Régine Pernoud

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Régine Pernoud (1909 – 1998), storica medievista francese.

Citazioni di Régine Pernoud[modifica]

  • [Guglielmo IX d'Aquitania] [...] questo gran signore, dissoluto e faceto, era anche un poeta di genio. Cronologicamente, è il primo dei nostri trovatori e, per una di quelle contraddizioni di cui sono ricchi tanto la sua persona quanto i suoi poemi, è il primo ad avere espresso nei suoi versi l'ideale cortese, che avrebbe avuto una fortuna sorprendente ed alimentato la nostra poesia medioevale nella sua espressione più alta.[1]
  • Una pagina della storia non è ancora stata voltata anche se noi la sottolineiamo inconsciamente a ogni cambiamento di calendario: al principio, ma proprio al principio, che cosa troviamo? Una donna. Una donna che risponde sì al saluto dell'angelo. [Maria] (citato in Maria Antonietta Macciocchi, Le donne secondo Wojtyla, Paoline, 1992)
Intervista a cura di Massimo Introvigne, Il Medioevo: l'unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali, Cristianità, Anno XIII, n. 117, dicembre 1984, p. 11
  • Temo che quando si parla di "valori" oggi molti pensino soltanto alle azioni quotate in borsa.
  • [Il Medioevo] Era un tempo che aveva un senso della vita, radicato nel cristianesimo, che noi oggi riusciamo a stento a capire: pensi che in tutto il millennio abbiamo un solo caso di suicidio documentato; il suicidio era praticamente sconosciuto. Un'epoca che pone al suo vertice come ideale il cavaliere, la cui dote essenziale è la generosità, non poteva essere un'epoca sordida.
  • Rivalità, interessi economici, desiderio di aprire nuove vie ai mercanti dei propri paesi, tutto questo è esistito nelle crociate, ma in un'epoca successiva e senza fare parte dello spirito originario, di cui peraltro qualche cosa si è sempre conservato.

I Santi nel Medioevo[modifica]

Incipit[modifica]

Sono ovunque. Sorgono a ogni istante, a ogni incrocio, a ogni svolta della strada, e per noi, che contempliamo lo spettacolo del nostro secolo XX, ogni volta che giriamo pagina. Di chi si tratta? Dei santi. Nei tempi feudali, e persino a partire dal periodo franco del V secolo, è impossibile fare un passo, visitare un monumento, aprire un manoscritto, senza incontrarli. In file vieppiù serrate man mano che si procede nel tempo. Nel corso dei secoli medievali il loro numero aumenta un anno dopo l'altro. Per il medievalista è semplice routine. Ma alla fine si pone la domanda: come, perché, tanti santi e sante? Danno il loro nome alle persone, ancora di più alle chiese, ai monasteri, e anche a località, città e agglomerati rurali. Non c'è edificio religioso o civile che non ricordi, scolpito o dipinto, un santo o una santa; la loro storia alimenta l'iconografia, guida il pennello dell'affreschista, lo scalpello dello scultore, lo strumento dell'artista del vetro, e anche la penna del copista. Tutte le forme di espressione sono buone per rievocare la loro memoria: arti plastiche, poesia, teatro. È trasmesso il ricordo della loro passione, ci si reca a venerare le loro reliquie; e per conservare queste ultime si concepiscono oggetti meravigliosi: casse d'argento e d'oro, splendenti di smalti e di pietre preziose. Nulla è troppo bello per loro. Chi sono, dunque, questi santi, queste sante? Donde provengono? Che cosa hanno fatto, per essere santi? Che cosa significa questa venerazione che li circonda? In che cosa consiste questa promozione insolita, e chi ha il diritto di pretenderla?

Citazioni[modifica]

  • Come hanno preso possesso dello spazio, i santi hanno invaso il tempo. Le loro feste ormai ritmano l'esistenza; i calendari si sovrappongono, interferiscono, e registrano, nel corso dell'anno, tempi di arresto e di gioia imprevisti. (p. 15)
  • Ogni volta che si evoca un santo, viene in mente il nome di un capolavoro; eppure quale fu la loro ambizione? Rispondere all'amore di Dio, amare il prossimo come se stessi – ciò presuppone che si siano anche amati umilmente, così come li aveva fatti Dio; e che, al di là di se stessi, abbiano amato come ci ha amato Cristo. In fin dei conti, lasciando che Egli agisse in loro, persone di tutte le razze e di tutte le lingue, hanno lasciato, nel nostro mondo, una scia di assoluta bellezza.

