Utente:Mariomassone
Catherine Elizabeth Belton (1973 – vivente), giornalista e scrittrice britannica.
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[modifica]- Agli occhi degli alleati di Putin al KGB, i patti stretti allora erano l'unico modo per ristabilire un certo controllo dopo il caos del collasso sovietico. I gruppi della criminalità organizzata erano la fanteria di cui loro avevano bisogno per controllare le masse, gli uomini della strada – nonché quelli in carcere, secondo uno dei soci di Putin dell'epoca. Questa era una pratica tipica del KGB, forgiata nel passato sovietico, quando Putin per esempio aveva gestito operazioni illegali attraverso la Germania Est. "Lavoravano con le persone. Ecco quello che facevano", disse un ex agente del KGB che aveva collaborato con loro. "Immaginate di dover calmare un branco di maschi alfa. Se non gli potete sparare, è un lavoro molto difficile". Ma l'argomento secondo cui dovevano farlo per riportare ordine era solo una scusa per giustificare l'accaparramento del potere. (pp. 144-145)
- Anche se la perdita dell'impero e la sconfitta nella pluridecennale guerra fredda colpì con forza uomini come Jakunin, egli fu uno di quelli che si affrettarono ad abbracciare il nuovo capitalismo della Russia. E benché dicesse di rimpiangere i tempi delle certezze, e la morale e i valori che riteneva fossero il fondamento del comunismo, questo non gli impedì di gettarsi negli affari ancor prima che l'Unione Sovietica fosse crollata, e di intascare grandi quantità di denaro sia per sé sia soprattutto per contribuire a conservare le reti del KGB. (p. 146)
- Benché Eltsin tentasse di infilare nel suo governo i cosiddetti "giovani riformisti" che tentavano di liberare l'economia russa dal controllo statale e di gestire il paese secondo i criteri di trasparenza dettati dalle istituzioni dell'Occidente, le regole economiche erano ancora distorte a favore di chi si trovava all'interno degli apparati statali e della comunità dell'intelligence internazionale. Fu tramite questi piani che la Famiglia di Eltsin venne compromessa, ed è rivelatore che il colpo di grazia alle libertà che Eltsin aveva tentato di introdurre in Russia venisse da un membro dell'intelligence internazionale del KGB. Eltsin non era riuscito a evitare che il paese o la sua famiglia ricadessero nelle pratiche del passato. (p. 162)
- Quando Pugačëv ci ripensa oggi e ricorda, dice che non tutta la storia gli appare a fuoco: le continue telefonate, le riunioni che si prolungavano fino a tarda notte. Alcune date si confondono, ricorda solo il periodo dell'anno, il tempo che faceva fuori della finestra. Ma gli incontri, quelli importanti, li ricorda bene, sono stampati per sempre nella sua memoria. Altri sono registrati nelle pagine di diario dell'epoca. Erano i giorni in cui si decideva il futuro della Russia, in cui Pugačëv tentava di agire in fretta, nella convinzione di opporsi alla minaccia dell'avvento di Primakov e dei suoi alleati comunisti – nonché di salvare la pelle propria e di Eltsin. Tanto in fretta da non accorgersi che in verità stava favorendo il ritorno del KGB. La storia di Pugačëv era il racconto inaudito, segreto, di come Putin era andato al potere. Era la storia che la Famiglia di Eltsin non aveva mai voluto rendere pubblica. (p. 170)
- Evgenij Primakov era sempre stato un uomo del consenso, un consumato diplomatico a cui non piaceva agitare le acque. [...] Ma se Primakov era stato il Piano A del KGB per riprendersi il potere, un'altra occasione era in arrivo. Non si sa se per caso o no, minacce legali, timori, rivalità e calcolo politico puro si combinarono in modo tale da portare al vertice della Russia una generazione di uomini del KGB molto più spietati. (p. 182)
- [...] Sergej Stepašin era probabilmente il più liberale fra tutti i leader dei servizi di sicurezza russi; era perfino entrato a far parte del partito politico progressista Jabloko. Malgrado in passato avesse prestato servizio al ministero degli interni sovietico, era uno storico di formazione ed era da tempo vicino a Eltsin. Lavoravano insieme fin da quando Eltsin gli aveva affidato la guida dell'inchiesta federale sul ruolo del KGB nel fallito colpo di stato di agosto. Eppure per Jumašev e Pugačëv Stepašin non era mai stato altro che un candidato ad interim. Stepašin, disse Pugačëv, era vjal'ij – debole, in russo. Non credeva che Stepašin fosse abbastanza deciso da fare ciò che era necessario per proteggerli [...]. Intanto, disse Pugačëv, lui da tempo proponeva il proprio candidato, l'uomo che riteneva il più sicuro e leale: Vladimir Putin. Aveva iniziato a pensare a lui come a un potenziale successore dopo averlo visto gestire con tanta freddezza il nastro di Skuratov con le prostitute. (pp. 182-183)
- Al mondo esterno, parve che la Famiglia di Eltsin stesse correndo un rischio grandissimo. Ma erano in corso altri progetti. Un'escalation dell'offensiva militare russa contro la Cecenia era già stata discussa, disse in seguito Stepašin. La cosa più importante, per i burocrati e gli spin doctor del Cremlino, era trasformare il candidato dall'aria goffa, che era stato loro presentato, in una forza riconosciuta. A prima vista, il materiale non sembrava molto promettente. La gente rubava ancora la parola a Putin nelle riunioni. Il piano era di modellarlo sull'immagine degli eroi televisivi più popolari dell'epoca sovietica. Doveva essere un moderno Max Otto von Stirlitz, una spia sotto copertura che penetrava in profondità nelle linee nemiche per infiltrare la rete di comando della Germania nazista. Putin sarebbe stato il kandidat rezident, il candidato spia, un patriota che avrebbe restaurato lo stato russo. Il loro compito principale era distinguerlo dalla Famiglia di Eltsin, in modo che il pubblico lo percepisse come indipendente. La sua giovinezza, in contrasto con il vecchio e malato Eltsin, doveva concedergli un vantaggio immediato, mentre i canali TV legati al Cremlino tentavano di mostrarlo mentre agiva con decisione contro le incursioni separatiste in Daghestan. Sullo sfondo, Berezovskij era perfettamente capace di organizzare una piccola guerra vittoriosa per contribuire all'ascesa al vertice di Putin, dissero due suoi stretti collaboratori. (pp. 194-195)
- La Famiglia di Eltsin non era caduta per quello che consideravano un colpo di stato delle forze legate al passato comunista, ma per un colpo di stato strisciante dei servizi di sicurezza. Sotto assedio da tutte le parti, aveva avuto poche alternative all'accordo con il KGB. (p. 201)
- Per molto tempo Putin è stato descritto come "presidente per caso". Ma né la sua ascesa al Cremlino né il suo balzo alla presidenza sembrano avere molto a che fare col caso. [...] Se Primakov, come Piano A, rappresentava la minaccia di una rivincita in stile comunista e il rischio molto reale che l'accoppiata Primakov-Lužkov portasse Eltsin e i suoi dietro le sbarre per il resto della vita, Putin era il silovik destinato a salvarli, l'incantatore che continuava a rassicurare la Famiglia sulle proprie idee progressiste, sul fatto che era uno di loro. [...] Ma nella fretta di garantirsi la posizione, la Famiglia di Eltsin cedette le redini a una fazione più giovane di uomini del KGB, che dovettero dimostrarsi molto più spietati nella lotta per il potere rispetto alla generazione di Primakov, più istituzionale. Nel caos degli intrighi del Cremlino e delle guerre tra clan – anche all'interno dei servizi di sicurezza – stavano dando il potere a un gruppo di uomini dei servizi che avevano forgiato la loro alleanza nelle violente lotte di San Pietroburgo ed erano molto più avidi di potere e non si sarebbero fermati di fronte a nulla per dimostrare la loro fedeltà. (pp. 201-203)
- [Sulle bombe nei palazzi in Russia] Dapprima gli investigatori dissero che l'esplosione poteva essere stata una fuga di gas. Poche tra le famiglie che vivevano nel palazzo [in Bujnaksk] avevano a che fare con la Repubblica cecena. Com'era possibile che l'esplosione fosse legata a un lontano conflitto militare? Ma a uno a uno, senza presentare alcuna prova, i funzionari cominciarono a denunciare l'esplosione come un attacco dei terroristi ceceni. Le squadre di emergenza avevano appena finito di estrarre gli ultimi cadaveri carbonizzati dalle rovine di quello che era stato il 19 della via Gurjanova quando, quattro notti dopo, un'altra esplosione cancellò completamente un grigio condominio di nove piani su Kaširskoe Šosse, a sud di Mosca. 119 persone morirono. [...] Mentre la sensazione di emergenza nazionale e di paura aumentava, gli scandali finanziari intorno alla Famiglia di Eltsin venivano allontanati dalle prime pagine dei giornali e Vladimir Putin saliva alla ribalta. Questo fu il momento decisivo in cui Putin prese le redini da Eltsin. All'improvviso, era il comandante in capo del paese, alla testa di una rumorosa campagna di attacchi aerei contro la Cecenia per vendicare gli attentati. (p. 206)
- Era possibile che gli uomini della sicurezza di Putin avessero fatto saltare inaria i loro concittadini del cinico tentativo di creare una crisi che gli assicurasse la conquista della presidenza? La domanda è stata posta più volte, ma le risposte sono ancora incerte. Tutti coloro che erano seriamente coinvolti nelle indagini sembrano essere morti o inaspettatamente arrestati. Eppure senza quelle esplosioni e la concertata compagna militare che ne seguì, è impossibile immaginare che Putin avrebbe mai ottenuto il consenso necessario per sfidare seriamente Primakov e Lužkov. La Famiglia di Eltsin sarebbe rimasta impantanata nelle inchieste sulla Mabetex e la Bank of New York e Putin, essendo il successore designato di Eltsin, sarebbe stato schiacciato insieme a loro. Adesso invece, come a un segnale prestabilito, egli emergeva all'improvviso sicuro di sé e preparato. Era l'eroe d'azione che il 23 settembre aveva ordinato l'attacco aereo contro la capitale cecena Groznyj, mentre Eltsin era completamente sparito dalla scena. Putin parlava al popolo russo il linguaggio della strada, promettendo di "far fuori" i terroristi "stronzi", inveendo contro la repubblica separatista, uno stato criminale in cui "banditi" e "terroristi internazionali" si muovevano liberamente, riducendo in schiavitù, violentando e uccidendo i russi innocenti. Per i russi era una boccata d'aria fresca. In confronto al vecchio e malato Eltsin, tutt'a un tratto avevano un leader autorevole. (pp. 206-207)
- [Sulla seconda guerra cecena] La campagna era un asso nella manica per l'umiliato sentimento nazionale russo. Fece subito apparire il nuovo regime di Putin come una svolta rispetto al caos e dal collasso degli anni di Eltsin. Gli attacchi aerei diedero fiato a dieci anni di frustrazione nazionalistica, esacerbata all'inizio di quello stesso anno, quando le forze della NATO avevano lanciato un'incursione nella tradizionale sfera di influenza russa in Europa Orientale, bombardando il Kosovo nella ex Jugoslavia. Mentre gli attacchi aerei si prolungarono fino all'autunno, distruggendo sempre di più la Cecenia e uccidendo indiscriminatamente migliaia di civili, l'indice dipopolarità di Putin schizzò dal 31 per cento di agosto al 75 di fine novembre. Se era stata pianificata, l'Operazione Successore, come fu chiamata in seguito, stava funzionando: si era formata un'enorme maggioranza pro Putin. (pp. 207-208)
