che religiosa. Lo Stato-nazione era, secondo lui, l'unità naturale dello sviluppo storico. Pertanto gli ebrei illuminati, che tendevano con tutte le forze alla completa assimilazione, tradivano la propria natura. (cap. V, p. 420)
  • Nel 1859 [Moshe Hess] si entusiasmò delle vicende dell'Italia[4], altra antica nazione ridotta per molto tempo in tanti piccoli Stati, che era riuscita a recuperare la propria identità nazionale. Perché non poteva l'ebraismo costruire il proprio Risorgimento? Nel suo grande libro Roma e Gerusalemme Hess perorò la causa dello Stato-nazione ebraico. Avrebbe, da un lato, impedito gli eccessi dei maskil che volevano annullarsi nell'assimilazione e, dall'altro, quella degli ortodossi che preferivano ignorare completamente il mondo. (cap. V, p. 420)
  • Herzl è uno dei personaggi più complessi della storia ebraica. Come nel caso di Disraeli, i suoi modi impetuosi e teatrali nascondevano tragiche profondità. La documentazione su di lui è enorme, poiché conservava ogni frammento di carta su cui scriveva: perfino fatture e biglietti d'ingresso. (cap. V, p. 438)
  • [...] Herzl [nel suo libro Der Judenstaat] proponeva che fosse concessa sovranità agli ebrei su un'estensione di territorio abbastanza grande da ospitare il loro popolo. Dove, non importava. Poteva essere in Argentina, dove il milionario barone Maurice de Hirsch (1831-1896) aveva installato seimila ebrei in una serie di colonie agricole. O poteva essere la Palestina, dove esistevano colonie analoghe finanziate dai Rothschild. Quello che importava era la sanzione dell'opinione pubblica ebraica; e avrebbero preso quello che sarebbe stato offerto. (cap. V, p. 444)
  • [Per proteggere dai predoni le nuove colonie ebraiche in Palestina] Ci voleva, però, qualcosa di più, ed entrò in scena un uomo all'altezza di questo compito: Vladimir Jabotinskij (1880-1940). Come Herzl, era uno scrittore amante del teatro e veniva dalla più romantica delle città ebraiche: Odessa. [...]. Jabotinskij, cosa non rara per un ebreo di Odessa, parlava il russo, il tedesco, l'inglese, il francese e l'yiddish, oltre che naturalmente, l'ebraico. Come la maggior parte degli ebrei di Odessa – Trockij ne fu un altro esempio – era un oratore straordinario. (cap. VI, p. 484)
  • Per lui [Vladimir Jabotinskij] la prima cosa da realizzare nel modo più assoluto era fare entrare in Palestina il maggior numero possibile di ebrei nel più breve tempo possibile, così da poterli organizzare politicamente e militarmente per assumere il controllo dello Stato. Certo era giusto, come sosteneva Weizmann, portare avanti progetti specifici nel campo dell'istruzione e dell'economia. Ma il numero doveva avere la precedenza. Era anche giusto, come insisteva Ben Gurion, colonizzare la terra, ma il numero doveva avere la precedenza. Jabotinskij considerava con disprezzo l'idea, in cui credevano fermamente sia Weizman sia Ben Gurion, che si dovesse fare una distizione fra tipi di immigranti. (cap. VI, p. 495)
  • Alla prova dei fatti, il Trattato di Versailles si rivelò un elemento importante nella più grande delle tragedie dell'ebraismo, poiché era un accordo senza una spada. Ridisegnò la carta d'Europa e impose nuove soluzioni per antichi litigi senza provvedere i mezzi materiali per farle rispettare, introducendo così vent'anni di crescente instabilità, dominati dagli odi feroci che le proprie disposizioni avevano generato. In questa atmosfera di malcontento, violenza intermittente e incertezza, la situazione degli ebrei, lungi dal migliorare, divenne sempre più incerta. Non era soltanto il fatto che le comunità ebraiche, come era sempre successo in tempi difficili, tendevano a diventare oggetto di ogni ansia e antagonismo che si potesse stornare da specifici bersagli locali: a questo gli ebrei erano abituati. Ma ora c'era una nuova causa di ostilità: l'identificazione degli ebrei con il bolscevismo. (cap. VI, p. 500)
  • [Lillian Hellman] Fece violenza al suo umanitarismo ebraico in modo da adattarlo alla dominante moda stalinista (come fecero del resto molte migliaia di intellettuali ebrei), cosicché il suo dramma antinazista, Watch on the Rhine («Guardia sul Reno»), 1941, dà, alla luce degli eventi posteriori, una visione bizzarra della situazione degli ebrei. (cap. VI, p. 525)
  • [Lillian Hellman] Non consentì che il suo amore per la giustizia trovasse la sua espressione naturale in una sdegnata protesta per il destino della sua razza, cosicché esso fu pervertito in un'ortodossia ideologica dal volto severo, difesa con tenacia rabbinica. La necessità di distogliere lo sguardo dagli avvenimenti ebraici la condusse a modificare la verità con l'invenzione. (cap. VI, p. 525)
  • Lo Stato sionista avrebbe potuto facilmente accontentarsi di parlare tedesco o yiddish, soluzioni che sarebbero state entrambe disastrose. Eliezer Ben Yehuda (1858-1922), che si trasferì in Palestina nel 1881, caldeggiò l'adozione dell'ebraico con una vigorosa campagna: da quando, con sua moglie, nata Deborah Jonas, arrivò a Giaffa, parlarono soltanto ebraico anche fra loro: fu la prima famiglia di lingua ebraica nel paese, anzi, nel mondo, e il loro primo figlio, Ben Zion, fu il primo bambino di lingua madre ebraica dall'antichità. (cap. VII, p. 604)
  • A differenza di Herzl, di Weizmann e perfino di Jabotinsky, Ben Gurion non si considerava un europeo, ma un ebreo mediorientale. Aveva fiducia nei sabra, i figli nati in Israele dai pionieri, che avrebbero trasformato Israele da colonia europea ad autentico Stato asiatico, anche se con caratteristiche singolari. Era un Mosè più cupo, che offriva al suo popolo lacrime e sudore, fatica e sangue: «Questa non è una nazione, non ancora» disse nel 1969, alla fine della sua vita. (cap. VII, p. 609)

