Pulcinella

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Pulcinella, maschera napoletana della commedia dell'arte.

Scultura raffigurante Pulcinella

Citazioni su Pulcinella[modifica]

  • Arlecchino, Pinocchio e Pulcinella sono l'Italia del popolo, che si rappresenta, si denigra e si riscatta con la felicità che trasmette questo trio. Un'Italia del passato, ma che si può riconoscere oggi dovunque. (Raffaele La Capria)
  • Di tutte le maschere italiane, quella di Pulcinella è la più ricca, la più intensa e articolata. Il personaggio affonda nell'humus della città e della sua plebe, tra le più vivaci del Mediterraneo. Troppo vivace, secondo molti osservatori, vivace al punto da ignorare le regole più elementari e necessarie del comportamento collettivo, quelle che garantiscono la convivenza. Una vivacità che lascia esplodere senza limiti l'energia degli individui, il ribollire del sangue, la vibratilità d'un pensiero veloce impaziente davanti agli ostacoli, si tratti di un individuo o di una legge, che vanno dunque, leggi o individui che siano, eliminati o aggirati. Molto del bene e del male di Napoli, della sua vitalità, del suo incanto, della sua dannazione, è racchiuso nella maschera di Pulcinella. (Corrado Augias)
  • Domenico Tiepolo ce lo presenta in una celebre serie di seppie, funambulo, acrobata, indiavolato nel gesto e tuttavia avvolto in un infinito, incomunicabile silenzio. Ed è il silenzio suo, delle sue rughe profonde, dell'esperienza popolare dall'antico Maccus a noi, che con tutte le sue chiacchiere, le sue strida chioccie, le sue diavolerie, Pulcinella non vorrà mai incrinare. (Ugo Dettore)
  • Don Felice, a considerare bene, sostituì Pulcinella promettendo ai napoletani la destinazione borghese: agi, decoro, o se vogliamo dirla con gli economisti, full employment. Pulcinella è la maschera per le platee di disoccupati e di sfaccendati del Largo di Castello; Sciosciammocca riflette una società alla quale il governo dell'Italia liberale prometteva l'automobile appena fosse stata inventata. (Giovanni Artieri)
  • È difficile definire il carattere di Pulcinella, sebbene sia inconfondibile: a generalizzarlo ci troviamo dinanzi il solito tipo del buffone tonto o mangione, scaltro nelle situazioni elementari, sciocco altrimenti, bastonatore tremendo quando gli se ne offre il destro e spesso giustiziere, talora bastonato. Ma la sua personalità vera è più addentro, in una specie di filosofia sommaria, ora ottimista ora amara, che è il fondamento della sua vivacità indiavolata: in Arlecchino, antico quasi come lui, c'è la bestia, il diavolo del medioevo nordico, l'umanità degenere; in Pulcinella c'è tutta l'antica esperienza dell'uomo. E non è sempre ridevole esperienza. Per questo la sua mezza maschera nera è solcata da profonde rughe. (Ugo Dettore)
  • È una maschera troppo particolare, nel tono della voce ha tutto il suo significato. Ruolo complicato da interpretare. (Enzo Cannavale)
  • Feroce e rosa, un guizzo di fuoco nella pupilla, | Sfrontato, ebbro, divino, è lui Pulcinella. (Théodore de Banville)
  • Già i moti politici della seconda metà del suo secolo avevano cominciato a soffiar non so che fuoco «liberale» nel nostro attore: egli, a un tratto, mutò registro e riuscì, come dicono i retori posteri, a nobilitare la maschera. Io dico che la snaturò: proprio. Era stato il signore Pollicinello fino a quel punto un gaglioffo burlone, volgare impasto di malizia e d'ignoranza, conjuge sconoscente, pauroso, ghiottone, ineducato. Petito, nel quale i giornali rinfocolavano i diritti dell'uomo, dimenticò che Pulcinella era appunto un uomo: lo liberò subitamente del suo fondo di degenerazione innata, consciente, e gli dette un carattere. Animoso, quasi nobile, quasi coraggioso, sentenzioso perfino, ecco il nuovo Pulcinella, incarnato in un comico davvero mirabile. Ah, che comico! Tuttavia, ne' momenti in cui, ricacciata per la porta, la vecchia maschera rientrava con tutto l'antico suo bagaglio per la finestra, come Petito stesso, dimentico o resipiscente, dovette pensare che nulla davvero muta a questo mondo e che i Pulcinelli son .... sempre gli stessi. (Salvatore Di Giacomo)
  • Napoli ha avuto un grande filosofo: Pulcinella. (Libero Bovio)
  • Noi napoletani abbiamo tutti, nel nostro foro interiore, un Pulcinella che ci ammonisce. (Gino Doria)
  • Tempo già fu – quando il buon Dio, tenero dell'umana felicità, facea gravi di rosei grappoli le viti; quando Partenope, nella dolce estate, poteva dissetarsi all'acqua limpida e sana della Bolla e del Carmignano senza aver bisogno di badare al contatore; quando il sale, ammucchiato a ogni cantone, era libera preda de' napoletani, che lo buttavano a manate nel zuffritto e sulle torte fumanti – tempo già fu in cui nacque, a Napoli, da' soliti poveri ma onesti genitori, Pulcinella Cetrulo. (Salvatore Di Giacomo)
  • Tutta la classe popolana è di spirito vivacissimo ed è dotata di un intuito rapido ed esatto: il suo linguaggio deve essere figurato, le sue trovate acute e mordaci. Non per nulla l'antica Atella sorgeva nei dintorni di Napoli; e come il suo prediletto Pulcinella continua ancora i giuochi atellani, così il basso popolo s'appassiona anche adesso ai suoi lazzi. (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)

