Thomas Moore

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Thomas Moore

Thomas Moore (1779 – 1852), poeta irlandese.

Incipit di alcune opere[modifica]

Canti e melodie[modifica]

Gli amori degli Angeli[modifica]

Nel mattin della vita era il creato.
Belli di nova luce apriano gli astri
La danza glorïosa, ed alla culla
Del tempo sorrideano i primi Soli.
Gli Angeli ed i mortali in quel mattino
Della terra esultavano; e nel grembo
De' canapi o sull'aprica erta de' clivi
Conveniano sovente, anzi che nato
Fosse il dolore, e che fra l'uomo e Dio
Tratto avesse la colpa una cortina.

Il Paradiso e la Peri[modifica]

Stava del Paradiso una dolente
Peri[1] alle soglie. Armonïosi intanto
Scorrere i fonti della vita udìa,
Mentre il divo splendor, dalle socchiuse
Porte raggiando, ne ferìa le penne.
La sconsolata rammentava in pianto
Che gli spirti infedeli a lei compagni
Perduto avièno il glorïoso loco.

La luce dell'Harem[modifica]

Chi non intese ricordar la valle
Di Casimira, e le sue rose illustri
Fra quante il grembo della terra edùca?[2]
E quei templi, e quegli antri e quelle fonti
Limpide come gli occhi innamorati
Che si specchiano in esse? Oh, la vagheggia
Sul cader della sera, e mentre al lago
La purpurea sua luce Espero invia
Non altrimenti di novella sposa
Che getta vereconda al consigliere
Speglio un ultimo sguardo, anzi che salga
Al talamo beato: – Oh, la contempla,
Allor che fra la chiusa ombra de' boschi
Parte all'occhio palesi e parte occulti
Splendono i suoi delubri, e la solenne
Ora di qualche rito ognun consuma!

Gli Adoratori del Fuoco[modifica]

Illumina la Luna il mar d'Omàno,[3]
Le perlifere sponde e l'isolette
Coronate di palme amabilmente
Sorridono, e l'azzurra onda riposa.
Veste il lume gentil le mura e il vallo
D'Armòzia,[4] ed entra le marmoree sale
Dell'Emiro,[5] ove il suon degli oricalchi
Confondeasi pur or col tintinnio
De' cembali. Saluto al Sol che parte,
Al pacifico Sol, cui le dolenti
Note d'un usignuolo o d'un liuto,
Meglio che fragorosi allegri suoni,
Guidano all'aureo letto ov'ei si corca.

Melodia[modifica]

No, non biasmate il bardo,
Se fra mirti amorosi erra e s'asside,
Ove il piacer bugiardo
Della gloria non cura, o la deride.
Nato a destin migliore,
Potea la carità del natio loco
Accendere il suo core,
In età meno rea, di sacro foco:
L'armonïoso nerbo,
Che dalla lira un suon blando propaga,
Armar l'arco superbo
Potea, compresso dallo stral che impiaga;
E il labbro, a cui soltanto
L'amor, la voluttà dan moto e vena,
Versar di nobil canto,
Dalla patria inspirato, inclita piena.

Il profeta velato[modifica]

Nella beata regïon del sole
Cui primiera sorgendo egli saluta
Fra le Perse contrade, ove ridenti
Figli del raggio suo sbocciano i fiori
E s'indorano i frutti in ogni riva,
E leggiadro su tutte altre fiumane
Il Murga la sua chiara onda rivolve
Infra i boschetti e i nobili palagi
Onde bella è Merou, quivi su trono,
A cui lo sollevò cieca credenza
Di popolo infinito, altero siede
Il sovrano profeta, il gran Mokanna.

Utopia[modifica]

Nella sua parte centrale (che è anche quella più ampia) l'isola di Utopia misura 200 miglia. Anche il resto è all'incirca della stessa larghezza, tranne ai lati, dove si assottigli a poco a poco. Le sue estremità, smussate e arrotondate come se le avesse tracciate un compasso, si piegano in una circonferenza di circa cinquecento miglia e le danno una forma d'una luna crescente. Fra le due estremità penetra un braccio di mare della larghezza di circa undici miglia, che poi s'allarga in una specie di grande lago. Questo, circondato dalla terra e per questo al riparo dei venti, non è mai agitato dai grandi flutti, ma è quasi sempre calmo come una grande laguna stagnante. Ciò ne fa un ottimo porto naturale che, con gran vantaggio degli abitanti, può essere navigato in ogni sua parte. Il suo accesso è però reso molto pericoloso dalle secche e dagli scogli. A metà strada fra le due estremità dell'isola si erge una gran roccia che, essendo visibile, non crea pericoli. Sopra vi è stata costruita una torre in cui risiede una guarnigione di soldati. Tutti gli altri scogli sono a fior d'acqua e dunque molto pericolosi. I canali che vi s'insinuano sono noti soltanto agli utopiani, per cui è difficile che uno straniero, privo della guida d'uno di loro, riesca a penetrare in quel porto. Perfino loro stessi non potrebbero entrarci se non per grandi segnali che essi stessi hanno posto sulla riva. Spostandoli, potrebbero indirizzare qualsiasi flotta nemica, per quanto numerosa e potente, verso una fine certa. [6]

Note[modifica]

  1. Le Peri sono, nella religione maomettana, una tribù di spiriti femminili esclusa dal Paradiso fino alla espiazione della sua colpa. – Conversation's Lexicon.
  2. La rosa di Kashmere è così bella e fragrante che nell'Oriente è venuta in proverbio. – FORSTER.
  3. Golfo Persico, che divide la Persia dall'Arabia.
  4. L'odierna Gombaroon.
  5. I discendenti da Maometto per linea femminile portavano questo titolo.
  6. Citato da Tommaso Moro, Utopia. Lo Stato perfetto, ovvero l'isola che non c'è (traduzione di Davide Sala), Demetra S.r.l., 1 giugno 1995, ISBN 88-7122-728-X, OCLC 799425517, 1ª edizione, collana "Acquarelli Saggi", p. 62 di 142 (capitolo: "Della relazione di Raffaele Itlodeo sul miglior stato di repubblica, contenente la descrizione di Utopia e del suo santo governo, con un'elencazione di tutte le buone leggi e abitudini della stessa isola").

Bibliografia[modifica]

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