- L'FSB e la polizia di Rjazan' misero in piedi un'enorme operazione per rintracciare i presunti terroristi, isolando l'intera città. Il giorno dopo, il 24 settembre, il ministro degli interni russo Vladimir Rušajlo dichiarò ai capi delle forze dell'ordine di Mosca che era stato sventato un altro attentato a un condominio. Ma appena mezz'ora più tardi Nicolaj Patrušev, il deciso, sboccato direttore dell'FSB che aveva lavorato a stretto contatto con Putin al KGB di San Pietroburgo, raccontò a un giornalista della TV che i sacchi contenevano solo zucchero e che l'intera faccenda non era stata altro che un'esercitazione per testare la vigilanza pubblica. Patrušev era spietato quanto implacabile nelle sue manovre dietro le quinte e le sue nuove spiegazioni non solo contraddicevano Rušajlo, ma parvero sorprendere l'FSB di Rjazan', che sembrava stesse per catturare gli uomini che avevano portato i sacchi. Il residente che aveva contattato la polizia disse in seguito che la sostanza che aveva visto nei sacchi era gialla, con un aspetto più simile al riso che allo zucchero, una descrizione che, secondo gli esperti, si attigliava all'esogeno. (p. 209)
- Se questo era davvero il segreto mortale dietro l'ascesa di Putin, fu il primo agghiacciante indizio di ciò che gli uomini del KGB erano disposti a fare. Per anni si sono susseguite domande sugli attentati, mentre i giornalisti investigativi hanno scritto reportage esaustivi di tutto quanto accadde allora, scontrandosi con i dinieghi del Cremlino di Putin. Recentemente, però, è comparsa una delle prime crepe nella versione del Cremlino. Un ex funzionario ha dichiarato di aver sentito Patrušev parlare direttamente di quello che era successo a Rjazan'. Patrušev un giorno si era infuriato perché il ministro degli interni Vladimir Rušajlo, un sopravvissuto dell'era Eltsin con stretti legami con Berezovskij, aveva quasi mandato a monte l'intera operazione, cercando informazioni compromettenti contro l'FSB e Patrušev. L'FSB era stato costretto a recuperare e a dire che i sacchi non contenevano altro che zucchero per evitare ulteriori indagini. (p. 210)
- Se gli attentati erano un piano dell'FSB, potevano essere attuati senza che la Famiglia di Eltsin lo sapesse o fosse coinvolta. I putiniani del KGB potevano aver preso la spietata iniziativa autonomamente. [...] Ma se c'era un piano dell'FSB, andava ben al di là perfino dei metodi del KGB, che fin dagli anni sessanta aveva sostenuto i gruppi terroristici in Medio Oriente e in Germania per diffondere il caos e dividere l'Occidente. I gruppi terroristici tedeschi gestiti dalla Stasi e dal KGB avevano fatto saltare in aria dei soldati americani nei night di Berlino e dei banchieri tedeschi che si recavano al lavoro, con Vladimir Putin – se il racconto di un ex membro della RAF tedesca è credibile – che gestiva i membri di questi gruppi durante la sua missione a Dresda. Ma era tutta un'altra storia, evidentemente, utilizzare simili tattiche contro i propri concittadini russi. "Non potevo credere, all'epoca, che un cittadino russo fosse pronto a uccidere un simile numero di civili per i propri fini politici", disse un magnate russo che era stato vicino a Berezovskij. "Adesso però, anche se non so se abbiano partecipato o meno, ho una sola certezza: che sono capaci di questo e altro". (p. 212)
- [...] né la storia dell'apparente riluttanza di Putin, né la decisione di Eltsin di dimettersi all'ultimo momento combaciavano con quanto era già accaduto. Né combaciavano con il racconto di Pugačëv o degli altri due funzionari del Cremlino, secondo i quali quella decisione era stata presa molto più tempo prima. Nei mesi precedenti le elezioni parlamentari, Putin si era già sostanzialmente impadronito dell'esercito e dell'intero sistema di forze dell'ordine, compresi i servizi di sicurezza, mentre Eltsin svaniva dalla scena. Putin non poteva agire con tanta decisione, né comportarsi da presidente nella campagna militare contro la Cecenia, se non avesse già ricevuto assicurazioni sul suo futuro. (pp. 215-216)
- Eltsin stava cedendo un paese che era stato rovinato da una crisi economica dopo l'altra. Ma lo stava consegnando a un individuo che era stato aiutato a raggiungere il potere da un gruppo di uomini della sicurezza convinti che il più grande successo dell'era Eltsin – l'instaurazione di valori democratici fondamentali – avesse condotto il paese sull'orlo del collasso. Quando Eltsin cedette la presidenza a Putin, i valori della democrazia apparivano solidi: i governatori venivano eletti, i media erano in gran parte liberi dall'interferenza statale, le Camere alta e bassa del parlamento erano luoghi dove si discuteva criticamente la politica del governo. Ma chi aveva sostenuto l'ascesa di Putin era convinto che Eltsin avesse portato troppo avanti le libertà faticosamente conquistate dal paese e che sotto l'influenza dell'Occidente avesse dato vita a un regime di anarchia portando al potere un'oligarchia corrotta e svenendo il paese. Invece di tentare di rafforzare le istituzioni democratiche per domare gli eccessi e la confusione dell'era Eltsin, intendeva smantellare la democrazia, semplicemente per consolidare il proprio potere al servizio dei propri interessi. [...] Il programma di Putin per uno stato più forte suonava bene per una popolazione profondamente disillusa dagli eccessi di liberalismo dell'era Eltsin. La gente era esausta dopo un decennio in cui era passata da una crisi finanziaria all'altra mentre un pugno di affaristi vicini al potere guadagnavana ricchezze inimmaginabili. Con la giusta coreografia, avevano via libera. (pp. 218-219)
- Non sapremo mai cosa sarebbe successo se Primakov fosse diventato presidente. Ma possiamo affermare che la sua versione della rivincita del KGB non sarebbe durata quanto quella di Putin, e che non si sarebbe comportato in maniera così spietata sul piano internazionale. Il suo attaccamento all'era comunista lo avrebbero reso un bersaglio della reazione. Sarebbe sembrato un dinosauro del passato, mentre una presidenza Stepašin sarebbe stata molto più morbida e probabilmente non avrebbe visto la riduzione delle libertà a cui condusse il regime di Putin. (p. 221)
- [Su Nikolaj Patrušev] Forte bevitore e uomo del KGB, univa una forte etica capitalistica dell'accumulo di ricchezze a una costosa visione della restaurazione dell'impero russo. "È un tipo molto semplice, un sovietico della vecchia scuola. Vuole l'Unione Sovietica, ma con il capitalismo. Considera il capitalismo un'arma" per restaurare la potenza imperiale russa, ha detto una persona a lui vicina che ho avuto modo di intervistare. Un altro stretto alleato di Putin concorda: "Ha sempre avuto forti idee di indipendenza". Patrušev era sempre stato un visionario, un ideologo della ricostruzione dell'impero russo. "Ha una personalità forte. È lui quello che crede davvero nella ricostruzione dell'impero. Ha messo lui queste idee in testa a Vladimir Vladimirovič", racconta ancora l'intervistato. Ma pur essendo un lettore indefesso dei testi su cui l'ambizione geopolitica russa si fondava, Patrušev era anche un lavoratore infaticabile e privo di scrupoli, che non si fermava di fronte a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo. Non sapeva parlare senza imprecare e se non gli si rispondeva imprecando non si otteneva il suo rispetto. "Non concepisce altri modi" questa persona a lui vicina. "Non sa parlare o comportarsi altrimenti. Arriva a una riunione e dice: 'Allora, bastardi, cosa cazzo mi avete combinato oggi?'" L'altro alleato di Putin disse solo che Patrušev era sempre stato un duro, mentre Putin all'inizio era più liberale di lui. L'intervistato disse che Patrušev si era sempre considerato più intelligente e più astuto di Putin: "Non ha mai pensato a lui come al suo capo". (pp. 236-237)
Explicit
[modifica]Bibliografia
[modifica]The Spotted Hyena: A Study of Predation and Social Behaviour
[modifica]- Hyenas inspire horror in people. Often this human reaction is covered up by laughter (especially in Africa); in people's minds, hyenas are inexorably linked with garbage cans, corpses, feces, bad smells, and hideous cackles. Indeed, in places hyenas subsist on the refuse of human society, and that side of their behaviour is, of course, most often noticed. But there is much more to their behavior and ecology [...]. Hyenas are predators, as are lions or wild dogs, and their food in nature consists mostly of prey which they kill themselves. [...] If hyenas get a chance to scavenge they will take it – as will almost all other carnivores – but hyenas are probably better equipped to make use of such chances. (pp. 6-7)
- Within the clans, females dominate males, and a whole set of behavioral mechanisms has evolved which probably function to prevent fighting within the clan. The sexes have an equal role within the social and feeding activities. They look very much alike and females have even evolved external genitalia much like those of males. Each clan has one central denning site in which all females with cubs (usually two per litter) leave their offspring. Each female suckles only her own cubs. They do not regurgitate or carry food back for their young – a trait that seems curiously maladaptive. (p. 7)
- When they do eat, they consume large quantities in one session. Once I presented the remains of two female Thomson's gazelle (all except intestines, stomach, liver, lungs, etc.) to a male hyena I met wandering on the plain, which I estimated to weigh between 45 and 50 kg. This animal looked healthy and did not have a full stomach, but I did not know how long ago it had had its last meal. When presented with the meat, the hyena took it off and within 45 min, ate 14.5 kg of it; he was still going strong when another hyena ran up and took the last remains of the meal away from him. I then gave chase to the other hyena to recover the stolen food and managed to retrieve it before anything had been eaten, in order to weigh it again. It whoed that even though the hyena had not quite finished and may not have been completely empty before he started, he had eaten almost one-third of his own body weight at one time, an exceptionally high figure for mammals. (p. 76)
- Because of their hunting methods, hyenas are most likely to select the physically least able animals from a herd; lions, killing wildebeest after stalking or ambushing, are more likely to obtain a random sample (although they also will take and obviously sick animal). (p. 97)
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Bibliografia
[modifica]- Hans Kruuk, The Spotted Hyena: A Study of Predation and Social Behaviour, University of California Press, 1972. ISBN 0-226-45507-6
Alberto Pollera (1873 – 1939), militare e antropologo italiano.
