Gertrud Kolmar

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Targa commemorativa in ricordo di Gertrud Kolmar

Gertrud Kolmar, pseudonimo di Gertrud Käthe Chodziesner (1894 – 1943), scrittrice e poetessa tedesca.

Citazioni di Gertrud Kolmar[modifica]

  • Quelli che s'aggirano qui sono corpi soltanto, | non hanno più anima, | soltanto nomi nel registro dello scrivano, | carcerati: uomini, ragazze, donne, | e i loro occhi fissano vuoti || con lo sguardo sbriciolato, distrutto | per ore in una fossa buia, | soffocati, calpestati, picchiati alla cieca. | Il loro gemito tormentoso, il loro pazzo terrore, | una bestia, sulle mani e sui piedi, carponi... || Hanno ancora le orecchie | e neppure odon più il loro grido. | La prigione distrugge, schiaccia: | nessun coraggio, nessun coraggio più per ribellarsi! | Stride leggera la sveglia spaccata. || Si affaticano come dementi, grigi, devastati, | separati dall'umanità variopinta, | irrigiditi, timbrati e marcati, | come bestiame da macello che aspetta il beccaio | e non conosce che il fetido truogolo e il recinto. || Solo paura, solo orrore nei volti | quando, di notte uno sparo afferra la vittima... | e nessuno ha veduto l'uomo | che silenzioso in mezzo a loro | trascina la croce nuda verso il supplizio.[1]

Stemma di Berlino[modifica]

  • D'argento, un orso nero levato || Io – dice l'orsa – l'ho portata in grembo | questa città, prole delle caverne. | Venne a noi il cacciatore e dovetti colpirlo.
  • Io l'ho cullata con questo sordo ruglio, | tenero e deciso il tocco della mia zampa l'obbligò a rizzarsi. | Io le ho insegnato cera e miele dove ronzano le api | e l'erba dolce nelle scodelle di terra | a vedere.
  • Così è cresciuta, e il nido delle api l'ha trovato; | ma ora pietre colorate ammassa proterva | e la sua branca si gingilla con lucide rotaie, | lascia, piccola e torva, che gl'insetti le volano sopra, | e li acchiappa.
  • E costellazioni di ferro e argento si fondono | come grandi fiocchi sul mio nero vello | nella notte d'inverno.

Lettere alla sorella Hilde[modifica]

  • Di recente mi ha offerto aiuto un breve, piccolo episodio. Durante la pausa per la colazione (un quarto d'ora circa), mi trovavo nella stanza degli armadi e sedevo tutta sola su una panca vicino a una giovane zingara che non faceva nulla, non parlava, guardava completamente immobile fuori, verso il cortile deserto della fabbrica... Io l'ho osservata: non aveva quella faccia angolosa degli zingari con gli occhi inquieti e scintillanti, anzi i suoi tratti erano morbidi, quasi slavi; era di carnagione abbastanza chiara... E non aveva soltanto l'aria cupa, vinta degli animali, dei vecchi cavalli da tiro. Questo inevitabilmente c'era, ma c'era anche qualcosa di più: una chiusura impenetrabile, un silenzio, una distanza non più raggiungibile da una parola o da uno sguardo del mondo esterno... E ho capito che proprio questo avevo sempre voluto possedere senza riuscirvi e che se adesso l'avessi niente e nessuno dall'esterno mi potrebbe più toccare. Però mi trovo già su questa strada e ne sono contenta... (23 ottobre 1941, pp. 228-229)
  • Un mio conoscente, il dottor H. era uno studioso di Spinoza e un giorno mi ha parlato della sua teoria sulla libertà della volontà umana all'interno della non-libertà. Penso di capire tutto questo attraverso le mie esperienze personali. Non è dipeso da me accettare o rifiutare il lavoro in fabbrica, mi è stato imposto, però ero libera di accettarlo o di rifiutarlo interiormente; posso eseguirlo con ritrosia o con buona volontà. Dal momento che io l'ho accettato nel mio cuore non me ne sono più sentita soffocata. Ho deciso di considerare questo lavoro un insegnamento e di imparare il più possibile. In questo modo, dentro alla non-libertà, ho scelto la libertà. E così vorrei anche sopportare il mio destino, sia esso alto come una torre o nero e soffocante come una nuvola... Anche se non lo conosco ancora l'ho già accettato, mi sono posta di fronte a lui e farò del mio meglio perché non mi schiacci, perché non mi trovi troppo piccola nei suoi confronti. [...] Questa forza di fronte al destino, questo crescere davanti ad esso che appartenga anche a te; che il tuo destino non debba mai essere più grande del tuo cuore. (15 dicembre 1942, pp. 273-274)

Note[modifica]

  1. Nel lager, in La parola dei muti (Das Wort der Stummen); riportato in Il canto del gallo nero.

Bibliografia[modifica]

  • Gertrud Kolmar, Il canto del gallo nero, Antologia di poesie e lettere di Gertrud Kolmar, a cura di Marina Zancan, Essedue Edizioni, 1990. ISBN 8885697305
  • Gertrud Kolmar, Stemma di Berlino, traduzione di Paolo Chiarini, in Franco Buono, Stemma di Berlino: poesia tedesca della metropoli, Edizioni Dedalo, 2000.

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