La spiritualità di Giovanna d'Arco[modifica]

  • Giovanna sembra così riprendere per parte sua questo impegno cavalleresco che la condurrà alla totale immolazione, quella che fa i santi.
    Potremmo anche andare più lontano, osando pensare che quell'abito da uomo, che non annulla affatto le sue doti femminili, pone Giovanna direttamente in quell'eternità in cui, come ci viene detto nel Vangelo, «quelli che [...] saranno giudicati degni della vita futura non prenderanno più né moglie né marito [...] perché sono uguali agli angeli». (Lc 20,35-36)
  • Non si potrebbe comprendere pienamente la personalità di Giovanna d'Arco senza prima essersi sbarazzati delle piaghe che hanno afflitto la modernità: manicheismo, giansenismo, conformismo borghese, e altri "ismi" ancora che sventuratamente hanno caratterizzato l'epoca che ci ha preceduti. (p. 77)
  • Appare ancora più sconvolgente il contrasto che si rivela tra lo sfondo complesso, variamente sfaccettato e ricco delle implicazioni più diverse, da una parte, e la trasparenza che si direbbe perfino ingenua, dall'altra parte, di una ragazza che risponde con totale semplicità alla chiamata divina. Va riconosciuto, d'altronde, che questa semplicità di Giovanna, che fa parte del personaggio stesso e che traspare in ogni sua parola e impregna ogni sua azione, ha contribuito al suo impatto sulla folla, e prima di tutto sui combattenti; in un tempo in cui regnava la confusione più totale, Giovanna si presenta come colei che indica una direzione semplice e sicura, che nello smarrimento e nell'oscurità porta una luce, un punto di coesione. (p. 81)

Luce del Medioevo[modifica]

  • Per capire veramente la società medievale bisogna studiare l'organizzazione della famiglia: è questa la "chiave" del Medioevo, ed è la sua caratteristica più originale. (p. 24)
  • La vita dei campi, la storia della nostra terra si spiega soltanto con l'ordinamento delle famiglie che vi sono vissute. (p. 24)
  • Il Medioevo è un'epoca in cui il rito trionfa, in cui tutto ciò che si compie nella coscienza deve obbligatoriamente tradursi in un gesto; ciò soddisfa un bisogno profondamente umano: quello del segno fisico senza il quale la realtà rimane imperfetta, incompiuta, fatiscente. (p. 45)
  • Il Medioevo ama le reliquie, come ama ogni segno visibile di una realtà invisibile. Ma questo è realismo, non sentimentalismo. (p. 124)
  • Non si può negare che la spinta essenziale della fede medioevale sia l'amore e non la paura (p. 124)
  • Il Medioevo rappresenta la grande epoca della donna, e se vi è un ambito nel quale si afferma il suo regno, esso è l'ambito letterario. (p. 160)
  • Nell'inesauribile molteplicità delle sue forme, nella sua così netta individualità, la poesia medievale è anzitutto umana; essa tocca i temi eterni di ogni poesia. Ha avuto sguardi pieni di meraviglia per il mondo e per le cose: per il canto degli uccelli, per lo stormir delle fronde nella foresta, per lo zampillio delle sorgenti, per l'incanto delle serate di luna. (p. 161)
  • Senza dubbio è una delle bellezze del Medioevo questa cortesia, ove tutto era nobiltà di cuore, delicatezza di spirito e mistico rispetto per la donna. Ma sarebbe pura assurdità credere che in un'epoca di intensa vita come quella, non vi siano stati accenti più profondi e appassionati. (p. 168)
  • Il pensiero di Dio è inseparabile dalla poesia medievale. (p. 180)
  • Il Medioevo ebbe una predilezione per il culto della Vergine, la sua gentile immagine "più dolce fiore che non sia la rosa" anima l'insieme della poesia, sia profana che sacra. (p. 181)
  • Ogni opera, nel Medioevo, è a suo modo una Somma. (p. 188)
  • Come è stato fatto notare più di una volta, i templi antichi sono attaccati alla terra: le loro colonne massicce, l'assoluta regolarità della loro pianta, i canoni che ne determinano la disposizione e la decorazione, le loro linee orizzontali; tutto in esso si oppone alle nostre cattedrali, dove la linea è verticale, dove la cuspide punta verso il cielo, dove la simmetria è disdegnata senza che l'armonia sia compromessa, dove infine le esigenze della tecnica si alleano alla fantasia dei capimastri con facilità sconcertante. Esaminando da vicino una cattedrale gotica si è sempre tentati di vedervi una specie di miracolo: miracolo di quelle colonne mai rigorosamente allineate e che tuttavia sopportano il peso dell'edificio, miracolo di queste volte che ruotano, si incrociano, girano su sé stesse e si scavalcano: miracolo di quelle pareti traforate nelle quali entra spesso più vetro che pietra; miracolo infine dell'intero edificio, meravigliosa sintesi di fede, d'ispirazione e di pietà. (p. 195)
  • Nei monumenti antichi, un semplice capitello ritrovato permette di ricostruire un tempio intero; se anche si ritrovassero i tre quarti di una cattedrale gotica, sarebbe impossibile ricostruire il quarto. (p. 195)
  • Per il momento ci si deve accontantare di ammirare il modo con cui gli artisti del Medioevo hanno saputo fare della loro casa di preghiera, come il riassunto e l'apogeo della loro vita e delle loro preoccupazioni: esse erano non solo la visibile testimonianza della loro fede, della scienza sacra e profana, della liturgia, ma anche il riflesso delle loro occupazioni quotidiane; accanto ad un magistrale "Giudizio finale", vivente compendio della maestà divina e dei fini ultimi dell'uomo, si vedono contadini legare i covoni, scaldarsi accanto al fuoco, uccidere il maiale. E vi si trova anche la testimonianza di quel robusto senso della bellezza che possedevano i nostri antenati, del loro amore per la vita, della loro anima serena, amante del lavoro ben fatto, della loro immaginazione vagabonda, capace di inventare sempre forme nuove (si sa che non si vedranno mai fianco a fianco due fronde eguali nell'ornamentazione medioevale), del loro brio gioioso, che neppure in chiesa essi possono frenare; certi volti delle vetrate sono pure caricature, e certe statue sono brillanti prese in giro. (p. 200)
  • Nella sua filosofia, nella sua architettura, nel suo modo di vivere, ovunque brilla una gioia di esistere, una potenza di affermazione, di fronte alle quali torna alla mente la parola scherzosa di Luigi VII, al quale si rimproverava la sua mancanza di fasto: "Noi altri, alla corte di Francia, non abbiamo che pane, vino e allegria". Parola magnifica, che riassume il Medioevo, epoca in cui si seppe, più che in ogni altra, apprezzare le cose semplici, sane e gioiose: il pane, il vino e l'allegria. (p. 259)