Lo Stato etiopico e la sua Chiesa
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[modifica]Questo libro vede la luce assai tempo dopo che fu compilato: debbo perciò pregare il benevolo lettore di tener presente trattarsi dell'esame di ordinamenti e costumi di un popolo che si avvia rapidamente ad una importante evoluzione civile, la quale, cominciata tardi, si affretta a raggiungere con ritmo sempre più accelerato, miglioramenti e sviluppi che, fino a pochi anni fa, sembrava assurdo sperare.
Citazioni
[modifica]- Gli Abissini identificarono più tardi la regina Macheddà con Azieb, regina di Saba, dando con ciò un seguito apparentemente logico a questa tradizione. [...] la leggenda della regina di Saba non deve in Abissinia aver acquistato valore che in epoca molto posteriore, e verosimilmente quando, con S. Frumenzio e coi santi predicatori e gli Abuna suoi successori, provenienti da Bisanzio, da Alessandria e da Roma, la religione cristiana si diffuse in Etiopia, e ciò perché [...] questi apostoli della fede, avevano ben ragione di credere che l'accennata tradizione potesse giovare, come giovò, ai loro intenti. (pp. 8-9)
- A noi può sembrare che il concetto etiopico della parentela dinastica colla Vergine sia un po' troppo esagerato ed estensivo, a motivo della enorme distanza di tempo e del gran numero di generazioni trascorse; ma la mentalità etiopica non valuta le cose al modo nostro, perché già nelle piccole questioni interne di stirpe, è abituata a riconoscere legami di consanguineità molto arretrati nel tempo, sul quale non ferma affatto la sua attenzione. (p. 15)
- Per evitare l'obiezione che nella Bibbia non si fa affatto cenno del trafugamento delle Tavole, che anzi si dice andassero distrutte in Babilonia, i manoscritti etiopici, narrando con assai maggior copia di particolari la leggenda [...], aggiungono che, appena il gran sacerdote Sadok ed il re Salomone si accorsero della scomparsa di quelle, decisero di tener celata la immane sciagura al popolo, per modo che questo non seppe mai niente di ciò, e continuò a venerare quell'Arca, la quale non era, pur troppo, che un semplice simulacro della prima. (p. 23)
- Il popolo etiopico, orgoglioso delle tradizioni [...] e convinto di esser divenuto per volontà di Dio il vero popolo eletto sulla terra, a cagione della discendenza salomonica di Menelik I, in sostituzione del popolo ebreo, resosene indegno, è andato a ricercare nella Bibbia tutte le promesse fatte da Dio ad Abramo e a David, e ritiene che esse siano ancora in pieno vigore per il proprio paese. (p. 24)
- Direi quasi che l'orgoglio in Abissinia è una malattia contagiosa, cronica, permanente, che non risparmia nemmeno i più miseri. Non deve quindi stupire se questo orgoglio si trova elevato a potenza molto elevata nei legittimi regnanti di quel paese, che fanno seguire il loro nome da iperbolici titoli. (pp. 25-26)
- Ora, i regnanti di Etiopia, nelle ingenua ma ferma convinzione di occupare di diritto e di fatto il primo posto fra i regnanti di tutto il mondo, ogni volta che hanno avuto occasione di indirizzare messaggi a regnanti europei, lo hanno fatto appunto nel modo da essi usato verso i loro inferiori, ossia iniziando la lettera col proprio nome, anche quando facevano ciò per invocare importanti servigi da loro. (p. 26)
- Si dice [...] che il Negus Teodoro, ritenendo l'Inghilterra il paese più ragguardevole dopo il suo, rivolgesse alla regina Vittoria domanda di matrimonio, e che la mancata risposta fosse il movente che lo indusse a imprigionare, per atto di rappresaglia e di sfida, tutti gli europei che tovavansi presso di lui [...].
In quella tragica vigilia, ma troppo tardi, Teodoro comprese che la superiorità etiopica era ormai una leggenda fantastica; il che non ha tuttavia impedito alla massa di continuare a credervi. Umili e grandi ne sono ugualmente convinti, e se ciò costituisce una ingenuità, non si può negare che costituisca anche una forza per lo stato che tali credenze coltiva, con pieno consenso, fra i suoi sudditi. (p. 27) - [...] degli Abissini si può dire quello che è stato detto degli Ebrei, e cioè che, credendosi di una stirpe privilegiata, hanno sempre voluto isolarsi, e mantenersi distinti da tutte le altre nazioni.
Questa credenza ispirò ad essi il concetto della autoglorificazione, perché ritennero di essere veramente i solo veri figli di Dio, discendenti diretti della linea primogenita di Adamo, senza riflettere che la funzione del popolo eletto venne necessariamente a cessare colla venuta di Gesù Cristo, immolatosi per la intera umanità, e non per la fortuna di un popolo. (p. 31) - [...] in Etiopia è pacificamente ammesso e riconosciuto, che la madre ha diritto di attribuire con giuramento la paternità del figlio a chi essa ritiene ne sia l'autore, senza bisogno di altra indagine o prova concomitante.
L'unione poi, sia pure effimera, con una schiava, decisamente biasimata e derisa quando si tratta di altri, è invece susata trattandosi di signori e di principi, i quali pur non tenendo un harem, come i mussulmani, ne seguono la pratica poligama. L'importante è che la discendenza dei salomonidi e la loro tradizione continui. (pp. 37-38)
Explicit
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Alberto Pollera, Lo Stato etiopico e la sua Chiesa, Roma, SEAI, 1926.
Irridentismo russo
[modifica]- Gli Stati baltici chiaramente si sentono minacciati. Perché come Putin sottolinea, la dottrina militare russa include la "protezione", tra di altri, di cittadini lettoni di lingua russa. È una dottrina pericolosa: significa che un’instabilità come quella ucraina può nascere in ogni altro paese vicino della Russia. (Radosław Sikorski)
- L'idea secondo cui la Russia sarebbe a casa propria ovunque si parla russo [...] basterebbe, se fosse convalidata, a mettere l'Europa e il mondo a ferro e fuoco. Che succederebbe, se si ragionasse così, con i transilvani in Romania? Con i catalani in Francia? Con le tre comunità linguistiche di cui è composta la Svizzera? Con quella «minoranza vallona» di cui certi ideologi, a Mosca, già sostengono che sarebbe minacciata di «genocidio»? Con quella parte della California dove si parla spagnolo? Con la Gran Bretagna, che ha la lingua in comune con l'America? Il nazionalismo linguistico, sotto Putin non meno che all'epoca, nel 1938, dell'annessione dei tedeschi dei Sudeti al Terzo Reich, è un vaso di Pandora. [...] allora come si potrebbe impedire alla Lituania di rivendicare Smolensk? Alla Polonia di avanzare i suoi diritti su Leopoli? Alla Slovacchia di invadere l'oblast della Transcarpazia? Alla Moldavia di reclamare un pezzo di Transnistria? E perché la Russia, un Paese che, lo ripetiamo, non è mai stato uno Stato-nazione prima del 1991, avrebbe più titoli di altri da far valere sulle terre liberate dell'ex Unione Sovietica? (Bernard-Henri Lévy)
- La possibilità di mobilitare una minoranza russa che chieda l’intervento dell’armata russa fu creata con lungimiranza personalmente da Josep Stalin, un despota molto accorto nel decidere, sulla via indicata da Lenin di negare la libertà ai paesi non russi che componevano l’impero zarista e – con astuzia raffinata dalla consuetudine di spostare o eliminare interi popoli – fece emigrare in ogni Repubblica non russofona un nutrito nucleo di abitanti di madrelingua russa, pronti a ribellarsi al governo locale dichiarandosi vittime di pulizie etniche. (Paolo Guzzanti)
- Nessuno si aspetta che Londra un giorno rivendichi territori abitati da persone che parlano inglese, come Putin ha fatto in nome della difesa dei diritti delle comunità russe. Nessuno si aspetta che gli inglesi invadano la Scozia in caso che al suo referendum vinca il sì all'indipendenza. (Radosław Sikorski)
Per Stepan Bandera
[modifica]Articolo pubblicato in Vizvolna Politika, novembre-dicembre 1946; Перспективи Української Революції [Prospettive della rivoluzione ucraina], Дрогобич, Видавнича фірма "ВІДРОДЖЕННЯ", 1998, ISBN 966-538-059-1.