Explicit[modifica]

Gli ebrei si considerarono un popolo speciale con tale unanimità e tanta passione, e per tanto tempo, che finirono col diventarlo. E veramente ebbero un ruolo, perché, furono loro a scriverlo. E qui forse, si trova la chiave della loro storia.

Storia del mondo moderno (1917-1980)[modifica]

Incipit[modifica]

Il 29 maggio 1919 segna l'inizio del mondo moderno: in quel giorno alcune fotografie di un'eclisse solare, scattate sull'isola di Principe, al largo dell'Africa occidentale, e a Sobral, in Brasile, confermarono la veridicità di una nuova concezione dell'universo [la teoria della relatività generale di Albert Einstein].

Citazioni[modifica]

  • [Lenin] Nessun uomo impersona meglio di lui la trasformazione dell'impulso religioso in volontà di potenza: se fosse vissuto in un'epoca più antica sarebbe sicuramente diventato un capo religioso, o, poiché amava straordinariamente il coraggio, si sarebbe arruolato nelle schiere di Maometto. Ma forse il personaggio a cui più si avvicina è Giovanni Calvino: a lui lo accomuna la fiducia nella validità di una struttura organizzativa, l'abilità di crearla e dirigerla con fermezza, il puritanesimo, la profonda coscienza della propria superiorità, e soprattutto l'intolleranza. (cap. II, p. 63)
  • [...] ad onta della sua conclamata ortodossia, Lenin non era affatto un marxista ortodosso: potremmo addirittura dire che per quanto riguarda i lineamenti teorici essenziali non era nemmeno un marxista. Si servì spesso della metodologia di Marx e sfruttò la dialettica per giustificare le conclusioni che aveva già raggiunto con l'intuizione, ma ignorò il punto centrale dell'ideologia di Marx, quello relativo all'inevitabilità storica della rivoluzione. Lenin non credeva nel determinismo, bensì nell'importanza decisiva della volontà umana, di una in particolare: la sua. (cap. II, p. 66)
  • La nuova Costituzione di Weimar fu redatta seguendo le teorie di Max Weber, il grande sociologo. Essa diede per la prima volta al parlamento [tedesco] il pieno controllo finanziario. Era modellata sulle migliori caratteristiche di quella americana, ma conteneva una vistosa pecca: il presidente, eletto per sette anni, non era capo del governo, carica detenuta dal cancelliere, responsabile nei confronti del parlamento. (cap. III, p. 126)
  • La linea portante del pensiero di Mao era il patriottismo radicale. Egli non dovette mai compiere il passaggio dall'internazionalismo al nazionalismo come fece Mussolini nel 1914: fu un nazionalista ab initio, come Ataturk, e il suo nazionalismo culturale non derivò da un senso di oppressione, ma dalla consapevolezza risentita di aver subito un torto. Come si poteva sopportare che la Cina, culla della cultura, venisse trattata dai villani europei come un bambino capriccioso? Perché così veniva spesso definita dalla stampa occidentale negli anni Venti. (cap. V, p. 221)
  • Nessuna teoria, marxista o no, forniva le giustificazioni per ciò che Stalin si apprestava a fare. Esisteva però una logica mostruosa: non c'è stabilità in uno stato che diventa socialista. Deve andare avanti o indietro. Se non va avanti, il potere del sistema di mercato, che esprime i basilari istinti umani del baratto e dell'accumulo, rivendicherà i suoi diritti, facendo riapparire il capitalismo. Allora il nascente stato socialista soccomberà. Se il socialismo deve avanzare, è obbligato a portare a termine l'industrializzazione su vasta scala. Questo implica un'eccedenza di cibo per gli operai, e un'eccedenza di cibo da esportare per raccogliere i fondi per l'investimento capitalista. Insomma i contadini devono pagare il prezzo del progresso socialista. E dal momento che non sono disposti a pagarlo spontaneamente, bisogna usare la forza, in misura sempre maggiore, fino a che la loro volontà si spezza ed essi fanno quanto è loro richiesto. (cap. VIII, p. 298)