Carlo del Balzo[modifica]

  • Pulcinella è il poeta satirico del popolo. Amleto pensa ed esclama scoraggiato: È questione di essere o di non essere! Pulcinella ride, e, una volta che è, pensa di essere il meglio che è possibile.
  • Pulcinella, nato in Acerra da Paolo Cinella, come ci racconta la tradizione, si ficca un po' dappertutto nella vita del popolo napoletano. Pulcinella, col suo berrettone piramidale di lana bianca, con la sua maschera nera dal gran naso, la quale, arrestandosi al labbro superiore, concilia la massima immobilità con la massima mobilità, con la sua camicia bianca e i suoi pantaloni bianchi, più che una maschera fredda ed insipida, è una persona viva ed onnipresente.
    Pulcinella è vivo e tutte le altre maschere sono morte. Pulcinella è vivo e Stenterello è morto; Pulcinella è vivo ed è morto Gianduia, ed è morto Arlecchino, ed è morto Pantalone. Oh bella! indaghiamo, un po' insieme, perché Pulcinella è rimasto re assoluto della scena popolare. La ragione è ovvia ed è questa: Pulcinella è la più completa rappresentazione del grottesco.
    Mi pare che tutti ora ci siamo intesi sul significato di questa parola. Il grottesco incomincia quando il serio si mesce col ridicolo; quando la figura muore nella caricatura; quando, a dirla con un pittore, alla figura si danno le grucce. Pulcinella è vivo, perché è la caricatura più completa de' pregiudizi, de' vizi e delle abitudini della plebe; perché, in fondo in fondo, al di sotto della sua camicia bianca, si vede l'uomo, torturato dalla lotta di ogni giorno; perché al di sotto della caricatura scappano ancora i lineamenti della figura. E ciascuno, qua e là, vi può leggere un po' di storia umana.
  • Solo in Pulcinella si sente tutta la vita e si vede tutto l'uomo.
  • Tutte le altre maschere rappresentavano una parte, sostenevano una fatica, come si direbbe in gergo teatrale; Pulcinella, al contrario, rappresenta tutte le parti, e sostiene tutte le fatiche. Egli è un carattere che non ha carattere, appunto perché non deve esprimere la caricatura di questo e di quello , ma la caricatura dell'uomo. Egli in un momento è furbo, in un altro momento è ottuso; è capace di rubare, senza scrupoli, il suo padrone, ma, un' altra volta, divide con il primo venuto la poca moneta che si trova in saccoccia; ha paura del diavolo, crede ai miracoli, quando gli torna, mena in canzone tutto questo mondo misterioso e spaventevole; ora è insolente ed ora timido; ora ingenuo ed ora consumato nelle arti della seduzione; è geloso e si burla di chi si mostra geloso; è sensuale, ma è capace di sacrificarsi per la fanciulla che ama; ora è egoista ed ora spende le sue astuzie per difendere chi è debole; non sa nulla e fa tutto; è intollerante di freno, eppure serve chi meglio lo paga; lascia la livrea e fa il medico; lascia di fare il medico e fa il poeta, e, se gli capita, anche l'uomo celebre, e sempre per gabbare il prossimo e campar la vita. E cosa è questo guazzabuglio di vizi e di virtù, che cosa è questa perpetua trasformazione? È il cuore umano, nel quale chi crede di sapervi leggere meglio, non sa nemmeno compitarvi; è la lotta per l'esistenza. È la vita umana, sintetizzata in un solo attore, più simbolo che maschera, che ride, ride sempre, perché ridendo può dire la verità.