Citazioni su Stepan Bandera
[modifica]- L'estrema destra in Ucraina vede certamente Bandera come uno dei loro padri politici, ma l'estrema destra nel paese è molto debole, e la popolarità della figura di Bandera va molto al di là della destra. La ragione è che, sebbene Bandera fosse di estrema destra e – almeno per un periodo della sua vita – un fascista, in Ucraina oggi non è visto principalmente come tale. È considerato un combattente per l'indipendenza dell'Ucraina che morì per questo. Fu ucciso a Monaco di Baviera nel 1959 dal KGB – la stessa organizzazione nella quale si è formato Putin. Nel discorso pubblico la sua figura è quella di un liberatore, anche se naturalmente non avrebbe instaurato un regime liberale se fosse andato al potere. Del resto, i suoi rapporti con l'occupante tedesco durante la Seconda guerra mondiale erano stati conflittuali. Due dei suoi fratelli furono uccisi ad Auschwitz (apparentemente da compagni di prigionia). Un altro fratello morì durante l'occupazione tedesca in circostanze non chiare. Lo stesso Stepan Bandera è stato a lungo rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen vicino a Berlino. Queste sono le cose che sono enfatizzate dalla memoria pubblica in Ucraina: una memoria selettiva, non una visione storica oggettiva. È un fenomeno che vediamo in molti Paesi, dove le pagine buie delle biografie degli eroi nazionali sono dimenticate o taciute. (Andreas Umland)
- La Russia usa allegramente il culto ucraino di Bandera come prova che l'Ucraina è uno Stato nazista. Gli ucraini rispondono per lo più sbianchettando l'eredità di Bandera. È sempre più difficile per le persone concepire l'idea che qualcuno possa essere stato il nemico del tuo nemico e tuttavia non una forza benevola. Una vittima e anche un carnefice. O viceversa. (Maša Gessen)
Bibliografia
[modifica]- Степан Бандера, Перспективи Української Революції [Prospettive della rivoluzione ucraina], Дрогобич, Видавнича фірма "ВІДРОДЖЕННЯ", 1998, ISBN 966-538-059-1.
Vera Aleksandrovna Politkovskaja (1980 – vivente), giornalista russa.
Intervista di Fiammetta Cucurnia, Video.repubblica.it, 4 ottobre 2007.
- Lei riceveva sempre minacce. Noi vivevamo con questa continua pena, paura. Però lei proprio non ne voleva neanche parlare. Lei diceva: «Questo è il mio paese. Io sono nata qui, voglio vivere qui, voglio lavorare qui. Quale sarà il mio valore se io prendo, lascio tutto e me ne vado?».
- Era mia madre. Io penso che, durante la sua vita, lei ha fatto molto bene per le persone e ha lasciato sicuramente la sua traccia. E quindi col suo contributo qualcosa di meglio c'è nel nostro paese. Però contemporaneamente devo dire sarebbe stato molto meglio che lei non se ne fosse occupato, che non avesse fatto nulla e che fosse viva. Per me, al diavolo tutto. Io avrei voluto mia madre.
Intervista di Giorgio Comai, Balcanicaucaso.org, 3 dicembre 2010.
- Non augurerei a nessuno di leggere sulla propria madre il tipo di frasi ed opinioni riguardanti Anna Politkovskaja che mi è capitato di trovare.
- Alla procura si sono occupati di indagini per due anni prima di dare inizio al processo e hanno arrestato delle persone, che tra l'altro poi hanno liberato. E non sono neppure riusciti a contare correttamente la tempistica dell'omicidio. Quando hanno indicato i secondi che sono trascorsi tra il momento in cui mia madre è entrata nel nostro condominio a quando l'assassino è uscito, non corrispondevano con le ore che avevano fornito. Ce l'ha fatto notare una nostra amica giornalista proprio mentre eravamo in aula di fronte al giudice. È un piccolo errore, forse, ma dimostra con quanta poca serietà abbia lavorato chi si è occupato delle indagini.
- Abbiamo ricevuto molte dimostrazioni di sostegno da rappresentanze diplomatiche estere. Ricordo che ad esempio il console francese è venuto di persona al funerale e ci ha passato una lettera di condoglianze firmata personalmente dal capo dello Stato del suo Paese. Ma i diplomatici non vengono certo a dire a noi di cosa parlano nei loro incontri ufficiali con i vertici russi.
Intervista di Valentina Barbieri, Lsdi.it, 17 maggio 2011.
- Nel nostro paese la libertà di stampa è un problema grave. Ogni giornalista si trova di fronte ad un bivio: può scegliere la carriera e scrivere quello che gli dicono oppure può fare una scelta diversa, scrivere quello che trova giusto e occuparsi di quello che gli interessa. Le conseguenze sono diverse: nel primo caso guadagnerà un posto di prestigio (ovvero statale), nel secondo caso potrebbe finire male.
- Per quanto riguarda il mio vissuto di giornalista, cerco di evitare qualsiasi confronto tra l’esperienza di mia mamma e la mia. Non ho la sua ricchezza professionale, trent’anni di attività, la sua grande esperienza. Lei lavorava a modo suo, in una maniera personale, io lavoro in un altro modo, il mio.
- Quando ti riferisci a qualcuno, inizi inevitabilmente a copiare, mentre nel giornalismo è più importante lavorare sul proprio stile.
Intervista di Aleksej Tekhnenko, Repubblica.it, 3 marzo 2015.
- Quello di Nemtsov è un omicidio politico, dimostrativo, arrogante. Come quello che ha distrutto la nostra famiglia. [...] Riconosco uno stile che mi preoccupa. Vaghezza, contraddizioni e troppe ipotesi che fanno solo confusione. Come allora.
- A me basta la certezza che sia un omicidio politico. Chiunque abbia ucciso lo ha fatto per mettere a tacere una voce scomoda. È sempre la stessa storia.
- Bisogna restare all'erta. Contrastare ogni voce falsa, chiedere giustizia sempre, instancabilmente. E mi auguro che gli amici e i compagni di movimento di Nemtsov riescano a tenere alta l'attenzione sui media. Lo so per esperienza, non è facile. Tutto si dimentica.
Intervista di Sara Giudice, La7.it, 5 maggio 2022.
Tg24.sky.it, 14 ottobre 2022.
Intervista di Massimo Giannini, Lastampa.it, 21 febbraio 2023.
Rainews.it, 22 febbraio 2023.
Iodonna.it, 20 maggio 2023.
- Se parliamo di questo momento storico, noto molti cambiamenti, ma in negativo. Non vedo segnali di miglioramento della situazione o di un prossimo futuro in cui la Russia sarà finalmente “un Paese felice”. La Russia precipita sempre di più in una realtà oscura e imprevedibile. Per uscirne impiegherà diversi decenni.
- Oggi i diritti dell’uomo, così come sono intesi in Occidente, non esistono. Non solo, ma negli ultimi tempi politici e personaggi pubblici insistono nel criticare l’introduzione di queste concezioni in Russia, o a distorcerne il significato. Adesso ai diritti della persona vengono contrapposti i non del tutto chiari “valori tradizionali”. Risultato: l’attività di alcune persone sui social porta a procedimenti penali, il movimento Lgbt è di fatto vietato, tutti i media dell’opposizione sono stati bloccati in rete o chiusi. La Russia si è ritirata dalla convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Se si scava, poi, un po’ più a fondo, si scopre che non c’è più nemmeno lo spazio per tentare di difendere i diritti umani.
- [...] in Russia la misoginia è un sentimento abbastanza diffuso e per qualche russo è addirittura parte di quei valori tradizionali cui accennavo prima. Però, a essere sinceri, in molti Paesi questo sentimento è comune almeno quanto in Russia, e in alcuni anche di più. Se poi contestualizziamo il tutto da un punto di vista storico, non è passato molto tempo da quando le donne hanno ottenuto almeno il diritto di voto. E ora, come allora, la parte femminile del mondo deve ancora lottare per ottenere le stesse possibilità degli uomini. Per questo continuare a conquistare i propri diritti è il compito più importante per tutte le donne del pianeta.
Repubblica.it, 23 ottobre 2023.
- Riconosco senza problemi che una parte della responsabilità per quello che accade è mia, in quanto cittadina proveniente dalla Russia, e i cittadini dell’Ucraina, finché la guerra non finirà, hanno tutto il diritto di accusare i cittadini della Federazione russa per quanto si sta verificando. Ma questo diritto è solo loro.
- Come è possibile che l’odio verso i russi in tanti Paesi del mondo, specie in Europa, faccia ormai parte della normalità? La prima cosa che colpisce è la reazione serafica della comunità europea che vede in questo odio un dato di fatto, un normale stato delle cose. Va detto che anche l’invasione dell’Ucraina è un dato di fatto, ormai scontato, per molti russi. Qual è dunque la differenza tra comunità europea così civile e quella russa, che negli ultimi diciotto mesi è stata costantemente tacciata di non ribellarsi a sufficienza contro le autorità? Dove sono finiti tutti quelli a cui stridono i denti a forza di intestarsi la causa animalista, quella della comunità LGBTQIA+ o quella degli afroamericani? Siete tutti concordi nel dire che siamo tutti uguali ma prendersela con una persona solo perché possiede il passaporto russo vi sta bene?