  • All'inizio degli anni Trenta [del Novecento] l'esercito americano, con 132.069 uomini fra ufficiali e soldati, era solo il sedicesimo del mondo per grandezza, più piccolo di quello della Cecoslovacchia, della Polonia, della Turchia, della Spagna e della Romania. (cap. IX, p. 343)
  • Caballero fu di grande utilità alla repubblica [spagnola]. Insisteva sul fatto che la violenza o l'illegalità della sinistra avrebbero provocato l'esercito e condotto ad un altra dittatura militare. Impedì ai suoi seguaci di bruciare la casa del generale Mola, guida della destra militante. Aiutò a formulare la Costituzione riformista, che consentiva la nazionalizzazione, ma all'interno di una rigida struttura legale e con adeguati rimborsi. Si interessava particolarmente alla costruzione di scuole. Mentre tra il 1908 e il 1930 ne erano state fondate in media solo 505 all'anno, nel primo anno della repubblica se ne costruirono 7.000. (cap. IX, pp. 357-358)
  • La guerra civile [spagnola] era dovuta al fatto che il paese era praticamente diviso in due, come si era visto nelle elezioni di febbraio [1936]; l'intervento straniero la fece durare due anni e mezzo. Su nessun episodio degli anni Trenta si sono dette tante menzogne, e solo in anni recenti gli storici hanno incominciato a scavare nella montagna di falsità per recuperare ciò che era rimasto sepolto per una generazione. Fu una tragedia generale, non una lotta tra il bene e il male. I generali insorti stabilirono rapidamente il controllo a sud e a ovest, ma non conquistarono Madrid, e il governo continuò a controllare vaste zone del nord e dell'est fino al 1938. Dietro alle linee così stabilite ogni fazione commise terribili atrocità contro i suoi nemici, reali o immaginari. (cap. IX, p. 362)
  • Caballero, che divenne primo ministro nel settembre del 1936, pur facendosi raggirare con facilità cercò di opporre una qualche resistenza all'ingerenza di Stalin. Non volle che i comunisti assorbissero il partito socialista, come era successo nel movimento giovanile, e nel gennaio 1937, avendo ricevuto da Stalin una lettera minacciosa, con la richiesta di licenziare il suo miglior generale, sbatté fuori dal suo ufficio l'ambasciatore sovietico, Marcel Rosenberg, con le parole: «Se ne vada! Fuori!», urlando tanto da farsi sentire anche dall'esterno. Egli disse che sì, la Spagna era povera, ma non tollerava che «un ambasciatore straniero dia ordini al governo spagnolo». (cap. IX, p. 369)
  • È importante sottolineare che la conferenza di Monaco, che ebbe luogo il 29-30 settembre, non fu solo una resa diplomatica dell'Inghilterra e della Francia, ma anche un disastro militare. Mussolini, che fu al centro dell'attenzione – era l'unico che parlava tutte e quattro le lingue – non notò questo punto: pensò che il problema sul tappeto fosse l'irredentismo tedesco, e credette che Hitler non avesse intenzione di occupare l'intera Cecoslovacchia. Ma la ridefinizione delle frontiere cecoslovacche decisa a Monaco dipese, per espressa richiesta di Hitler, da motivi sia militari che razziali. Non ci furono plebisciti. Circa 800.000 cechi furono assorbiti dalla Germania, e 250.000 tedeschi lasciati indietro come quinta colonna. Le elaborate difese della frontiere cecoslovacche, costruite con l'assistenza dei francesi, passarono sotto il controllo tedesco. Adesso non c'era più alcuna possibilità che i cechi opponessero una resistenza armata ad una aperta invasione; tutto questo determinava un grande cambiamento nell'equilibrio delle forze strategiche. (cap. X, p. 394)
