Peter Greenaway

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Peter Greenaway nel 1987

Peter Greenaway (1942 – vivente), pittore, regista e sceneggiatore gallese.

Citazioni di Peter Greenaway[modifica]

  • Molti di quelli che vanno al cinema, dopo 105 anni di produzione cinematografica, si aspettano che venga loro raccontata una storia. Non credo che il cinema sia un mezzo adatto alla narrazione. Se vuoi raccontare una storia, è meglio che tu faccia il romanziere. Il fatto che il cinema migliore non sia narrativo porta a paradossi e contraddizioni di cui mi sono occupato negli ultimi 15 anni. Ma c'è un problema: se si cerca di minimizzare o eliminare la narrazione, va trovato un altro modo di organizzare il materiale, altrimenti ci si trova nell'incoerenza e nel caos. Ho iniziato come pittore, mi interessavano molto i metodi e le classificazioni. Per questo ho usato spesso sistemi diversi dalla narrazione per organizzare il materiale cinematografico. Utilizzo le classificazioni numeriche, il simbolismo e la codificazione dei colori, e sicuramente anche i sistemi alfabetici.[1]
  • Credo che la fine del XX secolo sia un momento di rinegoziazione sulla procreazione sulla nascita e sul sesso. La politica sessuale ci ha dato libertà più ampie, il concetto di contraccezione... L'approccio alla sessualità e alla castità ha aperto molte possibilità. È la morte a rimanere non negoziabile. È l'ultima frontiera. Sicuramente non sorprende il fatto che io parli di chiusura, perdita, morte e fine. Ritroviamo questi concetti anche nelle grandi tragedie.[1]
  • È vero che sono interessato alla classificazione perché credo che la civilizzazione funzioni così. Cerchiamo di organizzarci sulla base di teorie e di ipotesi per cercare di capire il complesso e straordinario mondo intorno a noi. I nostri sistemi di organizzazione sono molteplici: la religione è un sistema organizzativo, la politica è un sistema organizzativo. La nostra vita accademica, il modo di usare testi e linguaggio sono tutti mezzi per cercare di capire l'universo apparentemente caotico che ci circonda e per scendere a patti con esso.[1]
  • Lavoravo per un'agenzia che faceva documentari e a fine anni 60 ne stavano girando uno su chi inala la colla. Ragazzi giovani che, nei negozi di ferramenta, compravano la colla con un alto quoziente di evaporazione. Sniffavano questi vapori per sballarsi. Il produttore si stava spazientendo, non otteneva buone inquadrature. Così diede a un ragazzo dei soldi per fargli comprare la colla e fabbricare le prove. Per me era troppo. Non ho più voluto trovarmi in una situazione eticamente problematica come l'industria della ricostruzione di documentari. Mi sembra vergognoso pensare di chiudere la realtà nel cinema. La mia risposta a questi problemi è dire volutamente delle bugie. Sono un regista che inventa. Il mio è un cinema artificiale che cerca la verità attraverso la menzogna.[1]
  • Ricordate che parlo sempre di sesso e non di amore. Io sono un buon darwiniano e, dato il pensiero comune sull'evoluzionismo e sulle teorie comportamentali dico che siamo come delle valigie che servono a continuare il passaggio di geni.[1]
  • Voglio riuscire a usare il cinema come un mezzo di discussione di idee, su tutto, ma soprattutto sulla rappresentazione, sull'estetica e su tutta l'industria cinematografica. Mi avvicinai alle nozioni hitchcockiane e del potere, ma penso che il cinema sia molto più di questo e che abbia molte altre possibilità. Una volta ho pericolosamente affermato che il cinema è un mezzo troppo ricco per essere lasciato ai cantastorie.[1]

Film[modifica]

Note[modifica]

  1. a b c d e f Dal documentario di Massimo Galimberti, L'aleph e l'occhio. Documentario su Giochi nell'acqua (1982).

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