- La maggioranza degli stati che non accoglie più i russi e ha anche interrotto l’emissione di visti di transito è rappresentata da Paesi al confine con la Russia. Ovvero proprio quei Paesi in cui si sono rifugiati i miei concittadini in fuga dagli orrori del regime di Putin. L’hanno fatto in pena per il futuro e l’incolumità delle proprie famiglie, temendo di essere esposti a azioni persecutorie politiche, che oggi in Russia equivalgono a quelle penali.
- Tra i Paesi che non concedono visti ai russi figurano la Polonia, la Finlandia, la Repubblica ceca, la Lettonia e tanti altri. Oltre a questo divieto, di recente i politici di tutti i Paesi europei che spartiscono la frontiera con la Russia hanno bloccato l’ingresso nei paesi membri dell’Unione Europea alle automobili immatricolate nel mio Paese. L’argomentazione utilizzata per giustificare la misura rimanda a una delle regole del regime sanzionatorio introdotto dopo lo scoppio della guerra: ora le automobili russe sono considerate merce d’importazione e quindi vietata.
- «Russi, dovete soffrire! Ovunque siate, alla fine siete voi che avete invaso! Se non vi va bene ritornatevene a casa vostra e rovesciate Putin! Non avrete diritti finché ci sarà la guerra!». Ogni qual volta sento pronunciare queste frasi da parte degli ucraini, la mia mente va col pensiero alle loro città dove tutti i giorni cadono i missili russi. Mi sento capace di capirli e perdonarli ogni volta, perché mi mostrano un odio viscerale, ma per «una giusta causa». Tuttavia non posso non notare i parallelismi con la retorica del Cremlino: potete “invitare” i russi a tornare casa per rovesciare Putin quanto volete, ma rimane il fatto che ora tutti i critici del regime in vigore a Mosca si trovano o sotto terra, o in prigione o all’estero. Non dimentichiamo che è da diciotto mesi che lo stesso esercito ucraino non riesce a sconfiggere il regime putiniano, al netto di tutti gli aiuti provenienti dal mondo civile.
- La guerra in Ucraina è il frutto di una politica pluriennale del Cremlino, smascherata sovente da chi ora non c’è più, è dietro le sbarre oppure se n’è andato. Al contempo è anche il fallimento totale della diplomazia non solo di Kiev e Mosca, ma anche di quella europea e americana. A pensarci bene, i responsabili delle ostilità in Ucraina al massimo sono i vertici del potere russo e i politici occidentali. Ora Putin potrà troneggiare legalmente fino al 2036. Il presidente di un paese immenso ha sistematicamente violato le leggi, anche quelle internazionali, ma in tutto il mondo civile hanno continuato a stringergli la mano.
Da Putin temeva Navalny più di ogni altro e si è sbarazzato di lui come di mia madre Anna Politkovksaja
Repubblica.it, 19 febbraio 2024.
- Per i politici europei e americani, l’omicidio di Navalny è solo l’ennesimo pretesto per prendere la parola e ancora una volta “dare uno schiaffo” alla Russia di Putin.
- L’oppositore russo è stato in qualche modo il prigioniero personale di Vladimir Putin che lo temeva talmente da non osare pronunciare il suo nome ad alta voce, offrendo così il fianco ai giornalisti che glielo hanno fatto notare a più riprese. Navalny, dal canto suo, trovandosi già dietro le sbarre, non ha mai avuto paura a definire il capo di stato russo un omicida, un farabutto e un ladro. Con il sorriso sarcastico sul suo volto, in più di un’occasione ha schernito il presidente russo e tutto il sistema da lui costruito. Le numerose cause penali intentate ai suoi danni non facevano altro che dargli il pretesto per farsi una risata.
- [...] le persone che si sono occupate di eliminare Navalny sono ufficialmente “a servizio dello stato” nei tribunali, nelle procure, nelle carceri e nelle case circondariali. Si tratta di persone che non per forza occupano posizioni di rilievo. Ma tutte loro, in un modo o nell’altro, sono complici e, qualora il caso relativo all’omicidio di Navalny dovesse arrivare in tribunale, sul banco degli imputati ci sarebbero decine di persone.
- [...] le cose si svolgeranno come si erano svolte fino all’esecuzione di Navalny. Con l’aiuto delle forze dell’ordine, degli arresti e dei processi, metteranno il bavaglio a tutti quelli che oseranno pronunciare la verità sulla fine dell’oppositore. I politici occidentali si indigneranno ancora un po’, esprimeranno il loro orrore rispetto a quanto accade in Russia, salvo poi tornare subito a occuparsi delle loro vicende quotidiane. Succederà così perché non possono fare nulla, non hanno mai avuto e non hanno neanche ora delle reali possibilità per fare leva sulla situazione in modo da cambiarla.
Repubblica.it, 8 marzo 2024.
- Mentre in tutto il mondo civilizzato il ruolo della donna nella società cresce, in Russia si susseguono prese di posizione che non fanno che danneggiarla. Non mi riferisco solo al divieto di abortire, già in vigore nelle strutture sanitarie private del Paese, ma anche agli appelli dei politici che chiedono di limitare l’accesso delle donne all’istruzione secondaria, in modo che non vengano distolte da quella che secondo lo Stato (e secondo una parte dei russi) è la loro funzione principale: fare figli.
- In generale l’impressione è che – sempre nella visione statale – le donne russe, ancor più dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina, siano destinate a ricoprire esclusivamente il ruolo di macchine per la riproduzione della popolazione.
- Ad abbandonare la Russia sono state proprio quelle persone che avrebbero potuto influire sul futuro in maniera positiva. Neanche dall’estero riescono a far sentire la loro voce: la macchina della propaganda ha fatto presto a bollare come "traditore della patria” chi è andato via. Con il risultato che chiunque dall’estero osi criticare pubblicamente la situazione in Russia viene sommerso da una montagna di fango e screditato in tutti i modi possibili, compreso ritrovarsi oggetto di azioni civili e penali. Lo scopo è anche quello di rendere difficile il rientro in patria di queste persone.
- [Su Julija Naval'naja] La denigrazione del nemico con ogni mezzo è pratica diffusa in Russia: se poi il nemico è una donna che ha osato mostrare al mondo un’immagine che non è solo quella della vedova inconsolabile e in preda al dolore, i denigratori sono capaci di tutto. La misoginia trova terreno fertile nella nostra società.
- Nell’immaginario collettivo russo il campo d’azione legittimo della donna continua a essere quello della cucina e delle stanze da letto dei figli. Anche per quelle che riescono a uscire da questo schema la vita non è semplice: il divario salariale a parità di professione e di ore di lavoro, nel migliore dei casi, è del 30 per cento. Gli uomini non hanno nessun problema a cercare di ostacolare la carriera delle loro colleghe.
- [...] nel Caucaso, e in particolare in Cecenia, la situazione per le donne è orribile. Qui, come all’epoca dei barbari, sono soggette a mutilazioni genitali e rischiano di venire uccise in nome dell’onore della famiglia.
- Il 40 per cento circa dei russi è convinto che se un uomo mantiene una donna può vietarle di uscire di casa, incontrare gli amici e i parenti, lavorare o utilizzare le carte di credito senza il suo consenso. Certo, non tutti gli uomini russi la pensano così. Ma se ci riferiamo al cosiddetto “Paese profondo”, allora diciamo che questa visione della donna è molto diffusa.
- Mi piace pensare che sia possibile, ma servirebbero sforzi giganteschi e un leader, o una leader, capace di unire moltissime persone che la pensano in maniera diversa sulla guerra e sull’operato di Putin. Yulia Navalnaya ha tutte le carte in regola per diventarla. Ha tutto quello che le serve, salvo il marito.
- Credo che Yulia sia assolutamente in grado di unire tutte le forze di opposizione russe al di fuori del Paese. Ma l’apparato repressivo all’interno del Paese è talmente potente che riuscire a coinvolgere chi vive in Russia sarebbe ben altra impresa. Questo è un dato di fatto, e non può essere ignorato.
- Le donne russe sono forti per natura e temprate dalle circostanze. Di “principesse sul pisello” io ne conosco poche. La mia speranza è che sulla scena politica emergano donne che sappiano guardare la realtà come la vede Yulia Navalnaya. Penso che solo loro potrebbero diventare la forza motrice che potrà far uscire la Russia dalle tenebre in cui si è impantanata.
Una madre
[modifica]Incipit
[modifica]Mia madre è sempre stata una persona scomoda, non solo per le autorità russe, ma anche per la gente comune che sfoglia un giornale e ne legge gli articoli. Purtroppo la maggioranza della popolazione russa crede a quello che le viene detto dagli schermi dei canali di Stato: un mondo virtuale creato dalla propaganda, dove, nel complesso, tutto va bene. E i problemi, che periodicamente vengono segnalati all’opinione pubblica, hanno origine nei Paesi occidentali o, come si dice in Russia con un sorrisetto, «nell’Occidente in decomposizione».