  • [Dopo il trattato di non aggressione tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista del 1939] In tutto il mondo i partiti comunisti fecero marcia indietro nella loro politica antinazista, predicando la pace con la Germania e sabotando lo spirito di guerra: nel pieno dell'invasione nazista della Francia, Maurice Thorez, presidente del partito comunista francese, rivolse da Mosca un appello in cui chiedeva alle truppe francesi di non opporre resistenza, Stalin mise a disposizione di Hitler le immense risorse di materie prime dell'Unione Sovietica. Questo per Hitler era di vitale importanza. (cap. X, p. 401)
  • L'«operazione Barbarossa» era stata lanciata con troppo ottimismo, e i primi successi indussero Hitler ad aggravare il suo errore pensando che la campagna fosse quasi finita. Al'inizio della guerra[5] la Russia era notevolmente superiore come equipaggiamento bellico: sette a uno per i carri armati, quattro o cinque a uno per gli aerei. Ma il rifiuto di Stalin di seguire gli avvertimenti, e la sua insistenza sulla collocazione dei reparti dell'esercito alla frontiera, con l'ordine di mantenere ad ogni costo la postazione, causarono ingenti perdite. Prima della fine dell'anno [1941] i tedeschi avevano fatto 3,5 milioni di prigionieri e ucciso o ferito un altro milione. Quasi tutti questi notevoli successi tedeschi ebbero luogo nei primi mesi della campagna. (cap. XI, p. 420)
  • Si può dire che la guerra fredda iniziò subito dopo la Conferenza di Yalta, dal marzo 1945, per essere precisi. (cap. XIII, p. 482)
  • Nehru governò l'India per diciassette anni, e fondò una dinastia parlamentare. Era un capo popolare, anche se non molto capace. Fece del suo meglio per far funzionare il parlamento dell'India, il Lok Sabha, e vi trascorreva molto tempo, ma era troppo autocratico per permettere lo sviluppo di una vera autonomia di governo: dominava come padrone incontrastato, e ammetteva compiaciuto: «Credo che se me ne andassi si verificherebbe un disastro». (cap. XIV, p. 525)
  • Sukarno, come Nehru in India, non aveva nessun mandato per governare 100 milioni di persone. Era anche lui sprovvisto di abilità amministrativa, ma sapeva usare bene le parole. Se si trovava di fronte ad un problema lo risolveva con una frase. Poi trasformava la frase in un acronimo, destinato ad essere scandito dalle folle incolte. Egli governava tramite Konsepsi, concetti. I quadri del partito scrivevano sulle case lo slogan «Mettete in pratica i concetti del presidente Sukarno». (cap. XIV, p. 529)
  • Se c'era uno che amava vivere pericolosamente era proprio lui [Sukarno]: era loquace, iperattivo, amante del piacere. Mise in pratica le sue idee multirazziali acquisendo una collezione di diverse mogli e amanti, e arricchì la sua ricerca nei numerosi viaggi all'estero. La polizia segreta cinese riprese i suoi incontri intimi conservando così i suoi Konsepsi sessuali per la posterità. Kruscev, pur essendo stato informato delle abitudini di Sukarno da rapporti privati della Tass[6], rimase lo stesso profondamente scioccato durante la visita che fece nel 1960 nel vedere il presidente che conversava amabilmente con una donna nuda. (cap. XIV, p. 530)