Storia e visioni di Sant'Ildegarda[modifica]

  • [Su Filippo I di Fiandra] Filippo aveva fatto perire sotto la frusta un uomo, chiamato Gautier de Fontaines, per averlo trovato in conversazione con la sua sposa. (p. 81)
  • L'arrivo del conte di Fiandra alla testa di una brillante armata rappresentava dunque per i baroni di Terra Santa una grande speranza. Subito re Baldovino gli offrì la guardia del reame ma, come si sente nel leggere la domanda fatta da Filippo a Ildegarda, la decisione di questi era lontana dall'essere presa. Egli rifiutò. (p. 82)
  • Filippo di Fiandra, compiuto il suo pellegrinaggio, finì per lasciarsi andare a qualche colpo di mano in Siria, nella vallata dell'Oronte, prima di tornare in Occidente lasciando dietro di sé una situazione delle più inquietanti. (p. 82)
  • Quanto a Filippo, preso da rimorsi tardivi, tornò in Terra Santa quattordici anni più tardi e morì davanti a San Giovanni d'Acre il 1° giugno 1191; il sole intravisto in lui da Ildegarda era stato lento a levarsi. (p. 83)
  • [Su Herrad von Landsberg] Contemporanea di Ildegarda, essa compone tra il 1175 e il 1185 un'enciclopedia, la prima della nostra letteratura, che chiama Giardino di delizie (Hortus deliciarum). È una raccolta di storie, cronache, estratti diversi tratt tanto dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa quanto dagli scritti di Honorius d'Autun o dallo studio della vita quotidiana, destinata alle religiose di monte Saint-Odile. Vi si trova per esempio un capitolo sulla Trinità che segue la storia della Creazione e, in questa occasione, discorsi che vanno dall'astronomia all'agricoltura, dall'agrimensura alle fognature, ecc. È da quest'opera che gli storici delle tecĘniche medievali hanno ricavato la maggior parte del loro sapere; l'enorme manoscritto di 324 fogli non comporta meno di 336 miniature. (p. 114)

Testimoni della luce[modifica]

  • Anche il lavoro dello storico potrebbe essere inteso in questo modo: cercar di diventare il miglior canale possibile affinché la luce dei personaggi e degli avvenimenti possa diffondersi.
  • Il vero artista è umile davanti alla propria opera; quel conta è ciò che essa cerca di rivelare.
  • Sono persuasa che, quando vedremo Dio, la sua infinita bellezza oscurerà tutto il resto.

Note[modifica]

  1. Da Eleonora d'Aquitania, Edizione speciale per Il Giornale pubblicata su licenza di Mondadori Libri, Società Europea di Edizioni, p. 33.

Bibliografia[modifica]

  • Régine Pernoud, I Santi nel Medioevo, traduzione di Anna Marietti, Rizzoli, Milano 1986.
  • Régine Pernoud, La spiritualità di Giovanna d'Arco, traduzione di Giorgio Cavalli, Jaca Book, Milano, 1998. ISBN 88-16-40480-9
  • Régine Pernoud, Luce del Medioevo, traduzione di Italo De Giorgi, Volpe, Roma, 1978.
  • Régine Pernoud, Storia e visioni di Sant'Ildegarda, traduzione di Attilio Marasco, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1996. ISBN 88-384-2460-8
  • Régine Pernoud, Testimoni della luce, pensieri raccolti e presentati da Laetitia de Traversay, prefazione di Blandine de Dinechin, edizione italiana a cura e con postfazione di Marco Respinti, Gribaudi, Milano, 1998.

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