Citazioni
[modifica]- I dittatori hanno bisogno di offrire sacrifici umani per consolidare il loro potere. (p. 10)
- In Russia tutti si sono dimenticati in fretta di Anna Politkovskaja, soprattutto la gente che conta, perché mantenere la memoria di persone come mia madre è pericoloso. È molto più comodo perderne le tracce e dimenticare la sua verità. (p. 10)
- In Occidente il nome Politkovskaja è fonte di orgoglio. A mia madre intitolano piazze e vie, la sua attività giornalistica viene studiata nelle università, i suoi libri si vendono in tutto il mondo. In Russia quel nome è avvolto dal silenzio. (p. 10)
- Dopo il 24 febbraio 2022 il nostro cognome è tornato ad avere un peso, a essere oggetto di minacce, ancora di morte, questa volta contro mia figlia, che è solo un’adolescente. Da quando a scuola hanno iniziato a parlare del conflitto in Ucraina, i compagni si sono scagliati contro di lei. Pesantemente. Così abbiamo scelto l’esilio volontario, la fuga in un altro Paese. (p. 10)
- Anna Politkovskaja si formò come giornalista proprio nel periodo della perestrojka. Ne ha incarnato perfettamente lo spirito, il desiderio di cambiamento: sognava una democrazia compiuta, e sognava di fare il suo mestiere in un Paese libero, come dovrebbe essere, come non è quasi mai, nel mondo. (p. 16)
- Nella vita di tutti i giorni mia madre era una persona difficile. La gestione familiare, il desiderio di avere il meglio per noi, oltre alla sua acuta percezione di tutto ciò che accadeva intorno, prosciugavano le sue forze. A ripensarci ora, credo che la responsabilità di una famiglia le sia caduta addosso troppo presto. (p. 25)
- [Sul putsch di agosto] Di quei momenti, dopo il ritorno a Mosca, ricordo questa scena in particolare: mia madre che piange seduta su una panchina nel cortile di casa. Ignara del motivo, pensavo fosse preoccupata per papà, che non era ancora tornato dalla Casa Bianca. Invece poi ho scoperto che quel giorno tre giovani manifestanti che si opponevano ai golpisti erano morti, schiacciati dalle ruote di un veicolo da combattimento della fanteria proprio nel centro di Mosca. Alla notizia, mamma non era riuscita a trattenere le lacrime. L'episodio fu per lei un chiaro esempio di come troppo spesso siano le persone comuni a subire le conseguenze di avvenimenti storici di portata epocale, anche pagando con la vita: un tema che percorre come una linea rossa tuta la sua carriera professionale. (p. 32)
- In cabina di regia scherzavamo sul fatto che, per qualche motivo a noi sconosciuto, gli opinionisti filogovernativi risultavano sempre un po' retrogradi, dei sempliciotti, con il loro eloquio clericale, noioso e poco interessante, mentre gli avversari dimostravano grande acume, profonda conoscenza dell'argomento oggetto della discussione, e avevano un atteggiamento propositivo e idee concrete per trovare una soluzione al problema. Gli oppositori non pensavano solo a farsi belli di fronte alle telecamere, e lo spettatore era in grado di capire benissimo come stavano le cose. (p. 46)
- Molti in Occidente non capiscono perché i russi accettino così docilmente tutto ciò che fanno le autorità. I cittadini non protestano, non scendono in piazza. Oltre al fatto che la maggior parte della popolazione è impegnata a sopravvivere in condizioni di povertà, le sanzioni per la partecipazione a picchetti o manifestazioni sono diventate così elevate che pochi osano esporsi. Se in Europa, al termine di una «protesta» pacifica, ciascuno può rientrare tranquillo a casa propria, in Russia la maggioranza dei manifestanti finisce in una stazione di polizia. E non è scontato che se la cavi con una «semplice» (comunque alta) sanzione amministrativa, anziché con quindici giorni di cella. Anzi, spesso rischia un processo penale. (p. 53)
- Chi può, in Russia, evita il servizio militare come la peste, perché sa che nelle caserme potrebbe accadere di tutto, ammesso di sopravvivere al nonnismo incontrollato. È risaputo, inoltre, che in tempo di pace i soldati vengono spediti in zone impervie affinché diventino «veri uomini», imparando a cavarsela con misere razioni alimentari e attrezzature poco idonee. Il podersoso ammodernamento delle forze armate, per il quale è stato speso l'equivalente di milardi di euro, è in buona parte avvenuto solo formalmente e non si capisce dove siano finiti quei soldi. (p. 63)
- [Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022] Secondo le stime dell'intelligence ucraina, in migliaia si sarebbero dati alla fuga dalla prima linea e in alcune unità si è arrivati al 60-70 per cento di disertori. I dissidenti russi si mantengono più cauti, calcolando gli abbandoni in circa un miglaio. Il Cremlino, proprio come sul numero dei morti, tace. (p. 66)
- I familiari dei caduti raccontano che spesso apprendono della scomparsa dei congiunti dai commilitoni o dai canali Telegram ucraini. Oppure capiscono che è successo qualcosa di irreparabile quando il loro congiunto smette di chiamare a casa. I russi, al contrario, tendono a lasciare sul campo i corpi dei comilitoni russi. (p. 66)
- Un'intera generazione di giovani pagherà un prezzo altissimo, come è già avvenuto ai tempi della Seconda guerra mondiale, del conflitto in Afghanistan e della Cecenia. E il prezzo non è solo la morte. Tra i fortunati che torneranno da questa guerra, le conseguenze psicologiche saranno incalcolabili, per non parlare dell'enorme quantità di invalidi che non sapranno di cosa vivere. (p. 69)
- Io sono una cittadina russa, ma sono disgustata dal cieco nazionalismo e dallo pseudopatriottismo che stanno montando nel mio Paese. Quando un Paese aggredisce, chi subisce e soffre deve difendersi. Credo sia giusto che l'Occidente stia aiutando attivamente l'Ucraina a difendersi. Se così non fosse stato, la guerra sarebbe già finita. E penso che lo stesso Cremlino avesse scommesso sulla mancanza di sosteno da parte occidentale, quando ha cominciato l'aggressione. Quello che dico può apparire una contraddizione, per me che sono una pacifista convinta. Odio la guerra e le conseguenze che porta con sé. Ma si tratta di una contraddizione inevitabile. Voglio vedere la Russia come un Paese prospero, libero e sviluppato, non incosciente, povero e militarizzato. (p. 70)
- La diffusione di informazioni da canali non ufficiali inizialmente comportava una multa, quindi la sospensione dell'attività, infine il ritiro della licenza per trasmettere, radio o televisione che fosse, o per stampare e vendere il giornale. Nel corso del primo mese di guerra, in Russia sono state varate alcune leggi che introducevano la responsabilità amministrativa e penale per la diffusione di «fake news» riguardanti le azioni dell'esercito russo, con una pena prevista fino a quindici anni di carcere. Ciò ha permesso di arrestare diverse persone che avevano criticato l'operato dei militari russi in Ucraina sui social o sui propri blog. (p. 76)
- A tutte le difficoltà oggettive connesse con l'inizio della guerra se n'è aggiunta una ulteriore, che riguarda solo mia figlia: inconsapevolmente si è ritrovata anche lei sulla linea del fuoco. Lei si chiama come la nonna, Anna Politkovskaja, e per questo a scuola è stata subito oggetto di atti di violenza e di bullismo. A dire la verità, era già accaduto in passato. Quando Anna visitava una nuova palestra per un corso di ginnastica, le veniva spesso ricordato dai suoi coetanei, ovviamente in forma offensiva, da quale famiglia provenisse. Dopo il 24 febbraio 2022, però, la mancanza di rispetto si è trasformata in minaccia. (pp. 77-78)
- Quando mamma era via, in pratica non avevamo alcun contatto con lei, perché non esistevano linee telefoniche adeguate. Eppure non sono mai rimasta a casa ad aspettare che tornasse. Del resto, lei non l'avrebbe mai voluto. Mia madre era una donna estremamente indipendente e con questo spirito ha cresciuto anche noi. Ancora adesso, quando ripenso a lei, la vedo seduta alla scrivania con la testa china sul computer a scrivere una «nota». Così le piaceva chiamare i suoi testi: non notizie, articoli, materiali, ma note. E mentre ci si dedicava era assente, anche quando era presente fisicamente. (pp. 89-90)
- Mia madre non accettava mai compensi da parte delle persone che aiutava: era una questione di principio. (p. 95)
- Lei cercava comprensione, ma riceveva sostegno solo dai colleghi della redazione del suo giornale e da pochissime altre redazioni di mezzi di informazione alternativi. E, ovviamente, dalle tante persone che aiutava. Perché solo questo contava per lei: fare il proprio lavoro, raccontare quello che vedeva, dare asilo a quanti non sapevano dove altro andare. Le loro storie non coincidevano con la versione ufficiale dei vari uffici competenti legati al Cremlino. (p. 105)
- Questo era il suo modello di giornalismo. Raccontare i fatti, scrivere senza tener conto delle gerarchie. Un concetto forse banale per chi vive in una democrazia, ma in Russia era pura follia: significava dare per sontata la libertà e sfidare il sistema irritando tutti, compresi i colleghi che avrebbero dovuto farsi carico della stessa responsabilità, raccontando a loro volta la verità. Invece mia madre era sola, profondamente sola. (p. 106)
- Scrivere la verità serve, anche se nessuno la vuole ascoltare. E serve anche fare il proprio lavoro bene, sempre. Mettere in discussione questo significherebbe riconoscere che il suo sacrificio è stato inutile. (p. 107)
- Lei era profondamente convinta che, nel momento in cui si assiste a un'ingiustizia, si è costreti a intervenire. Se invece non la riconosci, o non ci credi, allora non ti senti coinvolto, anche se in fondo sospetti che un'ingiustizia esista. (p. 108)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] I terroristi avevano già ucciso diverse persone. Doveva avanzare con cautela, seguendo un certo percorso all'interno dell'edificio, e un passo sbagliato a sinistra o a destra poteva portare all'irreparabile. «Lì dentro ricordo di aver calpestato vetri rotti mescolati a qualcosa che sembrava sangue», c'erano vetri ovunque mi disse. «Una sensazione impossibile da dimenticare». (p. 117)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Dopo alcuni articoli si cominciò a dire che mia madre stava speculando sui morti, che «ballava sulle loro ossa» per fare carriera. Come spesso accade in Russia, parlare o scrivere di questa vile operazione, a seguito della quale morirono centotrenta persone, invece di essere liberate, significa mettere in discussione il lavoro delle forze speciali e le decisioni della leadership. Per questo, proprio perché la cosa era andata male ed erano morte molte persone, le dicevano di lasciar perdere. (p. 120)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Mi sarei potuta trovare anche io in quel teatro. Tra gli ostaggi, le vittime o tra quanti, a causa di quella storia, portano cicatrici che non si rimarginano. Ma non avevo sentito la sveglia e l'audizione, quel famoso giorno, era saltata. (p. 122)