  • [Dag Hammarskjöld] Freddo, distaccato, consumato da una schiacciate ambizione travestita da ideale, egli ragionava in termini di astrazione politica, non di esseri umani. Formulò quello che divenne un doppio criterio caratteristico dell'ONU: quello secondo cui gli omicidi di africani ad opera di bianchi [...], erano un problema internazionale e una minaccia alla pace, mentre se gli africani uccidevano altri africani (o bianchi, o asiatici) questo rappresentava una questione interna, al di fuori della competenza dell'ONU. Così l'ONU finì con identificarsi con una forma di razzismo alla rovescia, che nei vent'anni successivi avrebbe richiesto un numero incalcolabile di vite africane. (cap. XV, p. 572)
  • L'aspetto più importante che avvicinava Mao a Hitler era l'idea di un'imminente escatologia. Mao era un uomo terribilmente impaziente. Non aveva il lento stoicismo con cui Stalin perseguiva senza rimorsi i suoi obiettivi e le sue vendette. Come Hitler voleva accelerare il corso della storia. (cap. XVI, p. 607)
  • In un certo senso Mao non compì mai la transizione dalla rivoluzione all'amministrazione. Gli mancava l'amore di Stalin per la burocrazia. Per lui la storia era una rappresentazione cosmica, una successione di episodi spettacolari, nel quale lui era attore, impresario e spettatore. (cap. XVI, p. 607)
  • Il «grande balzo» era forse l'espressione più pura della cronica impazienza di Mao, della sua convinzione della superiorità della mente, e della sua fiducia nel fatto che, ammesso che lo si volesse, l'età dei miracoli non era finita. Voleva arrivare al comunismo in un colpo solo, addirittura raggiungere la fase in cui lo stato sarebbe «scomparso». (cap. XVI, p. 609)
  • In Cina il movimento del «grande balzo» subì una brusca interruzione il 23 luglio 1959, quando Mao fece calare il sipario dicendo seccamente: «La confusione che si è creata è stata notevole, e io me ne assumo la responsabilità». Ma le conseguenze del dramma furono impressionanti. [...]. Ancora oggi è difficile dire dal di fuori cosa accadde dell'agricoltura cinese durante quei terribili anni. L'industria dell'acciaio fu rovinata, e dovette essere completamente ricostruita. L'agricoltura fu riorganizzata in cooperative, e le comuni si ridussero a 2.000 famiglie. Ma i raccolti e il bestiame erano perduti per sempre. La gente moriva di fame. Nessuno sa quanti milioni di persone morirono in conseguenza del balzo, poiché non abbiamo a disposizione le cifre reali. (cap. XVI, pp. 610-611)
  • [Nel periodo delle Guardie Rosse] [...] Chiang Ching dominava il mondo della cultura e organizzava incontri di massa, durante i quali denunciava il capitalismo (che secondo lei distruggeva l'arte), il jazz, il rock and roll, gli spogliarelli, l'impressionismo, il simbolismo, l'arte astratta, il fauvismo, il modernismo – «in una parola, la decadenza e l'oscenità che avvelenano e corrompono le menti». [...] Nella seconda metà del 1966 ogni grande organizzazione culturale in Cina era sotto il controllo dell'organizzazione militare di Chiang Ching. Ella diede sfogo a tutti i suoi vecchi risentimenti (alcuni risalivano agli anni Trenta) contro il mondo del teatro e del cinema. (cap. XVI, pp. 618-619)
  • [...], Desai, aveva molti dei difetti di Gandhi e nessuna delle sue virtù. Non beveva, né fumava, e affermava a gran voce che gli inglesi avevano introdotto nel paese liquore e tabacco per corrompere la popolazione indiana. Faceva un grande uso del suo filatoio a mano. Non voleva servirsi dei ritrovati della medicina moderna. Per mantenersi in forma beveva ogni mattina un bicchiere della sua urina. (cap. XVI, p. 632)
  • [Calcutta] Kipling, con la sua solita preveggenza, la chiamava la «città delle terribili notti». Secondo lui possedeva una singolare caratteristica, il «GPC, o Grande Puzzo di Calcutta». (cap. XVI, p. 635)