Vittorio Gleijeses[modifica]

  • Basterebbe forse il berretto conico trovato nelle tombe campane, la tunica ed i pantaloni bianchi dei soldati che i sanniti opposero ai romani, per convincersi che la nostra maschera è antica quanto il Vesuvio e la nostra Partenope: essa è un «cocktail» di Maccus, osco, lazzarone, invadente, lepido ed a volte ladro, del Pappus latino saccente, fifone e «sciampagnone» e quindi potrebbe essere definito – ecco che sorge ora la definizione – l'unione di una differenza e di una contraddizione con una vis comica molto aderente alla ilarità partenopea. (Vittorio Gleijeses)
  • Furbo e semplicione, poltrone e attaccabrighe, pieno di bonomia e di malizia, un misto di spirito, di cinismo e di causticità, pigro, goloso, ladro talvolta, ma con tanta naturalezza che ha l'aria di esercitare un diritto, di umore sempre uguale, spensierato, ottimista, ecco Pulcinella.
  • Secondo Benedetto Croce, Francesco De Sanctis ed alcuni critici contemporanei come il D'Amico, e se lo permettete anche secondo me, questa maschera è da ritenersi la più antica del teatro italiano. Essa supplisce con la furberia all'intelligenza e possiede in se stessa una duttilità intuitiva che le permette di adeguarsi ad ogni circostanza e di essere sempre presente a se stessa in qualsiasi situazione. Molto interessante è quanto scrisse Maurice Sand che si recò a Napoli per meglio conoscerla e si rese subito conto che nella sua patria la maschera era molto differente sia da quella francese sia dall'inglese. Lo scrittore francese ravvisò in Pulcinella il borghese napoletano, un po' grossolano, ma lo definì saturo di quello spirito mordace di cui l'abate Ferdinando Galiani era il tipo purgato. Insomma Pulcinella è la più completa rappresentazione del grottesco che ha inizio quando il serio si mescola col ridicolo, quando la figura muore nella caricatura, quando, a dirla con Salvador Dalì, a questa figura si danno le grucce. La maschera è viva perché è la caricatura più completa dei pregiudizi, dei vizi e delle abitudini. Con lui bisogna dire ...tira a campà ...e futtitenne, vero dettame di sapienza partenopea.