- [Sulla strage di Beslan] Se fosse arrivata a Beslan, mia madre avrebbe provato a parlare con i terroristi, ma evidentemente troppe persone non volevano che accadesse. Non tolleravano come lavorava, il fatto che raccogliesse le testimonianze delle famiglie degli ostaggi. Su quell'aereo non hanno solo cercato di ucciderla. Le hanno impedito di fare il suo lavoro. (p. 139)
- Nessuna autorità russa presenziò al funerale. Solo tanta gente comune in lacrime. Quel giorno mi resi davvero conto di quanto lei fosse tenuta in considerazione, di quanto le volessero bene e di quanto profondamente il suo assassinio avesse scosso l'opinione pubblica. In molti, da quel momento, non avrebbero avuto più voce, né una spalla su cui piangere. Per tante di quelle persone si era spenta l'ultima possibilità di avere giustizia, di vedere scritta la propria storia. (p. 165)
- In Russia, i membri delle forze dell'ordine rappresentano una casta a sé. Per me è sempre stato un mistero dove e da chi imparino a comportarsi e a comunicare con la gente. Spesso il loro stile «da cavernicoli» sembra fatto apposta per innervosire gli interlocutori, farli sentire inferiori, poca cosa rispetto alla «macchina statale» e all'uniforme che hanno di fronte. La maggior parte delle persone normali, a cui non è mai capitato di avere a che fare con loro, la prima volta non sa come affrontarli. (p. 170)
- La seconda guerra cecena è stata una delle meno raccontate della storia, spacciata per giunta come lotta al terrorismo islamico, uno dei pilastri su cui Putin costruì una parte consistente della retorica sulla sua nuova Russia. Un secondo, forte pilastro propagandistico fu individuato nella «grande guerra patriottica», la resistenza al nazismo e la vittoria del 1945. Se il nazismo era stato il nemico e la sua sconfitta un atto fondativo della nuova Russia, chi ne sottovalutava la valenza politica e storia si poneva automaticamente al di fuori del pensiero dominante in Russia. Bisognava eliminare le scorie del decennio eltsiniano e degli anni della perestrojka, quando la ricerca storica aveva vissuto un periodo di grande libertà erano venute alla luce verità sgradevoli per i russi, legate ai crimini del regime staliniano. La storia e la democrazia dovevano diventare sovrane, mentre la libera ricerca storica era vista come una minaccia, perché capace di «leggere» in maniera critica la narrazione dominante del passato. [...] Il terzo pilastro su cui poggia la nuova dottrina nazionale è quella del vittimismo. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la Russia è stata umiliata. Da chi, se non dall'Occidente, con i suoi valori così lontani da quelli della tradizione russa? (pp. 181-183)
- Putin e i suoi, [...] oltre alla sbandierata denazificazione, non hanno mai dichiarato i veri scopi della guerra. In Russia è stato ripetuto che si trattava di proteggere la popolazione del Donbass dopo otto anni di continue aggressioni e che in Ucraina esisteva un regime nemico, pronto, secondo Mosca, a invadere il Paese su mandato dell'Occidente. La realtà è che il Cremlino non può tollerare un'Ucraina democratica, che cerca di porre le basi per il suo ingresso nell'Europa politica. Una guerra prolungata, comunque vada a finire, rallenterà il processo di democratizzazione ed europeizzazione dell'Ucraina. La dirigenza russa parla anche dell'esistenza di una minoranza nazionale russa in Ucraina che non può essere esclusa dal godimento dei pieni diritti tra cui, per esempio, l'uso del russo a scuola e negli uffici pubblici. Nel primo mese di guerra, tuttavia, i bombardamenti si sono concentrati proprio sui territori in cui è preponderante la popolazione russofona, così come russofona è la maggioranza dei profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni. Dopo l'aggressione, addirittura, molti di loro stanno progressivamente privilegiando l'ucraino. (pp. 183-184)
Explicit
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Vera Politkovskaja, Una madre. La vita e la passione per la verità di Anna Politkovskaja, traduzione di Marco Clementi, Rizzoli, ISBN 978-88-17-17882-2
Intervista di Paul Rowlands, money-into-light.com, giugno 2021.
- Girare i film dell'orrore è stressante, perché la paura deve sempre stare (deve sempre esserci la paura) su un piano psicologico. Devi continuare a lavorare con quella paura costantemente. Devi sentirla nelle tue emozioni.
- Making horror films is stressful, because the fear always has to be on a psychological plane. You have to keep working with that fear continuously. You have to feel it in your emotions.
- Dario era un grande ammiratore di Edgar Allan Poe, e per lui i corvi erano un elemento molto importante del film. Quando stavamo girando un scena particolare del film, mi gettava addosso dei corvi vivi. Io gridavo "Basta! Basta!" e lui diceva "Devo farlo perché devi provare questa paura e questa sensazione". Litigavamo, ma era un periodo divertente per me. Stressante ma divertente.
- Dario was a big fan of Edgar Allan Poe, and ravens were a very important element of the film for him. When we were shooting a particular scene in the film, he threw actual live ravens at me. I shouted "Stop! Stop!" and he said "I have to do this because you need to experience this fear and sensation." We would fight with each other, but it was a fun time for me. Stressful, but fun.
- Litigavamo tanto, ma c'era rispetto reciproco tra di noi. Lui mi rispettava come attrice ed io lui come regista. Era molto concentrato su elementi tecnici (questioni tecniche, dettagli tecnici), mentre io volevo fargli tante domande sugli aspetti psicologici del mio personaggio e della storia. Ma lui non diceva altro che "No, no, no, va tutto bene" e poi parlava di cosa stava per fare tecnicamente (sul piano tecnico).
- We fought a lot, but there was mutual respect between us. He respected me as an actress and I respected him as a director. He was very focused on technical things, whereas I wanted to ask him a lot of questions about the psychological aspects of my character and the story. But he would just say "No, no, no that's all fine" and then just talk about what he was going to do technically.
David W. Macdonald (...), zoologo britannico.
Running with the fox
[modifica]- I lupi cacciano prede grandi; infatti, un alce può pesare 600 chili, dieci volte il peso del lupo più grande. Da solo, il lupo non sarebbe altro che pula per i palchi dell'alce. Un branco, però, può radunare la forza collettiva dei suoi membri. Infatti, lavorando in gruppo si trasformano in una nuova creatura, un super predatore la cui capacità collettiva oltrepassa l'abilità venatoria degli individui coinvolti. La volpe, al contrario, è circa 300 volte più pesante di un topo. La caccia volpina non comporta alcuna maratona affannante, nessuno squartamento, nessun duello contro gli zoccoli. Piuttosto, astuzia, agilità, un balzo aggraziato e un morsetto preciso segnano il destino del topo.
- Wolves hunt large prey; indeed, a moose may weigh 600 kg, ten-fold the weight of the largest wolf. Alone, the wolf would be little more than chaff to the moose's antlers. A pack, however, can muster the collective might of its members. Indeed, by working as a team they are transformed into a new creature, a super-predator whose summed capability exceeds the hunting prowess of the individuals involved. A fox, in contrast, is some 300 times heavier than a mouse. The vulpine hunt involves no lung-bursting marathon, no rip and rend, no sparring against hoofs. Rather, stealth, agility, a graceful leap and a precision nip seal the mouse's fate. (p. 10)
- Le persone mi chiedono spesso perché ho scelto di lavorare con le volpi. Solitamente rispondo che questa specie offre il migliore di molti mondi: il brivido di osservare comportamenti raramente segnalati, la soddisfazione della lotta intellettuale per spiegare perché l'evoluzione ha lavorato ogni sfumatura strutturale in queste incredibili creature, e la convinzione che questa nuova conoscenza sarà utile, contribuendo alle soluzioni di problemi grandi quanto la rabbia e piccoli (ma irritanti) quanto la decapitazione di un pollo di cortile. Questa risposta è onesta, e le motivazioni alla base sono solide. Per dare un'altra risposta, però, non meno importante: io studio le volpi perché sono ancora impressionato dalla loro straordinaria bellezza, perché mi superano in astuzia, perché mantengono il vento e la pioggia sul mio volto, e perché mi conducono alla solitudine soddisfacente della campagna; tutto sommato – perché è divertente.
- People often ask why I chose to work with foxes. Generally I reply that this species offers the best of many worlds: the thrill of observing behaviour rarely seen before, the satisfaction of the intellectual wrestle to explain why evolution has worked each nuance of design into these remarkable creatures, and the conviction that this new knowledge will be useful, contributing to the solutions of problems as grand as rabies and as small (but annoying) as the beheading of a barnyard fowl. This reply is honest, and the arguments underlying it are robust. However, to give another answer, no less important: I study foxes because I am still awed by their extraordinary beauty, because they outwit me, because they keep the wind and rain on my face, and because they lead me to the satisfying solitude of the countryside; all of which is to say – because it's fun. (p. 15)
- Sconfiggere le volpi in astuzia ha messo alla prova l'ingegno dell'uomo per almeno 2.000 anni. [...] Forse, allora, migliaia di generazioni di persecuzione (specialmente quando l'avversario ricorre a trucchi sporchi come marinare i gatti nell'orina) ha plasmato le volpi con le loro quasi sconcertanti abilità di evitare l'uomo e i suoi stratagemmi.