  • La miseria di Calcutta ha attirato molti volontari, che si sono uniti a madre Teresa e alle sue missionarie della Carità, insediatesi a Calcutta nel 1948. Ma spesso il governo marxista è apparso più ansioso di allontanare gli organismi medici volontari, che attirano l'attenzione sulla sua politica fallimentare, piuttosto che di affrontare il problema alla radice. Calcutta è diventata l'incarnazione vivente dell'anti-utopia, la città delle illusioni infrante, il lato oscuro dell'Asia. Costituisce un triste esempio del fatto che gli esperimenti condotti su metà della razza umana sono più inclini a creare dei mostri di Frankenstein che dei miracoli sociali. (cap. XVI, p. 636)
  • Il partito comunista francese era interamente stalinista, e tale rimase dopo la morte di Stalin; venne sistematicamente corrotto, sia intellettualmente che moralmente, da Thorez, antesignano del politico di professione del XX secolo; egli era diventato funzionario a tempo pieno del partito a 23 anni, e non fece mai altro: fu per tutta la vita un funzionario di Mosca. (cap. XVII, p. 652)
  • Redigere una Costituzione è un compito arduo; l'analisi costituzionale è un aspetto noioso della storia. Ma le costituzioni sono molto importanti. Weimar[7] cadde perché la sua Costituzione era confusa. La repubblica federale [di Germania] resse perché Adenauer le diede delle solide basi, ben equilibrate. La Costituzione trasformò la Quarta Repubblica [francese] in un'arena per quello che De Gaulle definiva il «balletto dei partiti». Grazie al suo sistema di rappresentanza proporzionale nessun partito poteva formare un governo omogeneo. Il presidente era una nullità, e il primo ministro non aveva potere. (cap. XVII, p. 653)
  • Nella seconda guerra mondiale Monnet si distinse nel coordinare la produzione bellica alleata, e per De Gaulle rappresentò il candidato ideale a cui affidare la ricostruzione dell'economia francese. Monnet creò il Commissariat général du Plan, e da questo passò a costruire le prime strutture della futura Comunità Economica Europea. Possedeva la rarissima qualità di avere idee e convinzioni radicate senza credere nell'ideologia. Pensava che l'unica pianificazione industriale in grado di funzionare fosse quella basata sul consenso. (cap. XVII, p. 654)
  • Monnet era basso, insignificante, tranquillo, e odiava la retorica: era l'esatto contrario di De Gaulle, sia come aspetto che come modo di fare. I due avevano in comune tenacia e forza di volontà, e, dote ugualmente importante, l'abilità di ispirare e guidare i giovani. De Gaulle generò i gollisti; Monnet gli eurocrati. (cap. XVII, p. 654)

Note[modifica]

  1. «Moses Maimonides», in Alexander Marx, Studies in Jewish History and Booklore, New York, 1969, 42. [N.d.A., p. 671]
  2. «Moses Maimonides», in Alexander Marx, Studies in Jewish History and Booklore, New York, 1969, 31. [N.d.A., p. 671]
  3. Yehoshua ben Sira, II sec. A.C.
  4. Il 1859 è l'anno della seconda guerra d'indipendenza italiana.
  5. 22 giugno 1941.
  6. Agenzia di stampa ufficiale dell'Unione Sovietica.
  7. Denominazione usuale del Reich tedesco nel periodo tra il 1919 ed il 1933.

Bibliografia[modifica]

  • Paul Johnson, Storia degli ebrei (A History of the Jews), traduzione di Eleonora Vita Heger, TEA Storica, Editori Associati, Milano, 1994. ISBN 88-7819-530-8
  • Paul Johnson, Storia del mondo moderno (A History of the Modern World from 1917 to the 1980s), traduzione di Elisabetta Cornara Filocamo, Oscar Mondadori, Milano, 1989. ISBN 88-04-32679-4

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