Domenico Rea[modifica]

  • A Pulcinella tutti si rivolgono, compreso il basso popolo della città, con la riserva mentale di star trattando con un minorato, affetto da parafrasia; condizione di cui la maschera approfitta per collocarvi lo strepitoso lessico e farvi esplodere l'istinto oltre ogni immaginabile limite.
    Da qui ha origine la sua radicale mancanza di complessi e la sua disponibilità. Egli è meno di un uomo e può permettersi atti e gesti e parole più che qualsiasi uomo responsabile. Da qui ha inizio, con tutti i crismi della speciale legge di cui gode, la tolleranza, la sua straordinaria carriera nel mare della visceralità e la sua disarmante contraffazione del quotidiano caratterizzata da una preponderante tendenza onirica.
  • A suo modo e in maniera stupefacente anticipa di trecento anni il monologo interiore joyciano. Nel suo discorso onirico e triviale, in un'ininterrotta acrobazia linguistica e anagrammatica, Pulcinella pianifica la vita in un blocco unico in cui presente e passato si scambiano i tempi per costituire un intrico senza nesso, motivazioni, cause ed effetti. In questo modo egli può aggirare l'ostacolo della storia e dei fatti e infischiarsi della responsabilità di risponderne.
  • Il capocomico di un balletto sull'orifizio dell'inferno. Più vicino alla musica che alle parole.
  • Non bisogna peraltro dimenticare che Pulcinella fu un dono elargito al popolo dall'alto e con il permesso incondizionato «delli superiori». La sua è una tematica paternalistica e di tutto riposo; e ove mai lo si volesse rendere a ogni costo rappresentativo di una classe, alla plebe si dovrebbe aggiungere la nobiltà che, quanto a «libidine di servitù», scherzava poco, né aveva qualcosa da imparare da essa e anzi parecchio da insegnarle. Volendo continuare su questo tasto, su questo fuori tema, Pulcinella si fa le ossa durante la dominazione spagnola (e l'accompagna sino alla fine), quando cioè la vita napoletana, già provata, viene come travolta dalla soggezione. Il pulcinellismo diventa una sorta di riparazione di danni da parte dei potenti e apre una via di sbocco ai sudditi, che possono permettersi di saltare e ballare e ridere di se stessi, trasformando i vizi in straordinarie virtù.
  • Per assistere a uno spettacolo del primo e più classico Pulcinella si rendeva necessario un atteggiamento spregiudicato. Termini come: «cacalietto», «peretaro», potevano spingere al riso un'umanità che considerava i capricci del mondo corporale e ogni sorta di malattia senza ribrezzo, ritenendoli eventi della vita. Pulcinella, uomo globale, non conosceva mezze misure. Con un corpo grosso, dominato e governato da istinti animaleschi, i suoi organi potevano parlare, lamentarsi, ragionare tra loro senza svergognarsi di nulla perché tutto rientrava nella fragilità della carne. «La radica, il salame, la sciusciella» ovviamente «erano simboli priapeschi» che maneggiava come scettri davanti a un pubblico che coerentemente vi si uniformava ed esaltava.
  • Pulcinella era parte integrante della mitologia infantile, come l'altro ieri Pinocchio e in questi anni Topolino. A disperdere l'apoplettica raffigurazione del "mammone" interveniva il nostro saltimbanco: quattro capriole su una tavola e il bambino ritornava a sorridere. E chi sa poi se con questo "pupazzo" in movimento la plebe del Seicento non cominciava a sciogliersi nell'unico modo a sua disposizione dalle catene infernali e dalle fiamme purgatoriali e a prender parte a suo modo a un "rinascimento".
  • Pulcinella, per essere se stesso, grande e inimitabile, deve rimanere senza peso e seguire, sempre, quel suo itinerario senza inizio, né fine, come una piuma, che appare e scompare, un'allucinazione o una visione di un popolo abituato alla rêverie per i suoi frequenti digiuni.

Proverbi[modifica]

Napoletani[modifica]

  • Dicette Pulicenella: Tanno voglio muri', quanno tre rilorge vann'eguale.
  • Pulicenella pe 'na votata 'e mente addiventaie miedico eccellente.
  • Pulecenella quanno va 'ncarrozza tutte 'o vedeno, quanno tira, nisciuno 'o vede.
  • Ricette Pulecenella: Magnammo, amice mieie, e po' vevimmo – 'nfino ca 'nce sta l'uoglio a la lucerna – Chi sa si all'auto munno 'nce verimmo – Chi sa si all'auto munno nc'è taverna!

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]