- Outwitting foxes has stretched man's ingenuity for at least 2,000 years. [...] Perhaps then, thousands of generations of persecution (especially when the opposition resorts to dirty tricks like marinading cats in urine) have fashioned foxes with their almost uncanny abilities to avoid man and his devices. (p. 16)
- Rainardo è una volpe che ha avuto un impatto più grande sulla cultura e la sensibilità europea di qualsiasi altro animale selvatico. Adorna i rinfianchi delle chiese medievali, da Birmingham a Bucarest, ghignando dalle pagine dei salteri, e ha trionfato come genio malefico in più di un milione di poemi epici e di bestiari. Prospera nelle storie per bambini contemporanee e ha infiltrato le nostre lingue e perciò le nostre percezioni dei suoi cugini selvatici: poche sono le lingue in Europa in cui la parola "volpino" non è sinonimo di furbizia e inganno.
- Reynard is a fox who has had a greater influence upon European culture and perceptions than any other wild creature. He adorns the spandrels of mediaeval churches from Birmingham to Bucharest, leers from the pages of psalters, and has triumphed as an evil genius in more than a millennium of epic poems and bestiaries. He thrives in contemporary children's stories and has infiltrated our languages and thus our perception of his wild cousins: there is hardly a language in Europe in which the word "foxy" is not synonymous with trickery and deceit. (p. 32)
- Tentare di catalogare l'umore e il risultato delle interazioni delle volpi non è sempre semplice. In particolare, l'osservatore si interroga molto sulla dalla somiglianza esteriore tra l'aggressione e il gioco. Il problema è che la lotta nel gioco ha gli stessi ingredienti della lotta sul serio, tranne per il paradosso che nessuno si ferisce.
- Attempting to categorize the mood and outcome of fox interactions is not always straightforward. In particular, the observer is bedevilled by the superficial similarity of aggression and play. The problem is that fighting in play has the same ingredients as fighting in earnest, except for the paradox that nobody gets injured. (p. 45)
- Se c'è una cosa nella società delle volpi che "non si fa", è di avvicinarsi a qualcuno che sta mangiando. Sotto questo aspetto, il vecchio contrasto con i lupi suona veritiero: i lupi talvolta mangiano una preda fianco a fianco in relativa armonia; le volpi solitamente fanno di tutto per evitare anche di essere viste con del cibo e, nel peggiore dei casi, volteranno almeno le spalle l'una all'altra mentre mangiano. Questo contrasto è particolarmente marcato tra i giovani: i cuccioli di volpe invariabilmente lottano con ferocia sorprendente per il cibo e possono infliggere ferite gravi, i cuccioli di lupo sono più tolleranti. Ovviamente, come qualsiasi altra generalizzazione sulle volpi, ci sono eccezioni alla regola: le volpi maschio nutrono le loro compagne e gli adulti nutrono i cuccioli.
- If there is one thing in fox society that is "not done'", it is to approach somebody who is eating. In this respect, the old contrast with wolves holds true: wolves sometimes feed from a kill side by side in relative harmony; foxes generally do everything possible to avoid even being seen with food and, if the worst comes to the worst, will at least turn their backs to each other while eating. This contrast is especially marked among youngsters: fox cubs invariably fight with astonishing savagery over food and can inflict serious injury, wolf pups are much more tolerant. Of course, as with every other generalization about foxes, there are exceptions to the rule: dog foxes feed their vixens and adults feed cubs. (p. 45)
- Ci sono poche cose affascinanti quanto un cucciolo di volpe, quindi la tentazione di allevarne uno come animale da compagnia è grande. Tuttavia, la gran maggioranza dei "salvataggi" finisce male per tutti i coinvolti. La maggior parte delle persone non ha idea del tempo, strutture, abilità, e soprattutto, tolleranza necessari per allevare una volpe. Da poppanti hanno bisogno di latte ogni quattro ore, giorno e notte, ma questo è un gioco da ragazzi in confronto al loro comportamento una volta svezzati: ogni cucciolo di volpe che ho conosciuto ha avuto una passione sia per il cuoio che per i cavi elettrici. La prima finisce con la distruzione dei portafogli, borsette, scarpe, giacche di camoscio e di montone, mentre la seconda devasta i cavi elettrici. Mi è sempre piaciuto l'odore persistente dell'orina di volpe, ma vale la pena notare che una proprietaria non poté trovare un altro inquilino per diversi mesi dopo che io e la mia volpe lasciammo la proprietà.
- There are few things as enchanting as a fox cub, so the temptation to rear one as a pet is great. Nonetheless, the great majority of "rescues" come to a sad end for all concerned. Most people have no idea of the time, dedication, facilities, skill and, above all, tolerance required to rear a fox. As sucklings they require milk at four hour intervals day and night, but this is a trifling difficulty compared with their behaviour once weaned: every fox cub I have known has had a passion for both leather and electric cables. The former results in destruction of wallets, handbags, shoes, suede or sheepskin coats, the latter wreaks havoc with household wiring. I have always rather liked the lingering smell of fox urine, but it is noteworthy that one landlady was unable to find another tenant for several months after my fox and I vacated the property. (p. 56)
- I costumi della società delle volpi dettano che non c'è amicizia così profonda da poter anche solo tollerare il pensare al cibo di un altro.
- The mores of fox society dictate that there is no friendship so deep as to countenance even thinking about somebody else's food. (p. 58)
- Penso che molto della vita di una volpe passa sul filo del rasoio, sommersa dall'acutezza dei suoi sensi. Nella volpe, l'evoluzione ha modellato una creatura per cui ogni stimolo viene elevato alla massima sensibilità: per la volpe c'è l'immagine fulminea della palpebra che si chiude di un coniglio, lo squittio chiassoso di un topo distante venti metri, il tanfo spaventoso dell'orma vecchia di un giorno di un cane.
- I think much of a fox's life is spent on a knife-edge, deluged by the acuteness of its senses. In the fox, evolution has fashioned a creature for which every input is turned to maximum sensitivity: for the fox there is the jolting image of a rabbit's blinking eyelid, the clamorous squeak of a mouse 20 metres off, the dreadful reek of a dog's day-old pawprint. (p. 61)
- L'industria della selvaggina è probabilmente in gran parte responsabile per la morte spesso sgradevole nell'ordine di 100.000 volpi all'anno in Gran Bretagna, ma contro di questi bisogna valutare il fatto che questa industria fornisce il maggior incentivo per la conservazione dell'habitat su terre agricole.
- The game shooting industry is probably largely responsible for the frequently unpleasant deaths in the order of 100,000 foxes annually in Britain, but against these must be weighed the fact that this industry provides the major incentive for habitat conservation on farmland. (p. 173)
- Le volpi urbane e i gatti si incontrano molto spesso ed è comune vederli insieme, spesso mangiando fianco a fianco. Se c'è una rissa per il cibo, il gatto di solito scaccia la volpe. Casi autentici di volpi che uccidono i gatti tendono a coinvolgere i gattini. Quindi, sebbene sia chiaro che la maggior parte delle volpi non uccidono i gatti, certe lo fanno. Il rischio però è molto meno significativo del rischio che corre il gatto di venire investito sulla strada dal traffico.
- Urban foxes and cats meet very frequently and it is commonplace to see them in a close company, often feeding side by side. If there is a squabble over food, the cat generally displaces the fox. Authenticated cases of foxes killing cats generally involve kittens. So, although it is clear that most foxes do not kill cats, some do so. However, this risk must rank very low amongst the worries besetting the urban cat-owner, and certainly is much less significant than the risk of the cat being killed on the road by traffic. (p. 181)
- Scorte di cibo più ricche conducono a territori più piccoli e scorte di cibo più irregolari (eterogene) permettono gruppi più grandi. Un elevatissimo tasso di mortalità conduce a gruppi più piccoli e una proporzione più piccola di femmine sterili, probabilmente insieme a territori più grandi. Un tasso di mortalità intermedio può risultare insufficiente per diminuire sostanzialmente la grandezza d'un gruppo, me tuttavia può disturbare la stabilità sociale fino al punto di diminuire la proporzione di femmine sterili e perciò aumentare la produttività generale di cuccioli per ogni femmina, e probabilmente territori più piccoli.
- Richer food supplies lead to smaller territories and more patchy (heterogeneous) food supplies permit larger groups. A very high death rate leads to smaller groups and a smaller proportion of barren vixens, probably together with larger territories. An intermediate death rate may be insufficient to reduce group size substantially, but nonetheless may disrupt social stability sufficiently to diminish the proportion of barren vixens and thereby increase the overall productivity of cubs per female, and probably smaller territories. (p. 210)
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Mangascià Giovanni (1868 – 1907), militare etiope.
Citazioni su Mangascià Giovanni
[modifica]- Era bello Mangascià, di una eleganza un po' femminile che non lo abbandonava neppure quando indossava lo sciamma di guerra, la criniera di leone e in battaglia impugnava la Remington finemente damascato. Anche se si comportava con l'aspra maestà di re, si intuiva subito che quell'energia era finta, mancava di una vera forza interiore. Il ras recitava il ruolo di principe battagliero e irriducibile, ma dentro era fiacco e floscio. (Domenico Quirico)
- Era figlio di negus e non avrebbe mai dimenticato che il trono doveva toccare a lui. Sapeva che nella sua corte c'era un partito di irriducibili che lo istigava a battersi fino alla morte per riottenere il trono, che mormorava contro la vergognosa servitù nei confronti degli scioani, popolo debole, imbelle, che si era sempre prosternato quando passavano i tigrini. (Domenico Quirico)